Clockwork
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Clockwork

Ida Sanfilippo, 39914 battute, noir-surreale

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  1. Black _ Dahlia
     
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    Questo racconto, originariamente, non era stato pensato per diventare così "oscuro". Ha semplicemente preso forma sotto ai miei occhi, senza che io potessi fare niente per impedirlo.
    Enjoy! ;)
    P.S.: Il titolo potrebbe (e ripeto, POTREBBE) essere provvisorio...


    Clockwork



    "Stanno stretti sotto i letti sette spettri a denti stretti."
    Stephen King, It



    SABATO




    “Levati dai coglioni, finocchio scaduto!”
    Riccardo Sapienza era solito usare certi affettuosi appellativi per identificare i suoi amati compagni di classe.
    E adesso che mancavano soltanto un paio di settimane alla fine della scuola, inanellava una performance dietro l’altra per sfoggiare il suo colorito repertorio davanti a un gregge di ragazzine inebetite.
    “Scusami Riccardo, non ti avevo visto.”
    Samuele, a detta di tutti il più intelligente e sfigato della classe, si voltò di scatto, pronto ad affrontare l’ira funesta del peloso compagno.
    “Se ti becco di nuovo davanti alla porta del cesso quando ci devo entrare io, faccio fare un volo nella tazza alla Talpa!” lo schernì Riccardo con un bel vocione da cavernicolo, lanciando continue occhiate ai passanti per essere sicuro di averne catturato totalmente l’attenzione.
    Il ragazzo si stava riferendo a Enrico, il migliore amico di Samuele, che per la sua esile corporatura, i grandi occhiali e l’omonimia col personaggio del fumetto di Lupo Alberto era stato soprannominato La Talpa.
    “Sì, ce l’hai già preannunciato perlomeno un paio d’infinità di volte”, commentò Samuele, scambiandosi un’occhiata con un Enrico un po’ preoccupato.
    “Sam, forse è meglio se torniamo in classe”, suggerì Enrico La Talpa, tormentendosi le mani.
    Il poveretto l’estate precedente aveva avuto una brutta disavventura con il branco di Riccardo.
    L’avevano aspettato sotto casa in cinque, pronti a riscuotere la tassa sulle merendine, quelle del distributore del bar dall’altro lato della strada, che il compagno non aveva pagato il pomeriggio precedente.
    Il reato era quello di "libero e spensierato utilizzo di apparecchio destinato alla pubblica utenza".
    Il problema è che loro grazie a quell’apparecchio pubblico mangiavano gratis i gelati del bar.
    Come? Semplice: estorcevano agli ingenui coetanei un euro per ogni bibita e due per ogni snack che gli vedevano prendere. Altrimenti li pestavano lì davanti a tutti. Tanto nessuno aveva mai protestato.
    Enrico, quel famoso pomeriggio, era riuscito a divincolarsi dall’abbraccio dei bulletti e se l’era data a gambe giù per la strada, seminandoli.
    Ma Riccardo non è tipo che perdona.
    Così il giorno dopo erano lì ad aspettarlo, proprio sotto casa. E quel pomeriggio non sgarrarono.
    Enrico stiede in ospedale per più di due settimane, con tante ossa rotte che si fa prima a dire quante gliene erano rimaste sane.
    Da quel giorno aveva iniziato a guardare Riccardo e i suoi scagnozzi con occhi diversi.
    “Brutto idiota, lasciali stare!”
    Un’alterata voce femminile interrupe il silenzio di ghiaccio che era calato sul gruppo.
    Una ragazzina che non dimostrava più di dodici anni, quando in realtà ne aveva già quindici, si stava avvicinando con intenzione, macinando il corridoio a passi veloci e marcati, i pugni stretti.
    “Altrimenti che mi fai, Lenticchia? Mi prendi a botte?”
    Riccardo riscosse risate dalla maggior parte dei ragazzi che stavano assistendo alla scena.
    “Sì Riccardo, potrebbe anche succedere”, confermò la ragazzina a testa alta, dimostrando più coraggio di quanto veramente ne avesse addosso.
    Riccardo lanciò uno sguardo ai suoi scagnozzi.
    “Andiamo ragazzi, non provo nessun piacere a vedere la gente umiliarsi da sola”, disse con tono annoiato, aprendosi un varco tra la folla e premurandosi di assestare un bello spintone a Samuele, che di riflesso rimbalzò contro il muro.
    Mentre la folla si diradava, Samuele, Enrico e la ragazzina rimasero a osservare la scena del bulletto che si allontanava tutto tronfio guadagnandosi il primo posto davanti al distributore automatico in fondo al corridoio.
    “Che faccia tosta!”
    La ragazzina sembrava proprio furente, con le sue mascelle sarrate e il viso bordeaux.
    “Ma tu come fai a conoscerlo?” chiese Samuele, incuriosito da quella imprevista intromissione.
    “Uno scherzo di cattivo gusto...”
    “A proposito, io mi chiamo Laura.”
    Così dicendo, tese timidamente una mano.
    “Samuele.”
    “Piacere, Enrico.”
    Dopo qualche momento di silenzio assoluto tra i tre, Laura tornò ad aprire bocca, pronunciando le parole che da quel momento avrebbero legato indissolubilmente le loro vite.
    “Dobbiamo fargliela pagare.”
    Non aggiunse altro. Continuò a osservare distrattamente i ragazzi che le passavano accanto nel corridoio, superandola.
    Del resto quei due non avevano bisogno di molte altre parole per capire a cosa si stesse riferendo.
    “Cos’hai in mente?”
    “Be’, qualcosa troveremo. Ma dovrà soffrire. Oh, se dovrà soffrire!”
    Un sorrisetto malefico si dipinse sulle sue labbra e gli occhi presero a brillarle come di luce propria mentre osservava Riccardo rientrare in classe sghignazzando coi suoi amici dopo avere gettato a terra una lattina di coca-cola vuota.
    Era evidente che meditava da tempo la vendetta, aveva soltanto bisogno di qualche complice che l’aiutasse ad attuarla.
    “Non c’è che dire, se sei così arrabbiata deve averti tirato davvero un brutto scherzo!” concluse Enrico, sistemandosi gli occhiali sul naso mentre anche lui osservava le fattezze del bulletto.
    “Magari qualche volta ve lo racconto”, rispose lei, evasiva. “Oggi è sabato. Che ne dite di vederci da qualche parte di pomeriggio per mettere a punto il nostro piano?”
    Samuele ed Enrico si lanciarono uno sguardo smarrito.
    “Laura, noi in realtà non pensiamo che sia una buona idea. In fin dei conti tu stai in un'altra classe e il tuo problema non è poi così grave... ma noi...”
    Samuele voleva evitare di sembrare scortese, eppure non poteva non pensare a un bel primo piano delle nocche di Riccardo che si schiantavano sul suo naso, riducendolo così a un pasticcio mal assortito di, nell’ordine, sangue, carne e cartilagine.
    Tanto sangue...
    “Mi dispiace...”
    Cercò invano di giustificarsi, ma la ragazzina sembrò giudicare del tutto trascurabile quella dichiarazione così sofferta.
    “Ci vediamo davanti al cinema Imperior alle quattro. Non fate troppo tardi.”
    Detto questo si allontanò, così com’era venuta.
    Se non fossero stati proprio sicuri che le persone che in quel momento percorrevano in lungo e in largo il corridoio esistessero veramente al di fuori delle loro due teste, avrebbero potuto immaginare di avere solo fatto uno strano, sgradevole sogno.
    “A quanto pare non ci ha dato altra scelta”, concluse Samuele, con una espressione indecifrabile sul volto.
    “Ma che scelta e scelta?! Certo che ce l’abbiamo un’altra scelta! Abbiamo la scelta di restarcene a casa al sicuro per il resto della settimana!” tagliò corto l’amico, mentre si incamminava in direzione della classe lasciando Samuele solo, in mezzo al corridoio.
    In quel mentre prese a suonare la campanella che stabiliva la fine della ricreazione.
    Una mandria di ragazzini ruminanti ritornava mestamente alle classi, divisa tra chi a breve sarebbe stato macellato dal professore di turno e chi, invece, avrebbe continuato a masticare spensieratamente la propria gomma.
    Nessuno di loro avrebbe mai potuto anche solo vagamente immaginare che razza di congetture stessero filtrando attraversi i neuroni di Samuele.
    Da parte sua, il ragazzo si decise a lasciarsi trascinare mollemente dal flusso di persone fino alla sua classe.
    Fece appena in tempo a sedersi al proprio posto, che il professore di matematica era già alla lavagna a disegnare.

