Due occhi grandi
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Due occhi grandi

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  1. Daniele_QM
     
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    Due occhi grandi
    di Daniele Picciuti



    Due occhi grandi, infiniti, che racchiudono un mondo dentro.
    Avrà dodici anni, forse meno, lo sguardo fisso su di me, come se nascondessi un mostro sotto la camicia fradicia di pioggia.
    Sorrido, per rassicurarla forse, anche se non c’è nulla per cui sorridere.
    La stanza è una tomba adiacente alla strada: quattro mura grezze, una panca di legno spaccato alla base, un tavolo, tre sedie, una branda con due cuscini, un quadro senza cornice sulla parete a ritrarre un ammasso informe di colori che non ha alcun senso.
    Guardo la bambina, che non si muove, inchiodata coi piedi al suolo da un terrore atavico, che non è in grado di dominare, non qui e non ora.
    Dovrei dire qualcosa, o forse no. Forse non dovrei nemmeno essere qui, ma in albergo, con Franco e gli altri, a preparare la relazione sulle estrazioni del coltan dell’ultimo semestre.
    Eppure eccomi, in questa baracca affogata dal temporale tra le vie della bidonville di Kinshasa, di fronte a una bambina impaurita, tremante, vestita di stracci, una maglietta beige sopra una gonnellina blu rappezzata, capelli tagliati cortissimi, quasi a zero, la pelle morbida allo sguardo come cioccolato, il naso piccolo che si allarga timidamente tra le guance tumefatte, uno sguardo capace di guatarmi dentro.
    Credo di sapere chi o cosa sia.
    Kinshasa ne è piena. Si guadagnano qualche spicciolo dando informazioni ai turisti, portando loro i bagagli, vendendo sacchetti di benzina o sigarette.
    Li chiamano ndoki, i bambini stregone, abbandonati dalle famiglie perché ritenuti responsabili della diffusione di sventure, pandemie o incidenti, di qualsiasi natura ed entità, ai danni di qualche parente o della famiglia intera.
    Ma un conto è saperlo, aver letto qualcosa su internet, altro è imbattersi in uno di loro.
    - Ciao – riesco a proferire infine, con tale decisione da spaventarla.
    Si gira su un fianco come a fingere di non volermi vedere, ma i suoi occhi sbirciano per sapere qualcosa in più, chi sono e cosa voglio. Dovrei avanzare forse, ma non ci riesco. Sotto di me, la donna è distesa a terra in una pozza di sangue in cui galleggia una statuetta di legno a forma di elefante, la testa rivolta in giù, le braccia tese ad abbracciare il suolo.
    La madre, presumo, o una sorella più grande.
    Ancora mi chiedo come mi sia saltato in mente di entrare in questa stamberga, dopo aver sentito le urla. Non sarà né la prima né l’ultima bambina a urlare, quaggiù.
    Prima di partire, si sono sprecate le raccomandazioni da parte dei colleghi che mi hanno preceduto a Kinshasa e che insistevano nel convincermi a non immischiarmi negli affari di questa gente, a lasciar perdere i bambini, malati di AIDS e portatori di sventura.
    Adesso, a confermare le loro parole, eccomi incastrato in una situazione che mi è del tutto estranea.
    - Vieni – sussurro, cercando di rassicurarla. – Non ti faccio niente.
    Lei non si muove di lì, lo sguardo che rimbalza da una parte all’altra della casa, cercando di evitarmi; poi sfrega le mani tremanti una sull’altra, come se impastasse qualcosa.
    Mi viene in mente che potrei offrirle da mangiare e mi frugo in tasca, alla ricerca di un pezzo di banana fritta ancora incartato che mi è rimasto da ieri, magro ricordo di una festa cittadina.
    - Hai fame?
    Mi osserva mentre le porgo la banana e il suo sguardo si apre a quella che per me è un supplizio per il palato, ma per lei una visione, dopo chissà quanti giorni di digiuno forzato.
    È magra, come tanti ragazzini qui a Kinshasa, segnata dalla spossatezza di un’esistenza infame, che non regala niente se non sofferenza.
    Timidamente allunga una mano, poi la ritrae, fissandomi come se temesse da me un’azione a tradimento.
    - Prendila. Mangia. Mange!
    Allunga ancora il braccio ossuto e, senza scollare i suoi occhi lagunosi dai miei, afferra la banana fritta e si appiattisce di nuovo alla parete, avventandosi su quella fetta di paradiso con una foga e un luccichio nello sguardo che non riesco a spiegarmi.
    Chi sei? Perché hai quello sguardo negli occhi? Chi ti ha ridotta in questo stato?
    Vorrei chiederle tutte queste cose, ma non conosco la sua lingua. Posso solo aspettarmi che lei abbia incontrato altri turisti italiani e abbia imparato qualche parola.
    - Come ti chiami? – azzardo.
    La domanda ottiene una risposta, una reazione inaspettata, che mi spiazza del tutto. Si porta una mano al petto e le sue labbra pronunciano una sola parola scandita da una voce dolce, sussurrata, come se temesse di svegliare la donna morta.
    - Aliònor.
    Tento un timido sorriso, ma presto mi rendo conto che devo apparire ben strano ai suoi occhi, forse pericoloso. I bambini qui non devono essere abituati a contatti così forti con i turisti.
    Resto in silenzio ancora un po’, quindi mi decido a tentare un nuovo approccio.
    - È tua madre? – le chiedo, indicando il corpo a terra.
    Aliònor, timidamente annuisce.
    - Ma mère – bisbiglia con gli occhi lucidi di lacrime, in un francese appena comprensibile.
    Vorrei chiederle dove sia suo padre, ma se anche riuscissi a farmi capire, ho una conoscenza del francese al limite del ridicolo, non so quanto riuscirei a comprendere. Il nostro interprete è Paolo ed è in albergo in questo momento e so che se andassi a chiamarlo, al mio ritorno lei sarebbe scomparsa.
