[USAM Showdown 2010] La piazza sui binari
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[USAM Showdown 2010] La piazza sui binari

di Alberto Priora - 38 k circa

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    LA PIAZZA SUI BINARI

    di Alberto Priora

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    solo correzioni formali rispetto alla versione arrivata terza nel Marzo 2009


    C’è un’ora che è sempre più intensa di tutte le altre ore del pomeriggio. Forse è più intensa di tutte le altre ore dell’intera giornata. È l’ora in cui la gente prende il treno per tornare a casa; l’ora in cui si intrecciano stanchezza e desiderio, in cui delusioni e successi fanno girotondo attorno alle persone senza ancora lasciarle in pace, in cui si mescolano le parole dette e le cose fatte con quelle che si sarebbero dovute dire e dovute fare. È già l’ora del passaggio dall’oggi al domani per chi ha trascorso la giornata lontano da casa, al lavoro, anche se la vera mezzanotte è ancora a quasi metà di giro di orologio. Quello rotondo.
    Orologio. Il tempo che scorre. Il tempo che passa.
    Luca ha alzato lo sguardo verso il grande tabellone luminoso che mostra, con grandi numeri di colore rosso, l’ora in forma digitale. Quei numeri, con le loro barrette che lampeggiano in maniera quasi impercettibile, gli ricordano gli egiziani dei geroglifici, quelli che fanno vedere nei documentari con le piramidi. C’è l’egiziano tutto tondo e l’egiziano diritto con le braccia tese davanti a sé, l’egiziano che sta su una gamba sola e quello piegato a pregare i suoi dei, dei egiziani senza dubbio. Un piccolo egiziano dopo l’altro, che si seguono uno all’altro mentre la gente passa sotto per raggiungere i binari.
    Dopo qualche istante Luca riprende a spazzare il pavimento della stazione, spostando con la scopa i rifiuti che raccoglierà a breve con la paletta dal manico lungo e catapulterà nel grosso cesto su ruote che si porta appresso. È uno dei suoi compiti, per la precisione è quello con cui inizia il suo turno di lavoro. Ogni giorno Luca arriva in stazione per le cinque del pomeriggio, poco prima dell’inizio dell’ora più intensa e della carica di chi torna a casa; passa dalla stanza dei responsabili della stazione, a cui da un breve cenno di saluto che di solito viene notato appena, e poi va a prendere le cose nel ripostiglio, dove le ha lasciate la sera prima. Si cambia, indossando un camice di colore grigio-azzurro, tipo il cielo quando inizia a minacciare neve, prende le sue cose e comincia il giro di pulizia.
    Non è facile svuotare cestini e raccogliere cartacce mentre la gente si dirige di corsa verso i binari, sempre tesa e sempre sul punto di perdere il treno che deve riportarli a casa. Luca ha notato che durante quell’ora la gente corre sempre; anche se mancano dieci minuti alla partenza, comunque la gente corre per paura di perdere il treno o di non trovare posto. Uomini e donne corrono fino alle porte e poi magari rallentano negli ultimi tre metri, quando ormai sono sicuri che la loro preda di ferro non può più scappargli. Allora si rilassano e a volte sorridono, anche se qualche sorriso è probabilmente dovuto al respiro affaticato che buttano fuori a forza.
    Comunque tutti corrono, anche perché alcuni il treno non riescono a prenderlo. Luca li sente o li vede salire di corsa le scale che portano alla rete sotterranea della metropolitana, ma sa anche che qualcuno scende dal tram che scorre sui binari dall’altra parte della piazza che si allarga davanti alla stazione. Corrono e corrono, ma quando ormai è già troppo tardi e il treno chiude le sue porte e parte incurante delle imprecazioni o delle bestemmie, insensibile anche ai pugni che qualcuno riesce a dare contro i vetri. Allora chi è già sopra sembra sentirsi superiore nel far parte di quelli che sono sopra, come se fosse una divisione importante dell’umanità intera. Forse sono gli stessi che hanno subito durante la giornata e adesso immaginano che chi è rimasto sulla banchina sia chi durante la giornata ha infierito su altri. E ben gli sta, pensa probabilmente qualcuno.
    Luca si è fermato mentre pensa queste cose. Si guarda attorno perché sa che non va bene e che non deve fermarsi. Luca è uno che lavora sodo e non è certo un attimo di pausa che gli può causare dei problemi, però non sopporta l’idea che proprio in quel momento uno dei responsabili della stazione, quelli che stanno in una delle stanze dai tanti bottoni, lo colga a non far nulla, perso dietro qualche fantasia.
    Gli egiziani sul tabellone sono cambiati. Adesso uno di loro sembra avere le braccia una davanti e l’altra dietro, come se danzasse.
    L’ora più intensa è finita. Durante quell’ora la gente si riversa in stazione in massa, ognuno con l’atteggiamento di passare davanti agli altri, come se dovesse conquistare chissà quale spazio vitale. Ma adesso è finita. Dopo quell’ora frenetica, la stazione cambia e anche chi la frequenta cambia.
    I treni in partenza e in arrivo sono di meno, la gente in attesa è di meno e ha meno fretta. Con il passare del tempo e con l’avvicinarsi della notte le persone che arrivano sembrano avere sempre meno voglia di andare a casa, fino quasi a perderla del tutto. E Luca non pensa solo alle coppie di innamorati, quelli che si stringono per mano fino a quando uno dei due non si costringe a salire sul treno in partenza, che si baciano fino a quando le porte automatiche non si chiudono come a troncare un cordone ombelicale. Certo quelli sono strani, e Luca li trova strani perché non ha mai avuto una ragazza con cui comportarsi allo stesso modo, ma c’è tanta altra gente che arriva come distratta in stazione, come se il posto non li riguardasse o come se prendere il treno fosse l’evento finale delle loro vite.
