Un vestito nuovo
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Un vestito nuovo

fantastico, 12k

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  1. $haman
     
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    Sempre dall'ultima RR e attualmente nell'Arena Massima...

    UN VESTITO NUOVO

    Guidavo troppo veloce, chino sul volante, le mani contratte, le nocche bianche. Fuori, il mondo era un confuso insieme di luci riflesse sulla strada lucida di pioggia, poche case aggrappate alla roccia dei monti e infiniti corridoi di buio tra un paese e l’altro. L’auto sbandava lievemente a ogni curva. Respiravo, cercando di trattenermi da una fretta ancora maggiore. Ma Nicholas stava per venire al mondo, a pochi chilometri da lì, e riuscivo a concentrarmi su poco altro, i pensieri tenuti assieme da una fila esagerata di caffè. Il primo, ingoiato come un’aspirina andando via dall’ufficio; l’ultimo, in uno squallido bar in stile finto montanaro, molte curve dopo l’uscita autostradale per la Carnia, bevuto sotto gli occhi di un paio di barbuti indigeni, dalle guance arrossate e le mani simili a zappe arrugginite.
    Affrontavo la strada in quello stato quando le cose cominciarono ad andare male. Avevo oltrepassato una gasthaus, con l’insegna metallica inclinata dal vento che riluceva nella pioggia. Ricordo che cantavo – mi vergogno a ripensarci – a squarciagola, un po’ per darmi coraggio, un po’ per tenermi sveglio. Accompagnavo senza onore i Soggy Bottom Boys nel loro pezzo più celebre, quando la macchina aveva iniziato a rallentare, perdendo potenza. Il contagiri che scendeva inesorabile verso lo zero.
    Quattromila. Tremila. Duemila.
    C’era uno spiazzo sulla destra.
    Avevo accostato, scendendo dall’asfalto nel fango misto a un pietrisco bagnato che grattava le gomme e schizzava sulla carrozzeria.
    Mille.
    Il motore se n’era andato così, abbandonandomi nel momento del bisogno senza una spiegazione.
    I fari illuminavano un’alta staccionata composta da assi ordinate, dietro le quali s’intravedeva la sagoma di una casa bassa, le mura di pietra, un balcone di legno che pendeva spezzato in più punti.
    Girando la chiave il quadro s’illuminava, ma il suono dell’avviamento era l’unico a spezzare il silenzio della notte. Nessun ringhio, nessun catarroso tentativo di rimettersi in moto.
    Afferrato il telefono avevo composto il numero di mia sorella. Sapevo che era già all’ospedale, e forse poteva mandare qualcuno a recuperarmi, o venire lei di persona.

    Le cose iniziano a farsi confuse; le idee si sciolgono nella pioggia e nel vento del temporale che mi ha avvolto. Provo a rialzarmi, ma la fitta che dal fianco si dirama per il resto del corpo mi riporta a terra con violenza.
    Impreco.
    Mia sorella aveva risposto, e poi?
    C’era la casa. E dopo era arrivata la donna.

    Mi rendevo conto che, pur facendo in fretta, non sarebbero arrivati in tempo per portarmi in città prima che Nicholas nascesse. Osservavo il quadro dell’automobile, buio e silenzioso. In fin dei conti aver guardato per anni un padre meccanico con aria di sufficienza, dall’alto della mia laurea, non poteva servire a qualcosa? Presa la torcia elettrica dal cruscotto, per fortuna ancora carica, avevo afferrato l’ombrello colorato, una dimenticanza di mia moglie, e mi ero diretto al cofano. Lo avevo aperto, fissandolo con l’asta di cui mai mi ero fidato completamente.
    Avevo imprecato: la verità è che non capisco nulla di motori.
    Mi ero girato a osservare la casa, i piedi leggermente affondati nella mota percorsa da rigagnoli d’acqua. Era vecchia, ma qualcuno poteva ancora abitarci. Uno di quei contadini col trattore e una parola gentile sempre pronti.
    Fu allora che la vidi. Tra me e il cancello d’ingresso c’era una donna.
    Ricordo d’aver sbattuto più volte le palpebre. Non era comparsa, non come un fantasma almeno. Era arrivata lì, come se avesse aperto una porta stretta e ci si fosse infilata in mezzo, fino a sbucare dall’altra parte.
    Aveva lunghi capelli biondi, appiccicati alla pelle come bende zuppe di sangue. L’unico lampione che illuminava la scena era alle sue spalle e l’ombra nascondeva i lineamenti.
    “Il mio vestito”, aveva detto, con una voce gracchiante, il suono di sassi umidi sfregati tra loro.
    Non ero riuscito a replicare, ma mi ero spostato di un passo verso l’automobile.
    “Ha bisogno d’aiuto?” Mi era sembrata una richiesta assurda ancor prima di pronunciarla. Quello che aveva bisogno d’aiuto ero io.
    “Il mio vestito.”
    Si era girata verso la casa. La luce scintillava sul suo volto grondante pioggia, avvolto nelle spire di quei capelli chiarissimi. Il naso sottile, gli zigomi pronunciati. Sembrava avere una trentina d’anni. Avrebbe potuto essere perfino bella.
    Indossava un reggiseno bianco, che facevo difficoltà a distinguere dalla sua pelle, altrettanto pallida. Una gonna, bagnata e aderente, le copriva i fianchi e le cosce. Dai lembi dell’indumento sbucavano due gambe lunghe e morbide. Per un momento qualcosa di non voluto si agitò dentro di me, in profondità.
    “Vuole venire in macchina? Si è persa?”
    Si era mossa verso di me, verso la macchina, e senza dire una parola aveva aperto lo sportello e si era seduta.
    Io immobile, in piedi. L’acqua picchiava sull’ombrello, simile a un coro di corvi spaventati.
    Per un attimo mi vidi fuggire da lì. L’impeto di quel pensiero fu così forte che un piede si mosse, involontariamente, verso la striscia d’asfalto che svaniva nell’ombra.