    Aveva continuato a pensare a quello che era successo durante la ricreazione per tutto il resto della lezione, mentre Riccardo scimmiottava l’insegnante gesticolando vistosamente nei momenti in cui il povero malcapitato dava le spalle alla classe.
    Non riusciva a credere che quel poco di buono se la fosse presa anche con una femmina.
    Se il loro piano non fosse risultato più che convincente, quello spaccone si sarebbe vendicato con una violenza ancora maggiore di quella che era solito usare.
    Samuele sbuffò rumorosamente, infastidendo la sua compagna di banco-secchiona Sonia, che si voltò bruscamente per lanciargli uno sguardo ostile: come si era permesso di interrompere il flusso continuo che la univa al professore mentre spiegava?
    Samuele ricambiò le ostilità: ormai ci era abituato. Praticamente non si parlavano neanche e c’era una sorta di barricata, fatta da portacolori e libri, a dividere le rispettive metà di banco.
    A un tratto sentì un piccolo oggetto rimbalzargli sulla spalla.
    Immaginando che si potesse trattare di un bigliettino, diede automaticamente un’occhiata sotto il banco.
    Ci mise qualche secondo, ma alla fine riuscì a individuare il bersaglio tra i piedi della compagna.
    Cercando le parole giuste per spiegarle il motivo per il quale da lì a qualche secondo si sarebbe chinato a cercare qualcosa tra le sue brutte calzature marroni, non potè fare a meno di notare un movimento alle proprie spalle.
    Si voltò lentamente, per non dare nell’occhio, e incontrò lo sguardo di Enrico.
    Sembrava molto agitato: iniziò a fargli segno in modo incomprensibile.
    “Cosa? Non capisco...”
    Samuele cercava di leggere il labiale con la coda dell’occhio, girato in modo da tenere i tre quarti della propria figura rivolti alla cattedra.
    A un tratto l’amico gli fece segno con la mano di attendere e prese a scrivere su di un piccolo pezzo di carta stracciato dall’ultima pagina del quaderno di matematica.
    Dopo pochi secondi, Samuele teneva stretta in mano la copia perfetta del biglietto andato perduto.
    La spiegò velocemente, prestando attenzione a non farsi notare né dalla compagna, né tantomeno dal professore.
    La brutta grafia dell’amico apparve ai suoi occhi in un intricato garbuglio di parole.

    Non ho alcuna intenzione di assecondare le tendenze suicide di quella folle, quindi non metterti in testa strane idee riguardo a oggi pomeriggio!

    Samuele riuscì a stento a trattenere una risata. Prese in mano la penna rosicchiata che giaceva inerte in mezzo al libro di matematica, girò dall’altro lato il bigliettino e prese a scrivere.

    Ma per chi mi hai preso?! Ovvio che non possiamo fare niente di avventato... niente che si possa organizzare in un pomeriggio. Non posso spiegartelo così. Dobbiamo parlare all’uscita.

    E con queste frasi ermetiche riuscì a placare, almeno per il momento, l’impeto dell’amico.

    Il resto del tempo che li separava dal trillo cristallino della campanella sembrò dilatarsi come d’incanto. I due ragazzi davano occhiate impazienti all’orologio a muro a intervalli regolari, facendo poi un confronto veloce con l’orologio da polso, per sicurezza.
    Dopo un’attesa esasperante, il suono della salvezza, uno degli ultimi per quell’anno che ormai stava giungendo al termine, echeggiò nei lunghi corridoi, gettando lo scompiglio dentro le classi in un lampo.
    Samuele si gettò malamente sulle spalle lo zaino stracarico e si voltò verso Enrico, con impazienza, mentre i suoi compagni di classe lo superavano in direzione del corridoio.
    Un attimo dopo lasciavano insieme la classe.
    Uscirono in silenzio dal grande edificio color grigio topo e si misero in marcia, con la lena propria dei cadetti reduci da una faticata sotto il solleone.
    Percorsero una decina di metri in silenzio, asciugandosi di tanto in tanto la fronte imperlata di sudore. Giunti all’altezza della fermata dell’autobus, poggiarono gli zaini pesanti sulla brutta panchina di metallo, piena di scritte e di scarabocchi fatti col pennarello indelebile, sulla quale aspettavano ogni giorno l’arrivo del bus e si sedettero.
    Il primo a rompere lo spesso silenzio che li divideva fu proprio Samuele.
    “Mi è venuta un’idea. Prima, mentre eravamo in classe. Penso che sia una cosa abbastanza fattibile.”
    Enrico, che si era seduto accanto al proprio zaino blu, si limitò a fissare la lenta operosità di un gruppetto di formiche che stava cercando a fatica di trasportare uno scarafaggio morto lungo il marciapiedi.
    “Non sarà difficile. Basta avere un po’ di coordinazione e di prontezza di spirito.”
    Lasciò passare qualche secondo, in modo che Enrico avesse il tempo di assimilare le parole che gli aveva appena detto e riordinarle a modo suo, cercando di ricavarne qualche conforto.
    “Oggi pomeriggio dobbiamo vedere Laura... questa cosa la dobbiamo organizzare insieme.”
    Enrico non rispose.

