Carne cruda
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Carne cruda

Fantademenza - 30k

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  1. silente2.0
     
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    Questo mese mi metto in gioco anch'io. :sospysi:

    CARNE CRUDA

    Per quasi tre mesi Roccia mi aveva rotto i coglioni con il suo mal di pancia, con un ahiahiahi di lì e un ohiohiohi di là, e quando finalmente era guarito, una perfida influenza l’aveva trovato fiacco e vulnerabile e l’aveva steso. Più di cento chili buttati a terra da un microbo, e forse anche calpestati a sangue. Stupefacente. A ogni modo, gli erano toccate due settimane di deliri febbricitanti in cui aveva giurato di aver visto me e Vissia nudi, l’uno nelle braccia e nella lingua e nelle tette dell’altra, e ora, dopo esserne sopravvissuto, c’era un ultimo ostacolo lo separava della serenità: la tosse.
    Era una tosse esplosiva, tonante, un boato temporalesco che ti faceva scoppiare le orecchie, ma lui era pur sempre il mio miglior amico, e così gli stavo vicino sottoponendomi a una continua doccia di saliva e germi.
    «Non ti ammalerai» mi confidò in un giorno di saggezza.
    Mi finsi disinteressato. «Eh?»
    «Sono fuori dal periodo d’incubazione. Me l’ha detto il dottore. Quindi i miei batteri non sono più infettivi.»
    «E perché me lo dici?»
    «Perché non prenderai l’influenza, non ti verrà la febbre, non avrai le visioni e tu e Vissia, amico mio, avrete sempre e comunque i vestiti indosso.»
    Lo mandai a cagare, non pensando che Roccia aveva già cagato abbastanza, per me, per Vissia e per tutti i sopravvissuti ai Dieci Giorni. Così, ogni volta che lo sentivo tossire, mi infuriavo pensando a tutte le allucinazioni erotiche che gettava al vento.

    Andare a caccia di cazzoni verdi era sempre più noioso, ma perlomeno la tosse di Roccia dava un po’ di brio alle nostre battaglie: nascondersi era impossibile, e tendere agguati silenziosi aveva lo stesso valore strategico di una carica a testa bassa.
    «Scusate» diceva lui, «non lo faccio apposta.» E poi giù a vomitare le tonsille. «Adesso passa» aggiungeva, piegandosi sulle ginocchia dallo sforzo.
    Io mi sentivo un po’ in colpa. In fondo era pur sempre il mio miglior amico, e se quando aveva la cacarella potevo comunque fungere da sostegno di qualche tipo, ora ero perfettamente inutile. Avremmo dovuto lasciarlo al campo, giù a Cazzolandia, come l’aveva stupidamente soprannominata il capo, ma la filosofia vigente nei nostri giorni gli impediva di restare fermo, a meno di non essere morto.
    «Sopravvivo» aggiungeva poi. Lo ripeteva in continuazione, forse pensando che, se ci credeva veramente, sarebbe accaduto davvero. Io ero molto perplesso a riguardo, e doveva essere colpa della mia mancanza d’ottimismo se i desideri di Roccia non si avveravano.
    «Scusa» gli dissi allora.
    «Perché?»
    «Non lo so, così.»
    «Oh.»
    E per quanto affermasse il contrario, in combattimento non era molto affidabile, così dovevamo arrangiarci io e Vissia. Fare coppia con la donna dei miei sogni mi permetteva di sfoggiare le mie abilità guerriere, ma mentre io mi rendevo ridicolo gonfiando i muscoli, lei ammazzava quei mostri a mani nude. Ed era altrettanto chiaro che, mentre Vissia era impegnata a uccidere i cazzoni verdi, non poteva vedermi intanto che mi facevo bello per lei.

    Li chiamiano cazzoni verdi perché sono verdi, hanno tre gambe grosse e muscolose e al capo, quel giorno, andava di fare il simpaticone. Sono alti pressapoco quanto un umano e ne hanno all’incirca anche la stessa fisionomia. Braccia, mani, spalle, collo, e per testa qualcosa di simile a un sacchetto di cartone tutto accartocciato, nel quale si possono trovare un paio di biglie come occhi e una manciata di canini disposti a caso.
    Sono brutti come la peste e fanno paura, ma, per fortuna, quel gigantesco terzo arto sproporzionato, all’altezza dell’inguine, simile a una gigantesca virilità desiderata in tanti sogni adolescenziali femminili, li obbliga a un’andatura pachidermica: infatti sono bestie lente e sgraziate, e ammazzarli è diventato semplice routine anche se sono protetti da una corazza ossea molto resistente, che non ci permette di stenderli se prima non abbiamo sprecato centinaia di proiettili.