    Fuori il temporale ha ripreso la sua danza folle. Questa città è un monumento alla decadenza e alla distruzione.
    Veder crollare le case e allagarsi le strade fino a scoppiare, per un solo giorno di pioggia e vento, è qualcosa di inammissibile, in grado di annientare qualsiasi aspettativa di un miglioramento delle condizioni di vita di questa gente.
    Devo muovermi, fare qualcosa.
    Mi chino lentamente sul corpo della donna e osservo la ferita che ha al lato della testa, da cui è sgorgato tanto di quel sangue da aver dipinto di rosso il pavimento.
    Non è la prima volta che vedo un cadavere da vicino. Lavorare in Africa mi ha dato modo di assistere a scene che non posso scordare e che non potrei mai raccontare. Però stavolta è diverso, non sono mai rimasto solo con un cadavere e una ragazzina terrorizzata, all’oscuro dal mondo esterno.
    Vorrei spostare la testa della donna per osservare lo squarcio da vicino, ma preferisco non lasciare impronte e soprattutto non macchiarmi di sangue. Meglio non rischiare, quaggiù la legge segue rituali complessi.
    Poi lo vedo, un chiodo grosso e rugginoso, che dalle assi divelte del pavimento emerge tra i riccioli neri appiccicati dal sangue. Alzo gli occhi sulla ragazzina e so che dovrei dire qualcosa, ma il fiato mi muore in gola. Non oso immaginare il suo dolore in questo momento, la paura che può provare.
    - Mi dispiace – sussurro. - È stato un incidente.
    Aliònor non mi capisce, si limita a fissarmi in attesa di un nuovo input che sia per lei più comprensibile.
    - Incidente – ripeto, più piano che posso. - Accedent.
    - Accedent. - Annuisce, addolorata. - Oui.
    - Tuo padre? – decido di chiederle. – Dov’è?
    - Mon père? – Quelle parole le riaccendono il terrore. – Non... non!
    Ecco qualcosa che non mi aspettavo.
    Uno scalpiccio di passi risuona nella casa e prima che chiunque di noi possa anche solo pensare di scappare, una donna paffuta con un grembiule viola addosso e una busta di plastica sotto braccio, compare sulla soglia.
    Appena vede il cadavere attacca a urlare, senza darci il tempo di spiegare. Guarda me, la ragazzina e urla di nuovo, grida come una pazza, ma senza muoversi da dove si trova.
    Potrei tentare la fuga ora, sperando di battere sul tempo chiunque possa arrivare in suo soccorso, ma il pensiero è più lungo dei miei riflessi e rimango inchiodato lì fin quando non sento vociare all’esterno.
    Così arrivano i primi uomini, due ragazzi neri, più neri di Aliònor, della morta e della donna urlante, i quali appena vedono il corpo si proiettano verso di me per bloccarmi.
    Prima che io possa reagire, le loro braccia mi stringono, le mani si serrano sulle mie mani, qualcuno mi torce un arto dietro la schiena e finisco in ginocchio, poi a terra, con qualcosa che mi schiaccia al suolo.
    - No! – riesco finalmente a gridare. – È stato un incidente! Je suis italien! Je suis italien!
    Nella casa arrivano altri uomini, donne e persino bambini. Prima che me ne renda conto, si è creato un assembramento di gente che indica verso di me pronunciando frasi che non capisco. Tuttavia, molto presto, la maggior parte di loro rivolge la sua attenzione su Aliònor e non passa molto tempo che anche lei viene bloccata.
    L’agitazione dilaga, i volti di queste persone si contraggono in espressioni di puro odio e orrore, ma capisco da subito che non sono io l’oggetto delle loro attenzioni.
    Indicano Aliònor in modo eloquente.
    Dopo quella che a me sembra un’eternità, il gruppo decide di muoversi. Veniamo trascinati fuori dalla casa e portati in strada. Una volta fuori, mi sorprende ritrovarmi nella via desolata, sotto una pioggia scrosciante che trascina nei canali di scolo ettolitri di fango liquido.
    Mi aspettavo di trovare un assembramento di gente attratta dalle voci e dalle urla, invece nessuno sembra badare a noi, in parte per via del temporale, in parte perché scene come queste, quaggiù, sono all’ordine del giorno.
    C’è solo un uomo ad aspettarci, vestito con un camice bianco. Tra le mani stringe un libro che potrebbe essere una Bibbia e ha l’aria solenne di chi stia per compiere un passo importante.
    Mi giro a cercare la bambina, ma un gigante dallo sguardo inferocito, molto giovane in verità, mi afferra per le spalle e mi spinge via, gridando qualcosa nella sua lingua, facendomi cenno di andarmene.
    Resto spiazzato, immobile al centro del boulevard, indeciso su cosa dovrei fare. Aliònor è circondata da sei persone, quattro uomini e due donne, tra cui la paffuta che ci ha scoperti. La spintonano, la insultano, qualcuno la schiaffeggia.
    È assurdo come io non riesca a trovare la forza di andare da lei. È assurdo che io sappia di non poter far niente per aiutarla. Sono troppi.
    Il gigante che mi ha cacciato si unisce al gruppetto, sbraita qualcosa e invita gli altri a spostarsi dietro alla casa, dove scorgo un vicolo che finisce a ridosso di un muretto.
    Aliònor viene trascinata là dietro, mentre scalcia nel fango per sottrarsi alla loro stretta. Grida e i suoi occhi schizzano da una parte all’altra come se cercassero qualcosa, fino a quando non mi vedono. Allora si fermano.
    È come essere travolti da un camion. Quegli occhi mi tormentano, continuo a vederli anche se la pioggia oscura a tratti la sua forma, anche quando viene trascinata via, scomparendo del tutto nel vicolo.
