Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
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Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

24k e rotti

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  1. Fini Tocchi Alati
     
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    Direttamente dalla macelleria, tirato a lucido per una nuova macellazione...


    VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI



    Secondo lo storico Walter Goerlitz «Stalingrado fu la più grande disfatta che l'esercito tedesco abbia mai subito.»
    In realtà, la sacca di Stalingrado fu qualcosa di più: rappresentò l'inizio della fine della Seconda Guerra Mondiale.
    Tra l'estate del 1942 e il febbraio del 1943, l'Armata Rossa e le truppe dell'Asse furono impegnate in sanguinosi ed estenuanti scontri per il dominio della regione strategica che si estende tra il Don e il Volga, e per il controllo dell'importante centro politico ed economico di Stalingrado.
    Dopo un'iniziale fase favorevole all'esercito tedesco, in seguito ai decisi ordini diramati da Stalin (Non un passo indietro!) e a causa del rigido inverno sovietico che debilitò mentalmente e fisicamente i soldati della VI Armata, le sorti della battaglia si capovolsero.
    Sia i generali sul posto (anzitutto Friedrich Paulus, comandante della VI Armata), sia Kurt Zeitler (capo dell'OKH, l'Alto Comando dell'Esercito) fecero ripetute, enormi pressioni sul Füher affinché ordinasse la ritirata. Hitler, però, non ne volle sapere: per lui resistere a Stalingrado e conquistare la città che portava il nome del nemico, era una questione di prestigio personale e di propaganda militare. Nel suo Ordine tassativo, diramato alla VI Armata il 24 novembre 1942, fu scritto il destino di centinaia di migliaia di soldati. (Proibisco la resa. La sesta armata terrà le posizioni fino all'ultimo uomo e all'ultima cartuccia.)
    Il resto è storia.
    Il calcolo delle perdite umane dell'Asse risulta difficile.
    Solo dentro la sacca, si contarono centoquarantamila morti e centomila prigionieri. Appena seimila soldati tornarono in Germania, dopo la Guerra.
    A queste perdite, bisogna aggiungere quelle al di fuori della sacca e durante la fase iniziale dell'offensiva.
    In conclusione, l'Asse perse, complessivamente, oltre un milione e centomila soldati, di cui circa quattrocentomila prigionieri.
    Nel dicembre del 1942, i Russi avevano ormai in mano il conflitto e i tedeschi della VI Armata, continuavano un'inutile e disperata resistenza agli ordini di Paulus.
    Stanchi, sfiduciati, tormentati dal terribile inverno russo, i soldati scrivevano lettere a famigliari, amici, conoscenti...

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    Capitolo uno
    Lettere



    Stalingrado, 30 ottobre 1942
    Cara Greta,
    nell'ultima lettera ti scrissi che avrei avuto una piccola licenza per Natale. Oggi ti scrivo che di quella licenza non potrò godere: al fronte la situazione inizia a farsi difficile.
    Ma non bisogna disperare, moglie mia! Anzi, dobbiamo con forza credere in Dio e nel Füher. Un camerata ci ha riferito di aver udito con le sue stesse orecchie un messaggio di Hitler: ci incita a resistere con coraggio e a tenere alto il nome del Popolo tedesco. Qui, tutti abbiamo fiducia che, a breve, arriveranno truppe di rinforzo e potremo vincere la guerra.
    Come state voi tutti a casa? Sono cresciuti i bambini? Dì a Julian e a Elise che mi dispiace non poter essere con voi; dì che quando il papà tornerà, porterà loro tanti bei regali.
    Qui ho conosciuto un soldato italiano. Si chiama Giuseppe, è un poeta: siamo diventati subito amici. Ogni sera, prima di addormentarci, ci legge versi di poeti italiani. Il mio preferito è un certo Cesare Pavese, un giovane che Giuseppe ha conosciuto in Italia.
    Mi raccomando: pensatemi tutti a Natale, così mi sembrerà di essere lì con voi.
    Ti abbraccio forte.
    Da' un grosso bacio a quelle due pesti.
    Tuo, Klaas.
    P.s.: che mi regalerai per Natale?