    Però adesso la gente è più calma ed è più tranquilla. E gli abitanti della stazione, i veri abitanti della stazione, non sono più mascherati dalla fiumana dell’ora di punta, dell’ora del ritorno, ma escono allo scoperto, appaiono anche se magari erano solo nascosti in qualche angolo, e si manifestano in tutta la loro realtà.
    Vivono. Vivono nella stazione.
    E Luca è uno di loro. Si sente uno di loro.
    Ha formato un mucchietto di avanzi di sigarette e di carte di cioccolata e ora lo raccoglie con la paletta. Incredibile quanto fumi la gente e ancora più incredibile come preferisca ignorare i cestini e buttare i propri avanzi per terra. Chissà se lo fanno a casa loro, magari si incazzano di brutto se qualcuno fa cadere qualche briciola sul loro pavimento. Ma Luca è lì per raccogliere; per spazzare tutta l’area della stazione, il grosso atrio e le banchine dei dieci binari a cui arrivano e da cui partono i treni dal mattino presto fino alla notte tarda. E dalla fine del pomeriggio fino alla stessa notte tarda lui è lì a far sparire quello che lasciano gli altri: i gradini bassi della civiltà che si comportano meglio di quelli che dovrebbero essere i più alti.
    La paletta scarica il suo contenuto nel bidone e poi Luca si ferma.
    Una caratteristica della stazione sono le file; ci sono dei momenti in cui ovunque Luca guardi ci sono delle file di gente. C’è una fila alla biglietteria, quella con quattro sportelli di cui al massimo ne sono aperti due, ma molto più spesso uno solo, e poi c’è una fila dal tabaccaio, che passa sigarette, caramelle, schede del telefono e biglietti della metropolitana da una stretta fessura nel vetro. C’è una fila dal giornalaio che sembra un pezzo di giungla tropicale tanto è ricca di riviste e di colori, e poi c’è una fila al negozio delle pizzette, che sforna a ciclo continuo focaccine e trancetti coperti di pomodoro e mozzarella. Le file sono interessanti, la gente che sta in fila è interessante, perché sembra che solo quando è in fila esprima tutti i nervosismi che si porta dentro nelle altre occasioni. Luca qualche volta prova a fare il gioco delle formiche: fissa nella mente una persona per ogni fila e poi cerca di vedere quale persona arriva per prima alla sua destinazione. A volte indovina e a volte no; e qualche volta ci rimane male quando una delle persone che seguiva in fila la abbandona sbuffando o agitando le mani seccata. Quando succede così i calcoli che aveva fatto vengono scombinati. Non che tutte le persone si comportino allo stesso modo quando stanno in fila: alcune guardano agitate l’orologio o, ancora più agitate, il treno che devono prendere e molte interrompono a malincuore il loro sforzo a pochi passi dalla meta, anche se Luca ha notato che è più probabile che qualcuno in fila per la pizza lasci perdere che uno in fila per le sigarette.
    A livello personale a Luca non interessa affatto mettersi in tre di quelle file; non deve acquistare biglietti, non fuma e non compra giornali. L’unica meta interessante per lui, sarebbero le pizzette, tanto che qualche volta è tentato di mettersi in coda, forse per provare maggiore tensione al momento di esserne il primo, come se fosse un premio da raggiungere. Ma Luca non si è mai messo in coda per le pizzette: gli basta aspettare l’orario di chiusura, quando non c’è più nessuno che voglia comprarle e Marie gli fa un cenno per dirgli di avvicinarsi. Marie è una ragazza dalla pelle scura che sorride con gli occhi, ma che non sorride mai con la bocca. Pare che abbia studiato molto quando era nel suo paese, ma che poi sia dovuta venire via di fretta, e adesso mette in forno e vende le pizzette calde per tutto il giorno. Dato che quello che avanza la sera dovrebbe buttarlo via, allora lo può dare, senza esagerare, a chi vive davvero in stazione. Almeno così è come dice il suo capo, un tizio alto e serio che passa tre volte al giorno per ritirare i soldi dalla cassa e che di solito non dice più di cinque parole di seguito, come se gli costasse più del regalare qualche pizzetta, perché le pizzette che avanzano possono essere date via.
    Accanto allo sportello del tabaccaio, che poi è il retro nel chiosco dei giornali che si trova proprio in mezzo alla stazione, sta per quasi tutto il giorno Mario. Mario ha i capelli ricci e corti, gli occhiali con una montatura pesante e porta sempre una sciarpa: di lana d’inverno, di cotone in autunno e di seta colorata in primavera e in estate. Sempre con sé, tenuto al guinzaglio, sta un bastardino marrone che Luca non ha mai sentito abbaiare una sola volta, ma che probabilmente è il cane più tranquillo e rassegnato del mondo intero. Mario chiede alle persone in fila per le sigarette, e ai pochi che non sono in coda per quelle, una moneta, anche se non le guarda mai in faccia, ma fissa il pavimento dove stanno. Chiede una moneta senza mai tendere la mano e con un filo di voce talmente esile che sono in pochi quelli che gliela concedono. Alcuni si fermano a guardarlo mentre scartano il pacchetto che hanno appena comperato, e sembrano quasi sfidarlo a ripetere la sua richiesta. Ma Mario non lo fa, non chiede mai una seconda volta se uno ha una moneta da dargli e rimane a fissare il pavimento che occupa chi si accende la sigaretta e poi va via.
    Ah già, ricorda Luca, in stazione si può fumare perché tutto l’atrio è collegato ai binari che sono a cielo aperto. Poco importa che in questo modo i fumi di centinaia di sigarette ristagnino e investano gli altri viaggiatori. Si può fumare e basta.