    Alle quattro in punto i due ragazzi si trovavano davanti all’entrata dal cinema.
    Di Laura ancora non c’era traccia.
    “Io lo sapevo che non dovevamo venirci!” disse Enrico, assestando un calcio al cartonato a grandezza naturale di Superman.
    “Secondo me è solo un po’ in ritardo... in fin dei conti le quattro sono passate solo da qualche minuto.”
    Per tutta risposta Enrico si sistemò gli occhiali sul naso e sbuffò spazientito.
    “Mi scolerei una bottiglia intera di tè alla pesca ghiacciato!”
    Passò qualche altro minuto, dopodichè dall’angolo in fondo alla strada videro spuntare la ragazzina.
    Indossava un’ampia gonna a fiori che le si scomponeva a ogni passo, dandole un’aria un po’ buffa.
    “Eccola!” disse Samuele con entusiasmo, richiamando l’attenzione di un Enrico tutto intento a esaminare la programmazione del cinema da un cartoncino incollato alla vetrata della porta d’ingresso.
    Giunta ormai a pochi passi, le sue labbra si distesero in un sorriso stiracchiato che voleva essere un segno amichevole.
    “Scusate il ritardo, ma ho avuto una piccola discussione con i miei...” si giustificò frettolosamente, guardandoli con una espressione imbarazzata.
    “Non preoccuparti, non aspettiamo da molto”, la rincuorò Samuele, beccandosi un’occhiataccia da parte di Enrico.
    “Allora, dove possiamo andare per discutere?” continuò il ragazzino, con l’espressione di chi non vuole perdersi in chiacchiere inutili.
    “C’è un parcheggio proprio a pochi passi, dietro al cinema. Possiamo metterci lì”, concluse Laura, con un’espressione seria sulla faccia lentigginosa.
    Percorsero il marciapiedi lungo il cinema in silenzio, osservando di tanto in tanto gruppetti di persone dirigersi verso il grande edificio, pronti ad assistere alle prove di coraggio che Superman avrebbe dato sul maxischermo da lì a poco.
    Entrarono nell’enorme parcheggio, inoltrandosi tra interminabili file di macchine vecchie e nuove che componevano un labirinto di lamiere roventi sotto il sole pomeridiano.
    Si fermarono a pochi passi da una oscena Cinquecento rosa shocking, posteggiata a ridosso del muro posteriore del parcheggio, a due passi dal baracchino del guardiano.
    “Allora, avete già pensato a qualcosa?” chiese Laura, con l’atteggiamento di un redattore editoriale che cerca di spremere delle idee sensate dal suo gruppo di stagisti.
    “A dire il vero a me è venuta una specie di idea”, proclamò Samuele e nel momento stesso in cui lo fece sentì di non essere più sicuro di avere veramente qualcosa da dire.
    “Bene, sentiamo.”
    Laura si appoggiò alla Cinquecento, facendo ben attenzione a non spiegazzare la gonna.
    “Insomma... non è che abbia una idea precisa...”
    Samuele trattenne il fiato per un paio di secondi, sperando che l’amico gli venisse incontro.
    “Si tratterebbe di uno scherzo.”
    Enrico riuscì finalmente a parlare.
    “Ecco... potremmo tirargli un brutto scherzo... uno scherzo magari un po’ crudele, ma efficace!”
    La ragazzina lo squadrava con aria interessata.
    “Spiegati meglio.”
    A questo punto Samuele riprese in mano il testimone.
    “Allora, devi sapere che mio padre di mestiere fa il poliziotto e nei giorni in cui non lavora tiene la pistola in una piccola cassaforte in camera da letto...”
    Laura sgranò gli occhi, esterrefatta.
    “Ma vi ha dato di volta il cervello? Come vi salta in mente di usare una pistola?!”
    “Ma solo per scherzo! La pistola non sarà neanche carica quando la useremo!”
    Samuele vedeva allontanarsi sempre di più il coivolgimento della ragazzina, come un cacciatore che vede la sua preda scappare dopo avere sbagliato il primo tiro.
    “Pensavamo di farlo domani, che è domenica e mio padre è a casa.”
    “E come vorreste utilizzare questa pistola scarica? Sentiamo.”
    “Senti qua, Riccardo e i suoi amichetti ogni domenica pomeriggio, quando iniziano le belle giornate, vanno al fiume. Lo so perché li ho sentiti una volta che ne parlavano”, specificò per chiarire ogni possibile dubbio. “Noi potremmo pedinarli e una volta raggiunto un punto favorevole potremmo tendergli un agguato. Quando usciremo allo scoperto con tanto di pistola in mano, non potranno fare altro che darci retta e potremmo divertirci a minacciarli di morte se non la smetteranno di perseguitarci!”
    Lo scetticismo di Laura sembrava aumentare in modo direttamente proporzionale allo scorrere del tempo.
    “Ci sono parecchie cose che non vanno in questo piano... prima di tutto, chi te lo dice che una volta tornati a scuola il giorno dopo, pazzi come sono, non ci ammazzeranno di botte comunque?”
    Samuele restò interdetto per un attimo.
    “Non lo faranno e basta, ne sono sicuro.”
    Enrico venne colto da un improvviso attacco di tosse.
    “E poi, scusa, ma come hai intenzione di prendere la pistola se tuo padre la tiene in cassaforte?”
    Almeno a questa domanda Samuele poteva dare una risposta certa.
    “Io ho solo detto che la tiene in cassaforte, non che la chiude.”

    Per quella sera era già stato tutto programmato.
    Il mattino dopo Samuele ed Enrico si sarebbero recati a casa della ragazzina per chiarire gli ultimi dettagli e programmare il luogo dell’appuntamento per il pomeriggio.
    Fortunatamente i genitori di Samule erano stati invitati a trascorrere una giornata in campagna da una coppia di amici e sarebbero rimasti fuori tutta la domenica. Samuele si era dissociato dicendo che avrebbe preso parte a una iniziativa della scuola, trascorrendo la giornata a ripulire la spiaggia.
    Così avrebbero avuto tutto il tempo di prendere la pistola e recarsi, in tutta calma, all’appuntamento.