    Dio santo, perché mi sta capitando questo?
    Non sono un tipo coraggioso, né un incosciente. Il tipo alto mi ha fatto capire che me ne posso andare, che me ne devo andare.
    Ciononostante, avanzo sotto il diluvio, ormai ridotto a un pupazzo da strizzare, e arrivo all’imbocco del vicolo.
    Aliònor giace a terra, su una striscia di asfalto che fuoriesce come una lingua dal terreno limaccioso. La scorgo appena, coperta dagli uomini che la circondano, ma vedo distintamente la chicotte in mano al gigante nero, un frustino in pelle di ippopotamo fin troppo diffuso da queste parti.
    Il sacerdote, o presunto tale, tiene la Bibbia sollevata di fronte a sé e agita l’altra mano al ritmo di una litania che non comprendo, ma che riesce a darmi i brividi.
    Uno degli uomini si avvicina alla bambina mentre altri la tengono ferma e le accosta un bicchiere alla bocca, costringendola a bere. Aliònor tossisce e si rotola a terra, fra terribili spasmi.
    Devo andare da lei, ma ho le gambe molli, di gelatina; le gocce d’acqua mi scorrono sotto la camicia, gelandomi la schiena, e tutto è confuso nella mia testa.
    Poi l’uomo alto si mette davanti ad Aliònor e la chicotte scatta, sferzando la bambina sulle gambe, aprendo ferite sanguinolente sulla pelle delicata. Le sue grida mi scuotono e lacrime mi annebbiano la vista, fondendosi con quelle che cadono giù dal cielo, incessanti.
    Guidato da un istinto che mi è estraneo, mi precipito nel vicolo e afferro il braccio del seviziatore prima che possa colpire di nuovo. Con l’altra mano gli strappo via la frusta e la getto lontano.
    Non riesco a fare altro.
    In breve mi sono addosso, qualcosa di molto forte mi colpisce allo stomaco e il dolore mi penetra dentro come se mi avessero affettato la pancia e infilato un ago nel cervello. Poi ancora pugni, calci, un dolore lancinante alla mandibola e il sapore ferroso del sangue nel palato.
    Crollo a terra, mentre i calci continuano, e mi rannicchio nel fango, tremando e pregando che finisca il più presto possibile.
    Una frenata sull’asfalto riecheggia poco distante e i colpi si fermano.
    Riprendo fiato e ne approfitto per sbirciare: una jeep è ferma al centro della carreggiata e due uomini sono scesi, due individui estremamente diversi. A giudicare dall’abito, il primo dev’essere un prete, giovane e dalla carnagione mulatta; l’altro è un uomo di mezz’età, vestito in abiti chiari, capelli corti, brizzolati, un paio di occhiali da sole sul naso e imbraccia un fucile.
    Il prete urla qualcosa in francese, mentre l’altro lo segue con l’aria di chi potrebbe sparare da un momento all’altro. Gli uomini che ho intorno rispondono animatamente, li sento litigare forte, qualcuno lancia insulti, qualcuno fugge. Quando uno strano silenzio si propaga nell’aria, mi decido a guardare nuovamente: sono rimasti solo lo pseudo-sacerdote, che si stringe la sua Bibbia al petto come se fosse il tesoro più prezioso del mondo, e l’uomo alto, che fissa Aliònor come se fosse il diavolo. La ragazzina, avvelenata da Dio solo sa cosa, è riversa a terra e sta vomitando l’anima.
    Il prete va ad aiutarla, mentre due braccia possenti mi sollevano da terra, aiutandomi a rimettermi in piedi. Ci metto un po’, ma alla fine torno padrone di me stesso, nonostante mi senta a pezzi. L’uomo col fucile mi fa cenno di camminare e io obbedisco.
    Mentre ci dirigiamo verso l’auto, il prete indugia un momento davanti a me, con la ragazzina aggrappata al suo collo.
    - Anglais? Francais?
    - Italien.
    - Eh bien, mon ami. Bernard va parler avec vous.
    Bernard ammicca silenzioso a quelle parole, poi rivolge un ultimo sguardo al gigante che se ne sta in disparte ad osservarci.
    - Andiamo – consiglia, in un sorprendente italiano. – Parliamo dopo.
    Saliamo sulla jeep, Bernard e il prete davanti, io e la piccola dietro. Mentre Kinshasa sprofonda in un abisso d’acqua che la inghiotte, ci allontaniamo verso la periferia, lasciandoci dietro lo sguardo ostile degli abitanti che hanno assistito alla scena.
    Mentre l’auto corre, per alcuni minuti regna il silenzio. Ne approfitto per dedicarmi ad Aliònor.
    È pallida, ha la bocca sporca e mi guarda di sottecchi, abbozzando un timido sorriso, che le storpia il volto in un’espressione sconvolta.
    È molto bella per la sua età, forse troppo. Rabbrividisco al pensiero di ciò che avrebbero potuto farle.
    - Lei perché è a Kinshasa?
    La domanda giunge a bruciapelo, in italiano perfetto.
    - Per lavoro! – rispondo quasi gridando, per superare il rullio assordante del motore della jeep. – Mi chiamo Leonardo Sila! Alloggio in albergo al...
    - Un altro riccone! – esclama Bernard, risentito. – Venite qui a far che? A rubare rame e diamanti a questa gente?
    Resto un attimo zitto, indeciso se mandarlo al diavolo o chiedergli di mostrarmi rispetto, dal momento che non mi conosce. Poi rammento che mi hanno salvato da un pestaggio e traggo un respiro per calmarmi.
    - Coltan!
    - Come? – Bernard mi fissa attraverso lo specchietto, da dietro i suoi occhiali scuri.
    - L'azienda per cui lavoro commercia in coltan!
    Bernard scuote la testa.
    - Ancora quei fottuti cellulari! - Il suo sguardo si fa accusatorio. - Lo sa che il coltan è radioattivo, vero?
    Lo so naturalmente, ma non oso fiatare.
    - E che coi soldi che sborsate per estrarlo, la gente di qui ci compra le armi per i guerriglieri? Questo lo sa?