    Una voce alta e squillante interrompe i suoi pensieri.
    — Sì mamma, sono in stazione mamma. Ho fatto quello che dovevo mamma, anche se pioveva. Sono andato da Roberto oggi.
    È Luciano che parla al cellulare con sua madre. Qualche viaggiatore sposta lo sguardo dal tabellone dove si trova l’elenco dei treni in partenza, ognuno dotato del proprio ritardo, e lo guarda con curiosità. Altri, che lo hanno già visto in precedenza, non si fanno neppure distrarre. Luciano parla così forte al cellulare che si sente quasi in tutta la stazione, fino all’inizio dei binari.
    — Si ci vado anche domani da Roberto, mamma. Non ti preoccupare, mamma. Certo che ho mangiato: ho mangiato le polpette, mamma.
    Nella fila per le pizzette qualcuno si è fermato a guardarlo troppo a lungo e ha bloccato la fila, perché Luca sente un “Allora, ci muoviamo?” un poco seccato da parte di chi sta dietro rivolto a chi sta davanti.
    — Ti ho detto che sono in stazione, mamma — prosegue Luciano mentre attraversa l’atrio passando dietro l’estremità della fila del tabaccaio.
    In realtà il cellulare di Luciano è scarico da sempre e sua mamma, almeno così Luca ha saputo da un sussurro di Mario, è morta da anni.
    — Domani mangio la bistecca, mamma. Poi vado in stazione — Luciano descrive un arco senza giungere ai binari e poi si allontana verso l’uscita.
    Luca intanto ha finito di spazzare tutto l’atrio. In realtà potrebbe continuare a spazzare perché mentre sta pulendo una parte della stazione, i viaggiatore hanno buttato mozziconi o carte in un’altra, ignorando tutti i cestini che paiono così monumenti antichi e dimenticati. Solo che in questo modo non finirebbe mai. Adesso è l’ora di passare le vetrate dell’ingresso.
    L’ingresso ha due porte automatiche, molto intelligenti e capaci di aprirsi quando arriva qualcuno e di chiudersi quando è passato; sono talmente in gamba che non si sbagliano mai: mai che si chiudano davanti a qualcuno o si aprano dopo che un viaggiatore le ha attraversate. Purtroppo, pensa Luca, non sono messe in grado di dimostrare la loro intelligenza perché sono sempre tenute aperte. C’è un pulsante speciale che gli addetti della stazione conoscono e che, se azionato, fa si che le due porte automatiche rimangano perennemente spalancate, con i loro battenti di vetro a sovrapporsi a una parte delle vetrate. Il flusso di gente durante la giornate, e soprattutto durante l’ora più intensa del pomeriggio, è tale che finirebbero per essere d’impaccio. Non appena ci fosse un lieve spazio tra una persona e l’altra loro avrebbero l’impulso di chiudersi, costringendo il gruppo di persone in arrivo a rallentare il passo e rischiando di bloccare il passaggio, quando invece i viaggiatori devono poter camminare in fretta, a volte correre.
    Ma adesso, dopo che Luca ha finito di spazzare il pavimento, è proprio l’ora delle vetrate. Luca può schiacciare di nuovo il pulsante e ridare l’intelligenza alle porte in modo che si chiudano quando non serve che stiano aperte. Anche perché solo in questo modo Luca può pulire le parti che altrimenti sono soprapposte. Se poi qualche viaggiatore solitario arriva, beh le porte sanno fare il loro lavoro.
    Così schiaccia il bottone nel piccolo quadro comandi nell’angolo e le porte si chiudono, poi si avvicina con il secchio d’acqua insaponata e i suoi panni. Sa che le porte lo riconoscono e che quindi non si apriranno quando lui viene a pulirle, o forse conosce solo l’angolo giusto di avvicinamento che non fa scattare il sensore.
    Luca mette la spazzola nell’acqua, la fa sgocciolare e poi la passa sul vetro. All’esterno, appoggiato alla parete esterna della stazione, c’è Rudy e il suo cane. Luca non sa mai decidere chi dei due sia più malandato. Rudy si regge appena in piedi in certi giorni e quando lo fa i sui capelli lunghi e sporchi sembrano tremare come per un terremoto. Anche il cane di Rudy, che si chiama Nero, quando si alza si regge appena. Luca però sa che le loro ragioni sono diverse: Rudy si droga ogni volta che ha soldi a sufficienza e quando non ne ha abbastanza sta anche peggio, mentre Nero è semplicemente vecchio, molto vecchio. Luca qualche volta si è chiesto chi dei due morirà per primo, chi dei due , un mattino, non riuscirà ad alzarsi più dal proprio letto.
    Rudy passa la giornata all’esterno, seduto sulla stessa coperta scozzese che occupa Nero. Ci sono due bicchieri di carta della Coca Cola, di quelli grandi: uno davanti a Rudy e uno davanti a Nero. Sono per i soldi dei passanti. Quello di Nero ha sempre più monete di quello di Rudy.
    A volte Rudy è talmente mal messo che non si alza per ore e capita che qualcuno chiami l’ambulanza. C’è sempre parecchio trambusto quando arriva l’ambulanza: la sirena si sente da lontano, e quando è chiaro che si sta dirigendo verso la piazza della stazione tutti i passanti e i viaggiatori in arrivo o in partenza si guardano attorno come a cercare la ragione dell’intervento. Non tutti hanno visto Rudy o si sono accorti di Rudy. Probabilmente per alcuni è semplicemente invisibile.
    Poi l’ambulanza inchioda con stridore di gomme e gli infermieri saltano giù di corsa. Sembrano quelli dei telefilm dei bagnini, muscolosi e decisi, dal passo atletico e dall’espressione impegnata, come se da loro dipendesse la salvezza del mondo intero. Poi quando arrivano da Rudy invece sembrano delusi e rallentano. Uno degli infermieri magari si accende una sigaretta, il cui mozzicone poi lascerà per terra e che Luca tirerà su con gli altri, e guarda gli altri che scuotono Rudy o gli parlano. Poi, dopo che Rudy ha fatto di no con la testa, se ne vanno e l’ambulanza riparte senza sirena.