    -----


    Berlino, 15 novembre 1942
    Klaas, marito mio,
    ho appreso con tristezza la notizia che non sarai qui con noi a Natale. È già il secondo Natale che siamo divisi: spero con forza che questa maledetta guerra avrà presto termine.
    Ciò che conta, però, è che tu stia bene: arriverà il momento di rincontrarsi e allora niente potrà più dividerci.
    I bambini stanno bene e chiedono sempre di te. Julian ha iniziato la scuola ed è molto studioso. Se vedessi come si applica, saresti un papà orgoglioso. La piccola Elise è una vera peste. È sempre di fuori a giocare, a correre, a sudare, col rischio di farsi male e di ammalarsi: mi chiedo proprio da chi abbia preso. Tu non ne sai niente, vero?
    È un peccato che tu non possa esserci a Natale! Avrei voluto darti il regalo che ho fatto con le mie mani. È un cappotto. L'ho quasi finito. Ho comprato la stoffa da Marius: mi ha assicurato che è la migliore sul mercato. È molto pesante e credo che potrebbe esserti utile, col freddo che fa lì in Russia. Non sai se posso inviartelo in qualche modo? Tempo fa mi dicesti di conoscere l'aviatore che consegna la posta. Potresti domandare a lui? Se ti arrivasse in tempo per Natale, sarebbe fantastico! Sarebbe davvero come averti un po' qui con noi.
    Ti stringo forte a me e a quest'abbraccio si uniscono anche Julian ed Elise.
    Tua, Greta.
    P.s.: E tu? Cosa mi hai regalato?

    -----


    Stalingrado, 1° dicembre 1942
    La situazione è precipitata.
    Mi dispiace dirtelo tanto brutalmente, ma è meglio che tu sappia la verità. L'esercito russo ha sfondato la nostra linea difensiva. I rapporti con la base si sono fatti radi e i viveri iniziano a scarseggiare. Il Volga e il Don sono congelati e i rifornimenti non arrivano. Quel che è peggio, l'inverno ci ha colti alla sprovvista: è molto più rigido di quanto potessimo aspettarci. Inizia a diffondersi il timore che l'inverno facesse parte della strategia russa sin dall'inizio.
    Ho parlato con Helmut. È un vero amico! Mi ha detto che puoi certamente dargli il cappotto: provvederà lui stesso a consegnarmelo. Anzi, ti prego di mandarlo al più presto: mi sarà utile contro il freddo. Ti chiedo, inoltre, una cosa: prima di inviarmi il cappotto, indossalo. Indossalo per tutto il tempo che ti è possibile. Voglio che sulla stoffa rimanga impresso il tuo odore. Quando lo metterò, avrò la sensazione di essere tra le tue braccia.
    Le ultime direttive dello Stato maggiore sono state chiare: bisogna resistere. Hitler vuole a tutti i costi Stalingrado. Molti camerata hanno ancora fiducia in lui: dicono che verrà a salvarci.
    Tu non smettere di pregare per me, moglie mia. Vedrai che presto ci rivedremo.
    Abbraccia forte i bambini.

    -----


    Berlino, 15 dicembre 1942
    Mio dolcissimo sposo,
    quello che dici nella tua ultima lettera è terribile. Da quando l'ho letta, vivo in uno stato di angoscia: come vorrei che tu fossi qui con noi! Non c'è giorno che io e i bambini non preghiamo per te. Se c'è un Dio, ti riporterà da noi sano e salvo.
    Il cappotto è finito. Dovresti averlo ricevuto con questa lettera. Ho già parlato con Helmut: mi ha assicurato che te lo consegnerà personalmente. È una brava persona e un buon amico per te. Ho fiducia in lui.
    Ho fatto come hai detto tu; ho indossato il cappotto e lo stringo come se dovessi stringerti a me. Anche ora che sto scrivendo, lo indosso. Lo toglierò solo per darlo a Helmut.
    Con amore, per sempre tua sposa, Greta.