    - Io non...
    - Gli affari sono affari e per le mutinazionali tutto è lecito!
    Parla davvero bene italiano. Anche troppo.
    - Bernard, lei non è francese!
    Sulle sue labbra compare uno strano ghigno.
    - Infatti mi chiamo Bernardo. Sono nato a Roma, ma vivo in Congo da quand‘ero un marmocchio. È Maurice che mi chiama così. L’inflessione francese, hai presente? Ormai quaggiù per tutti sono Bernard.
    Di colpo ha preso a darmi del tu e la cosa per qualche ragione mi fa sorridere. Mentre penso questo, una carezza mi sfiora il braccio.
    Aliònor sta male. È sempre più pallida nonostante sia nera come un carboncino e ha lo sguardo spento. Le gambe sono imbrattate di sangue e in alcuni punti s’intravede la carne viva.
    Deve bruciarle da morire.
    Con un movimento molto lento, si accoccola sul mio braccio, tenendolo stretto, come se temesse di lasciarmi andare.
    Lo stomaco si contrae e mi sento mancare il fiato.
    È assurdo, ma l’unica cosa che riesce a venirmi in mente, facendomi sentire dannatamente stupido ed egoista, è che devo chiamare Franco, avvertirlo di quel che mi è successo. Oggi pomeriggio c’è l’incontro con i dirigenti e non posso mancare, non certo perché stamattina mi è saltato lo sghiribizzo di fare il turista nella bidonville di Kinshasa.
    - La bambina ha bisogno di un medico. Dove stiamo andando?
    - Al centro di ricovero, dove stiamo noi. Avrà tutto l’aiuto che le occorre.
    - Centro di ricovero?
    Bernard annuisce, guardandomi attraverso lo specchietto.
    - Per bambini abbandonati. Gli shegué.
    - Credevo si chiamassero ndoki.
    - Gli shegué sono i bambini che vagano nelle strade, a volte formano delle bande, altre volte stanno da soli. Gli ndoki sono i bambini stregone.
    Abbasso lo sguardo su Aliònor, che sembra essersi addormentata.
    - Come lei?
    Bernard annuisce e allora mi ricordo che né lui né padre Maurice hanno idea di cosa abbia scatenato quella caccia alle streghe.
    - In casa c’era sua madre, - li informo, cercando di dosare al meglio le parole. - È caduta a terra e ha battuto la testa su un chiodo.
    - È morta?
    Noto una punta di agitazione nel tono della sua voce, ma in fondo me l‘aspettavo. Hanno salvato una bambina e un turista da un linciaggio senza neanche sapere il perché.
    - Sì.
    - Allora tutto si spiega. – Finalmente si sfila gli occhiali, mostrando due occhi chiari come il ghiaccio che puntano dritti su Aliònor. – Pensano che sia colpa sua.
    - Ma io ero presente! Se mi avessero ascoltato...
    - Non sarebbe servito a niente! – m’interrompe, brusco. – La cultura animista è troppo radicata. L’hanno giudicata colpevole nel momento in cui hanno trovato il cadavere. Anche se non è stata lei e la poveretta è inciampata e caduta su un chiodo, per loro è colpa della bambina.
    Ha ragione. Sono cose che sapevo già, ma cozzarci contro fa tutto un altro effetto.
    - È stato un incidente...
    - Certo! – fa lui, mentre la jeep svolta in una stradina sterrata che conduce a un casolare isolato in mezzo alla pianura. – Un incidente che ha provocato lei, facendole il malocchio o chissà quale altra diavoleria.
    È tutto così irragionevole…
    - Ti basti pensare che era presente un sacerdote della Eglise du Réveil. La gente crede che i figli siano posseduti dal demonio e loro ne approfittano per farsi pagare dei falsi esorcismi. Di sicuro l’ha fatto chiamare il padre.
    - Il padre?
    - Quello alto con la chicotte. In genere sono i genitori o i parenti più stretti a frustare i bambini.
    Resto a bocca aperta, inorridito.
    - Quello era suo padre? Un ragazzo?
    - Quaggiù l’aspettativa di vita è di quarantacinque anni, che ti aspettavi? E se non era il padre, era il fratello. Il succo non cambia.
    Non riesco quasi a parlare. L’odio che quell’uomo aveva negli occhi mi aveva convinto che fosse un pazzo o un criminale, non certo suo padre!
    - Che cosa le hanno fatto bere? - chiedo ancora, mentre il fuoristrada affronta una serie di buche che scuotono l’abitacolo.
    - E chi lo sa! Un lassativo o un altro intruglio fatto apposta per farla vomitare. Credono che così il diavolo venga esorcizzato!
    Dietro l’ultima curva, appare un basso edificio color crema, meno decrepito di quel che mi aspettavo, e la jeep si ferma in un piccolo spiazzo adiacente.
    - Benvenuti a La Fleur du Paradis! - esclama Bernard nell’aprirci lo sportello.
    Lentamente scuoto Aliònor, che riapre piano gli occhi, con il terrore nello sguardo.
    - Tranquilla - cerco di confortarla, - va tutto bene.
    Mi guarda senza capirmi e la sua mano mi stringe forte il braccio. Scendiamo insieme dalla jeep, mentre tutt’intorno una fitta schiera di bambini dai quattro o cinque anni in su, ci corre incontro ridendo e vociando nella loro lingua, il lingàla.
    Maurice si avvicina a noi, indicando l’ingresso al Centro.
    - Vous venez avec moi.
    Mentre lo seguo, indugio sulla piccola folla che ho intorno. Vestono tutti magliette e calzoncini puliti, alcuni hanno calzature aperte, improvvisate con suole logore legate con una corda, altri hanno delle ciabattine da mare sbiadite, altri ancora sono a piedi nudi. Tutti hanno le facce sveglie, anche se negli occhi di alcuni scorgo una lieve traccia di paura, mentre in altri indifferenza o semplice curiosità.
    Aliònor si aggrappa a me, quasi temesse che possano farle del male.
    - Sono bambini, - le dico, cercando di rassicurarla, - come te.