    — Sì mamma, c’era l’ambulanza mamma. Aveva la sirena, ma poi è andata via, mamma.
    Se non è la prima volta che sono chiamati per Rudy, smettono anche di arrivare di corsa e con la sirena accesa. Arrivano e basta. Però capita che gli infermieri cambino i turni e ogni tanto c’è qualche gruppo tutto nuovo che non è mai stato chiamato; ed ecco che si ricomincia con le sirene e i bagnini.
    Stasera Rudy è in piedi e si muove un poco in cerchio mentre strascica i piedi e conta le monete nel suo bicchiere. Nero, che non sa contare, sta sulla coperta con il muso sulle zampe e gli occhi socchiusi.
    Per fortuna ci sono pizzette anche per loro, più tardi naturalmente, ma ci sono. Piacciono a tutti e due, anche se quando le masticano sbavano entrambi e un filo gli cola giù dal mento.
    Luca ha finito di lavare le porte e le asciuga. Ogni tanto ha dovuto interrompersi perché arrivava qualcuno e i battenti si sono aperti per farlo passare, ma adesso sono di nuovo belle trasparenti. Così passa al resto delle vetrate, che però sono fisse e che sono più facili da lavare.
    — Sì mamma, sono in stazione mamma. Non piove oggi, mamma. Non stare a preoccuparti, mamma.
    Luca alza gli occhi e guarda i nuovi egiziani che luccicano in rosso. C’è ancora parecchio da fare, parecchio da lavorare. Prima un’altra spazzata per raccogliere i rifiuti che sono finiti a terra mentre lavava le vetrate e poi c’è il giro dei cestini, quando si cambiano i sacchetti che ci stanno dentro e si mettono quelli nuovi.
    Proprio a uno dei cestini, quello che Luca chiama il numero sette per comodità, sta appoggiato il Barone. Il Barone non è un vero barone e il suo vero nome è Carlo, ma è, tra gli abitanti che rendono viva la stazione, quello che parla di più e che parla in maniera più strana.
    — Buonasera a te, Luca — lo saluta quando si avvicina.
    — Buonasera, Barone. Come sta stasera?
    — Abbastanza bene. E tu?
    — Si lavora.
    — Bravo bravo. Sei un bravo ragazzo.
    Il Barone è molto più vecchio di Luca, ha più del doppio dei suoi anni, forse anche sessanta. Ha una barba curata in parte bianca e in parte grigia, i capelli che si sono spostati dalla fronte alla nuca e un vestito elegante che indossa da molti anni. Fuma spesso e volentieri, ma non butta mai i mozziconi per terra; sceglie le sue sigarette tra quelle abbandonate a terra prima di essere del tutto consumate e le finisce tutte fino al filtro, poi, dato che è il Barone, le mette con grazia nei portacenere. È uno dei pochi che lo fa e per questo a Luca piace molto.
    — Grazie, Barone.
    — Però, anche se sei un ragazzo sveglio e bravo, devi stare attento.
    Luca si ferma e smette di trascinare il bidone su ruote. Sa già di cosa parlerà il Barone, ma lo sta sempre ad ascoltare perché ogni volta c’è qualche particolare differente o qualche sfumatura nuova. È come vedere lo stesso film ma con qualche elemento in più o in meno; te ne accorgi solo alla fine.
    Luca non risponde e aspetta che il Barone vada avanti. Funziona così, ormai lo sa.
    — Devi stare attento perché loro sono già qui, mescolati alla gente.
    — Loro? — Luca conosce le sue battute.
    — Loro. Gli alieni. E io sono l’unico che li sa riconoscere.
    — Certo, lei è il Barone — risponde Luca.
    — Grazie, figliolo. Sai è un arte che ho raffinato con gli anni, il riconoscere gli alieni intendo. Sono difficili da individuare e ci vuole molto studio e moltissima esperienza. Bisogna stare attenti a tutti i particolari se non si vuole essere tratti in inganno.
    — I particolari, già.
    — Esatto — il Barone si interrompe e Luca lo fissa in attesa di un nuovo particolare, di qualcosa che non abbia sentito in precedenza. — Pensa che sono giunto alla conclusione, con i miei lunghi studi, che alcuni di loro non sappiano neppure di essere alieni e che si comportino da umani, anche se non lo sono, solo perché non conoscono altro comportamento.
    Luca si lascia sfuggire un mezzo sospiro; questa parte non è nuova, peccato.
    — Ma lei li sa riconoscere ugualmente?
    — Certo. Sanno mutare la loro forma e ingannare le persone comuni e anche loro stessi, ma non possono ingannare me. Nossignore.
    Luca si avvicina al cestino sette e fa un cenno.
    — Ah, scusami — dice il Barone spostandosi in modo che Luca possa cambiare il sacchetto.
    Ormai è passata l’ora di cena e i viaggiatori sono pochi. Una coppia di ragazzi, studenti universitari, quasi certamente di architettura a giudicare dal modellino in legno e cartone che si portano dietro, passa accanto ai due con espressione affranta. Forse l’esame è andato male. Quando vedono Luca e il Barone rimettono subito le cose in prospettiva e come per magia si sentono improvvisamente più importanti, come se il vedere qualcuno che ritengono stia peggio di loro li faccia sentire meglio. Il più alto dei due lancia un sorrisetto ironico. Non sa che il Barone una volta insegnava lettere antiche al Liceo Classico, prima che la sua vita si spezzasse il giorno in cui sua moglie e sua figlia ebbero un incidente. Una volta Luca lo ha anche sentito dare indicazioni in tedesco a un gruppetto di turisti che si era perso.
    — Ecco, prendi quei due — dice il Barone sottovoce, quando i due studenti sono ormai sulla banchina del binario numero cinque — Sembrano umani, ma non lo sono. Vedo la loro forma reale che si sovrappone a quella che vedi anche tu. È del tutto differente e combacia solo agli spigoli. Vengono da Cerere, ne sono sicuro.
    — Cerere?