    DOMENICA




    L’indomani mattina salutò i suoi genitori, per poi vederli salire in macchina stracarichi di pacchi e, naturalmente, in ritardo di parecchi minuti.
    Si rifugiò in cucina e iniziò a prepararsi la colazione della vittoria.
    Terminata l’ultima fetta di pancarrè, burro e marmellata si infilò una maglietta pulita e un paio di pantaloni, che puliti forse lo erano stati un tempo, e si catapultò in strada con lo zainetto sulle spalle.
    La giornata prometteva fuoco e fiamme.
    Era da parecchi anni che non c’era un caldo del genere ai primi di giugno in quella regione.
    Il giorno dopo sarebbe incominciata l’ultima settimana di lezioni a scuola, ma Samuele si sentiva già in vacanza da un pezzo.
    Precisamente da quando si era accorto, un bel pomeriggio, di quanto fosse fastidiosa la sensazione della maglietta appiccicata alla schiena quando si staccava dallo schienale della sua sedia rivestita in ecopelle blu.
    Nell’aria c’era profumo di fiori selvatici ed erba appena tagliata, proveniente dai giardini delle case del quartiere.
    Le cicale frinivano ininterrottamente, quasi a voler sottolineare quanto fosse pesante quell’aria calda.
    Samuele iniziò a sudare quasi subito e si pentì di non avere scelto una maglietta degna dei suoi jeans, invece di una fresca di bucato.
    Una macchina sfrecciò a pochi centimetri dal suo braccio destro.
    “Ehi! Sta’ più attento, brutto idiota!” gli urlò dietro Samuele, scansatosi giusto in tempo per non essere colpito.
    La gente con il caldo fa proprio delle cose strane...
    Giusto il tempo di ripassare un paio di volte, con espressione trasecolata, la dinamica della scena cui aveva appena assistito e si ritrovò davanti al cancelletto della casa di Enrico.
    Sgattaiolò senza fiatare nel giardino, raccolse da terra qualcosa e si posizionò sotto la finestra della camera da letto del compagno.
    Tirò una prima e una seconda pietruzza contro il vetro, tanto per essere sicuro di farsi sentire.
    Dopo pochi minuti un Enrico contrariato si affacciò dalla finestra di camera sua, al primo piano.
    "Finiscila! Sto arrivando", disse velocemente.
    Qualche secondo dopo, Samuele sentì delle voci concitate provenire dall'interno della casa. Enrico uscì dalla porta, trafelato, e raggiunse l'amico con una certa fretta.
    Samuele, vedendoselo comparire così dinnanzi, gli rivolse uno sguardo meravigliato.
    "Ma quella non era tua madre?"
    “Oh, sì", fece lui con nonchalance, mentre già si incamminavano.
    "E perché era così agitata?" lo incalzò Samuele, con espressione divertita.
    "Mah, niente d'importante... mi sono scordato di dare da mangiare al pesce rosso mentre i miei erano in vacanza e ho lasciato che mia sorella andasse al concerto di Madonna senza il loro permesso.”
    “Elementare, Watson.” si limitò a commentare l’amico, sciogliendosi in un sorriso.


    ***




    “Poi cosa successe?”
    La luce del giorno, fuori dalla finestra, sembrava incantata.
    Aveva un che di 'dipinto'.
    Mi sembrava una giornata meravigliosa. Un miracolo.
    Era come se fossi tornato indietro nel tempo.
    Come se fossi tornato a una di quelle giornate di me bambino.
    Quando ancora non potevo sapere quanto fossero preziose con il loro scorrere lento e sonnacchioso.
    Eppure allora non vi davo molta importanza.
    Certo, c’erano momenti in cui riuscivo a intuirne la sacralità, ma era solo un attimo prima di lasciarmi distrarre nuovamente da un’altra idea entusiasmante, con la mia spontaneità cristallina e priva di macchie.
    Spontaneità, ecco il termine giusto.
    Quando fai le cose senza fartene una ragione, ecco quand’è che si è bambini.
    Quando non hai ancora alcun peso sul cuore a roderti dentro.
    Il mio terapeuta mi scrutava con occhi preoccupati, cercando di intuire i miei pensieri, ma questo non potrà accadere mai, perché sono miei e di nessun’altro.
    “Signor Mirabella.”
    “Sì, mi scusi mi ero distratto.”
    Il giovane dottore si risistemò gli occhiali sul naso dritto come una riga.
    “Mi racconti cosa successe dopo. Stava dicendo che sareste dovuti andare a casa della ragazza, non è così?”
    Io, Enrico Mirabella, non ho mai sopportato le domande retoriche. Fin dai tempi in cui a rivolgermele era la mia professoressa d’italiano delle scuole medie, un essere inutile, che non mi insegnò altro che il senso di una espressione tratta da I Promessi Sposi: “Essere come un vaso di terracotta tra vasi di ferro”. Frase di cui avevo subito colto il significato, dato che da sola spiegava tutto ciò che mi sono sempre sentito: un fragile e inutile vaso di coccio.
    “Sì, infatti. Io e Samuele ci incamminammo in direzione della casa di Laura. Ricordo che ci siamo persi almeno un paio di volte prima di riuscire a trovarla...”
    Lui si limitava ad annuire a intervalli regolari socchiudendo leggermente gli occhi ogni volta che lo faceva, come a sottolineare il fatto che stesse seguendo il discorso.
    “Ricordo il caldo tremendo di quella giornata...”
    “Mi ripeta ancora cosa successe una volta arrivati al fiume”, tornò a incalzarmi.
    Il fiume... quanti anni erano passati dall’ultima volta?
    Cinque, dieci... forse addirittura non ci avevo messo più piede da quel giorno.
    “Sì... quel pomeriggio ci eravamo dati appuntamento davanti a un ristorante proprio a pochi passi dall’argine. Poi ci saremmo inoltrati camminando, fino a trovare il Sapienza. A quel punto avremmo cercato di farlo ragionare. Con le buone o con le cattive.”
    “Ma qualcosa andò storto, non è vero?”
    Ancora una domanda retorica... come se non bastassero quelle che pone la vita.
    Un brivido freddo tamburellò a lungo le sue piccole, molteplici dita sulle mie spalle.
    “Lo trovo incredibile anche a distanza di tanti anni...”
    Mi passai una mano sul viso e sui capelli, come a scacciare una ragnatela dispettosa.
    L’uomo che si trovava seduto sulla poltroncina di fronte a me, e che mi ascoltava ormai da più di venti minuti, mi lanciò uno sguardo comprensivo, socchiudendo per l’ennesima volta quegli occhi che non avrebbero mai visto niente di paragonabile a quello che invece avevano dovuto vedere i miei.
    “Quanti anni sono passati da allora?”
    Mi diede il tempo per un calcolo approssimativo.
    “Direi una trentina.”
    “È molto tempo. Trent’anni è molto tempo.”
    Restammo in silenzio per qualche minuto, lui pazientemente assorto, io profondamente a disagio.


