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Ciao a tutti, dopo qualche mese di inattività ritorno a USAM con un racconto appena sfornato. Buona lettura.
LA STORIA DI GIO'
Solo in questa condizione, ubriaco come mai prima d’ora, io che bevo di rado, riesco a confessare la vicenda che riguardò Gio’... il mio amico Gio’. Ho cercato di non ripercorrerla più da allora, perlomeno non a quel livello di coscienza che governa il nostro quotidiano, ma so che in fondo quella storia ha determinato gran parte della mia esistenza, tirando le redini che ogni uomo perbene - come io mi ritengo - lascia condurre dalla morale. È successo nel 1969. In quel periodo, in quegli anni, ci sentivamo particolarmente liberi di agire e di pensare, complice anche la nostra giovane età, ma non voglio riparami dietro una scusa così banale, quello che successe è unicamente di nostra responsabilità, anzi mia, perlopiù. Posso però dire che tutto accadde per gioco, uno di quelli che si fanno da ragazzi. La mia compagnia era solita frequentare i cinema durante le proiezioni di film horror, poi spesso ci trovavamo a discuterne le storie e a rivisitarne i particolari con un interesse che ora riconosco morboso. Non di rado sviluppavamo trame o finali alternativi prendendo spunto da ciò che avevamo visto e fu durante una di quelle sedute, che all’epoca definivamo “culturali”, che io iniziai a comporre non una favola, ma una vicenda che avremmo dovuto vivere e interpretare noi stessi. La mia colpa maggiore, ora capisco, fu che non esternai subito le idee che mi si stavano combinando, coinvolgendo i miei compagni interessati, ma volli elucubrare fin troppo nei dettagli l’intero disegno, fino al punto di decidere che uno di loro dovesse rimanere all’oscuro di alcuni, fondamentali, particolari. Eravamo sempre in sette a frequentare le proiezioni e a fantasticarne gli aspetti più spaventosi, tuttavia io decisi di coinvolgere solo altri due amici nella farsa che avevo ordito: Ricky (il più burlone) e Gio’ (il più fifone). Temevo che un numero maggiore di persone avrebbe tolto quel clima di brivido per quale andavamo matti, sostituendolo con una confortante ilarità - ahimé, se così fosse stato! Con gli altri, pensavo, in una delle successive sedute avremmo poi riso insieme di quanto sarebbe accaduto. Ne ero sicuro. Fu anche a seguito della decisione di rendere consapevole solo Ricky che io non ho mai scontato alcuna colpa; nemmeno lui, mio complice, dovette renderne conto alla legge... non a quella degli umani, perlomeno, visto che, poco tempo dopo i fatti che mi accingo a raccontare, un male se lo portò via in un lampo, lasciando me a crogiolarmi in una tortura terrena. Il progetto “Briscola al cimitero” piacque subito al mio amico avvezzo a far scherzi; dovemmo invece faticare non poco per convincere Gio’: gli esigui particolari rivelatigli non erano sufficienti a far prevalere la curiosità sul suo animo pusillanime, al punto che fummo costretti a scommettere con lui una piccola somma di denaro, sostenendo che non fosse nemmeno capace anche solo di presentarsi al cimitero a mezzanotte. Pungolando quindi la sua avarizia, qualità in lui assai più sviluppata della fifa, raggiungemmo il nostro scopo, sicuri che una volta al cancello anche Gio’ sarebbe stato della partita, come infatti fu. Il pomeriggio precedente l’incontro, sotto un sole incoraggiante, andai a predisporre quello che sarebbe stato il nostro tavolo da gioco, posizionando allo scopo niente meno che una bara, vicino a una fossa aperta. Noi tre ci saremmo seduti attorno, per terra, come ritenevo necessario, e ancora oggi sento l’umidità del terreno smosso percorrermi le viscere. Gio’ fu puntuale, alle ventiquattro era lì, ma ciò che ricordo con maggior chiarezza è la sua espressione di calma che per amor proprio aveva deciso di ostentare. Nemmeno al cospetto della postazione che avevo approntato - che invece Ricky già immaginava - si scompose più di tanto, limitandosi a sostenere l’inutilità di una faccenda del genere. Briscola era denari. La sera che avevo scelto sul calendario prevedeva una splendente luna piena, tuttavia il cielo a tratti era velato da nubi sottili che rendevano impegnativo riconoscere le figure. Ho però ben chiare le immagini dei denari stampati sulle carte che copiosi scivolarono fra le mie dita e che mi fecero vincere la prima partita con un vantaggio imbarazzante; effige degli stessi denari che convinsero Gio’ a raggiungerci al cimitero, e di quelli che lavorando ho inseguito per il resto della mia vita, ma che non ho più avuto la fortuna di racimolare in quantità superiore a quelli che mi consentissero di sopravvivere. Prima della seconda partita sostenni un impellente bisogno di far pipì e mi allontanai di qualche metro, mentre Ricky coinvolse l’attenzione dell’altro giocatore con un discorso qualunque. Dopo che ebbi camminato qualche passo, sgattaiolai all’interno della fossa alle spalle di Gio’ che avevamo fatto sedere in posizione strategica. Al suo interno avevo messo una corda elastica lunga circa due metri, fissata a un capo in un picchetto conficcato nel terreno e all’altro capo legata a un grosso amo da pesca per tonni, che abilmente puntai al soprabito di Gio’. Persi le partite seguenti senza aggiudicarmi nemmeno una mano, non mi era mai successo prima e supposi che quei due furbacchioni si fossero accordati per imbrogliarmi durante la mia breve assenza. Per vendicarmi rincarai la dose di quanto avevo già pianificato e prima di alzarci proposi di intavolare qualche storia di paura, visto che non poteva esserci luogo più adatto a far scorrere brividi di quello in cui ci trovavamo. Iniziai io e quel poco che dissi riguardo zombie e resurrezioni fu più che sufficiente per agitarci al punto di farci saltare in piedi e tentare di scappare, tanto che non sapevo più né quanto Ricky sostenesse il mio gioco fingendosi spaventato, né quanto io stesso fossi padrone di me. L’atto di fuggire da quel posto, insieme ai morti che nelle nostre fantasie ci avrebbero catturati, fu fatale per Gio’ che si sentì trascinare nella fossa, e quasi anche per noi che, tornati a soccorrerlo perché realmente caduto all’indietro dallo strappo, ci accorgemmo di quanto successo dall’espressione di strazio che l’infarto gli aveva congelato sul volto... il ritratto della tragedia più grande che mi sia mai capitato di vedere, ma che per bizzarria della sorte non riesco più a raffigurarmi né immaginarmi. Più ci penso, più sopra al collo del mio amico vedo una nebbia lattiginosa che mi incallisco a voler dipanare: una condanna perpetua alla sua ricerca, ma già so che mi sarà dato di rivederlo quando non potrò più esorcizzarlo da me.
Edited by Gordon Pym - 12/2/2010, 15:49
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