    — Cerere, un asteroide nella fascia principale che è abbastanza grande da essere incluso dagli scienziati tra i pianeti nani, come Plutone.
    Luca ha finito di sostituire il sacchetto del cestino sette e stringe il cordoncino di quello vecchio prima di metterlo nel bidone. — Ma Plutone non era un pianeta?
    — Lo era, ma poi hanno deciso che era troppo piccolo. Non che i suoi abitanti siano d’accordo però. Pensa che subito dopo la decisione da parte degli astronomi terrestri il numero di plutoniani che ho visto passare è aumentata in maniera notevole, del 34% per la precisione. Credo che siano andati a protestare per il declassamento.
    Luca alza le spalle. —Non è servito a molto, allora.
    Il Barone scuote la testa. — Dato che li riconoscevo solo io, sarebbero dovuti venire a parlare con me — poi si passa una mano sulla barba e aggiunge — anche se io ho un’influenza limitata sugli astronomi.
    La coda che Luca vede da Marie, fatta di tre persone, è l’ultima della giornata. Una volta esaurita è normale che arrivi solo chi ha deciso di saltare la cena o di arrivare molto tardi a casa, tanto che di solito Marie non mette in forno più nulla. Un uomo con gli occhiali, la cravatta allentata e una valigetta da impiegato si guarda in giro mentre aspetta il suo turno, ma non sembra poi accorgersi di quando tocca a lui.
    — Domani prendo la valigetta, mamma. La prendo e me la porto in stazione, mamma — risuona nell’atrio deserto la voce di Luciano. L’uomo che è adesso una coda sobbalza e sposta la sua borsa sotto al braccio per proteggerla, guardando quasi minaccioso lo sconosciuto che sta parlando al cellulare. Quando ritiene che questo gli si avvicini troppo si sposta e si dirige velocemente verso il binario dove lo attende il suo treno.
    Luca ha finito con tutti i cestini e passa a spazzare le banchine dei binari. Quando sono passate le nove e mezzo della sera i treni in partenza diventano pochi e partono quasi vuoti; se non dovessero viaggiare fino alle estremità opposte della linea in modo da poter caricare i primi viaggiatori del mattino dopo, forse la maggior parte non partirebbe affatto. Solo che quella linea è fatta così, come un albero con il tronco che arriva alla stazione e tanti rami che si dividono verso nord, con i binari che trasportano gente ammassata in certi orari e tanti sedili vuoti in altri.
    Ormai parte un treno ogni mezz’ora. L’ultimo poco dopo la mezzanotte. Poi più nulla fino al mattino.
    Luca passa dalla banchina del binario numero uno a quella che serve il due e il tre, quando il treno è già partito, poi passa alla banchina successiva, dove il convoglio sta aspettando il suo orario per lasciare la stazione. Un signore annoiato lo guarda stando con le braccia sul finestrino abbassato; sta fumando anche se non dovrebbe dato che è già salito sul treno, ma non c’è nessun altro sulla carrozza e quindi si sente libero di poterlo fare. Luca potrebbe anche fargli osservare la cosa, ma sa anche che chi si comporta così di solito gli risponde rivolgendosi a lui con qualche parolaccia e quindi lascia perdere. Il capotreno sta parlando in cabina con il conducente ed è comunque lontano.
    Il semaforo in fondo alla banchina passa dal rosso al verde e il treno si avvia. L’uomo butta il mozzicone e poi chiude il finestrino; quello che resta della sigaretta ancora accesa cade a un metro da Luca, che la schiaccia con un piede e poi la butta nel bidone. Non era comunque abbastanza lunga per il Barone.
    Quando ha finito con i binari Luca torna in mezzo all’atrio e si guarda attorno. Ormai non ci sono più di quattro o cinque viaggiatori alla volta e chi arriva dalla metropolitana, se deve aspettare la partenza del suo treno, aspetta direttamente sulla carrozza.
    Al chiosco dei giornali il venditore sta finendo di preparare le rese della giornata controllando su di un foglio. Luca non lo conosce molto bene perché è uno nuovo, arrivato da poco, che non parla mai con chi sta in stazione e che vive il suo lavoro come una specie di purgatorio in attesa di qualcosa di meglio. Non come Luca che sa che qualcosa di meglio, comunque, non lo può trovare e che va avanti così, mese dopo mese e stipendio il primo venerdì del mese dopo il primo venerdì del mese. Ma a Luca piace quel lavoro di pulizia che non finisce mai, ma che si cerca di finire, con una impalpabile tensione continua.
    E poi ha i suoi amici.
    Il tabaccaio chiude il suo sportello e tira giù la serranda davanti ai pacchetti di sigarette impilati dietro al vetro come gli equilibristi del circo; poi se ne va. Mario non ha più nessuno a cui chiedere una moneta e il suo cane si sveglia dal torpore che lo aveva avvolto nell’ultima ora.
    Luca guarda verso la vetrinetta delle pizzette e vede Marie che gli fa il solito cenno. È l’ora in cui dà a tutti quello che avanza e quindi si avvicina.
    — Ciao Luca — gli dice con il suo accento esotico.
    — Ciao Marie.
    Lei riempie un sacchetto e glielo porge, poi ne riempie un altro. Luca li prende entrambi e la ringrazia. Qualche volta si ferma a chiacchierare con lei, ma Marie sembra sempre stanca e ha sempre poca voglia di parlare. Sa che abita con il padre e quello che resta dei suoi fratelli; il padre non ha più le gambe, che sono volate via quando le ha messe su una mina, dei fratelli non sa nulla, se non che una volta erano più di quelli che sono adesso.
    Uno dei due sacchetti è per Rudy.
    — Vado a prendere le pizzette, mamma. Mi piacciono le pizzette, mamma. Se vuoi le porto anche a te, mamma.
