Nel labirinto
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Nel labirinto

di Alberto Priora - fantasy - 18.000 car

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    NEL LABIRINTO


    SPOILER (click to view)
    direttamente dalla Royal Rumble, un racconto che ho considerato per il Circo Massimo, ma che poi ha perso nella mia selezione interna


    — Li senti i lupi? — domanda Elisabetta mentre si affretta a sbarrare la porta.
    Ruggiero alza le spalle. Li ha sentiti, ma non ritiene possibile che i lupi, quelli a quattro zampe, possano minacciare un paese intero, girare per le sue strade fino a entrare nelle case. Anche se ridotti alla fame non lo farebbero mai, non avrebbero il coraggio di affrontare il fuoco dell’uomo. Quelli di cui bisogna aver paura, invece, sono i lupi a due zampe. Quelli non perdonano e non sembrano aver paura di nulla.
    Elisabetta sospira, scocciata dal silenzio del marito, e sbircia dalla finestra. Ma di fronte alla sua casa, dall’altro lato di una via piena di fango, ci sono solo altre case. Le colline e i boschi sono più lontani, celati alla vista e avvolti dal tepore della notte estiva.
    — Sei ubriaco? — chiede la donna con un tremito nella voce.
    Ruggiero non risponde neppure questa volta, ma la domanda gli rode le interiora bruciate dal vino. Perché sì, ha bevuto parecchio, ma non è ubriaco. Lui non vuole essere più ubriaco dopo quello che è successo, dopo che le conseguenze del suo vizio hanno deciso di vivere con lui per il resto della sua vita. Già, per il resto della sua vita, perché non può sperare che sua figlia trovi marito e se ne vada di casa. E poi le parole di Padre Bernardo lo tormentano di continuo: “È la tua colpa, Ruggiero; la punizione dei tuoi peccati. Accettala o il tuo destino sarà l’Inferno! Accettala perché neppure Papa Alessandro, Papa Borgia, potrebbe sollevartene!”
    — No, non sono ubriaco — risponde. — Sono stato alla taverna, ma non sono ubriaco.
    Elisabetta lo guarda mentre lui si getta sul mucchio di paglia che sta nell’angolo della stanza e si tira addosso la coperta. Anche se non l’ha più toccata dalla nascita di Gemma, anche se non l’ha più neppure sfiorata, ricorda bene il suo fiato malsano, la sua furia malata, il modo violento in cui la prendeva quasi tutte le sere. Lui si sente in colpa per quello che è successo e lei non può che averne pietà. Il perdono, invece, è affare di Dio.
    Elisabetta sente ancora i lupi, ma abbassa la testa e si dirige nella stanza accanto, nel letto che divide con la loro unica figlia.

    Il sole è alto nel cielo, e l’aria calda fa scorrere il sudore sopra e sotto i vestiti e sembra trasportare le voci ancora più lontano. Oggi è giorno di festa e il paese ne sembra avvolto; tutti hanno tirato fuori gli abiti migliori per il matrimonio celebrato a mezzogiorno e fanno a gara per vedere gli sposi e per farsi notare da loro. Lui e lei sono giovani e belli, eleganti nei loro vestiti di nozze, splendidi nel loro candore.
    Anche Gemma vuole vedere e per questo cerca inutilmente di alzarsi sulle punte e guardare oltre le teste che li nascondono; ma non può, non è abbastanza alta. Allora si sposta verso una scalinata e inizia a risalirla con fatica, un gradino alla volta.
    — Che ci fai qui? — domanda Niccolò, uno dei ragazzotti del paese quando se la vede passare accanto. Gli altri ridacchiano, ma fanno anche i consueti gesti di ribrezzo, quelli a cui Gemma cerca sempre di non prestare attenzione.
    — Voglio vederli.
    — E allora? Anche se li vedi, che cambia.
    — Sono belli.
    Il ragazzo rovescia la testa in una risata e scende dal parapetto su cui stava seduto. —Sì, loro sì. E allora? Vorresti forse assomigliare a loro?
    Gemma non risponde.
    — Forse vuole fingere di essere lei la sposa — esclama una delle bambine.
    Tutto il gruppo rimane per un momento in silenzio e poi scoppia a ridere, ma le loro risa sono coperte dal mormorio della folla, che si interessa solo agli sposi. In quel giorno gli adulti sono più tesi a fare baldoria e non badano certo a quello che fanno i ragazzi del paese.
    — E così vorresti essere la sposa. Avere quel bell’abito da sfoggiare e farti ammirare da tutti. Magari farti notare da un ricco principe.
    Altre risate. Gemma abbassa gli occhi verso terra; vorrebbe scappare, ma uno dei ragazzi le blocca la strada. Non è la prima volta che la prendono in giro in questo modo. Lei si sente morire dai loro sberleffi, ma sa anche che si stuferanno presto e lei potrà tornare a casa da sua madre.
    Ma Niccolò guarda ancora gli sposi e poi dice: — Io so dove si trova un vestito come quello, un vestito che potresti avere e indossare.
    Gli altri lo guardano straniti, e Gemma fa segno di non capire.
    — Lo vuoi? È la che ti aspetta — allarga le braccia e si rivolge ai compagni e alle compagne. — Non è vero che è là che la aspetta?
    Gli altri non hanno ancora capito, ma Niccolò è una specie di capobanda, e allora fanno sì con la testa e pregustano lo scherzo che faranno al mostro.