    * * *

    L’infermeria è una stanzetta dalle pareti bianche, con uno strato di umidità sotto il soffitto da far temere che possa crollare da un momento all’altro, un armadietto che suppongo usino per tenerci i medicinali, una striminzita scrivania, una branda e un materasso che fungono da lettino delle visite e un paio di sedie.
    Aliònor giace addormentata nel letto. Il suo viso ora è disteso e in pace. Sembra un angelo.
    Bernard e padre Maurice sono con me e quasi avverto la profonda pietà che provano per quella bambina. Immagino che per loro rappresenti solo l’ennesimo esempio del degrado raggiunto da questo paese, precipitato in una follia dilagante a causa di tradizioni animiste mai estirpate, da una guerra civile che versa sangue su sangue e da individui senza scrupoli che approfittano dell’ingenuità e dell’ignoranza del popolo per affossarlo sempre più. Individui come i sedicenti sacerdoti delle Eglises du Réveil e gli uomini d’affari delle multinazionali, come quella che io stesso rappresento.
    - Che ne sarà di lei? - domando, traendo un lungo respiro per dominare l’ansia.
    - Resterà qui. - La voce di Bernard mi infonde sicurezza. - Al sicuro.
    - Suo padre non la cercherà?
    Maurice scuote piano la testa ma è ancora l’italiano a parlare.
    - Non credo. Per lui è come se fosse morta.
    Taccio qualche secondo. Quel che sto per chiedergli potrebbe cambiarmi la vita, perciò mi prendo un attimo per guardarmi indietro. Mi rivedo al liceo, all'università, in azienda, e in ogni immagine ci sono io, solo, con affianco qualche ragazza conosciuta e poi dimenticata, o qualche amico del momento col quale condividere una gioia o il dolore di una perdita.
    La mia tendenza all'isolamento, al rifuggire una famiglia, mi accompagna da lungo tempo.
    Così, capisco, questa è la mia svolta.
    - Potrei… potrei portarla con me?
    I due uomini mi fissano increduli.
    - Certo, - risponde Maurice, incespicando in un italiano stentato, - per un’adozione… serve tempo. Mais oui.

    * * *

    I motori dell’aereo rullano mentre si appresta a seguire la procedura di decollo. Le voci intorno a me sono distanti chilometri. I miei amici mi parlano e non li sento.
    Sento solo Aliònor. I suoi occhi che mi salutano e la mia voce che cerca di rassicurarla.
    Tornerò a prenderti, te lo prometto.
    Chiudo gli occhi e le sue urla tornano a rimbombare nella mia testa. Mi rivedo nella bidonville, precipitarmi in quella baracca di legno e lamiera; rivedo quella donna che picchia la bambina con una statuetta di legno e come allora incrocio lo sguardo di Aliònor, che implora pietà e chiede aiuto. Il mio aiuto.
    Mi rivedo correre verso di loro, torcere il polso della donna e spingerla via. La vedo perdere l’equilibrio e crollare al suolo, picchiare la testa a terra e poi giacervi per sempre.
    Rivedo il chiodo. E poi gli occhi di Aliònor.
    Due occhi grandi, infiniti, che racchiudono un mondo dentro.

    Edited by Daniele_QM - 10/12/2009, 12:13
     
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  2. AngeloF
     
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    Ciao Daniele.

    Complimenti! Davvero molto bello il tuo racconto. Soprattutto nella prima parte, in cui la tensione si mantiene molto alta e il lettore è curiosissimo d andare avanti.
    Nella seconda parte, piena di spiegazioni da parte di Bernardo, la tensione scema abbastanza. Magari qualche spiegazione in meno gioverebbe?

    Comunque nel complesso gli do un bel 4.
     
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  3. Yue07
     
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    User deleted


    Allora, Daniele, veniamo a te.
    Nel complesso la storia mi è piaciuta, hai caratterizzato bene i personaggi (soprattutto Bernard) ma non posso dire di aver "sentito" il racconto in modo particolare. Mi spiego: in una storia narrata in prima persona credo sia fondamentale il coinvolgimento del lettore che deve immedesimarsi nel protagonista, cosa che in questo caso non è riuscita. Ovviamente è un'opinione personale.
    Vorrei farti due appunti.