    -----


    Berlino, 15 gennaio 1943
    Klaas, che succede?
    È un mese che non ho più tue notizie. Sono andata al Comando Generale, ma sono stati molto evasivi: mi hanno assicurato che Stalingrado non è ancora caduta ma che non possono darmi notizie su singoli soldati.
    Senza le tue lettere, mi sembra di impazzire. Ho bisogno di te, i bambini hanno bisogno di te.
    La notte di Natale ti ho sognato. Indossavi il cappotto che ti ho mandato e stavi bene. Eri a casa con noi per festeggiare, i bambini giocavano e abbiamo parlato tanto. Non ricordo bene cosa ci siamo detti. Ricordo che tu eri qui e ripetevi i versi di una poesia, ma io, tutta presa dai preparativi della cena, non ti ascoltavo. Poi sono arrivati dei soldati, tuoi camerata hai detto, e sei andato via con loro.
    Ti prego, ti prego: torna a casa! Tutti qui ti aspettano: Julian ed Elise vogliono il loro papà, io voglio il mio sposo.
    Non farci attendere troppo.
    Ti amo tanto, Greta.


    -----




    Stalingrado, Vigilia di Natale del 1942.
    Le truppe tedesche della VI Armata si apprestavano a trascorrere un altro Natale lontano da casa.
    Le notizie di un'avanzata dell'esercito sovietico si rivelarono del tutto fondate e ormai non si attendeva altro che l'offensiva finale dei russi.
    Il rigido inverno aveva fiaccato la resistenza dei tedeschi. Il Don e il Volga, del tutto ghiacciati, impedivano i rifornimenti di viveri e carburante.
    La città, ammantata di neve, sembrava un presepe: immobili come statuine, decine e decine di cadaveri giacevano per la via.
    Ovunque, nelle strade principali ma anche nei vicoli e nei cortili, ardevano deboli focolai: tutto quello che poteva essere bruciato veniva dato alle fiamme. Anche i cadaveri.
    I soldati tedeschi morivano di freddo e di fame: i cadaveri venivano bruciati oppure divorati da topi e cani.
    Nonostante l'orrore e la disperazione, diversi soldati si apprestavano a trascorrere la vigilia di Natale. C'era chi tentava di addobbare abeti rinsecchiti con moccoli di candela; chi cercava di rimediare la cena rubando qua e là del rum, del prosciutto e della gelatina, o preparando frittelle con farina, acqua e sale; chi leggeva il vangelo ai compagni e dava poi loro del pane nero e secco, come fosse il corpo del Cristo; chi scriveva l'ultima lettera al padre, alla moglie, all'amante.