    Gemma ha tredici anni ed è nata così. Un parto lungo e difficile, fatto di dolore e di urla; terminato con un timido vagito e l’urlo della madre nel vedere quella creatura piccola e deforme, con la faccia così storta, le ossa piegate e la gobba. Tutti pensavano che sarebbe morta, perché la natura non permette di vivere a chi è nato così, ma Gemma non è morta, anzi è cresciuta vagando nelle vie del paese, guardata con sospetto da tutti, tenuta in disparte, presa in giro in ogni occasione. Eppure dietro quel viso che sembra visto attraverso uno specchio d’acqua, tanto è distorto, c’è una mente acuta e attenta ai particolari, che imparerebbe volentieri tante cose, se solo ci fosse qualcuno a insegnargliele.
    — Fiat voluntas Dei! — dice sempre Padre Bernardo quando passa in paese, rispondendo così a ogni domanda che riguarda Gemma. Se Dio vuole che viva, allora è così che deve essere. Ma la vita di un nano deforme è una vita dura, forgiata tra scherzi e derisioni. Anche adesso, che il gruppo dei ragazzi e ragazze del paese l’ha portata ai margini del bosco prima attirandola con il suo segreto desiderio di bellezza e poi costringendola quasi a forza.
    Niccolò ha lasciato il gruppo per pochi minuti e poi è tornato con il bel vestito delle feste che apparteneva a sua sorella, morta sei mesi prima. È bianco e cremisi, con ricami sui bordi fatti di filo argentato e un merletto intorno al collo.
    — Eccolo. Lo vuoi?
    Quando Gemma vede il vestito sente come un tuffo al cuore. I suoi genitori non penserebbero mai di farle fare un abito del genere, sa come la guardino ogni giorno con occhi addolorati, sa come sua madre non abbia potuto avere altri figli dopo di lei e di come suo padre stia lontano il più possibile. Ma adesso quella cosa splendida è lì, a portata di mano. Potrebbe essere sua.
    Il ghigno sulle labbra del ragazzo le entra negli occhi. Un sorriso maligno, come quello del serpente delle scritture.
    — No, no — balbetta Gemma facendo un passo indietro.
    — Come no. Non lo volevi? Non volevi sentirti bella?
    I ragazzi si stringono attorno a lei. Gemma prova a uscire da quel cerchio, ma loro la urtano, la spingono, non la fanno andare via.
    — Avanti mettilo — la incalza Niccolò. — Mettilo che è tuo.
    — No, no. Non lo voglio più.
    — Adesso ti vergogni? Non vuoi più essere una principessa?
    Ancora risate. Crudeli.
    Gemma ha ormai capito, ma non sa cosa fare per sottrarsi a quel gioco che non le piace.
    — Mettilo. Mettilo. Mettilo — la canzonano tutti. E poi le mani delle ragazze la afferrano e le tolgono gli abiti che ha indosso.
    — Distogliete gli occhi! — urla Niccolò agli altri maschi, ma non per senso di pudicizia o di rispetto, ma per infierire ancor di più sulla loro vittima.
    Il bel vestito è troppo lungo per Gemma, che ha le ossa così corte; la gobba tende i ricami, il merletto le sta storto. Adesso che lo ha indosso è ancora più forte in lei il desiderio di scappare, di sottrarsi allo scherzo. Le voci la assordano, le urla la feriscono, sa di non poter essere una principessa, che non lo sarà mai e il pianto le sgorga dal petto.
    Dietro di lei c’è il bosco, quel bosco pericoloso che si estende a partire dai margini del paese e risale il pendio di una prima collina, per poi ridiscendere ancor più fitto. I ragazzi sembrano più attenti a sbarrarle la strada che torna alla case e allora lei scappa via nell’unica direzione libera che le resta, tra gli alberi che già velano la luce del pomeriggio e gettano ombre scure.
    — Ma dove vai? Torna qui! — urla Niccolò senza accennare a inseguirla e frenando gli altri. E così Gemma, con il suo passo zoppicante e con le mani che sollevano l’orlo del vestito si allontana da sola, gli occhi pieni di lacrime che non vedono dove sta andando e il cuore gonfio di dolore.
    Il bosco è di un intenso verde scuro, le fronde sono cariche per l’estate, la luce si sparge in maniera ineguale tra i cespugli e gli accenni di sentieri quasi abbandonati, perché in pochi si avventurano in quella selva ormai presa dai lupi, se non per le poche decine di passi necessarie per fare legna. E di quei pochi alcuni non tornano neppure indietro. Molto meglio passare attorno alla selva che perdersi nei suoi meandri e girare senza meta cercando di indovinare dove sia il sole e l’uscita.
    Gemma lo sa, ma è troppo tardi quando decide di fermarsi.
    Gli scherzi non si sentono più, le voci di festa sono svanite da tempo, ma anche la strada per tornare sembra svanita e alberi e cespugli sembrano disporsi in fila a creare strade e a sbarrarne altre. Ogni volta che vorrebbe cambiare direzione una radice troppo alta la ostacola e la costringe a desistere o le strappa troppa fatica. Ogni volta che crede di avvicinarsi ai margini, scopre di essersi ingannata e che altre file di alberi la aspettano oppure sbuca in piccole e inutili radure.
    E poi ci sono i rumori. Fruscii e squittii, movimenti lenti e veloci tra le frasche e tra i cespugli, rami che si spostano anche senza vento, ombre che cambiano e ingannano. A tratti le pare di sentire dei mugolii da una parte e quando cerca di allontanarsene li sente poi proprio davanti a sé; passi felpati che smuovono foglie, respiri pesanti nell’aria.
    Eppure Gemma non si da per vinta; sa di essersi persa, ma non vuole fermarsi e rinunciare, non vuole desistere. E allora guarda i pochi raggi che passano in alto, osserva i muschi che crescono sui tronchi, fissa le foglie d’edera che si nutrono del sole e si crea una strada da seguire anche quando è costretta a interromperla, anche quando deve superare qualcosa o deviare. Male ombre si allungano, il sole sta calando, e i passi si fanno più vicini, si fanno più inquieti.
    Il primo lupo ulula e Gemma si blocca per poi abbandonarsi a un tremito. Il gelo la avvolge e ha paura di fare il passo successivo.
    Altri lupi, altri passi, altri ululati.
    Gemma non ha più lacrime, ma riprende a camminare; sa che ormai non tornerà più a casa, che il bosco la prenderà e la terrà con sé per sempre.