    SPOILER (click to view)
    Eppure eccomi, in questa baracca affogata dal temporale tra le vie della bidonville di Kinshasa, di fronte a una bambina impaurita, tremante, vestita di stracci, una maglietta beige sopra una gonnellina blu rappezzata, capelli tagliati cortissimi, quasi a zero, la pelle morbida allo sguardo come cioccolato, il naso piccolo che si allarga timidamente tra le guance tumefatte, uno sguardo capace di guatarmi dentro

    Le caratteristiche della piccola che ho riportato mi ricordano quasi un elenco. A mio parere avresti fatto meglio a inserire un particolare fisico di Alionòr man mano che la storia andava avanti, in modo che solo alla fine avremmo avuto un quadro completo della bambina.

    SPOILER (click to view)
    Mi viene in mente che potrei offrirle da mangiare e mi frugo in tasca, alla ricerca di un pezzo di banana fritta che mi è rimasto da ieri, magro ricordo di una festa cittadina.

    Come si fa a conservare in tasca un pezzo di banana fritta? Mi pare un po' inverosimile.

    Una cosa che mi ha colpito è stata la struttura anulare del racconto, che inizia e termina con una stessa frase, tra l'altro intensa e a effetto.
    Nel complesso, tre. Peccato, con un po' di coinvolgimento in più il quattro non te lo toglieva nessuno.

     
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  4.  
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    Il racconto è ben scritto ma l'ho trovato un po' fine a sé stesso e sinceramente non riesco a dire di averlo apprezzato appieno.
    Il colpo di scena finale... non è un colpo di scena, in effetti non aggiunge quasi nulla alla storia.
    Voto 3, anche se non è un 3 pieno.
    Appunti a seguire.

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    branda con due cuscini, un quadro sulla parete senza cornice che ritrae

    Meglio "un quadro senza cornice sulla parete", altrimenti sembra che sia la parete a non avere una cornice. Il "che" a seguire lo toglierei, non serve e così eviti la ripetizione visto che ce n'è un altro poco dopo.

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Ma un conto è saperlo, aver letto qualcosa su internet, altro è imbattersi in uno di loro.

    Meglio "un altro"

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Sotto di me, la donna è distesa a terra in una pozza di sangue in cui galleggia una statuetta di legno a forma di elefante, la testa rivolta in giù, le braccia tese ad abbracciare il suolo.

    Chi, la don na o la statuetta? Il soggetto si confonde

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Ancora mi chiedo come mi sia saltato in mente di entrare in questa stamberga, dopo aver sentito le urla. Non sarà né la prima, né l’ultima bambina a urlare, quaggiù.

    La virgola prima di "né" sarebbe meglio evitarla

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Lei non si muove di lì, il suo sguardo rimbalza da una parte all’altra della casa, cercando di evitarmi, e sfrega le mani una sull’altra, come se impastasse qualcosa.

    Messa così è lo sguardo che sfrega le mani. Metterei un punto dopo "evitarmi", o almeno toglierei la "e" che segue lasciando solo la virgola.

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Allunga ancora il braccio ossuto e senza scollare i suoi occhi lagunosi dai miei,

    Serve una virgola dopo "e"

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Fuori il temporale ha ripreso la sua danza folle. Questa città è un monumento alla decadenza e alla distruzione.
    Veder crollare le case e allagarsi le strade fino a scoppiare per un solo giorno di pioggia e vento, è qualcosa di inammissibile,

    La virgola dopo "vento" è di troppo (o al più ne serve un'altra dopo "scoppiare")

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Però stavolta è diverso, non sono mai rimasto solo con un cadavere e una ragazzina terrorizzata, all’oscuro dal mondo esterno.

    "dal" o "del"?

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Uno scalpiccio di passi risuona nella casa e prima che chiunque di noi possa anche solo pensare di scappare, una donna paffuta con un grembiule viola addosso e una busta di plastica sotto braccio, compare sulla soglia.

    Serve una virgola prima di... ehm... "prima". Quella dopo "braccio" invece è da togliere, sta in mezzo tra soggetto e predicato

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Prima che io possa reagire, le loro braccia mi stringono, le mani si serrano sulle mie mani,

    Il secondo "mani" lo toglierei

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Uno degli uomini si avvicina a lei

    Lei chi?
    Si capisce dal contesto, ma è passato un bel po' da quanto l'hai nominata, troppo per passare al pronome.

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Devo andare da lei, ma ho le gambe molli, di gelatina; le gocce d’acqua mi scorrono sotto la camicia, gelandomi la schiena e tutto è confuso nella mia testa.

    Serve una virgola dopo "schiena"

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 1/12/2009, 01:48)
    Bernard ammicca silenzioso a quelle parole, poi rivolge un ultimo sguardo al gigante che se ne sta in disparte ad osservarci.

    "d" di troppo
     
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  5. Daniele_QM
     
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    Grazie a tutti. :) Solo una domanda a CMT: Che intendi per fine a se stesso?
     
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  6. marramee
     
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    Niente male. La prima parte è molto bella, la tensiene cala un po' nella seconda. Il colpo di scena finale era forse inutile, visto il genere di racconto "realistico". Merita un tre abbondante, ma non riesco ad arrivare a quattro.
     