    La notte è tiepida, segno che ormai la primavera si è ben assestata. Rudy è seduto e guarda nel vuoto della piazza, seguendo con occhi spenti le macchine che passano e l’occasionale tram. Quella è una parte della città che serve solo da passaggio, che presenta solo uffici che si spengono alla sera, che non ha più locali aperti.
    La piazza della stazione già dorme. La piazza dei binari lo farà tra non molto.
    Quando Luca si avvicina è Nero a reagire. Alza il muso e fiuta l’aria, perché i cani sentono il cibo anche da lontano e meglio degli uomini. Rudy continua a non reagire e Luca lascia il sacchetto aperto in mezzo ai due. Sa che Nero prenderà solo la sua parte e lascerà il resto al suo amico. Qualche volta Rudy non ce la fa ad andare via e rimane lì per parte della notte, fino a quando non ha abbastanza forza per spostarsi e andare dove passa la notte, uno scantinato a qualche isolato di distanza che divide con altri che seguono la sua stessa vita.
    Poi Luca rientra e prende la prima pizzetta. È fredda, ma gli piace così.
    — Stasera sono al prosciutto, mamma. Sono pizzette con il prosciutto.
    Anche tutti gli altri adesso hanno un sacchetto; in un angolo c’è Mario che stacca il prosciutto e lo offre al suo bastardino, in mezzo all’atrio il Barone mastica di gusto e sbriciola sulla sua barba.
    Devono partire ancora due soli treni e il personale della stazione è ridotto. Anche i ferrovieri vanno a casa la sera e ne rimangono solo tre o quattro nella sala di controllo in cima alle scale, giusto per sorvegliare che tutto vada bene.
    La biglietteria è chiusa. Se a qualcuno serve il biglietto, c’è una macchina automatica che di solito non mangia le monete. Il chiosco dei giornali è chiuso. Il tabaccaio è chiuso. Marie sta pulendo le padelle per il giorno dopo e poi andrà a casa. Il suo titolare è passato a ritirare l’ultimo incasso un’ora fa e non tornerà più.
    C’è un solo viaggiatore nell’atrio adesso. Sta leggendo un libro stando seduto su una delle panchine di ferro che stanno sul bordo dell’atrio, quelle che sembrano progettate da un fachiro per gli altri fachiri del mondo. Luca si è sempre domandato perché siano così scomode finché il Barone non gli ha spiegato che sono fatte apposta così: in modo che la gente non si fermi troppo in stazione, ma in modo che vada altrove a perdere tempo. Eppure, sa Luca, nessuno dei suoi amici è lì a perdere tempo, fanno tutti quello che devono delle loro vite.
    Gli manca solo un ultimo lavoro: lavare il pavimento. Per fortuna ha una macchina apposta in cui mette l’acqua insaponata e che fa fatica al posto suo; anzi sembra quasi che sia lei a portarlo in giro. Se dovesse usare secchio e spazzolone il mattino dopo non riuscirebbe ad alzarsi dal letto per il male alla schiena. Naturalmente non lavare bene tutto l’atrio non è qualcosa che Luca farebbe. È per questo che si porta comunque dietro lo spazzolone, per pulire gli angoli dove la macchina non arriva.
    Quando passa accanto al Barone, che dopo le pizzette si sta concedendo un’altra sigaretta delle sue, si ferma un attimo. Ha visto che ha qualcosa da dire.
    — Non riesco a capire, Luca.
    — Che cosa non capisci?
    — Lo hai visto quello — e il Barone accenna al solitario viaggiatore che sta leggendo il suo libro.
    — Sì. Non mi pare di averlo mai visto prima.
    — Neppure io e — lascia la frase in sospeso, come se volesse dire altro ma non sapendo cosa.
    — Forse aspetta l’ultimo treno — Luca ha visto le luci del penultimo convoglio lasciarsi dietro il binario sette.
    — Non so.
    Luca passa con cura la macchina su una macchia del pavimento. Qualcuno ha rovesciato della Coca Cola mentre correva, ma la sua macchina sa affrontare ben altro e non si spaventa per così poco.
    — È forse uno di loro, Barone?
    Il Barone aspira il fumo della sigaretta e inclina la testa di lato. —Non riesco a capire. È raro che non riesca a capire. Non vedo un’altra forma, ma ha come qualcosa di strano. Forse viene da un pianeta che non conosco.
    — Una razza nuova? — domanda Luca.
    — Specie, non razza, semmai. Se fosse solo una razza nuova potrebbe unirsi agli umani e generare una prole feconda. Gli alieni sono tutti di specie diverse dalla nostra.
    Luca riprende a passare la macchina. — Forse è solo un umano come noi e come tutti gli altri viaggiatori.
    Ha quasi finito e sta lavando la zona vicino alle vetrate, quando vede che c’è qualcuno davanti a Rudy. Non capisce subito chi sia, anche perché nella piazza non lampeggia nessuna ambulanza, ma quando capisce Luca inizia ad agitarsi.
    — Non so se hai più pulci tu o il tuo amico, tossico di merda — dice uno. Sono in tre. Hanno la testa rasata e i giubbotti neri; gli stivali pesanti e lo sguardo di chi odia.
    — E a cosa ti servono questi? — dice un altro guardando in uno dei bicchieri di carta. —A farti?
    Rudy non risponde. Forse ha poca forza per farlo o forse ha ancora abbastanza lucidità per non farlo. Rimane seduto. Ma Nero, quando uno dei tre avvicina la mano al bicchiere, non lo fa. Si alza malfermo e ringhia, anche se quello che esce dalla sua bocca di cane e uno spasimo soffocato.
    — Che cazzo vuoi tu stronzo — gli dice uno dandogli un calcio. Nero uggiola mentre Rudy si alza con gli occhi snebbiati all’improvviso. Ma non può fare nulla, perché basta una spinta per ributtarlo a terra.
    Luca è congelato. Non sa cosa fare. Uscire? Scappare? Rimane immobile ed è lì che lo vedono i tre.
    — Ma c’è altra gente in ‘sto posto!
    La porta intelligente fa una stupidata, si apre quando il primo dei tre si avvicina e lo lascia entrare.
    — Allora? — chiede il rasato con la bocca tesa in aria di sfida.