    «Eccone uno!» Vissia fece una smorfia mentre si grattava una chiappa, ricordo di uno scontro precedente con un cazzone - cazzone verde, ci terrei precisare, per evitare fraintendimenti che potrebbero farmi riabbracciare la depressione. Era una ferita innocua, ma le causava prurito. Io mi ero offerto più volte di assisterla nei momenti di maggior fastidio, ma lei non aveva mai accettato. «Lo mangio crudo» sentenziò poi. Indicò l’alieno e mi fece segno di sparare per primo.
    Riparato dietro lo scheletro di un’automobile, diedi un’ultima occhiata ai suoi capelli rossi per inebriarmi di ispirazione e poi feci fuoco: il cazzone incassò i colpi e si irrigidì, sorpreso, poi si voltò e sembrò guardarmi. Lo riempii di piombo fino a quando vidi Vissia sgusciare dalla sua postazione e rotolare dietro il marziano. Era una tattica pericolosa, perché, ritrovandoci l’uno di fronte all’altra, avremmo potuto mitragliarci a vicenda. E non era consolante sapere che Vissia, al contrario di me, aveva una mira infallibile. Per fortuna, di infallibile aveva anche la fiducia, ma non nei miei confronti, bensì nelle sue capacità militari di stendere il cazzone prima che io potessi sparare un altro colpo. Era stupido agire così, tuttavia era l’unica strategia a cui Vissia mi concedesse di prendere parte da quando il nostro gruppo si era ridotto da quattro a tre elementi. E visto che i suoi ordini erano la sola conversazione che potevo ottenere con lei, mi adeguavo.
    Il cazzone, raggiunto alle spalle da una scarica di proiettili, inarcò la schiena e cadde a terra stecchito. Mi congratulai a gesti con Vissia, felice che il suo piano avesse funzionato anche questa volta grazie alla prontezza con cui io, non appena lei si muoveva, smettevo di sparare. Vissia non l’avrebbe mai saputo, io non glielo avrei mai raccontato e saremmo vissuti per sempre felici e contenti.
    Roccia, in lontananza, continuava a rigurgitare fiato e saliva, e mentre pensavo a quanto irritanti fossero i suoi versi, notai Vissia che alzava una gamba del cazzone morto e la addentava.
    «Te l’avevo detto che l’avrei mangiato crudo» farfugliò con la bocca piena.
    Non seppi cosa risponderle.
    Lei alzò lo sguardo al cielo, uno sguardo di sfida che avrebbe trasformato i testicoli di un uomo in chicchi d’uva secchi, e urlò: «Me li mangio, capito?» Prese fiato e tirò su col naso. Aveva un raffreddore epocale e sembrava vantarsene con Roccia, distrutto chissà dove da una semplice tosse. «Imperatori stellari del cazzo, mi mangio tutti i vostri soldati, tutti, anche crudi! Chiaro? Così vedremo se verrete ancora quaggiù con le vostre astronavi di merda per mangiare noi! No, cazzo, non lo farete, perché io prima mangerò voi, va bene?» Poi continuò a masticare il boccone e io distolsi lo sguardo dal suo pranzo. Ero troppo innamorato di lei per vederla in quelle condizioni.

    Ora. Non è che noi non mangiamo i cazzoni verdi, anzi. La loro polpa è squisita, nonché l’unica cosa commestibile da quando hanno invaso la Terra e, in quei dieci fottuti giorni, ridotto il nostro pianeta in un deserto di macerie e poveri cristi agonizzanti. Esiste addirittura un gruppo speciale, quello composto da me, Vissia, Roccia e, fino a poco tempo fa, il capo, incaricato dell’approvvigionamento alimentare. Probabilmente è l’unica cosa intelligente che siamo riusciti a fare dopo l’usurpazione, visto che astronavi italiane cazzute zeppe di missili per ora non ne ho viste.
    Uccidiamo i marziani e li cuciniamo.
    Quando abbiamo iniziato ci sembrava naturale, perché non sapevamo che effetti avesse mangiarli crudi, e non siamo mai stati abbastanza curiosi da volerlo scoprire. Il picco massimo dell’interesse, guarda caso uguale a quello della disperazione, lo si era raggiunto proprio assaggiando la loro carne cotta.
    Ma in fondo, io ci sono praticamente cresciuto, in questo mondo, e so che i cazzoni verdi sono buoni. Solo se li cuciniamo, però. Il resto non importa.

    Vissia trascinava la carcassa di sangue e piombo in cui aveva trasformato il cazzone verde. Ci avremmo messo ore per togliere i proiettili, disossarlo, tagliare la carne e cucinarlo. Ma con un cazzone sfamavamo almeno venti bocche per una settimana; in questo caso trenta, o anche quaranta, visto che Roccia e la sua furia militare non avevano partecipato all’esecuzione.
    «Hai visto che ce la caviamo bene anche da soli?» mi disse qualche minuto dopo.
    «Tu te la cavi bene da sola in ogni occasione» la adulai. Stava parlando con me, meglio approfittarne.
    «Da soli senza il capo» precisò. Starnutì e la trovai bellissima.
    «Il capo non è poi così fondamentale.»
    «Ma è pur sempre il capo.» Si soffiò il naso su una manica del vestito, senza preoccuparsi di infrangere la sua femminilità.
    «Ho i miei dubbi, visto che nessuno, a parte lui, ha deciso di affidargli questa carica.»
    «È il capo anche per questo, non credi?»

    Il capo era stato il leader della nostra squadra di cacciatori, che lui aveva chiamato Umani con le palle, cosa che, tra l’altro, per certi versi poteva ben descrivere anche Vissia, ma in quel periodo si era dato alla politica. Aveva fondato un movimento che esaltava la supremazia umana nei confronti degli alieni invasori, e si proponeva di mettere fine allo stato miserabile in cui versavano i sopravvissuti. Cosa di per sé impossibile, visto che questo e solo questo è il luogo in cui viviamo, ma quando si è disperati si tende a credere un po’ a tutto.
    Anche adesso si sa molto poco sui marziani, ma quello che conosciamo è più che sufficiente: vogliono mangiarci. I cazzoni verdi non sono che soldati, inviati sulla Terra con lo scopo di catturarci e renderci saporiti per i loro imperatori stellari, che attendono nelle loro astronavi del cazzo sfregandosi le mani. Li avevamo visti, una volta, mentre riempivano le stive con prigionieri che non si reggevano neanche in piedi. Li avevamo visti anche banchettare, ma non è un’immagine che mi piace ricordare, vista la quantità esagerata di occasioni per morire che ho avuto. Preferisco rievocare Roccia che si lava le ascelle.
    È chiaro che noi dobbiamo rendere pan per focaccia. È per questo che mangiamo i cazzoni. Secondo il partito del capo, che ora si chiama Alieni, fuori dai coglioni! ed è diventato un punto di riferimento per la resistenza umana, psicologica e non solo, è vergognoso dire che lo facciamo solo perché stiamo morendo di fame.