    Capitolo due
    Rondini d'inverno



    Il buio, a lume di candela, si fa meno denso: si riesce quasi a sopportare. Gocce gelate di sudore solcano la fronte del soldato Klaas e a lui viene spontaneo con un dito accoglierne una come fosse una coccinella e, quasi per scaramanzia, assaggiarne il sapore amaro, acidulo.
    Klaas sta scrivendo una lettera alla sua Greta e sa che sarà l'ultima. Di tanto in tanto, si ferma e piega la testa contro il risvolto del cappotto, chiude gli occhi, ne annusa l'odore e gli sembra che Greta sia lì ad abbracciarlo. Apre gli occhi e si accorge che uno dei quattro bottoni si è allentato. Lo strappa delicatamente e lo mette in tasca, poi alza il bavero perché sente un brivido di freddo percorrergli la schiena fino al collo.
    Poco distante da lui, seduto con le gambe distese sul davanzale della finestra e lo sguardo a scrutare la notte che rifulge del bianco della neve, Giuseppe è intento a leggere una poesia.
    «Ascolta» dice a Klaas. «”Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo”.»
    «L'hai scritta tu?» chiede Klaas.
    «No. È di quel mio amico» risponde Giuseppe che poi aggiunge: «Chissà dove si trova ora?»
    Già, pensa Klaas, chissà dove si trovano gli altri ora. E chissà dove sono Greta, Julian ed Elise.
    Beve un sorso d'acqua, quindi riprende a scrivere.
    «È per Greta?» chiede Giuseppe.
    «Sì» risponde Klaas. «Helmut mi ha detto che farà ancora un viaggio subito dopo Natale. Poi, non ce ne saranno più.»
    Giuseppe rimane qualche secondo in silenzio, come se si figurasse in testa il viaggio che l'aereo dovrà compiere da Stalingrado a Berlino. Poi, dice: «Ed è tutto qui?»
    «Tutto qui, cosa?»
    «La tua voglia di tornare a casa.»
    «E cosa dovrei fare?, sentiamo» balbetta Klaas. La sua voce trema e tradisce tutta la tensione di quella maledetta guerra.
    «Non so» risponde Giuseppe che torna a guardare la notte.
    Klaas si alza, va verso l'amico e lo afferra con violenza alla giacca.
    «Sentiamo, forza: cosa dovrei fare?» urla. «Dovrei starmene tutto il tempo a guardare fuori dandomi arie da intellettuale come fai tu, poeta da strapazzo?»
    Si pente subito di quello che ha detto. Lascia la presa e torna a sedersi.
    «Scusa, non volevo...»
    Il silenzio è rotto solo dal sibilo del vento, che penetra nella stanza attraverso uno squarcio della porta, e dal crepitio del fuoco che arde in un camino improvvisato.
    «Sai che ti dico?» fa Giuseppe all'improvviso. «Hai ragione: non ha alcun senso starsene qui.»
    «E cosa vorresti fare?» chiede Klaas senza guardarlo.
    «Andarmene, per esempio.»
    «Andartene? E dove?»
    «In Italia, a casa mia.»
    «Il freddo ti ha dato alla testa.»
    Come se non avesse sentito le ultime parole di Klaas, Giuseppe mette in un fagotto le poche cose che ha dietro e fa per uscire.
    «Dove vai?» chiede incredulo Klaas.
    «Te l'ho detto: me ne vado a casa.»
    «Ma allora sei impazzito sul serio! Non senti che freddo fa lì fuori?»
    «Tra poco non avremo altro da bruciare e anche qui dentro non sarà molto piacevole.»
    «Ci sono centinaia di chilometri da percorre. Non ce la farai mai! Morirai di fame, di freddo, di stanchezza.»
    «Almeno morirò perché l'ho voluto io.»
    «Ma se anche riuscissi a scappare, saresti un disertore. Ti fucileranno.»
    «Non mi troveranno.» Detto questo, Giuseppe esce dalla stanza.
    Klaas rimane come stordito dalla decisione dell'amico: fa sul serio, vuole davvero andarsene da quell'inferno.
    Guarda per un attimo la lettera che sta scrivendo, quindi si rannicchia su se stesso, stringe forte il cappotto e ancora una volta gli sembra che Greta sia lì con lui. La vede e gli pare che lo chiami e gli chieda di tornare al più presto.
    Prende allora la lettera e corre per raggiungere l'amico che lo sta aspettando per strada.
    «Sapevo che saresti venuto» dice Giuseppe.
    «Brutto figlio di un bastardo italiano» fa Klaas e i due ridono e si abbracciano.
    «Come pensi di fare?»
    «Per prima cosa, dobbiamo rubare un po' di viveri. Poi, bisogna raggiungere la zona ovest della città. Da lì si estende un piccolo bosco, al di là del Don. Se riusciamo a superarlo, non ci troveranno più.»
    Si recano in cucina dove ci sono un paio di soldati che russano. Prendono quanta gelatina e prosciutto e carne in scatola possono portare, quindi si incamminano per le strade di Stalingrado. Prima, però, passano da Helmut e Klaas gli dà la lettera da consegnare a Greta.
    Le vie sono deserte. È vigilia di Natale anche a Stalingrado.
    Ha ripreso a nevicare e i due soldati marciano a passo spedito avvolti nei mantelli, preceduti solo dalle nuvolette di vapore che escono dalle loro bocche e paiono congelare all'istante.
    In pochi minuti, sono fuori dalla città.
    Al di là del fiume ghiacciato, il bosco già si mostra.
    Nel buio della notte rischiarata dal chiarore della neve, il bosco è un fantasma. I suoi possenti larici si proiettano verso il cielo come tante frecce piantate nella neve e puntate contro le stelle. I rami spogli li rassomigliano a scheletri, il vento li scuote e la foresta sembra animata.
    «Dobbiamo sbrigarci. Bisogna attraversare il bosco prima che venga l'alba» dice Giuseppe.
    «Con il giorno, questi alberi così spogli non riusciranno a nasconderci a lungo» nota Klaas quasi a completare il pensiero dell'amico.
    I due amici iniziano a correre.
    I piedi affondano decisi nella neve, le braccia riparano i volti, le mani spostano rami e tracciano la via da seguire, i respiri si fanno affannati, il fiato si gela in gola.
    I due uomini obbligano le gambe, debilitate da mesi di stenti, a scattare, a saltare, a forzare l'andatura.
    Ogni tre quattrocento metri, Klaas si guarda indietro per accertarsi di non essere seguiti.
    D'un tratto, avverte un forte sibilo.
    «Ferma!» grida Giuseppe.
    I due soldati arrestano la corsa e rimangono immobili, sforzandosi di trattenere il respiro. Si guardano attorno ma vedono solo alberi e rami e neve. Allora, alzano la testa verso il cielo. Confusi coi fiocchi di neve che cadono sul viso, intravedono una decina di aerei. Sulla fusoliera, compare la scritta in caratteri cirillici: “Per L'Unione Sovietica”. Sono Polikarpov. Hanno iniziato l'offensiva finale su Stalingrado.
    Tremende esplosioni si levano al cielo e per un attimo è giorno. Dopo un primo raid, gli aerei virano su se stessi come uno stormo di rondini e la squadriglia torna indietro. Sganciano altre bombe e alcune raggiungono il bosco forse per distruggere ogni possibilità di fuga ai Tedeschi.
    Giuseppe viene spazzato via dall'esplosione, mentre Klaas, che si trovava un po' più riparato dietro un larice, è scaraventato a terra, a decine di metri di distanza.
    Quando si sveglia, non v'è già più traccia della guerra.
    È sempre notte e il silenzio ancora una volta è rotto solo dal sibilo ghiacciato del vento. Fa freddo, ma perlomeno, grazie al freddo, l'uomo non avverte il dolore delle gambe che gli sono state tranciate.
    Si guarda attorno, senza riuscire a trovare l'amico. Prova a chiamarlo, ma le parole gli si gelano in gola.
    Allora, si stringe al cappotto che gli è rimasto addosso miracolosamente integro. Annusa le maniche, il bavero, le tasche e sente forte l'odore della sua donna. Capisce che non c'è più nulla da fare e la mente vola a Greta e ai suoi due bambini.
    Quindi, chiude gli occhi e si addormenta.