    Quasi non si accorge della grande radura in cui entra. Gli alberi ai suoi margini si muovono appena per un brezza estiva che scende dal cielo che sta diventando di un blu sempre più intenso, anticamera del nero. Il rumore che fanno è intenso e continuo. Domina una penombra che avvolge tutto.
    Gemma potrebbe ributtarsi nel bosco, ma i rumori dei lupi glielo impediscono; e invece cammina nell’erba che le sfiora le caviglie, zoppica con il suo passo malfermo verso il centro. Si fermerà lì, non ha più le forze di proseguire. Che vengano i lupi a prenderla, non può più fuggire.
    E poi, dal centro della radura si innalza la sagoma di un lungo collo e due occhi gialli, grandi e che raccolgono la luce del cielo, la fissano.
    — Che cosa fai tu qui? — rimbomba una voce calda e fredda insieme, aspra come l’acqua di una fonte.
    — Io… io — balbetta la ragazza.
    — Non ho molti ospiti, di solito. Non amo gli ospiti — attorno agli occhi c’è un enorme muso di serpe, scaglie verdastre che sfumano nel colore della terra. E la grande testa scende con un collo affusolato e prosegue in un corpo possente, accucciato su quattro zampe che sembrano tronchi.
    — I lupi, c’erano i lupi nel bosco.
    — I lupi? Ah, esserini pelosi che se ne stanno alla larga. Anzi di solito tutti mi stanno alla larga — gli occhi si muovono attorno a lei, la guardano di lato e poi tornano a fissarla. — Anche gli uomini mi stanno alla larga.
    Gemma deglutisce a fatica. Il drago è immenso, così tanto grande che le nasconde il cielo. Le sue ali fremono anche se stanno piegate lungo il corpo.
    — Non volevo disturbarti.
    — Solo tre generi di uomini arrivano fin qui. Quelli troppo coraggiosi, quelli troppo stolti e quelli troppo umili. E due di questi generi non li gradisco affatto — le creste sulla testa si innalzano.
    — Mi dispiace se ho interrotto il tuo riposo, se solo avessi saputo…
    — Se lo avessi saputo, non saresti venuta qui?
    — Io, non sarei venuta. È stata colpa loro, volevano per forza darmi questo vestito, e poi ridevano e ridevano. Dicevano che ero una principessa, ma ridevano perché la verità è un'altra.
    Le creste si abbassano. — E la verità è?
    — Che sono un mostro.
    I lupi non si sentono più; non osano avvicinarsi alla radura dove domina il drago.
    — Come ti chiami, ragazza?
    — Gemma.
    — Orbene Gemma. Tu forse pensi di essere qui da me per un caso, ma non è detto che sia così. C’è un disegno ben più grande di quello degli uomini, un disegno che si tesse a formare un enorme arazzo, che determina i destini di una intera popolazione, anzi di più popoli. E questo disegno lo guidiamo noi. Noi decidiamo cosa sia meglio e cosa sia peggio, cosa deve accadere e cosa invece è meglio che non accada. Decidiamo noi chi deve vivere e chi deve morire.
    — Ma vivete nascosti?
    — Sì. Meglio non farci vedere troppo in giro, se non quando serve. Ma, diciamo che ci sono sempre utili delle mani umane, per fare quello che vogliamo che sia fatto. Alcune mani umane ci sono molti utili e noi sappiamo ricompensarle. E mani umili e acute sono le più utili di tutte.
    La ragazza scuote la testa, stanca del lungo vagare.
    — Vieni adesso. Qui da me c’è acqua da bere e anche da mangiare. Puoi fermarti qui stanotte e dormire sotto la mia ala. Domani parleremo, parleremo a lungo.