    «Cazzo, se ho fame» esclamò Vissia. Si portò le mani alla bocca. «Vi capita mai di avere una fame terribile e di non riuscire a pensare ad altro?»
    Sì, a me capitava. Ma non era fame di carne. «Ehi» farfugliai, «non vorrai ancora...» Mi fermai quando capii che voleva, eccome. Vissia estrasse il pugnale e affettò un pezzo del cazzone che stava trascinando. Lo mandò giù intero, quasi senza masticare.
    «Buono.»
    «Con quello dobbiamo sfamare tutti.»
    «Cattureremo un altro cazzone.»
    «Ne vedi qualcuno in giro?»
    «Li vedo tutti i giorni, vuoi che oggi ci sia solo questo?» esplose allora Vissia, ingurgitando un ultimo pezzettino sanguinante.
    A volte mi faceva paura. E mi terrorizzava rendermi conto che, nel successivo sogno erotico che avrei fatto su di lei, Vissia potesse venirsene fuori con una frase del genere. Solo che nella sua bocca non ci sarebbe stata carne aliena.
    «Fai schifo, lo sai?» commentò Roccia, in un istante di tregua polmonare. Era apparso da dietro un piccolo cerchio di rocce, e per un attimo pensai che fosse ricaduto nel vizio della cacarella. Ma poi ricominciò a tossire e mi tranquillizzai.
    «È buona» mugugnò Vissia. Tirò su col naso e se lo pulì sulla solita manica. Era sexy anche col moccio sulle labbra e il sangue alieno sul mento, che le colava sulle braccia muscolose.
    La guardai spaesato. «Non credi che sia pericoloso?»
    «Mangiare non è pericoloso.»
    «Ma mangiare quella carne...» Dovetti interrompermi di colpo, neanche mi avessero dato una ginocchiata nelle palle. Uno strano olezzo iniziò a solleticarmi le narici e mi tolse il respiro, come se qualcuno mi avesse sigillato la bocca con uno straccio. Era un odore acre e penetrante, e sembrava avere artigli e scarponi con la punta di ferro. Mi tappai il naso, sconvolto, e squadrai Roccia. «Sicuro di essere guarito dal tuo mal di panc...» Non finii la frase. Roccia era scomparso. Nell’aria puzzolente risuonava l’eco di un rumore come di carta strappata.

    Immaginavo diverso il momento in cui io e Vissia saremmo stati finalmente soli. Non c’erano tutti quei vestiti di mezzo, nelle mie fantasie, Roccia non si sacrificava sparendo nel nulla pur di lasciarci un po’ di intimità, e di sicuro non sarei mai stato capace di concepire quella puzza tremenda.
    La sorpresa mi aveva preso a calci in culo e non riuscivo ancora a rendermi conto di cos’era successo. Sentii dietro di me Vissa respirare con affanno, suono al quale si aggiunse ancora una volta qualcosa di simile a uno strappo. Non feci in tempo a girarmi che i proiettili avevano già sistemato tutto, qualunque cosa fosse. Vissia, il cannone fumante tra le mani, era paonazza e aveva le guance gonfie, come se stesse nascondendo uno scoiattolo nella sua bocca, e ora si guardava intorno in maniera frenetica, allarmata.
    La chiamai, disorientato. «Cosa stai facend...»
    «Cazzo!» esplose lei, respirando avidamente. «Non ce la facevo più.»
    Una nuova zaffata di tanfo marcio mi investì, e mentre arrancavo in cerca di ossigeno, sentii lo stesso rumore di carta strappata di poco prima. Poi vidi l’aria, di fronte a me, aprirsi come le porte di un ascensore. Una macchia nera sporcava il cielo grigio di quel pomeriggio nuvoloso, come se si fosse trattato di un quadro paesaggistico rovinato da un vandalo. Da quella chiazza scura spuntarono due sottili braccia pelose ricoperte di piccole dita snodate. Si muovevano come farebbe un infante voglioso dell’abbraccio materno, o il sottoscritto ansioso di succhiare il latte di Vissia.
    Quasi non sentii i fischi delle pallottole vomitate dalla donna della mia vita che mi passavano accanto e colpivano quella macchia di catarro nero. Le braccia rientrarono frettolosamente nello spazio buio da cui erano sbucate, le porte scorrevoli si richiusero e il paesaggio ritornò spoglio come prima.
    Per la prima volta, vidi il terrore farsi largo nelle emozioni di Vissa, e i suoi occhi erano enormi e spaventati. «Cosa cazzo sono?» domandai, ma lei non mi rispose. Aveva ricominciato a trattenere il respiro.