    Capitolo tre
    Verrà la morte e avrà i tuoi occhi



    Berlino, Vigilia di Natale del 1942.
    Bussano alla porta.
    Greta va di corsa ad aprire, ma è solo Anne che le porta gli auguri di Natale e un sacchetto di patate.
    Buone da mettere sotto la cenere e attendere la nascita di Gesù.
    Greta guarda preoccupata l'orologio.
    Non farà tardi anche stasera?, pensa. «Bambini! Scendete, è quasi pronto».
    Due frugoletti si mettono a correre per le scale.
    «Tatatà!» Julian ha in mano un fucile giocattolo e insegue la sorella che strilla e cerca riparo dietro i mobili.
    «Julian! Lascia in pace tua sorella» dice Greta.
    «Uffa!» biascica Julian.
    Bussano ancora.
    «Ah, finalmente! Deve essere vostro padre. Andate ad aprire.»
    «Papà! Papà! È arrivato papà!» Aprono e Klaas entra in casa.
    Prende in braccio la piccola Elise e accarezza la testa di Julian, quindi si avvicina a Greta e la bacia.
    «Non hai visto che ore sono?» lo rimprovera la moglie. «Su, sedete che tra un po' si cena.»
    Klaas si siede e si guarda attorno.
    «Non ti togli il cappotto?» chiede Greta.
    «No, ecco... io... voglio tenerlo addosso. Sento un po' freddo» risponde Klaas, col timore che, togliendosi il cappotto, la casa e Greta e i bambini possano svanire.
    L'uomo continua a guardarsi attorno. È stordito: tutto gli pare così familiare, ma anche così distante.
    Prende carta e penna e comincia a scrivere.
    «Che scrivi?» chiede Greta.
    «Una filastrocca. Me l'ha insegnata Giuseppe.»
    «Leggi.»
    «"C'è un mietitore, si chiama Morte. Iddio l'ha fatto potente e forte, ecco la falce si mette ad arrotare, così potrà assai meglio tagliare. Presto fra noi verrà per falciare e noi lo dobbiamo sopportare."»
    «Uh, che angoscia! Non puoi scrivere qualcosa di divertente? Su, prepara il tavolo che è ora di cena.»
    «Le mani sono andate, lo sai. Già dall'inizio di dicembre. Alla sinistra manca il mignolo, ma, quel che è peggio, alla destra si sono congelate le tre dita di mezzo. Posso afferrare il bicchiere solo con il pollice e il mignolo. A stento riesco ancora a scrivere con la sinistra. Però, posso sparare.»
    «Fai quello che puoi.»
    Klaas si alza e inizia ad apparecchiare.
    Da lontano si odono, fiochi, i rumori di un bombardamento. L'uomo rimane un po' in silenzio ad ascoltare, quindi si avvicina a Greta e le chiede: «Sai cosa succederà?»
    «Cosa?»
    «Verrà la Morte.»
    «La morte?»
    «Sì, verrà la Morte e avrà i tuoi occhi.»
    Greta sorride: forse crede che il marito abbia voglia di scherzare.
    «Impossibile» dice. L'espressione seria di Klaas le fa spegnere il sorriso sulle belle labbra.
    «E perché?» chiede Klaas.
    «Anzitutto la morte non esiste» risponde Greta.
    «Non esiste?»
    «E poi, anche se esistesse, la morte non avrebbe occhi.»
    «Ma se la Morte non ha occhi... allora come fa quando ci deve trovare?» chiede perplesso Klaas.
    «Come? Ma se ti ho detto che la morte non esiste.»
    «Sì, ma se esistesse? Come farebbe a trovarci senza occhi?»
    «Uhm... dall'odore» risponde Greta.
    «Così, la Morte riesce a trovarci con il naso...»
    «Sì. Uhm... certo "Verrà la Morte e avrà il tuo naso" non è per niente romantico.»
    «È quello che dico anch'io.»
    «Vabbè, tanto la morte non esiste.»
    «Se lo dici tu...»
    «Su chiama i bambini che è quasi pronto» conclude Greta.
    «Julian! Elise! Venite!»
    I bambini hanno ripreso a giocare alla guerra. Julian insegue la piccoletta e insieme fanno un gran baccano.