    La colonna armata prosegue sulla strada per il castello del cardinale Adriano Castellesi; è Cesare Borgia, il duca di Valentino, a guidarla. Ormai è già signore di Romagna e vuole estendere i suoi domini alla Toscana, alle città di Siena, Pisa e Lucca. È anche sicuro del suo prossimo successo, visto l’appoggio che ha dal padre, il Papa. Truppe, soldi, favori, mediazioni. È l’idea di riunire una gran parte dell’Italia, ma sotto il governo della sia famiglia. Una volta presa la Toscana, e protetti dalla Chiesa, si potrebbe puntare a nord, verso Milano, verso Venezia. Ma sono piani da decidere assieme, con attenzione. Proprio per questo si sta recando alla cena organizzata dal cardinale e a cui ci sarà anche papa Alessandro.
    È agosto e l’aria è secca. I contadini sollevano la testa con timore al passaggio dei cavalieri, mormorano poche parole.
    Poi, a un tratto, oltre una curva ecco un carretto che sta fermo nel centro della strada.
    Subito uno dei suoi capitani si fa avanti, nel timore di una imboscata, ma Cesare scorge, intenta a cercare di spingere il mezzo reso pesante da una botte fuori da una buca, una figura bassa e tozza, che si affanna a tirare un mulo per le briglie.
    Cesare avanza assieme alle sue guardie e quando è a pochi passi si ferma. È una donna, forse poco più che una bambina, ma tutta deforme nell’aspetto, con un viso che è orrendo a vedersi tanto è deforme, gli occhi storti, la bocca che si chiude male.
    — Intralci la strada, spostati — dice il capitano.
    La ragazza si volta e fa un inchino sgraziato. Indossa un vestito elegante, di stoffa argentata e rossa, con ricami d’oro.
    —Vorrei tanto, ma il mio mulo non vuole proseguire. Si è fermato qui e non sente ragioni.
    — E dove andavi? — domanda il Valentino incuriosito.
    — Al castello del cardinale. Volevo offrire del vino e il mio spettacolo di danza a lui e soprattutto al Papa.
    — Di danza? — Cesare non sa se ridere o se ignorarla. La guarda e poi scoppia a ridere. —E con la danza vorresti ottenere più favori di quanti ne puoi ottenere con quella botte di vino?
    — Sì, mio Signore.
    — Come ti chiami e quanti anni hai?
    — Il mio nome è Gemma, mio Signore, e di anni ne ho quindici.
    — Danza! Una vera follia che tu voglia osare apparire al Santo Papa Alessandro VI. Non sarà quell’abito che potrà negare le tue forme.
    Gemma abbassa lo sguardo.
    — Danza! — ripete il Valentino. — Non credo che ti farebbero entrare nel castello, ma sei ugualmente fortunata perché anche io sto andando lì. Sono uno degli ospiti.
    — Davvero? Mi porterete con voi? Mi farete entrare? — gli occhi della ragazza si illuminano, ma Cesare distoglie lo sguardo con ribrezzo.
    — No. Ma il tuo vino entrerà ugualmente. E delizierà il Papa, il cardinale e tutti i suoi ospiti. Anzi, ti porgo fin da adesso i loro ringraziamenti. Goffredo, togli quel carro dalla strada e poi legaci un cavallo. Ce lo portiamo via.
    — Ma mio Signore? — protesta la ragazza.
    — Cosa vuoi? Il tuo desiderio non è stato accontentato? O vuoi protestare?
    La ragazza pare farsi ancora più piccola e poi si fa da parte mentre i soldati staccano i muli e attaccano uno dei cavalli di scorta al carro.
    — E di lei cosa ne facciamo? — domanda il capitano al Valentino.
    — Lasciatele il mulo, che non mi sembra neppure buono. E poi, se Do ha voluto che questa creatura vivesse fino a ora, non sarò certo io ad andare contro la sua volontà.
    Passano pochi minuti e Gemma si ritrova a fissare la colonna che si allontana, poi sale in groppa al mulo e lo spinge verso una strada secondaria, che si inerpica su una delle vicine colline. Questa volta l’animale non esita e si incammina docile ai comandi della ragazza.
    È scesa la sera quando Gemma arriva in cima.
    Il drago la aspetta. Non mostra impazienza. I suoi occhi fissano paesaggi lontani.
    — È andato tutto bene?
    Gemma scende dal mulo, che anche se innervosito dalla presenza del grande rettile, non osa resistere al suo addestramento.
    — Come abbiamo stabilito, Fuoco della Sibilla. Ha preso il vino senza sospettare di nulla e lo berrà con il Papa suo padre. Il veleno è potente; sarà difficile che si possano salvare. E se anche si salvassero, avranno di fronte un lunga malattia.
    — Gli uomini sono prevedibili — risponde il drago stirando le ali. — Prevedibili, crudeli e sciocchi. Meno male che ci siamo noi a guidarli. Ma adesso è tempo di andare; ci sono altri compiti per te, altre cose da organizzare. Anzi penso che sia anche ora di darti qualche aiutante.
    — Come desideri, mio Signore.
    — Bene. E un’altra cosa.
    — Cosa?
    — Quel vestito ti sta molto bene.