    Non erano passati che alcuni secondi, quando sentii rimbombare un colpo di tosse. Era un suono vicino ma impalpabile, come se provenisse da una stanza fatta d’aria che aveva il niente per pareti, e come se il vuoto, attorno a me, contenesse qualcosa che non potevamo vedere né toccare.
    Un nuovo colpo di tosse invase la realtà; ne seguì un ringhio e un gemito strozzato, poi la testa di Roccia apparve dal nulla: galleggiava nell’aria e sembrava che il buco da cui era passata fosse troppo piccolo per liberare anche il resto del corpo.
    «Roccia!» gridai.
    «Lo so come mi chiamo» bofonchiò lui. «Lasciami, testa di cazzo!» tuonò poi, voltando il capo verso il niente che imprigionava le sue spalle. Sparì di nuovo e riemerse con una di quelle braccia rachitiche in bocca. La stava masticando con una certa soffisfazione e aveva il mento sporco di pelo e sangue pastoso. Guardò Vissia. «Non credere di essere l’unica capace di mangiare questi mostri crudi!» latrò, fiero di sé. A fatica, scivolò fuori da quello che sembrava uno sfintere secco e dolorante, cadde a terra e, non appena si alzò, mi diede un pugno sulla spalla. «Grazie per avermi tratto in salvo» disse.
    «Di niente.»
    Mandò giù il boccone e indicò Vissia. «Perché è rossa in faccia?»
    «Trattiene il respiro» lo informai.
    «Perché?»
    Credevo di aver capito il meccanismo. Tutto si era svolto a una velocità talmente elevata che mi sembrava giusto essere venuto a capo dell’equazione in così poco tempo. «Perché sennò...»
    «Merda!» sbottò lei, proprio in quel momento.
    «Be’» mi corressi allora, mentre vedevo Roccia impallidire a causa del fetore improvviso. «Tratteneva.»

    Trasformammo in marmellata otto creature sbucate dal vuoto, poi provai a ragionare con Roccia. Non era facile. La logica del mio amico tendeva a risolvere tutto con l’uso delle armi, o, se ciò non era possibile, almeno con l’uso dei pugni. Non c’erano mezze soluzioni, nei suoi ingranaggi mentali. Al massimo mezze testate.
    «Non può trattenere il respiro per sempre» disse lui.
    «Ma il suo alito attira quelle... cose» gli ripetei. «Sarà... che ne so, sarà qualche germe... o qualche elemento chimico... che invece crepa quando cuciniamo la carne... per quello a noi non è mai successo...»
    «Mi sembra complicato.»
    «Cosa cazzo posso saperne io della biologia aliena?» Lo sguardo intontito di Roccia mi fece incazzare ancora di più. «La carne cruda fa un qualche tipo di reazione con il nostro organismo e patatrack!, ecco quei cosi che spuntano dal nulla!»
    Era difficile credere che la carne cruda che Vissia aveva mangiato potesse causare una simile controindicazione, eppure stava succedendo. Non ci si mette poi molto ad accettare tali assurdità in una realtà dominata da soldati alieni a tre gambe e imperatori marziani cannibali.
    Roccia si grattò il mento. «Uh-uh.»
    «Hai capito sì o no?»
    «Sì. Lascia che attiri quelle merde, così le uccidiamo!»
    «Se almeno potesse respirare dal naso, e invece il raffreddor... Cos’hai detto?»
    «Non hai voglia di ammazzare tutti questi nuovi alieni?»
    «Non ho voglia che loro ammazzino me!»
    «Con me sarai al sicuro.»
    «Sei già stato catturato una volta, se non ricordi.»
    «Mi vedi forse morto?»
    «No, ma mi ci vedrei benissimo io.» Scossi la testa. «Cosa c’era là dentro?»
    «Cazzo ne so, era tutto buio. Ho intravisto una cosa lunga e nera, e poi ho sentito solo quelle braccia che mi trascinavano...» Sembrò meditare su quanto stava per dire. «... verso l’alto...»
    «Scusatemi» s’intromise Vissia, mostrando due occhi pieni di vergogna e imbarazzo. Il suo alito aveva assunto la forma di un fumo soffice e azzurognolo, ma diradarlo con le mani non servì chiaramente a niente.
    Alle sue spalle si aprì l’ennesimo varco, che io e Roccia chiudemmo con prontezza a suon di pallottole e parolacce. Un braccio alieno cadde all’infuori e rimase inerme sul terreno, immerso in una pozzanghera di peli e dita flaccide.
    «Vedi?» fece Roccia. «Non è difficile. Quei cosi finiranno, prima o poi.»

    Andammo avanti a sparare fino a notte inoltrata. Mi sembrava di essere finito in un vasetto di Nutella blu scuro, in cui era impossibile muoversi e non si vedeva niente. L’unica luce proveniva dai colpi sparati dai nostri cannoni, ma non ci era granché utile. Se a Roccia fosse rispuntato il mal di pancia, si sarebbe cacciato in grossi guai a voler illuminare la strada per il primo cespuglio disponibile.
    «Cazzo!» sbottò Vissia. «Ho finito le munizioni...»
    Il suo alito fu una freccia dritta in mezzo agli occhi, ma quando presi la mira per bucare quelle bestiacce che spuntavano dal nulla, mi accorsi che anch’io ero rimasto a secco. Urlai una bestemmia colossale, che non giunse alle porte del Paradiso solo perché il rumore degli spari di Roccia erano troppo forti.
    «Finiranno, eh?» rammentai al mio caro amichetto.
    «Non ho detto quando» precisò lui. «Ho detto prima o poi.»