    ***




    “Mamma mia, che caldo!”
    Enrico si spinse gli occhiali su per il naso unticcio, mentre con un braccio cercava si schermarsi il viso dai raggi del sole.
    “Be’, potremmo anche camminare all’ombra, in effetti!” si espresse, dopo un lungo silenzio, Laura, col broncio sempre più accentuato sul viso lentigginoso e paonazzo.
    “No. Da lì non si riesce a vedere”, tagliò corto Samuele, che soffriva il caldo quanto gli altri due, ma non voleva darlo troppo a vedere. E poi era vero: camminando sotto gli alberi sarebbero stati troppo nascosti per vedere tutto quello che succedeva sull’altra sponda.
    “Ma ci sarà ancora un pezzo lungo da fare?” tornò alla carica Enrico, sbuffando dal naso appuntito.
    Samuele pensò che forse l’amico non aveva ben chiaro il motivo per cui erano lì in quel momento, e che anche a lui sarebbe piaciuto trovarsi al fresco con una bella coca ghiacciata in mano, ma si limitò a rispondere:
    “Enrico, non lo so. Quando li troveremo finiremo di cercarli”, e si lasciò andare a un tono appena un po’ più brusco sul finire della frase.
    Camminarono così, in silenzio, per almeno un altro quarto d’ora, sotto il solleone, quando videro qualcuno sbucare fuori da un pezzo di bosco limitrofo al corso d’acqua.
    “Eccolo! Presto, di qua”, disse Samuele agli altri due, trascinandoli dietro a un grande arbusto.
    Contò qualche secondo, dopodichè si affacciò da uno spiraglio e spiò la figura sull’altra riva.
    Era lui, ne era certo. Riusciva a riconoscere Riccardo dai vestiti e dalla corporatura.
    Stavano tutti e tre giusto pensando a quanto fosse bello e rilassante trovarsi al riparo dal sole e dalla vista di Riccardo, nel fresco della vegetazione, quando successe qualcosa.
    Un uomo sbucò dagli alberi, reggendo in mano una sacca sportiva nera e una vanga.
    “Ma chi è quello?” chiese, con tempismo perfetto, Laura, fissandolo concentrata.
    “Non ne ho la più pallida idea”, ammise Samuele, spostandosi leggermente di lato per permettere anche agli altri di guardare, da dietro il loro nascondiglio.
    Il nuovo arrivato, dotato di una folta capigliatura rossa, buttò per terra la sacca e conficcò la vanga nel terriccio, indicandola e dicendo qualcosa a Riccardo.
    C’era un che d’inquietante nel modo in cui piegava la bocca da un lato mentre parlava, come in un sorriso storto.
    In realtà, Samuele era convinto di averlo già visto da qualche parte.
    Forse in un sogno che aveva fatto tempo prima. Forse fuori dalla scuola, nell’orario di uscita.
    Ecco, sì. L’aveva notato mentre si aggirava nei pressi della scuola, pochi giorni prima.
    Ricordava che uno dei gatti che popolavano il giardino attorno all’edificio, trovandoselo davanti, aveva arcuato la schiena iniziando a soffiare ferocemente, allora l’uomo doveva avergli rivolto qualche parola. Da quel giorno, del gatto non se n’era saputo più niente, finchè il guardiano, qualche tempo dopo, non l’aveva ritrovato affogato in una vasca d’irrigazione.
    Samuele si voltò a guardare i suoi amici. Un istinto inconscio, però, gli disse di tenere la bocca chiusa. E poi, non ci avrebbe giurato su quello che ricordava.
    Riccardo prese la vanga, strappandola a forza dal terreno, e ne poggiò la punta vicino ai propri piedi, tenendola dal manico e parlando in modo concitato.
    “Devono seppellire la borsa... o quello che c’è dentro...”
    Laura ebbe un brivido, ma cercò di non farci caso, mentri i due amici non fiatavano, in attesa di ulteriori progressi nella vicenda.
    Riccardo afferrò il borsone e l’aprì ai suoi piedi. Poi però, invece di trarne fuori qualcosa, lo abbandonò insieme alla vanga, sollevò a fatica un grande sasso che gli stava dinnanzi, e, dopo avere recuperato l’attrezzo, iniziò a scavare.
    I tre amici fissavano la scena ammutoliti, quasi consapevoli di stare assistendo a qualcosa di straordinario.
    Quando ebbe scavato a sufficienza, Riccardo incominciò a frugare all’interno della buca.
    “Sta cercando di recuperare qualcosa”, commentò Samuele, incantato dalla scena che gli si presentava davanti agli occhi.
    Poco dopo, il ragazzo tirò fuori un sacco di plastica nero, abbastanza grande da farci entrare un bambino di cinque anni lungo disteso. A quel pensiero Samuele rabbrividì.
    L’aprì e, dopo averci buttato un’occhiata dentro, lo passò all’altro, che ne osservò il contenuto con una certa espressione compiaciuta.
    “N-non sono sicura di v-volere sapere c-cosa c’è là dentro”, balbettò Laura, dalla sua postazione vicino a Enrico, che la guardò con una espressione comprensiva, ma non aggiunse niente.
    L’uomo buttò il grande sacco nero dentro al borsone sportivo.
    Si girò verso il ragazzo e gli disse qualcosa che i tre amici non riuscirono a sentire.
    Un attimo dopo era già scomparso dentro la vegetazione.
    “Sembra quasi che si tratti di uno scambio... ma di che cosa?” ragionò Samuele, concentratissimo.
    “Bagarinaggio?” suggerì Enrico, poco convinto.
    “Può darsi”, rispose, generico, l’amico avvertendo un fastidioso formicolio alla base della nuca.
    Passati pochi minuti, lo strano personaggio sbucò nuovamente fuori, reggendo in una mano una scatola di cartone, tenuta insieme alla bell’e meglio da un certo quantitativo di nastro adesivo.
    “Ecco lo scambio”, constatò Samuele.
    Riccardo prese dalle sue mani il pacco, disse qualcosa, e dopo avere fatto un breve cenno col capo, si allontanò. L’uomo si sedette lentamente sulla sponda del fiume.
    “Presto! Dobbiamo seguirlo”, esclamò Samuele, rivolgendosi agli altri due in preda all’eccitazione.
    “Sì!” si limitarono a rispondergli.
    Prima di raggiungere gli amici, che già stavano facendo strada, non seppe resistere alla tentazione di dare un’ultima occhiata all’uomo misterioso, ma di lui non vi era più traccia. Sussultò per la sorpresa nel constatarlo, perché fino a un attimo prima era ancora lì, seduto per terra.