    Edited by Alberto Priora - 4/5/2010, 13:59
     
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    Losco Figuro

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    Il racconto è bello ma mi sembra che manchi qualcosa. La parte iniziale è relativamente poco utile, mentre quella finale sembra avere troppo stacco da ciò che la precede e credo che sviluppandolo ulteriormente ne gioverebbe.
    Comunque un buon lavoro, voto 3.


    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    Lui non vuole essere più ubriaco dopo quello che è successo,

    Secondo me starebbe meglio "non vuole più essere ubriaco"

    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    — Che ci fai qui? — domanda Niccolò, uno dei ragazzotti del paese quando se la vede passare accanto.

    Serve una virgola dopo "paese"

    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    — E allora? Anche se li vedi, che cambia.

    Non è una domanda? :huh:

    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    Lei si sente morire dai loro sberleffi,

    "dai"? Forse "per i"

    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    Gemma ha tredici anni ed è nata così.

    Lo so che dopo si spiega così come, ma il primo impatto della frase è che sia nata avendo già tredici anni. ^__^;

    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    Eppure Gemma non si da per vinta;

    "dà"

    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    Male ombre si allungano,

    Presumo tu abbia saltato uno spazio e fosse "Ma le"

    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    Si fermerà lì, non ha più le forze di proseguire.

    Meglio "la forza di proseguire" o "le forze per proseguire"

    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    — Danza! — una vera follia che tu voglia osare apparire al Santo Papa Alessandro VI. Non sarà quell’abito che potrà negare le tue forme.

    Non mi quadrano i trattini :huh: Manca qualcosa?

    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    La ragazza pare farsi ancora più piccola e poi si fa da parte mentre i soldati staccano i muli

    Ma non era solo uno il mulo?

    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    E poi, se Do ha voluto che questa creatura vivesse fino a ora,

    Refuso: "Dio"

    CITAZIONE (Alberto Priora @ 1/5/2010, 12:11)
    Gemma scende dal mulo, che anche se innervosito dalla presenza del grande rettile, non osa resistere al suo addestramento.

    Rivedrei le virgole in questa frase.
     
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  3. marramee
     
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    Ciao,
    racconto scorrevole e ben scritto, niente da eccepire sulla forma. Trovo invece "strana" la trama. Non saprei neanche dirti il perché, ma la seconda parte sembra "staccata" dal resto della storia. Come una favola che non riesce in definitiva a esserlo. Manca qualcosa, forse qualche spiegazione in più, forse una fluidità tra la prima parte e il finale. Quasi che fosse uno spaccato di un'opera più grande (un incipit!).
    Comunque un tre pieno, senza dubbio.
     
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    CITAZIONE (CMT @ 1/5/2010, 18:08)
    Il racconto è bello ma mi sembra che manchi qualcosa. La parte iniziale è relativamente poco utile, mentre quella finale sembra avere troppo stacco da ciò che la precede e credo che sviluppandolo ulteriormente ne gioverebbe.
    Comunque un buon lavoro, voto 3.

    Grazie per lettura e voto CMT.
    Il fatto che sia stato scritto per la Royal Rumble fa sì che ci fossero degli elementi da inserire per forza, però la prima parte serve sia a introdurre il periodo storico, che la situazione di Gemma, che a sottolineare il tema "uomini come lupi".
    La parte finale lo so che andrebbe più sviluppata... sì...

    Un grazie anche per le note tecniche... qualche svista mi casca sempre. I muli incostanti sono dovuti al fatto che ho cambiato il numero dei muli implicati, ma ho saltato qualche rettifica...



    CITAZIONE (marramee @ 1/5/2010, 18:18)
    Ciao,
    racconto scorrevole e ben scritto, niente da eccepire sulla forma. Trovo invece "strana" la trama. Non saprei neanche dirti il perché, ma la seconda parte sembra "staccata" dal resto della storia. Come una favola che non riesce in definitiva a esserlo. Manca qualcosa, forse qualche spiegazione in più, forse una fluidità tra la prima parte e il finale. Quasi che fosse uno spaccato di un'opera più grande (un incipit!).
    Comunque un tre pieno, senza dubbio.

    Grazie per lettura e voto
    In teoria sto sperimentando per organizzare una cosa più vasta, che però non è ancora del tutto chiara... a me prima di tutti. Devo capire se può funzionare questa commistione storia e fantasy.
     
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  5. Piscu
     
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    uhm... non so bene come commentare. sicuramente è scritto bene, le situazioni che presenti hanno un loro fascino e alcune parti sono sicuramente belle. non so se il drago rientrava tra gli elementi obbligatori dalla royal rumble, ma la sua presenza mi pare appunto forzata, e dal momento della sua comparsa l'intero racconto mi sembra che perda di forza. insomma questa storia dei draghi che controllano le sorti dell'umanità utilizzando dei ragazzini come agenti segreti... boh. inoltre, non mi pare che cesare borgia sia morto avvelenato, e non credo che sarebbe stato così stupido da bere il vino di un mostriciattolo incontrato per la strada, no? inoltre non ho capito chi siano i personaggi nel primo breve paragrafo. i genitori della bambina?


    insomma, è scritto bene ma a livello di trama mi sembra piuttosto raffazzonato.


    segnalo:

    "— Distogliete gli occhi! — "
    non è sbagliato, ma in bocca a dei ragazzini che stanno facendo uno scherzo mi sembra un lessico troppo complesso

    "— Danza! — una vera follia"
    hai chiuso il dialogo ma è sempre lui a parlare



    sono indeciso tra due e tre. mi sa però che andrò sul due, perché non riesco a capire come prendere il racconto.
     