    «Tatatà, c'è un mietitore, si chiama Morte. Iddio l'ha fatto potente e forte, tatatà.»
    «Mamma! Jualian mi vuole uccidere» grida Elise.
    «Oh, anche voi con questa filastrocca!» esclama esasperata la madre. «Diglielo tu, caro, che la morte non esiste.»
    «La Morte non esiste» dice Klaas.
    «Visto? E poi, anche la guerra non esiste. Su, state qui che è quasi pronto.»
    Klaas si avvicina alla donna e le chiede: «Perché dici che la guerra non esiste? Sai che non è vero.»
    «Ti ricordi del compleanno di Elise? Non fare come al solito che arrivi tardi» lo rimprovera la donna.
    «Io l'ho vista la guerra. E ho visto anche la Morte.»
    «C'è un mietitore, si chiama Morte. Iddio l'ha fatto potente e forte.» Julian riprende a recitare la filastrocca mentre Elise continua a simulare il rumore delle mitragliatrici: «Tatatà.»
    «Bisogna andare in pasticceria e ordinare la torta» dice Greta. «Su, togli il cappotto: non senti caldo?» aggiunge.
    «Anche se ero lontano, questo cappotto mi riportava a te: ero felice e ti pensavo, verrà la morte e avrà i tuoi occhi» fa Klaas.
    «Tatatà. Ti ho preso, ti ho preso!» urla Julian.
    «No, non è vero, non è vero, tatatà!» ribatte Elise.
    «Niente panna, per carità, niente panna» dice Greta che poi aggiunge: «Hai già comprato il regalo?»
    Klaas allora l'afferra con violenza per le spalle e la scuote.
    «Cosa stai dicendo? Cosa? Non capisco cosa stai dicendo... Mi stai ascoltando?»
    Greta, finalmente, sembra accorgersi delle mani dell'uomo.
    «Klaas, le tue mani! Guarda le tue mani! Non hai più le dita.»
    Klaas sorride e abbraccia Greta che ora sembra terrorizzata.
    «Sì, le mie mani. Hai capito, finalmente? Le mie mani sono andate.»
    «Le tue mani... sono andate? Che significa?»
    «Non preoccuparti, cara. Va tutto bene.»
    I rumori dei bombardamenti continuano senza tregua: ora sembra stiano bombardando la casa.
    «Cosa sono questi rumori?, non capisco. Ho paura. Bambini! Venite qui» urla Greta terrorizzata.
    «Non preoccuparti, ci sono io» la rassicura Klaas che la stringe forte a sé, come a Stalingrado stringeva quel cappotto che ancora ha indosso.
    «Oh, Klaas! Se solo avessi saputo...»
    «Qui intorno, tutto è distruzione, la Morte ci guarda, ci annusa e ci bacia, e tuttavia io e te siamo qui, insieme, e nessuno può impedircelo» sussurra Klaas baciando la donna.
    «Ma adesso che so, non ti lascerò andare via. Rimarrò sempre con te» dice Greta piangendo.
    «C'è un mietitore, si chiama Morte. Iddio l'ha fatto potente e forte. Avrei voluto stare con voi ancora per un po'. Ma di questo, ormai, non ne sarà più nulla.»
    Alla porta bussano e Klaas va ad aprire. È Giuseppe: sulla soglia, attende che l'amico si unisca a lui. Klaas lo guarda, quindi guarda Greta.
    «Di questo, non ne sarà più nulla.» Detto questo, va dal compagno che gli porge l'equipaggiamento
    «Che succede? Dove vai?» chiede Greta con le lacrime agli occhi.
    «Te l'ho detto: è venuta la Morte e aveva i tuoi occhi» risponde Klaas che dà un ultimo tenero sguardo alla moglie e ai bambini e quindi chiude la porta dietro di sé.
    Greta rimane per qualche attimo immobile a piangere. Poi, d'un tratto, si asciuga le lacrime e, rivolgendosi ai bambini, dice: «Bambini! A tavola, è pronto!».
    Julian ed Elise siedono a tavola con la madre e iniziano a mangiare. Dopo qualche attimo, mentre tutti parlano e ridono, Greta con un soffio spegne la candela sulla tavola e si fa buio.