    Intanto avevamo iniziato il viaggio di ritorno verso la città – in lontananza si scorgevano le luci di Cazzolandia, un insieme di tende e case diroccate e abitazioni improvvisate e almeno un centinaio di disgraziati pessimisti – ma la distanza da coprire era molto più lunga di quanto mi fosse sembrato all’andata. Frenesia e tensione ci accompagnavano durante la ritirata, ma perdevamo forze, proiettili e speranze ogni minuto di più.
    E come se non bastasse, Vissia minacciava di addormentarsi. Sapete, combattere tutti i giorni con i marziani ti incolla addosso una certa apatia che, soprattutto in Vissia, spunta nei momenti meno opportuni. Addormentarsi sparando, o, in generale, in situazioni di estremo pericolo, è quindi piuttosto normale, un po’ come lo è addormentarsi ascoltando i discorsi del capo. Siamo talmente abituati a rischiare la vita che, in fondo, non c’è niente se lo facciamo mentre dormiamo.
    Finché emetteva un respiro al minuto potevamo contenere l’invasione di braccia spaziali, ma se lei avesse chiuso gli occhi e il suo respiro si fosse fatto regolare, a noi sarebbero toccati gli straordinari. Perlomeno non incontrammo cazzoni troppo curisosi – erano abbastanza ciechi per non accorgersi di quello che gli succedeva intorno fino a quando qualcuno non gli sparava nella schiena. Evitammo giusto quello che ci sembrava il più minaccioso, un grosso cazzone alto almeno un paio di metri e con due spalle ossee che non avremmo sforacchiato neanche piangendo diamanti, girandogli alla larga e tenendo Roccia come fosse un bambino capriccioso in modo che non sprecasse gli ultimi proiettili o i denti che gli rimanevano.
    «Non ce la faccio» ammise Vissia. La percentuale puzzolente del suo alito era decisamente diminuita rispetto al pomeriggio, ma dubito comunque che, sottoscritto a parte, qualcuno avrebbe voluto darle un bacio. «Sono esausta.»
    «Io no!» esclamò Roccia, stampando sei colpi nella porta dimensionale e facendosi una doccia di sangue giallastro.
    «Lasciatemi dormire un po’» continuò Vissia.
    «Dormi pure tutta la notte» la incoraggiò Roccia, abbattendo altre quattro paia di braccia. «Potremmo chiamarli stronzoni, che ne dite?»
    «Sì, certo, stronzoni» lo appoggiai stancamente. Il capo avrebbe di certo apprezzato quel nome. Fu allora che capii che potevo fare una sola cosa. Mi voltai verso Vissia e, dispiaciuto, le sussurrai: «Perdonami.»
    «Eh?» reagì lei.
    «Per questo.» Mi feci forza e le strizzai una tetta. Fu meraviglioso.
    «Ehi!» sbottò. Quel gesto le cancellò ogni torpore e lo trasformò in indignazione nei miei confronti, costringendola a saltarmi addosso e a colpirmi fino a esaurire ogni forza. Purtroppo, non era stata una strategia valida per tenerla sveglia, per niente. Prima di arrivare a quell’esito avevo previsto di toccarla in molte altre parti del corpo, anche se al mio piano mancavano elementi essenziali come sangue freddo, velocità e un paio di vite di riserva per portarlo a compimento.

    Posseduto da un ritmo indiavolato, Roccia sparava e rimandava indietro tutti gli stronzoni che venivano calamitati dal fiato di Vissia. Era in forma come non lo era da mesi, i residui dell’influenza non erano che lontani ricordi e gli ultimi colpi di tosse li aveva esplosi assieme ai proiettili sparati. Credo si stesse divertendo molto. Almeno molto più di me. Reggere lo sguardo della mia donna preferita e affrontare il suo alito era doloroso quanto un morso al polpaccio, ma ero deciso a provare un’ultima, insperata risorsa.
    «Lo sai che non lo farò mai, vero?» eruttò lei.
    «È l’unica maniera per tornare indietro» mi giustificai.
    «Piuttosto smetto di respirare una buona volta per tutte!»
    «Non ne avresti il coraggio.»
    Rimase immobile a sfidarmi, il naso arricciato e una smorfia di disprezzo dipinta sulla labbra. Non credo stesse valutando se accettare o meno la mia proposta. Penso piuttosto che stesse vagliando la miglior tortura con cui strapparmi la lingua e poi strusciarsela sulle tette per aumentare la sofferenza.
    «Ragazzi» s’intromise all’improvviso Roccia. La sua voce si era fatta meno ardente del solito ma, soggiogato com’ero dall’isteria di Vissia, non potevo accorgermene.
    Lo ignorai. «Se continuiamo così non torneremo più a casa!»
    «E invece sì!» replicò Vissia. Ora era più sveglia che mai: la sola idea di fare quello che le proponevo le avrebbe tolto il sonno per tutta la vita.
    Roccia si schiarì la gola. «Ragazzi...»
    «Siamo condannati qui perché hai mangiato quella carne!» continuai.
    «Avevo fame!»
    «Ragazzi...»
    «E in più hai il naso tappato dal raffreddore!»
    «Vaffanculo!»
    «Ragazzi...»
    «<i>Che cazzo vuoi?<i>» esclamammo insieme io e Vissia.
    «Temo di aver finito le munizioni.»
    Il silenzio precipitò su di noi come quando Roccia si gettava nel laghetto per fare il bagno.
    «Ma non avevi detto di averne a sufficienza?» balbettai io.
    «Infatti ne avevo» disse lui, calmo. «Prima di consumarle» aggiunse poi.