    Dopo pochi metri di cammino, trovarono un punto in cui il corso d’acqua era più secco. Una volta dall’altra parte, si lanciarono alla ricerca.
    Furono fortunati. Riccardo non si era allontanato molto.
    Lo trovarono, poco dopo, seduto in una radura ghiaiosa, con il pacco posato accanto, in attesa.
    “Fermi! Guardate. È seduto lì.”
    I tre si bloccarono all’istante, come congelati.
    “Nascondiamoci, presto!” bisbigliò Enrico.
    “No! Voglio affrontarlo subito.”
    Gli occhi di Samuele si accesero di una luce nuova.
    “Ma che dici? Sei impazzito?!” Enrico non era dello stesso avviso.
    Samuele afferrò l’impugnatura della pistola di suo padre e se la sfilò dalla cintura.
    “Ehi? C’è nessuno? Non ti ricordi più perché siamo venuti qui?” disse all’amico, sventolandogli l’arma sotto al naso.
    “La vuoi smettere con quella cosa?! Se ti parte un colpo finisce che ammazzi qualcuno!”
    Enrico non staccava gli occhi dall’oggetto di metallo, quasi come fosse stato ipnotizzato.
    “Guarda che è scarica, cretino! Non te lo ricordi?” lo rassicurò Samuele, con una espressione di leggera sufficienza sul viso, mentre Laura iniziava a ridacchiare piano.
    Ripresero a scrutare Riccardo Sapienza attraverso la vegetazione, buttandosi, ogni tanto, un’occhiata alle spalle, nel caso in cui fosse spuntato qualcuno.
    Era come se tutti e tre sapessero che stava per succedere qualcosa.
    Nonostante la calura opprimente, Enrico sentì un brivido scendergli lungo la schiena.
    “Vado...” disse Samuele dopo un po’, ma la sua voce ebbe un tremito che non sfuggì ai due amici.
    “Andiamo!” lo corresse Laura, subito dopo, ed Enrico annuì con convinzione.
    Samuele sorrise.
    Uscirono dal riparo della vegetazione, tesi come una corda di violino, e si diressero verso il punto in cui era seduto il bullo.
    Mentre i tre si lanciavano un’ultima occhiata complice, Riccardo recuperava la scatola e se la poggiava sulle ginocchia, senza che se ne accorgessero. Aveva un’espressione sul volto che era un misto di paura e trionfo.
    Avanzando in quel modo, l’avrebbero colto alle spalle, prendendolo alla sprovvista.
    Riccardo rimirava la scatola, trasognato. Iniziò ad aprirla meccanicamente, con le unghie che cercavano i bordi del nastro adesivo lungo le chiusure.
    Samuele stringeva la pistola nel pugno, macinava il terreno a larghe falcate e nel frattempo sceglieva mentalmente le parole che avrebbe dovuto usare per persuadere Il Barbaro a cambiare il suo modo di relazionarsi con il prossimo per sempre.
    Quando Riccardo terminò di scartare la scatola, il trio era già alle sue spalle.
    Il ragazzo sollevò i lembi di cartone, che lo separavano dal contenuto, con dita tremanti.
    Quello che Samuele vide, dentro al cartone ingiallito, fu una vecchia sveglia di metallo ossidato.
    Stava ticchettanto sommessamente. Riccardo frugò per un momento all’interno della scatola, prima di accorgersi delle presenze alle sue spalle. Quando ebbe finalmente realizzato di trovarsi in compagnia, si tirò in piedi ed estrasse dalla scatola una corta accetta dall’impugnatura in legno, reggendola con entrambe le mani.
    Di riflesso, Samuele puntò la pistola di suo padre in direzione della pancia del ragazzo.
    Ci fu un lungo, interminabile, momento in cui tutti e quattro osservarono le due armi, che mandavano bagliori minacciosi sotto il sole di giugno, come incantati.
    Poi un suono spezzò l’aria all’improvviso, sferzando le loro orecchie e turbando la natura circostante. La sveglia stava suonando. Trillava allegramente, in un turbinio di fredde vibrazioni metalliche.
    Riccardo tirò un respiro strozzato, mentre lanciava uno sguardo atterrito all’interno della scatola.
    Sembrava che neanche lui riuscisse a comprendere del tutto quello che stava succedendo.
    Per un momento incrociarono di nuovo gli sguardi. Poi incominciò la Mattanza.


    ***




    “Cristo!”
    Non sarei mai stato pronto a raccontare quella storia. Lo sapevo. Eppure ogni volta che il dottore mi diceva di farlo, "per rielaborare il dolore" diceva lui, io obbedivo senza battere ciglio. Il peggio, infatti, veniva sempre dopo.
    Il mio terapeuta mi scrutava al di sopra dei suoi occhialetti senza montatura, tenendo il capo basso, mentre io mi lasciavo andare nella familiare, accogliente crisi di panico che ogni volta mi sopraffaceva, impedendomi di respirare e di pensare lucidamente per un tempo che andava dai sette ai ventiquattro minuti (più di una volta li avevo trascorsi davanti all’orologio, per cercare di riprendere contatto con la realtà).
    Questa volta l’attesa fu più breve. Forse il dottore aveva ragione. Forse era solo questione di tempo. Prima o poi avrei rielaborato.
    “Signor Mirabella. Come si sente?”
    Come mi sento, un cazzo! gli avrei risposto volentieri. Ma non lo feci per ovvi motivi.
    “Male. Come tutte le altre volte.”
    Lo guardai negli occhi, cercando di riprendere il controllo. Talvolta mi era anche successo di rilasciare la vescica, davanti a lui, durante una di quelle crisi.
    Spostai la gamba storpiata in una posizione più comoda, aiutandomi con una mano.
    “Ricorda come riuscì a scappare?”
    Dio mio, non di nuovo...
    “Corsi via mentre stava ancora aggredendo Laura... Cristo! Quanto sangue...”
    Ripresi a tremare.
    “Però Riccardo riuscì a colpirla alla gamba, mentre cercava di mettersi in salvo”, mi venne incontro. “Poi si nascose, non è vero? Si nascose...”
    “In una fossa che si era creata sotto le radici di un salice, vicino al fiume. Rimasi immerso nel fango fino alle ginocchia p-per quanto? Due ore? Due giorni? Non me lo ricordo più.”
    Mi stavo perdendo di nuovo.
    “Cerchi di fare uno sforzo!”
    Sospirai.
    “Ricordo solo...”

    ***




    Enrico Mirabella sapeva che prima o poi sarebbe ritornato a casa.
    Dopo la Mattanza, all’età di quindici anni si era trasferito, insieme ai genitori, in città per cercare di sfuggire ai propri fantasmi e vi era restato fino all’età attuale di quarantacinque. Eppure, dopo tanto tempo, aveva sentito il bisogno di tornare, di capire.
    In quel momento, stava passeggiando lentamente lungo le sponde del fiume, tirandosi dietro la gamba morta, con una triste melodia in testa.
    Dopo pochi metri di cammino, riconobbe, come se fosse sbucato fuori per magia, il sentiero che portava nel bosco.
    Sentì di essere vicino al luogo del massacro e proseguì, abbandonando la sponda del fiume per inoltrarsi tra gli alberi.
    Si accorse di essere giunto a una radura quando, dopo avere camminato a lungo sovrastato dai corpi immensi degli alberi, riuscì a vedere uno scorcio di cielo.
    Restò come incantato, guardando lenti stormi di uccelli passargli sopra la testa, contro l’azzurro.
    Quando tornò ad abbassare lo sguardo, era ormai l’imbrunire e sentì qualcosa dall’altra parte della radura. Era un richiamo così debole che si sarebbe facilmente confuso con il suono del vento tra gli alberi. Si fece avanti a piccoli passi, per cercarne la fonte, ma era come se lo avvolgesse completamente, senza scaturire da alcun posto in particolare. Provò ad ascoltare, ma non riusciva a distinguere i suoni.
    Venne attratto da un bagliore improvviso. Proveniva da un punto lontano, al margine del bosco.
    Prese ad avvicinarsi, mentre il bagliore, quasi un fuoco fatuo, baluginava, perlaceo.
    Si mosse così in fretta che lo raggiunse dopo pochi passi, come se qualcuno avesse ristretto lo spazio che li separava.
    Per terra giaceva una vecchia scatola di cartone, fradicia come se fosse stata gettata nel fiume. Enrico la prese tra mani tremanti: era da lì che provaniva quel bagliore.
    Se la ricordava bene quella scatola. Non aveva fatto altro che pensarci per tutti quegli anni.
    Avrebbe finalmente scoperto la verità, la sua vera natura, il meccanismo col quale aveva scatenato la furia omicida di Riccardo Sapienza.
    Iniziò ad aprirla meccanicamente, con le unghie che cercavano i bordi del nastro adesivo lungo le chiusure. Sollevò i lembi di cartone, che lo separavano dal contenuto, con dita tremanti.
    Quello che vide, dentro al cartone ingiallito, fu una vecchia sveglia di metallo ossidato.
    Stava ticchettanto sommessamente. Frugò per un momento all’interno della scatola, prima di trovare una corta accetta dall’impugnatura in legno.
    Si paralizzò all’istante, mentre finalmente capiva il motivo per cui era tornato a casa.
    Poi un suono spezzò l’aria all’improvviso, sferzando le sue orecchie e turbando la natura circostante. La sveglia stava suonando. Trillava allegramente, in un turbinio di fredde vibrazioni metalliche. In quel momento, come allora.
    Enrico barcollò pesantemente, mentre guardava all’interno della scatola.
    Recuperò l’accetta, reggendola con entrambe le mani.
    Si lasciò avvolgere un’ultima volta dall’enormità della notte. Poi cominciò a colpirsi.