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    CITAZIONE (Piscu @ 4/5/2010, 11:30)
    uhm... non so bene come commentare....

    Grazie per lettura e voto.

    Infatti, sia a livello storico che poi di racconto (anche se non si vede), non è Cesare Borgia che rimarrà avvelenato, ma il padre, il Papa Alessandro.
    E quanto al fatto che accetti il vino... il tutto si basa sul fatto che Gemma risulti insospettabile, ovvero poco pericolosa, che poi è uno stratagemma vecchio come il mondo...
     
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  7. Daniele_QM
     
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    Allora Alberto,
    SPOILER (click to view)
    la prima parte è davvero molto buona - diciamo fino a quando la bambina incontra il drago - tanto che pensavo di dare un bel 4. Poi però qualcosa stride. Innanzitutto, introduci il drago in modo troppo "naturale". Avrei visto un'introduzione più epica, o drammatica; stiamo parlando di un drago che dovrebbe essere gigantesco rispetto alla povera nana deforme. Inoltre lei non ha una reazione normale. Teme i lupi, fugge da loro, ma poi non scappa davanti a un drago enorme? Secondo me non regge. Regerebbe se descrivessi nella sua reazione una pietrificazione totale, un terrore così grande da non farla muovere. Ma lei gli parla normalmente. No no no, secondo me.
    Poi c'è quello stacco su Borgia e Valentino. Mi va bene, però di costoro non sappiamo nulla fino a quel momento - anche se hai nominato borgia all'inizio - mentre vedrei di buon occhio un tre quattro righe infilate magari sempre verso l'inizio (potrebbero essere i genitori a parlarne) relativamente alla festa a cui in seguito Gemma vuole portare il vino. In questo modo sapremmo già di che ricevimento si tratta.

    Ad ogni modo, il tre ci sta. :)
     
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    Grazie Daniele,

    direi che concordo su tutta la linea... a mia discolpa solo il fatto che ero limitato nei caratteri quando l'ho scritto... ed è chiaro che alcune cose vanno sviluppate di più.
     
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  9. Gordon Pym
     
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    Ciao Alberto Priora, ti dico subito che sono un po' indeciso sul tuo racconto. Hai creato delle belle immagini e situazioni, soprattutto nella prima parte. Mi sarei aspettato un seguito di riscatto, da parte della povera Gemma, più realistico, credibile, probabile - anche se difficile.
    È una consolazione amara che lei possa servire un drago, e da lui ricevere complimenti. Non lo trovo un risvolto sufficiente a ciò che ci hai anticipato. Inoltre, non so se vi siano allusioni a vicende storiche, però col vino avvelenato introduci un elemento che non viene sviluppato, lasciandoci degli interrogativi.
    Arrivo a tre, ma gli elementi suddetti non me lo fanno considerare pieno.
    Ciao, a rileggerti.

    Edit: leggo ora le spiegazioni che hai dato su vino ecc., la mia valutazione nel contesto rimane ovviamente invariata.

    Qualche appunto:

    CITAZIONE
    In quel giorno gli adulti sono più tesi a fare baldoria

    Mi suonerebbe meglio "impegnati" piuttosto che "tesi".

    CITAZIONE
    Lei si sente morire dai loro sberleffi

    Forse è meglio "uccidere", morire è intransitivo.

    CITAZIONE
    quel viso che sembra visto attraverso uno specchio d’acqua

    Non sarebbe meglio "riflesso in" piuttosto che "attraverso"? Difficile vedere attraverso uno specchio d'acqua, magari attraverso un acquario...

    CITAZIONE
    sa come la guardino ogni giorno

    Mi sembra più corretto "guardano", niente congiuntivo.

    CITAZIONE
    se non per le poche decine di passi necessarie per fare legna.

    Cosa è necessario? I passi, non le decine. Quindi "necessari". Diverso sarebbe se tu costruissi così: Si avventura un po' di passi, le poche decine necessarie per far legna..."

    CITAZIONE
    Gemma non si da per vinta



    CITAZIONE
    Male ombre

    refuso.

    CITAZIONE
    Io, non sarei venuta.

    Forse vanno meglio i puntini al posto della virgola che, di fatto, lì non ci va.

    CITAZIONE
    se Do ha voluto che

    refuso.

    CITAZIONE
    scende dal mulo, che anche se innervosito dalla presenza del grande rettile,

    Virgola dopo "che", non prima.
     
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  10. rehel
     
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    CITAZIONE (Alberto Priora @ 4/5/2010, 14:02)
    CITAZIONE (Piscu @ 4/5/2010, 11:30)
    uhm... non so bene come commentare....

    Grazie per lettura e voto.