    Si erano aperte dodici finestre nella strana dimensione da cui provenivano quelle creature, e altrettante paia di braccia pelose tastavano il buio alla ricerca di noi poveri disgraziati – abituare facilmente gli occhi al buio è una gran bella merda, credetemi. La notte ci era perlomeno d’aiuto, perché a quanto pareva gli stronzoni non ci vedevano, e farsi guidare dall’alito di Vissia non gli era sufficiente per prenderci. Ma senza proiettili non saremmo resistiti ancora a lungo.
    Per la prima volta ne vedemmo uno strisciare fuori dalla tana, versando una bava viscosa nella nostra realtà. Constatai che stronzone era davvero un nome perfetto. Somigliava a un verme marrone e rugoso, e il suo corpo era ricoperto dalle stesse dita tozze e snodate che avvolgevano le sue braccia. Si muoveva per mezzo di quelle ma, così, a una prima impressione, nonostante la velocità con cui si avvicinava, non dava l’idea di essere un gran combattente. O almeno così la pensava Roccia, che cercava di convincermi che sfidarlo a mani nude non avrebbe portato che a un solo vincitore.
    «Lo stronzone?» balbettai, mandando giù un enorme groppo di saliva.
    «No, coglione, io!»
    Ma mentre lo diceva, anche gli altri fratellini spaziali scesero dalle loro finestre dimensionali, e trovarsi di fronte a un piccolo esercito di quei cosi in marcia fu scioccante anche per il mio amico. Inoltre sembravano essere senza fine, lunghi chilometri, come se in realtà fossero corde che venivano srotolate piano piano per poi essere ritirate velocemente.
    «E ora?» gli chiesi.
    «E va bene, va bene» disse lui, «vincono loro.»
    Non ci rimanevano che pochi istanti per decidere cosa fare prima che Vissia necessitasse di un po’ d’ossigeno. Così, nonostante la sua riluttanza, la presi tra le braccia e ci mettemmo a correre tutti quanti. Le spiegai di nuovo la mia idea, e lei, prossima all’esplosione, fu costretta ad accettare. Mi sentivo eccitato e tremavo come se si trattasse della prima volta. Non che avessi una grande esperienza in materia, ma conoscevo le basi, ed ero ansioso di approfondirle.
    Feci un respiro profondo e sporsi le labbra, ma Vissia si divincolò all’ultimo secondo, si arrampicò sul corpo di Roccia e appiccicò la sua bocca a quella del mio amico.
    Lo sconforto mi assalì e mi spogliò di ogni illusione, ma ormai era troppo tardi per protestare. Vissia mi aveva fregato, e ora l’unica cosa da fare, come suggerivano gli stronzoni che ci inseguivano speranzosi, era correre a perdifiato verso la città.
    «Respirate l’uno con l’altro» spiegai loro, a malincuore. Per mettere in pratica il piano avevo confidato nelle mie narici, ma a pensarci bene, quelle di Roccia, che erano grandi il triplo delle mie, erano l’ideale per creare quell’apparato respiratorio improvvisato. Lui avrebbe inspirato l’aria buona dal naso ed espirato nella bocca di Vissia quella cattiva, e quando Vissia si sarebbe trovata al limite, avrebbe espulso la sua celestiale anidride carbonica nella gola di Roccia. A dire la verità, non credo proprio che si possa respirare in questa maniera, e più ripenso alla saliva che colava sui loro menti e ai conati che giurerei di aver visto, più sono convinto di questa supposizione. Non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo. Sembrava stessero soffocando entrambi, ma in qualche maniera riuscirono a non morire.

    Corremmo tanto e corremmo forte. Non saprei essere più preciso. D’altronde avevamo rischiato culo così tante volte che fuggire era diventata la nostra specialità.

    Secoli dopo, una volta a destinazione, infilammo nella bocca di Vissia qualsiasi cosa ci capitasse tra le mani. Forse avrei potuto approfittarmene e far felice il mio moscio fratellino laggiù in fondo, e in quel momento mi chiesi come mai non mi fosse venuta in mente una simile soluzione pur con tutto il pomeriggio a disposizione, ma io sono davvero innamorato, gente, e questo amore è vero come gli alieni che infestano il mondo, e certe cose i cavalieri non le fanno proprio.
    La obbligammo a masticare terra secca, fango, erba, foglie, corteccia, un pezzo di una giacca, la suola di una vecchia scarpa e infine la lasciammo in compagnia di un ritaglio di cartone bagnato, che ruminò per un bel po’ di tempo e poi mandò giù vittoriosa.
    Funzionò.
    Nel suo alito c’erano ancora residui delle reazioni chimiche provocate dalla carne di cazzone cruda, ma, mescolate con tutti quegli altri aromi, finirono per essere irriconoscibili alle narici degli stronzoni.
    Vedendo spuntare tante teste preoccupate da quelle che chiamavamo case, informammo tutti di cosa ci fosse successo e lasciammo che il capo, che si era elettrizzato all’idea di nuovi omini verdi da disintegrare, risolvesse la situazione.
    «Stronzoni» disse, prima di riunire i suoi adepti politici per discutere su importanti elementi strategici come chi avrebbe sparato per primo e chi avrebbe posato per la foto ricordo, «gran bel nome.»