    Edited by Black _ Dahlia - 8/1/2010, 11:24
     
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  2. Alessanto
     
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    Credo che il limite per i racconto USAM sia 40.000.
     
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  3. Black _ Dahlia
     
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    Ooops!! :o:
    Azz, è vero! Mi era proprio sfuggito...
    Ehm... ed ora che si fa??
    Posso/devo eliminarlo io?
     
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  4. silente2.0
     
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    Se riesci a tagliuzzare qualcosa in extremis e a ripostare in tempo, sei dentro. :)
     
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  5. Black _ Dahlia
     
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    Fatto (In extremis)! 39914 battute... Ma come faccio a modificare il nome della discussione in modo da scrivere il numero esatto delle battute? Non è che devo creare una nuova discussione?

    Già che ci sono... vale ancora la regola per cui dopo avere postato l'autore deve autovotarsi dandosi il massimo, vero?
     
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  6. Jakken
     
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    Ciao Dahlia, ci penso io. ^_^
     
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  7. RobertoBommarito
     
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    ciao Black _ Dahlia,

    SPOILER (click to view)
    Mi ha colpito molto la caratterizzazione dei personaggi. Sono reali, palpabili, cosa che in un racconto breve non è facile ottenere. Ci sei riuscita forse anche grazie ai dialoghi, molto credibili, che danno un senso di concretezza al racconto. Ho apprezzato molto il finale, giusta conclusione della vicenda e allo stesso tempo lascia un senso sottile di inquietudine.

    La cosa che non mi ha convinto del tutto, invece, è la lunghezza eccessiva del racconto. Credo che alcune parti (per es quella dove Enrico, con l'aiuto di Samuele, svicola fuori) non siano abbastanza importanti per la dinamica del racconto da giustificarne l'inclusione e che la loro presenza ne rallenti la lettura. Non mi ha convinto nemmeno l'uso della parola "iper-ritardo" e delle parentesi, che mi sembra inutile. Usando delle semplici virgole si otterrebbe lo stesso risultato.


    E' un buon racconto, molto attento ai particolari. Per questo voto 3.
     
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  8. Black _ Dahlia
     
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    Ciao Roberto,
    SPOILER (click to view)
    ti ringrazio per il commento. :)
    Per quanto riguarda la lunghezza della parte in cui Samuele aiuta Enrico, l'ho lasciata così per il semplice fatto che mi diverte. :P Ma penso di poterla anche accorciare, comunque.
    Iper-ritardo non ha mai del tutto soddisfatto neanche me... metto "in ritardo di parecchi minuti", che è meglio!
    Le parentesi sono un vezzo, niente più! Ma se danno molto fastidio al lettore, posso certamente sostituirle con delle virgole.
     
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  9. Cappie.
     
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    Buon racconto,
    SPOILER (click to view)
    ha tenuto viva la mia attenzione fino alla fine. Scritto bene ed attento ai particolari anche se ho trovato troppo complessi alcuni dialoghi dei ragazzi, forse troppo artificiosi per l'età.
    Le uniche due battute che mi stonano sono:

    Una piccola combriccola...

    e

    Delle cose strane...

    pe ril resto voto 3
     
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  10. silente2.0
     
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    Racconto più che discreto, mi è piaciuto decisamente più a livello stilistico che d’intreccio.

    La scrittura, infatti, è attenta, variopinta, interessante, molto gradevole nonostante un intreccio e uno spunto di partenza di certo non troppo originale o accattivante. Descrivi il contesto e i personaggi e le loro interazioni con gusto, ed è facile farsi trasportare nella scuola e seguire poi i ragazzini nella progettazione della loro vendetta.

    Mi sono piaciute un po’ meno certe ingenuità, come i contenuti delle frasi messe tra parentesi, abbastanza inutili, e il ricorso ad alcuni stereotipi ormai abusati davvero in lungo e in largo, come la seduta dallo psicologo e l’uso di frasi come «Mi racconti ancora una volta cos’è successo…» et simila.

    Come detto, la trama, pur presentata e raccontata davvero molto bene, non è ahimè molto attraente, e si rifà, anche qui, a qualche cliché di troppo (il bullo, la vendetta). Inoltre, alcune lungaggini (la lezione di matematica, Enrico messo in punizione) la immobilizzano un po’ troppo, e potrebbero essere utili solo a patto di bilanciare meglio il racconto nella parte finale. Tuttavia, si legge tutto molto bene, e questo è importante: significa che puoi già catturare il lettore solo grazie allo stile, non è poco, anzi.

    La vicenda migliora, e molto, nella purtroppo breve parte finale, con il mistero relativo alla sveglia e alla super violenza. Qui piacciono le idee, e anche la scelta di spiegare poco o nulla, peccato però che sia tutto così veloce, e che, soprattutto, anche se ora parla l’amante dello splatter, si accenni solo alla Mattanza, e non la si mostri affatto. Con un simile lavoro preparatorio sui personaggi, è secondo me un punto da sviluppare, altrimenti il racconto ne risulta sbilanciato, come accennavo prima, soprattutto pensando alla parentesi di Enrico messo in punizione, tutt’altro che utile all’economia generale della storia.

    Comunque, dài, racconto piacevole. Sarei per un 2,5, ma arrotondo a 3. :)
     
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  11. Black _ Dahlia
     
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    @Silente
    Va be'... ho capito che le parentesi non sono piaciute a nessuno :cry: Sigh! E io che pensavo di fare una cosa carina...image
    Grazie mille, comunque, per il commento quasi imbarazzante! Ho capito che avete tutti la smania di andare dritti al sodo (intenditori!), quindi credo che accorcerò qualche passaggio di troppo. :sisi: Per quanto riguarda la tua sete di sangue, credo che per questa volta la lascerò insoddisfatta. :shifty:

    @Cappie
    Grazie mille anche a te. Ho capito, ho capito, forse mi sono dilungata un po' troppo, ok... -_- Per quanto riguarda le due frasi che citi, sono intromissioni della sottoscritta con lo scopo di fare soffermare il lettore ("Una piccola combriccola" sta a sottolineare il fatto che da quel momento quei tre saranno uniti per tutto il resto della vicenda; "Delle cose strane" vuole essere inquietante, per "preanunciare" ciò che il nostro Riccardo farà di strano poco dopo).
     