    Infatti, sia a livello storico che poi di racconto (anche se non si vede), non è Cesare Borgia che rimarrà avvelenato, ma il padre, il Papa Alessandro.
    E quanto al fatto che accetti il vino... il tutto si basa sul fatto che Gemma risulti insospettabile, ovvero poco pericolosa, che poi è uno stratagemma vecchio come il mondo...

    Mi permetto di entrare nel dettaglio... :aumm:
    Si è sempre discusso molto, e se ne discute ancora, sulle circostanze e sulle modalità della morte di Papa Alessandro VI.

    Ufficialmente fu la malaria a porre fine alla vita del Borgia. C'è, però, un'altra versione che vuole che la morte del Papa sia avvenuta per avvelenamento, ma per errore. Si dice che nel corso di una riunione conviviale presso la dimora del cardinale Adriano Castellesi di Corneto, fosse stato posto del veleno nel vino destinato al Cardinale, ma che per errore il vino fosse stato bevuto dal Papa, e annacquato da Cesare, che pure si ammalò gravemente, ma non morì. Altre cronache dell'epoca riferiscono, però, che al momento della dipartita del Papa anche il cardinal Castellesi e altre persone della servitù fossero stati colpiti dallo stesso male, avvalorando la tesi di un'intossicazione, magari involontaria, dei cibi.[7]

    Alcune fonti indicano che il cadavere del Papa fosse molto gonfio e la lingua fosse di color violaceo sintomi di un forte avvelenamento. John Kelly, decano della St. Edmunt Hall di Oxford, afferma però che non ci sono le basi storiche per pensare ad un omicidio.[8] La morte di Papa Alessandro produsse il crollo di tutti i piani di conquista del Valentino. Venivano meno tutte le fonti di finanziamento, rendendo impossibile a Cesare Borgia il mantenimento del suo esercito. Il figlio prediletto di Papa Borgia si avviava così ad un triste declino. Riuscì a sopravvivere, comunque, anche in maniera piuttosto fortunosa, sia sotto il pontificato di Pio III che di Giulio II. Dopo di che, fu arrestato dal generale Consalvo di Cordova il Gran Capitano e condotto prigioniero in Spagna, dove morì nel 1507 cercando di difendersi da dei sicari, dopo essere sfuggito alla prigione. Aveva all'incirca 32 anni.

    Il cadavere di Alessandro VI subì vicende travagliate. Fu prima deposto, senza alcuna celebrazione funebre, in San Pietro, quasi furtivamente, a causa dei disordini scoppiati all'indomani della sua morte. Fu successivamente traslato nei sotterranei del Vaticano. Molto tempo dopo la sua mummia fu nuovamente rimossa e sepolta nella Chiesa di Santa Maria di Monserrato, la chiesa degli Spagnoli in Roma, dove stette praticamente dimenticata per secoli fino alla sua definitiva sistemazione sul finire del XIX secolo.
     
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  11. sgerwk
     
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    Il racconto è scritto bene (ma che te lo dico a fare...). La storia di per sé non è particolarmente originale, nel senso che segue più o meno uno schema classico:

    SPOILER (click to view)
    ragazzo/a emarginato che a causa di uno scherzo crudele finisce in un guaio, in cui però il pericolo si scopre invece volerlo aiutare


    Devo però aggiungere che il tutto è sviluppato bene. Come difetti noto un inizio un po' lento, con poche azioni e molte riflessioni/rimuginamenti del protagonista (il padre), e il finale poco collegato al resto.

    SPOILER (click to view)
    Il finale mi ha un po' sconcertato: prima vediamo Gemma avere problemi con i bambini del paese, poi però alla fine la vediamo darsi all'avvelenamento di potenti, cosa che non c'entra proprio niente con la storia che hai raccontato fino a questo punto. Fra l'altro, non si capisce nemmeno il perché il drago voglia avvelenare quella gente, nel senso che non si evince dal racconto.


    E poi il titolo che c'azzecca con il racconto?

    Voto: boh? tra il 3 e il 4; forse piu' 3 che 4. Facciamo 3, allora.

    Alcuni commenti su punti specifici:

    "sul mucchio di paglia che sta nell'angolo" il "che sta" mi sembra ridondante

    "ricorda bene il suo fiato malsano, la sua furia malata, il modo violento in cui la prendeva quasi tutte le sere" non ho capito: il fiato malsano e la furia malata sembra riferirsi a lei, mentre il modo violento a lui; se è così allora sarebbe meglio "il modo violento in cui lui la prendeva"

    "alzarsi sulle punte e guardare oltre le teste che li nascondono" se è molto bassa (come poi viene detto) forse sarebbe meglio "oltre le spalle"

    "—Sì, loro sì." mi pare che manchi lo spazio dopo il trattino

    "sono più tesi a fare baldoria e non badano" che a badare? (oppure: sono tesi a fare baldoria, oppure: sono più tesi del solito a fare baldoria)

    "dai loro sberleffi, ma sa anche che si stuferanno presto e lei potrà tornare a casa da sua madre" è necessario specificare che lei può tornare a casa dalla madre? l'ho trovato un inciso leggermente ridondante

    "Anche adesso, che il gruppo dei ragazzi" sei sicuro che la virgola ci vada? A me sembra leggermente fuorviante, nel senso che pensavo che fosse un seconda virgola alla fine, tipo: "Anche adesso, che il gruppo blablabla, è così che le cose stanno andando", per poi scoprire che invece il senso era diverso solo quando sono arrivato alla fine

    "Avanti mettilo" -> "Avanti, mettilo"

    "Ancora risate. Crudeli." il crudeli mi sembra implicito

    "che non le piace" se vuole sottrarsi, è chiaro che non le piace

    "non per senso di pudicizia o di rispetto, ma per infierire ancor di più sulla loro vittima" in che senso? perché dicendo questo infierirebbe ancora di più? forse lo dice in tono ironico?