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  7.  
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    Intendo dire che in realtà la storia è "lui aiuta la ragazzina uccidendone accidentalmente la madre e poi decide di adottarla", quasi tutto il resto potrebbe essere omesso senza che cambi nulla (ad esempio perché lui sia lì, i tizi che lo aiutano, il ricovero). Gran parte del racconto è fatto da eventi e (soprattutto) informazioni che in realtà sono accessori, non sono indispensabili né allo sviluppo né alla comprensione della trama.
     
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  8. Daniele_QM
     
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    CITAZIONE (CMT @ 4/12/2009, 08:50)
    SPOILER (click to view)
    Intendo dire che in realtà la storia è "lui aiuta la ragazzina uccidendone accidentalmente la madre e poi decide di adottarla", quasi tutto il resto potrebbe essere omesso senza che cambi nulla (ad esempio perché lui sia lì, i tizi che lo aiutano, il ricovero). Gran parte del racconto è fatto da eventi e (soprattutto) informazioni che in realtà sono accessori, non sono indispensabili né allo sviluppo né alla comprensione della trama.

    Allora, innanzitutto questa cosa non la capisco molto. Esistono moltissimi racconti che "potrebbero" funzionare anche senza questo o quell'elemento, ma se una storia è pensata in un modo, è quello, non è un altro. Nel caso specifico, si tratta di un racconto-denuncia sul degrado della società di Kinshasa e l'assurdità dell'esistenza dei bambini stregone.
    SPOILER (click to view)
    Quindi non è la storia di un uomo che adotta una bambina perché le ha ucciso la madre. Non solo. E non avrei potuto parlare dei bambini stregone mostrare la superstizione del popolo, la follia delle Chiese del Risveglio e dei falsi sacerdoti, quello che fanno pur di esorcizzare presunte possessioni. Questi elementi DOVEVANO comparire, non possono considerarsi un accessorio alla storia. Non so se mi spiego.
    Inoltre il mio protagonista decide di adottare la bambina proprio in seguito all'esperienza vissuta. Se non avesse assistito e non fosse stato coinvolto in prima persona, Alionor sarebbe rimasta, per lui, una delle tante bambine sfortunate di Kinshasa.

    Perdonami quindi se non posso concordare con il tuo giudizio, almeno da questo punto di vista.
    :)
     
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    CITAZIONE (Daniele_QM @ 4/12/2009, 10:14)
    Esistono moltissimi racconti che "potrebbero" funzionare anche senza questo o quell'elemento, ma se una storia è pensata in un modo, è quello, non è un altro.

    Il che varrebbe anche come risposta a tutte le volte che viene detto a me che manca un qualche elemento che nella realtà non serve a nulla. :lol:
    Il punto è che non dico che la storia valga di più o di meno per questo, dico solo che io la vedo così. ^_^

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 4/12/2009, 10:14)
    Nel caso specifico, si tratta di un racconto-denuncia sul degrado della società di Kinshasa e l'assurdità dell'esistenza dei bambini stregone.

    Il che va benissimo, ma a questo punto andrebbe secondo me detratta l'attenzione dalla "rivelazione" finale, che fa sembrare che il punto del racconto fosse lì (e che la scelta del protagonista dipenda essenzialmente da quello).

    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE (Daniele_QM @ 4/12/2009, 10:14)
    Quindi non è la storia di un uomo che adotta una bambina perché le ha ucciso la madre.

    E questo è un problema, perché lo sembra. -_-

    CITAZIONE (Daniele_QM @ 4/12/2009, 10:14)
    Non solo. E non avrei potuto parlare dei bambini stregone mostrare la superstizione del popolo, la follia delle Chiese del Risveglio e dei falsi sacerdoti, quello che fanno pur di esorcizzare presunte possessioni. Questi elementi DOVEVANO comparire, non possono considerarsi un accessorio alla storia. Non so se mi spiego.

    Infatti io questi non li ho menzionati tra gli elementi accessori, ho citato altre cose. ^_^


    CITAZIONE (Daniele_QM @ 4/12/2009, 10:14)
    Perdonami quindi se non posso concordare con il tuo giudizio, almeno da questo punto di vista.
    :)

    Ci mancherebbe altro ^_^
     
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  10. Paolo_DP77
     
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    Ciao Daniele, il racconto mi è piaciuto molto. Metto tutto in spoiler.
    SPOILER (click to view)
    La parte migliore è la descrizione del linciaggio: l'azione è resa bene e allo stesso tempo hai sapute rendere molto bene l'idea di confusione e di panico del momento, anche grazie all'uso di alcuni elementi, come la pioggia e l'immagine degli occhi della bambina a creare un legame tra lei e il protagonista.
    La parte successiva è un po' a rischio infodump, quasi inevitabile data la lunghezza del racconto e gli obiettivi che ti eri posto (essendo un racconto di denuncia), però tutto sommato l'hai gestito bene.
    Il finale e la chiusura in particolare li ho trovato buoni, aggiungono particolarità alla storia. La sorpresa mi sembra anche ben preparata da alcuni comportamenti della bambina e del protagonista. Ma più che l'effetto sorpresa il finale così come l'hai strutturato è importante poiché bilancia l'anti-climax che altrimenti avrebbe il raccondo (che ha il suo picco drammatico nella prima metà). Questo dimostra (ancora una volta) grande lucidità da parte tua nella strutturazione del racconto: ottimo!
    L'unica cosa di cui si sente un po' l'assenza è la possibilità di conoscere il protagonista, il che sarebbe necessario per comprendere meglio e sopratutto condividerne le motivazioni che lo portano a pensare a un'adozione. Una caratterizzazione più consistente darebbe secondo me maggior profondità al finale. Funzionerebbe quindi ancora meglio se ampliato un po' in questo senso.
    Non vedo cose da sistemare oltre alcune che ti sono già state segnalate; forse nella punteggiatura di alcune frasi metterei punto o punto-e-virgola al posto di qualche virgola, tutto qui.