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  12. Piscu
     
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    il racconto sulle "esperienze giovanili" rivissute è un po' un classico, quindi credo vada gestito bene per non cadere nel già visto.

    SPOILER (click to view)
    il tuo non mi convince del tutto. forse ci sono appunto troppi particolari piuttosto scontati per una storia del genere: il bulletto, i protagonisti sfigatelli, la ragazzina che si unisce al gruppo, il tentativo di vendetta... tutto abbastanza scontato. l'unico dettaglio originale sarebbe appunto la sveglia (perché poi dare un titolo inglese, in questo caso?), ma non l'ho trovato così determinante. immagino che ci sia qualcosa di "sorpannaturale" dietro, ma non si riesce a capire cosa/perché succeda. il trillo scatena la furia omicida? bah, è un po' buttata lì come spiegazione, senza qualche elemento che la anticipi, o un minimo di background dell'oggetto.

    inoltre la parte in cui lui è in analisi arriva un po' all'improvviso. io avrei inserito una sorta di prologo, giusto due righe per far capire che sta ricordando gli eventi passati.


    lo stile fila ma non mi pare enfatizzi particolarmente i momenti più intensi.


    segnalo:

    "voce a siringa"
    non se sia un'espressione che si utilizza, nel caso non l'ho mai sentita. se non è così, non mi pare un'immagine efficace. se fosse "una voce pungente come una siringa" sarebbe già diverso.

    "L’indomani mattina salutò garbatamente"
    credo che qui avresti dovuto inserire il soggetto. si capisce che è samuele, ma visto che inizia un nuovo paragrafo e nessuno dei due finora è sembrato più centrale dell'altro, meglio specificare.

    "quando successe qualcosa di strano e inaspettato."
    ehm, non dirmi che il seguito è strano e inaspettato. mostralo, e poi deciderò quanto lo sia.

    "Era come se tutti e tre sapessero che stava per succedere qualcosa. Qualcosa di... imprevedibile."
    se sanno che qualcosa sta per succedere, come può essere imprevedibile?

    "le unghia"
    non sono sicuro, ma è corretto come plurale?

    "Poi incominciò la Mattanza."
    la maiuscola mi sembra eccessiva



    metto due.
     
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  13. Black _ Dahlia
     
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    Ciao Piscu,
    SPOILER (click to view)
    1) Per quanto riguarda l'eventuale banalità dell'argomento, de gustibus.
    2) Il titolo è in inglese perchè mi affascina la parola "clockwork" (meccanismo, ingranaggio), e trovo molto più suggestivo questo titolo che un titolo del tipo "la sveglia assassina", che fa molto "Piccoli brividi".
    3) La scelta di non approfondire l'aspetto soprannaturale della vicenda è giustificata dalla mia personale convinzione che in questo caso debba essere il lettore a dare una sua libera spiegazione agli eventi. E poi, che gusto ci sarebbe a essere imboccati direttamente dall'autore? Il dubbio è sempre un elemento molto affascinante, a mio avviso.
    4) Lo stacco tra passato e presente è marcato intenzionalmente, proprio per "spiazzare il lettore" (come una sorta di piccolo colpo di scena). A mio parere sarebbe risultato molto più banale se fosse stato introdotto da una descrizione.
    5) Per quanto riguarda la "voce a siringa", certo non è un termine raffinato, ma l'ho visto utilizzato più di una volta. Posso anche sostituirlo con "un'alterata voce femminile", così tagliamo la testa al toro.
    6) Secondo me non c'è bisogno di inserire il soggetto in quella frase, perchè è ovvio che solo Samuele potrebbe essere il soggetto.
    7) Quello che succede è "strano" perchè i tre protagonisti non hanno la più pallida idea di che cosa possa farci quel tizio con una vanga ed una borsone, "inaspettato" perchè si aspetterebbero di vedere Riccardo con i suoi amici piuttosto che con quello strano individuo. Ma tolgo anche questa espressione, così risolviamo.
    CITAZIONE (Piscu @ 5/1/2010, 12:00)
    ehm, non dirmi che il seguito è strano e inaspettato. mostralo, e poi deciderò quanto lo sia.

    Perchè? Davvero immaginavi che sarebbe spuntato un tizio con tanto
    di vanga e sacca sportiva in mano??
    8) Quel qualcosa, infatti, è imprevedibile non perchè non si sappia che sta per succedere, ma perchè non ne si conosce la natura.
    9) Per quanto riguarda "le unghia" ho controllato. In effetti è un termine più usato in poesia che in prosa. Il plurale, generalmente, sarebbe unghie. A me suona di più con la -a, ma cambierò anche questo...
    10) Io preferisco lasciare la maiuscola... a maggior ragione del fatto che non si sta parlando di tonni, ma di persone...

    Grazie per il commento!
     
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  14. Piscu
     
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    rispetto agli altri punti accetto il tuo punto di vista, però cerco di spiegarmi meglio per quanto riguarda questo:

    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE (Black _ Dahlia @ 5/1/2010, 13:01)
    7) Quello che succede è "strano" perchè i tre protagonisti non hanno la più pallida idea di che cosa possa farci quel tizio con una vanga ed una borsone, "inaspettato" perchè si aspetterebbero di vedere Riccardo con i suoi amici piuttosto che con quello strano individuo. Ma tolgo anche questa espressione, così risolviamo.
    CITAZIONE (Piscu @ 5/1/2010, 12:00)
    ehm, non dirmi che il seguito è strano e inaspettato. mostralo, e poi deciderò quanto lo sia.

    Perchè? Davvero immaginavi che sarebbe spuntato un tizio con tanto
    di vanga e sacca sportiva in mano??

    quello che intendevo è che, in situazioni del genere, credo sia controproducente che l'autore mi dica "successe qualcosa di strano", per poi passare a raccontare la presunta stranezza. è come se volesse indicarmi cosa pensare di quello che sto per leggere, e lo trovo irritante.

    non so se riesco a rendere l'idea. come se vedendo un film tu mi dicessi: "oh, guarda, la prossima scena è incredibile!" non rovinarmi la sorpresa, lasciamo godere dello spettacolo e giudicarlo secondo il mio gusto.

    anche in questo caso, non è un errore a livello tecnico. mi pare più che altro un "malcostume" dello scrittore.
     
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  15. Black _ Dahlia
     
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    Chiaro. Comunque l'ho cambiato lo stesso così non ci sono problemi :)
     
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25 replies since 1/1/2010, 18:04   457 views
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