    Quando il panico rientrò nei ranghi, mi dissero che Vissia si era nascosta – nascosta da me, aggiunsero – per ritrovare il suo equilibrio spirituale. Così mi avvicinai a Roccia, che era silenzioso e pallido e mi sembra lì lì per svenire. Avevo una teoria da condividere.
    «Ti sei mai chiesto perché i cazzoni sono così lenti?» gli chiesi.
    «Perché noi spariamo troppo veloce?»
    Era incorreggibile. «Perché gli imperatori stellari sono furbi.»
    «Sì?»
    «Credo che non mandino in giro i cazzoni per catturarci. Vogliono che li catturiamo noi.»
    «Oh.»
    «E allora noi ce li mangiamo e quegli stronzoni vengono attirati dal nostro fiato, così ci imprigionano, perché chi diavolo vuoi che pensi a questa eventualità? Chissà poi cosa vorrebbero farci. Forse quelle finestre sono tunnel dimensionali che portano fino alle astronavi madri.»
    «Può essere.»
    «È un peccato che non conoscano le diavolerie moderne della cucina.»
    «Uh-uh.»
    «Avrebbero dovuto distruggere i fornelli e le pentole, quella volta, non i palazzi e le strad... Ehi, mi stai ascoltando?»
    Lui annuì, ma immagino l’abbia fatto perché mi vuole bene.
    Decisi di cambiare discorso. «Mi chiedevo dove ti fosse andata la tosse.»
    «Boh. Sarà guarita.»
    «Così, all’improvviso?»
    «Si vede di sì.»
    «Dopo che hai mangiato carne di stronzone?»
    Mi guardò sorpreso. Non ci aveva pensato. Roccia non pensava mai. I suoi pensieri erano proiettili e i suoi ideali fucili. «Dici che quella carne...»
    «Chi lo sa. Non so se valga la pena scoprirlo e...»
    Roccia si portò una mano alla pancia e iniziò a massaggiarsi. «Scusami» disse, «devo averne mangiata troppa.» Poi si alzò di colpo e lo vidi sparire tra i cespugli.
    No, dedussi, non ne valeva la pena.
     
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  2. Alessanto
     
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    Letto.

    SPOILER (click to view)
    Molto carino.
    Mi sono proprio divertito. Il genere è il tuo, ti conosco dalla RR dell'anno scorso; pensoa ancora al B.I.M.B.O. e rido, per cui niente da dire.
    lo stile è calzante per la storia e il racconto, nonostante la prima persona che reputo limitante, fluisce molto bene.
    Unico appunto la storia della respirazione fatto su di lei in emergenza non mi è sembrato credibile anche alla luce della tipologia di racconto, che comunque, per quanto concerne la "fisicità" del protagonisti è con i piedi bel piantati per terra.
    In ogni caso anche in presenza di questo appunto non posso che...

    darti 4.
     
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  3. silente2.0
     
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    Ti ringrazio, Alessanto, mi fa piacere il voto positivo perché è un racconto a cui mi sento molto legato, soprattutto ai personaggi. :)

    Giusto due cosettine.

    La prima, sulla respirazione di lei, è una cosa volutamente assurda, ma non voglio darla per credibile (be', in realtà, nella prima stesura lo era, poi mi sono reso conto che era una gran cazzata :P): infatti solo l'io narratore è convinto che sia una strategia valida, ed è solo quando Roccia e Vissia la applicano che si rende conto che forse il suo ragionamento non stava in piedi. ^_^

    La seconda, è che il B.I.M.B.O. apparteneva al racconto di Bravecharlie, ma non posso che essere felice di essere stato scambiato per lui. :-D
     
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  4. Alessanto
     
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    CITAZIONE (silente2.0 @ 4/1/2010, 13:39)
    La seconda, è che il B.I.M.B.O. apparteneva al racconto di Bravecharlie, ma non posso che essere felice di essere stato scambiato per lui. :-D

    :rolleyes: :o: :lol:
     
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  5. Piscu
     
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    bello, bello. la storia è buona e il ritmo ottimo. ci si immerge lentamente nella vicenda e (quasi) tutto risulta credibile.

    "quasi", perché la tecnica di respirazione mi sembra francamente impossibile da realizzare, per di più se nel frattempo devono correre e sparare. ho capito che anche tu non la tratti come una strategia plausibile, ma fa perdere un briciolo di credibilità a un racconto che nonostante gli alieni cazzoni è perfettamente coerente.

    in alcune parti la trama non è del tutto chiara. ad esempio finché non viene speigato non avevo capito che fosse l'alito di lei ad attirare le altre creature (e poi, anche in questo caso, perché non succede subito?), e in effetti non avevo nemmeno capito che stavano emergendo dei mostri differenti da dei "portali" finché non viene ripetuto.


    segnalo:

    "rotolare dietro il marziano"
    qui usi per la prima volta la parola "marziano", dando ad intendere che i cazzoni sono alieni. finora non c'erano elementi per dedurlo, e la spiegazione completa viene dopo. io la cambierei.

    "commentò Roccia, in un istante di tregua polmonare. Era apparso da dietro un piccolo cerchio di rocce"
    ripetizione



    nel complesso è un ottimo racconto. per gli appunti che ho fatto però non me la sento di arrivare a 4. metto un tre che comunque è straripante.
     
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  6. Alessanto
     
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    CITAZIONE (Piscu @ 4/1/2010, 15:38)
    in alcune parti la trama non è del tutto chiara. ad esempio finché non viene speigato non avevo capito che fosse l'alito di lei ad attirare le altre creature (e poi, anche in questo caso, perché non succede subito?), e in effetti non avevo nemmeno capito che stavano emergendo dei mostri differenti da dei "portali" finché non viene ripetuto.