    Luca fa un passo indietro, ma non fugge. Sa che se se fugge dovrà voltargli la schiena e sarà peggio. Vede il secondo dei rasati entrare nell’atrio e tirare fuori una bomboletta e poi anche il terzo, che punta il braccio oltre di lui.
    — Guarda, c’è anche una negra di merda.
    — Oh, ma che cazzo ci fai qui negra — aggiunge un altro — perché non te ne torni da dove sei venuta?
    I tre avanzano e superano Luca, e la sua macchina per lavare i pavimenti, come se non esistesse più. Hanno visto qualcosa che gli interessa.
    — Adesso ti aggiusto io e poi ti faccio tornare da dove sei venuta — dice uno dei tre mettendosi la mano sull’inguine e agitandola in modo osceno.
    Marie chiude il vetro dello sportello da cui passava le pizzette e rimane dentro il suo negozio. Ha lo sguardo terrorizzato, come se stesse vivendo di nuovo qualcosa che le è già successo.
    — Apri, apri o ti sfondo! — grida il primo, mentre il secondo inizia a disegnare delle linee incrociate con bomboletta che è di vernice nera, e il terzo da un calcio alla porta, che vibra ma non cede.
    — Chiamo la polizia, mamma. Chiamo la polizia adesso, mamma — dice Luciano in mezzo all’atrio.
    I tre si voltano e vedono uno che parla al cellulare. E gli basta.
    — Chi cazzo è che chiami tu, eh?
    — La polizia chiamo, mamma. La polizia.
    I tre gli corrono addosso e lo raggiungono. Uno gli strappa il cellulare e lo scaglia per terra, mentre un altro gli dà un pugno allo stomaco che lo costringe a piegarsi in due per il dolore. Il telefono sparge i suoi pezzi sul pavimento, Luciano ci cade sopra e si prende un calcio.
    — Tu non chiami nessuno, brutto stronzo!
    — Ehi. Lasciatelo stare — dice il Barone avvicinandosi con il passo deciso.
    — E tu che vuoi vecchio. Pensa ai cazzi tuoi.
    Il Barone dovrebbe forse rallentare e non lo fa, ma quando arriva davanti ai tre si ritrova circondato. Non fa neppure a tempo a minacciare che lo hanno già colpito e un rivolo rosso gli sgocciola dal naso sul vestito buono che possiede.
    — Che posto di merda!
    — Guarda un altro merdoso! — dice un altro, indicando Mario che li sta guardando senza abbassare gli occhi.
    — Che fai non scappi? — lo sfida quello con la bomboletta, che forse vorrebbe tornare indietro e disegnare una svastica direttamente sopra a Marie.
    Mario scuote la testa e se ne ritrova addosso uno che lo colpisce. Luca sente il suo bastardino abbaiare per la prima volta, anche se il guinzaglio rimane saldo nelle mani del suo padrone.
    — Meglio se scappavi! — dice uno dei tre mentre gli da un calcio nelle costole e prima di tornare dal Barone, che intanto si è rialzato e cerca di fermare il sangue.
    — Che cazzo ti rialzi tu?
    Il Barone è di nuovo a terra, ma prima che possa ricevere un altro calcio Luca ha in mano lo spazzolone e lo cala sulla nuca rasata. Il manico si spezza con uno schiocco e a Luca rimane in mano il pezzo troppo corto. Adesso uno dei tre si tiene la testa con le mani, ma gli altri due sono furibondi.
    — Che cazzo hai fatto, idiota!
    Uno ha tirato fuori un pezzo di catena, di quelle spesse per legare le bici. L’altro raccoglie il manico da terra e lo stringe con rabbia.
    — Ti ammazziamo a te, ti ammazziamo!
    Luca alza le braccia, ma la sua difesa cede subito e lui casca a terra. Sente il secondo e il terzo colpo, ma già il quarto gli sembra diverso e il quinto non sa più se è il quinto o il sesto. Non fa in tempo a percepire il dolore che ne sente di nuovo.
    Poi più nulla.
    Poi più nulla perché hanno smesso. Luca apre gli occhi e vede che i tre sono girati verso il viaggiatore solitario, che a quanto pare non ha preso l’ultimo treno della notte che secondo gli egiziani rossi è partito dieci minuti fa. I tre, compreso quello che si tiene una mano sulla testa, lo circondano e poi si fanno avanti.
    Luca socchiude gli occhi. Fa molta fatica a tenerli aperti, ma quando li riapre un paio di secondi più tardi vede che uno dei tre dalla testa rasata, quello con la catena, è a terra e che il viaggiatore lo ha colpito da lontano anche se non sembra avere nulla in mano.
    Deve chiudere ancora gli occhi, ma poi si sforza di riaprirli e fa in tempo a vedere come una frusta che esce dalla mano del viaggiatore e che sferza il viso del secondo assalitore. Il terzo si gira e scappa, ma poi cade con qualcosa che gli ha afferrato la caviglia e lo trascina via, anche se cerca di aggrapparsi al pavimento pulito.
    Non è una frusta, sembra fatta di carne, ma con una sfumatura verdastra.
    Luca chiude ancora gli occhi perché gli gira la testa. Quando li riapre di nuovo vede che tutti e tre sono a terra. Segni rossi sono apparsi sulle loro facce e sulle loro teste, come bolle. Si lamentano di dolore e si contorcono.
    Luca vede il viaggiatore che lo guarda, poi la frusta che appare e scatta verso di lui. D’istinto chiude gli occhi, ma la frusta non gli fa del male; lo solleva con dolcezza e lo mette a sedere.
    Luca riapre gli occhi. Il viaggiatore non c’è più e una sirena arriva in piazza. Anzi le sirene sono due, forse tre.
    I tre con la testa rasata non sono capaci di rialzarsi e continuano a lamentarsi. Marie sta fermando il sangue del Barone e Mario sta aiutando Luciano a rialzarsi. All’esterno si sente Nero che abbaia e la voce di Rudy che dice “Dentro, andate dentro!”
    C’è un’ora che è sempre più intensa di tutte le altre ore del pomeriggio. Forse è più intensa di tutte le altre ore dell’intera giornata. È l’ora in cui la gente prende il treno per tornare a casa. Questa volta non c’erano più treni, ma solo persone.
     