    Buon lavoro in definitiva, secondo me vale un quasi-quattro che arrotondo a quattro.
     
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  11. Daniele_QM
     
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    Grazie anche a te Paolo. L'annotazione sulla caratterizzazione del protagonista mi sembra azzeccata. Spero di trovare il tempo per aggiungere qualcosa. :)
     
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  12. Black _ Dahlia
     
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    Un racconto impegnato, difficile. Il soggetto è sicuramente interessante, ma secondo me non l'hai sviluppato benissimo: è come se fosse una storia incompleta. Dovevi farci capire di più del contesto, parlare di più della bambina e dei motivi che hanno spinto il protagonista ad affrontare quel viaggio, perchè, d'accordo, è un viaggio di lavoro, ma non sappiamo nient'altro a riguardo!
    Un po' lento e ripetitivo nella descrizione dei fatti, vai veloce su alcuni punti che, a mio parere, avresti dovuto approfondire, e ti dilunghi in parti, a mio parere, meno significative.
    Avrei approfondito maggiormente il ruolo del sacerdote e dell'italiano Bernardo, che è molto confuso; avrei descritto con maggior dovizia di particolari la bidonville e la gente che la popola; avrei parlato di più e con maggior mistero della figura dei bambini stregoni.
    Interessante il colpo di scena finale!
    Ti do un due, ma spero di rifarmi col prossimo racconto! :)
     
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  13.  
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    Ciao,
    tocca a te

    SPOILER (click to view)
    Non posso dire che non mi sia piaciuto, ma ho un poco la sensazione che tu apposta non abbia lesinato i particolari da racconto strappalacrime. Il particolare degli occhioni teneri per primo. Metti la bambina in una situazione talmente incasinata, e non per colpa sua, che è obbligatorio schierarsi emotivamente.
    E' lecito, sia chiaro, e a volte è pure auspicabile se serve allo scopo. Però oltre che nei particolari forse hai calcato la mano anche nello stile, che a tratti è un poco pesante e perde di scorrevolezza proprio quando usi le metafore alo posto delle descrizioni.
    Però alla fine raggiunge l'obbiettivo. Non lo posso negare.

    Come struttura l'ho trovata discreta. Soprattutto il colpo di scena finale è messo bene: ci sta come logica e si inserisce anche nei particolari della narrazione.
    Un poco sbilanciato tra la parte iniziale, che si dilunga un poco ma senza essere concreta, e quella centrale con l'interbento dei due sulla jeep

    Sarebbe un 2 abbondante, quindi un 3

    VARIE
    - "guatarmi " - refuso
    - tenere un pezzo di banana fritta in tasca non è normale

     
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  14. Snow2
     
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    "un quadro sulla parete senza cornice che ritrae un ammasso informe di colori che non ha alcun senso" in questo caso come altri, forse stiracchi troppo il periodo.
    "la pelle morbida allo sguardo come cioccolato" non mi convince molto. "e lo sguardo come cioccolato", si potrebbe fare.
    "alla ricerca di un pezzo di banana fritta" una banana fritta dritta in tasca? :blink: magari avvolta in un pezzo di carta
    "ettolitri di fango liquido" lo rivedrei
    "È pallida, ha la bocca sporca e mi guarda di sottecchi, abbozzando un timido sorriso, che le storpia il volto in un’espressione sconvolta." questo è molto spezzettato.

    La prima metà o anche più della storia è davvero ottima. Soprattutto le descrizioni di Kinshasa allagata e distrutta le ho trovate fantastiche :)
    Ottimo anche il moto della folla.
    La storia tiene incollati, incollati di brutto, fin quando la bambina e il protagonista non si ritrovano sulla jeep. Da lì ho notato un calo dovuto principalmente a un eccesso di spiegazioni che mi ha "staccato" dalla storia. Questo è il primo punto dolente; il secondo è il finale. Il colpo non arriva, le ultime righe mi sembrano frettolose, tanto che ho dovuto rileggerle per capire bene l'effetto. Credo che il pezzo meriti una chiusura più attenta.

    È un bel racconto senza ombra di dubbio, non arrivo al quattro per i motivi di cui sopra, ma non fosse stato per quelli sarebbe stato il mio preferito di questa edizione di usam.

    Voto 3
     
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  15. RobertoBommarito
     
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    Trovo che il racconto sia molto veloce, forse anche troppo. E' vero che essendo un racconto breve deve scorrere veloce. Ma in alcune parti ho la sensazione che manca l'approfondimento. Credo che sia un bene a volte variare un po' il passo all'interno del racconto.

    SPOILER (click to view)
    Non mi convincono certi passaggi troppo descrittivi. Credo che a volte bisogna lasciare spazio anche all'immaginazione del lettore.

    CITAZIONE
    Eppure eccomi, in questa baracca affogata dal temporale tra le vie della bidonville di Kinshasa, di fronte a una bambina impaurita, tremante, vestita di stracci, una maglietta beige sopra una gonnellina blu rappezzata, capelli tagliati cortissimi, quasi a zero, la pelle morbida allo sguardo come cioccolato, il naso piccolo che si allarga


    Non me la sento di dare più di 2, scusa. :(
     
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25 replies since 1/12/2009, 01:48   641 views
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