    "non si da per vinta" manca l'accento

    "E poi, dal centro della radura si innalza la sagoma di un lungo collo e due occhi gialli, grandi e che raccolgono la luce del cielo, la fissano." questa descrizione non mi è chiara; capisco che magari anche la bambina non vede bene, però al lettore dovrebbe essere chiaro quello che vede

    "Io... io" secondo me, ci vanno i puntini di sospensione anche dopo il secondo "io"

    "Non amo gli ospiti — attorno agli occhi" secondo me ci va il punto prima del trattino e la maiuscola dopo (dato che la frase che segue non è un'attribuzione diretta ma solo una frase che si riferisce a chi parla)

    "non li gradisco affatto — le creste sulla testa" stessa cosa

    "Io, non sarei venuta" secondo me volevi dire "Io... no, non sarei venuta" però ho ancora qualche difficoltà con la telepatia per cui può darsi che la versione corretta sia "No, non sarei venuta"

    "della sia famiglia"

    "e protetti dalla Chiesa" -> "con la protezione della Chiesa"

    "—Vorrei tanto" manca lo spazio dopo il trattino

     
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  12. rehel
     
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    Scritto da urlo… posso dirlo? ;)
    Rilevo solo un: Elisabetta sospira, scocciata. Ecco, quel scocciata lo trovo poco adatto in ambito medioevaleggiante.
    Bella la battuta finale.
    Quando metti in rilievo le cose che rendono potente il Valentino, dimentichi l’artiglieria francese, all’epoca la migliore d’Europa e quindi del mondo. Erano cannoni immensi, trainati da carriaggi enormi. Solo concentrando il fuoco d’artiglieria su un’unica murata della rocca di Forlì il Valentino poté conquistarla e catturare quella indomita Virago che era Caterina Sforza.
    La sensazione è che questo racconto sia solo una parte di qualcosa di ben più lungo. Se così non fosse ci sarebbe una carenza: chi è il drago? Quali sono i suoi scopi? Chi serve? Chi lo paga e se non lo paga per quale motivo agisce? E via di questo passo.
    Comunque ottimo.
    Voto quattro.
    Ti piacciono i draghi… eh?!
     
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  13. nescitgalatea
     
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    Indiscutibilmente scritto bene ma molto spezzettato. Come altri ero rimasta affascinata dalla figura di Gemma e nonostante ami molto anche i draghi il tutto pare scemare nella parte del carretto e del mulo. Peccato perché la storia mi aveva incuriosita... Insomma per me un tre scarso che diventa perché ci sono rimasta male e dalle premesse mi aspettavo molto di più!

    Il drago che compare all'improvviso e lei che non batte ciglio mi era piaciuto tanto, come se tra "esclusi" ci fosse implicitamente un riconoscimento.

    [QUOTE]— Sì. Meglio non farci vedere troppo in giro, se non quando serve. Ma, diciamo che ci sono sempre utili delle mani umane, per fare quello che vogliamo che sia fatto. Alcune mani umane ci sono molti utili e noi sappiamo ricompensarle. E mani umili e acute sono le più utili di tutte. /QUOTE]

    Ecco, da questa frase (refusi compresi) secondo me inizia a perdere e non si ferma più!

    Grazie!
     
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  14. $haman
     
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    Il difetto del racconto è che è scritto bene! ;) Quindi dà fastidio che la storia zoppichi, o sembri uno stralcio di qualcosa di più vasto, che però, almeno per ora, è solo nella tua testa. Draghi, bimbe deformi, eserciti, re, c'è di tutto, ma troppo poco di ogni cosa perché l'assieme abbia davvero sostanza.
    Scrivi il resto!
     
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  15. Idrascanian
     
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    Ciao Alberto,
    il racconto mi è piaciuto, molto atipico. Il passaggio da un’atmosfera “rurale” a toni quasi fiabeschi (l’incontro col drago) mi ha spiazzato, ma l’ho trovato originale e ben riuscito. Il testo è scorrevole e sulla forma trovo ben poco da dire – solo qualche refuso che ti hanno già segnalato.
    Cercherei di “legare” un po’ meglio la prima parte della storia alla seconda. Ci sono dei personaggi ben delineati (penso al padre di Gemma) che però scompaiono nella seconda parte. Inoltre mi è poco chiaro il ruolo dei lupi, che dopo un po’ passano in secondo piano. Un racconto da “amalgamare”, che ha nei personaggi, nello stile e nelle atmosfere i suoi punti di forza. Dico 3, ma potrebbe diventare facilmente un 4. A rileggerti!
     
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18 replies since 1/5/2010, 11:11   251 views
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