    ----




    Stalingrado, 24 dicembre 1942
    Sposa mia, amante mia, amica mia,
    ci siamo.
    Devi essere forte, devi esserlo per te e per i bambini: io non tornerò.
    Siamo allo stremo delle forze e i Russi stanno per attaccare. Questa stupida guerra sta per finire e questo è tutto.
    Di noi, non ne sarà più nulla.
    Giuseppe è qui con me. Mi ha appena letto una poesia: s'intitola "Verrà la Morte e avrà i tuoi occhi".
    Sentirla recitare mi ha commosso.
    Scusa la calligrafia, ma sono costretto a scrivere con la sinistra. Le mani sono andate. Già dall'inizio di dicembre. Alla sinistra manca il mignolo, ma, quel che è peggio, alla destra si sono congelate le tre dita di mezzo. L'unica cosa che ancora posso fare è sparare. Ma ho deciso che non lo farò più.
    Abbraccio il cappotto e sento il tuo odore. Sto per morire, ma questo cappotto mi dà forza: ho la sensazione che, prima di morire, in qualche modo riuscirò a vederti un'ultima volta.
    Sta per arrivare la Morte e spero che abbia i tuoi occhi perché vorrà dire che sarò morto guardandoti.
    Stringi forte per me Julian ed Elise. Dì loro che il papà non ha avuto paura di morire perché voi tutti eravate con lui.
    Vi amerò sempre, vostro Klaas.
     
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