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  2. Daniele_QM
     
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    Indubbiamente la forza di questo racconto è nel finale. Tuttavia trovo che per arrivarci si passi attraverso una narrazione eccessivamente ricca di descrizioni e dettagli sulla vita in stazione che a tratti rende pesante la lettura. Do un tre sempre tenendo conto dei racconti che giudico migliori.
     
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  3. marramee
     
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    Ciao,
    racconto molto affascinante. Concordo che l'eccesso di particolari della prima parte mi è sembrato esagerato, ma raggiunge pienamente il suo scopo. Quando i personaggi della vicenda alla fine si trovano in pericolo, il lettore ormai li conosce bene, ha avuto modo di affezionarsi a loro, quindi partecipa pienamente agli avvenimenti. A titolo personale ed emotivo, l'ho trovato perfettamente riuscito, quindi metto quattro.
     
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  4. shivan01
     
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    io trovo che invece il punto di forza di questo racconto stia proprio nella veridicità, e nella limpidezza, delle immagini, spesso molto azzeccate come quella degli egiziani.
    Certo, è lungo, non si può dire di no, così come era ampiamente prevedibile che sarebbe successa una cosa del genere, alla fine. Non che il racconto potesse finire senza un movimento di qualche tipo, comunque.
    Ci sono parecchie ripetizioni, proprio tante. la maggior parte di esse ritengo sia voluta, ma altre no, e comunque, ripeto sono troppe.
    C'è qualche virgoletta e altre inezie qui e là da sistemare, come per esempio proporre due personaggi, uno che si chiama Mario e un'altro Marie. Si rischia di fare confusione

    Voto 4 per l'eccezionale efficacia delle descrizioni
     
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  5. domit
     
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    Sì e no.
    Nel senso che condivido quanto detto dagli altri. E' vero, quando arriviamo all'azione, tutta la lunga parte preparatoria ci consente di empatizzare immediatamente con i personaggi, e questo è bene. Ma il problema è che, in realtà, non credo si tratti di una parte preparatoria, ma del succo del racconto vero e proprio: la stazione e i suoi abianti, dove il finale appare più come un obbligo per giustificare il tutto.
    Si soffre, dopo un po', Alberta. :P
    Sarebbe un due e mezzo, ma, riconoscendo comunque una certa poesia di fondo, ecco che arrivo a tre.
     
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  6. VdB
     
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    Voto quattro.
    Voto pieno. Voce narrante davvero difficile da mantenere per la lunghezza del racconto, cosa non facile, l’ho trovata davvero particolare; l’ingenuità del personaggio si rispecchia nelle parole che descrivono le situazioni. È una prova maiuscola, che dubito altri possano replicare con la tua stessa scioltezza. Il merito che ti riconosco è il saper mantenere l’equilibrio appeso al filo di questa narrazione. Il limite lo riscontro nell’aver calcato troppo con le ripetizioni, forse qui potevi alleggerire perché il racconto di per sé richiede già una particolare attenzione nella lettura, la ripetitività a volte stanca... gli occhi.
    Ottima chiosa finale (nella mia interpretazione): se continuiamo di questo passo, l’unica specie che può salvarci, non sarà la nostra.
     
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  7. Munzic Reload
     
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    Secondo me manca un certo equilibrio nell'intreccio, nel senso che si sente troppo la necessità verso la fine di muovere la storia.
    E questo avviene troppo tardi, con una parte introduttiva troppo descrittiva che poteva funzionare su un racconto molto più lungo. Dove hai lo spazio per permetterti di introdurre i personaggi e poi far partire la storia. Ma che in un racconto così breve ti ha costretto a comprimere la vicenda, togliendo, secondo me, equilibrio al tutto.

    La prima parte, mi ha fatto storcere il naso per un primo momento. L'uso di una sintassi e di un ritmo narrativo elementare non mi hanno subito entusiasmato. Poi ho compreso che si adattavano bene agli occhi del protagonista che il narratore aveva scelto di seguire per raccontare la storia. E ho apprezzato di più il disegno che si stava componendo. E una volta abituato al ritmo lento si gode bene anche l'ambientazione della giornata che termina.
    Ecco, magari avresti potuto concludere la storia in una maniera più delicata, continuando con una parte descrittiva della giornata di Luca che si conclude lenta. Senza introdurre quella parte finale d'azione e fantascientifica che secondo me stona con il lavoro precedente.
    Parere molto personale chiaramente.

    Ti segnalo un'inezia:

    “Luca alza le spalle. —Non è servito a molto, allora.”
    Manca spazio dopo il trattino.


    Per me è un tre.


    N.B. Sarò fuori luogo, ma non mi importa. Voglio farti i complimenti per "Il cartografo". Finora uno dei racconti che mi è piaciuto di più di quelli letti in Archetipi!

    Ciao alberto a rileggerti presto. :)

    Edited by Munzic Reload - 18/2/2010, 00:16
     
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    Amante Galattico

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    Ringrazio tutti per la lettura.

    Segnalo solo che è vero che i personaggi prevalgono... il fatto è che sono personaggi in buona parte reali, visti con i miei occhi alla stazione di Cadorna di Milano. Ovvio che li ho "romanzati",. maesistono
     
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  9. Fini Tocchi Alati
     
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    Mi è piaciuto tantissimo!
    Sono d'accordo con Shivan che dice cha la forza del racconto sta nella prima, lunga parte descrittiva.
    Quando sono arrivato al finale, ho pensato che stavi un po' rovinando la storia per darle quell'azione che parrebbe mancare (di cui, tuttavia, non ho affatto sentito l'assenza.)
    Però, anche il finale è dipinto con mestria e, in fin dei conti, non mi è dispiaciuto.
    Certo c'è qualche ripetizione di troppo (che in alcuni casi, però, rende benissimo il PDV di Luca) e il racconto è molto lungo. Ma l'ho letto d'un fiato.
    Io dico 5 punto.
     
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  10. bravecharlie
     
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    anche questo racconto secondo me ha il preggio di inserire l'elemento fantastico nel contesto reale senza che si avverta lo scricchiolio della sospensione dell'incredulità, il che è sempre un bene. ci sono vari personaggi, ma a ognuno è concesso il giusto spazio, nessuno è una semplice comparsa. e anche questo va bene.
    lo stile, va bene anche quello, quindi voto 4 e con questo ho finito e vi faccio a tutti in bocca al lupo :)
     
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9 replies since 1/2/2010, 13:27   206 views
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