    Questi due aspetti li avevi notati anch'io solo che gli appunti non li avevo a portata di mano e me ne sono dimenticato.
     
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  7. Fini Tocchi Alati
     
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    Fantastico! Ho riso e strariso!

    SPOILER (click to view)
    Stesse perplessità avanzate dagli altri ma più immagino la scena di loro due che corrono e sparano mentre tentano di fare questa sorta di respirazione bocca-a-bocca circolatoria, più mi viene da ridere...

    Ho trovato qualche refuso qua e là, ma ero troppo preso dal racconto per mettermi ad appuntarli.


    Il mio voto non può essere che 4.

    Ah, ora che ci penso: il titolo proprio non mi piace!
    Me ne ero completamente dimenticato!
     
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  8. silente2.0
     
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    Grazie a tutti dei commenti precisi e delle segnalazioni. :)

    Sicuramente i momenti evidenziati da Piscu meritano attenzione, più che altro perché ho rimaneggiato e cambiato molte volte il racconto, prima di arrivare a una versione finale, e alcune cose devo averle date troppo per scontato.

    Sulla questione della respirazione, io non riesco a non vederla nella versione più comica possibile, come dice FTA, ma se tutti storcete un pochino il naso significa che bisogna sistemarla. Lo farò. :)

    Ah, il titolo non piace neanche a me, ma io non sono in grado di dare titoli decenti a quello che scrivo, avrei sempre bisogno di un suggeritore. ^_^
     
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  9. VdB
     
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    CITAZIONE
    Ah, il titolo non piace neanche a me,

    be' a me piace un casino dare titoli, scriverei racconti solo per il pretesto di poter trovare un titolo ganzo!
    SPOILER (click to view)
    per te proporrei questo campionario:
    stile visitors: Aliti alieni
    Beat generation: Il pasto crudo
    Bucolico: Digestioni & Suggestioni
    Cuore infranto: Bocconi amari
    Un po' Armony: Crudele destino
    se non più Elisir: Intestino crudele
    chiudo con uno di stampo natalizio: La mangiatoia
    :asd:
    Ciao, e scusa le fesserie, ma stamattina mi son svegliato così... :azz:
     
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  10. Black _ Dahlia
     
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    Ciao Silente!
    SPOILER (click to view)
    Bel lavoro, complimenti! ;)
    Le caratteristiche principali di questo racconto sono la sua brillantezza, la capacità di accompagnare il lettore fino alla fine senza lasciarlo da solo neanche per un attimo e, certamente, l'originalità.
    Mi piace proprio come scrivi, lo fai con una grande naturalezza, eppure qualche particolare della storia non mi ha convinto del tutto.
    Oltre al problema della respirazione, che già altri hanno sottolineato (ma che infin dei conti, essendo un racconto fantastassurdo ci potrebbe persino stare), c'è anche il fatto che la storia perde di chiarezza dal momento in cui Vissia inizia a trangugiare i Cazzoni ( :asd: ): il susseguirsi degli eventi è confuso, pur mantenendo la frizzantezza della storia.
    Detto questo... Cazzo(ni)! Quanto mi servirebbe un mezzo punto... :rolleyes:
    Ti do tre... ma ti assicuro che sarebbe un tre e mezzo! :P
     
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  11. Piscu
     
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    CITAZIONE (VdB @ 5/1/2010, 09:14)
    SPOILER (click to view)
    Beat generation: Il pasto crudo

    questo è eccezionale!
     
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  12. silente2.0
     
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    Ellapeppa, grazie VdB per i suggerimenti! Il pasto crudo e Bocconi amari spaccano alla grande! E anche tutti gli altri sono fichissimitici! Scegliere non sarà facile. :D

    Tencs Dahlia per il tre e mezzo, le belle parole e le precisazioni. :)
     
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  13. ferru
     
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    :D

    SPOILER (click to view)
    Be' "molto buono" anche se è "crudo" se dovesse essere un piatto sarebbe un carpaccio. Sigh!
    A parte le battute:
    Il racconto mi è piaciuto, è scivolato dall'inizio alla fine senza inconvenienti. Azione su azione, mai una caduta di ritmo. Personaggi particolari. Nomi azzeccati. Il linguaggio usato è perfetto per le situazioni e il clima surreale, a mio parere, consente tutte le esagerazioni possibili. Potrebbe ispirare un videogioco.
    La sola cosa che non ho capito è perché usi il termine "marziani" invece di Alieni. Mi è sfuggito qualcosa?

    Non sarebbe proprio 4, perché, pur essendo un racconto da fuoriclasse, non ho trovato un guizzo da fenomeno (parere mio.)
    Comunque è un tre grosso come un seno trattenuto a stento in un maglietta aderente
    e sul sondaggio ti trovi...

    4

    Ferruccio
     
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  14. silente2.0
     
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    Grassie. :)

    Uso "marziani" perché lo trovo un termine buffo, e mi sembrava più adatto al contesto rispetto ad "alieni". ^_^
     
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  15. RobertoBommarito
     
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    Divertente, veloce, incolla il lettore alla pagina. Le idee di certo non ti mancano. E' uno stile spontaneo il tuo, e questo è un pregio. Però, secondo me, con un pochino di più attenzione alla forma (per es alcune frasi le ho trovate eccessivamente lunghe) il racconto, già bello, migliorerebbe ancora. Voto un tre pieno.
     
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26 replies since 1/1/2010, 18:21   1252 views
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