    Avrei dovuto capirlo, sarei dovuto scappare. Ma non mi avrebbe raggiunto comunque? Probabile. Inutile pensarci, ormai.
    Il senso del tempo, quando corri in un bosco in montagna, la notte, con una ferita che sanguina e qualcuno che t’insegue, lo perdi assieme all’orientamento e a una buona parte della speranza.
    Il freddo penetra nella carne, riducendomi a un fagotto tremante. Temo di congelare, ma temo ancor più la cosa che si aggira barcollante tra gli alberi.
    Provo ad alzarmi, stringendo i denti per non urlare dal dolore.
    In piedi, la schiena contro un albero, mi guardo attorno. Non ho una direzione preferita. Dopo la fuga tutto si è fuso in un panorama di oscurità odorosa di muschio.
    Se solo fossi scappato.

    Nella macchina ero imbarazzato, impaurito, muto. Lei guardava davanti a sé, cinerea. Le mani, raccolte in grembo, le tremavano vistosamente. Non potevo fare a meno di notare la lunghezza innaturale di quelle dita sottili, che terminavano con delle unghie scure, dai bordi spezzati.
    “Sì è consumato” disse, guardandosi le mani.
    Ricordo di aver pensato che da lì a poco sarebbe arrivata Sylvia, mia sorella. Scioccamente mi preoccupavo di cosa avrebbe pensato, trovandomi in auto con una sconosciuta seminuda.
    “Tra poco arrivano degli amici. Ci porteranno oltre il passo. Tu vivi da queste parti?”
    “Ho f-freddo.”
    “Scusa, scusami, dovrei avere una coperta dietro. Te la prendo, okay?” la possibilità di uscire dall’auto e da quella situazione mi sollevò un peso dal petto.
    Lei si era girata. Mi fissava con degli occhi liquidi e lontani. Gocce scendevano ritmicamente dalla fronte, formando rigagnoli di lacrime sul suo volto.
    Ero uscito, borbottando un’altra scusa, saltando tra le pozze per raggiungere rapido il retro dell’auto.
    L’altro sportello si era aperto. Lei era scesa.
    Mentre stavo aprendo il cofano posteriore si era fatta avanti, illuminata dalla piccola luce del bagagliaio.
    “Voglio il mio vestito.”
    “Scusa? Io non so di cosa parli, mi spiace. Ma ho una coperta, vedrai, ti andrà bene. Ora però torniamo in auto, okay? Che sennò si bagna anche questa…”
    La sua mano era guizzata invisibile. Mi aveva afferrato il polso col quale reggevo la coperta. Le unghie scure e spezzate tagliavano la pelle. Le dita ghiacciate penetravano come chiodi nella carne.
    “Ma che fai…”
    “Voglio il mio nuovo vestito.”
    “Ma cosa vuoi?” Urlavo, cercando di divincolarmi dalla sua presa. “Mollami cazzo, ma che vestito…”
    Lei si era limitata ad afferrarmi il fianco con la mano libera.
    E infilarmi le dita nella carne.

    Riesco a malapena a reggermi in piedi.
    Poco fa ho intravisto una luce, in lontananza, tra gli alberi. Se solo la smettesse di piovere, o diminuisse il vento che mi sta tagliando la faccia.
    Il dolore al fianco è meno intenso, ma mi sento più debole.
    Non so quanto riuscirò a continuare.
    Spero di raggiungere quella luce.

    Avevo sentito lo strappo della pelle e, per un secondo, le dita che si facevano strada verso i miei organi. In un momento di atroce lucidità il tempo si era dilatato, lasciandomi urlante.
    Con la mano libera le avevo afferrato i capelli, spingendole la testa contro l’auto. Non so cosa sperassi di fare, ma la vidi scivolare e cadere sul bagagliaio aperto, sbattendo con un tonfo che si concluse in un sordo gorgoglio. Ero riuscito a liberarmi.
    Arretrando di un passo l’avevo vista rialzarsi, scuotendosi, lo sguardo assente, vuoto. Il lato destro del viso pendeva floscio, raggrinzito, aperto sul cranio da un taglio profondo, che rivelava una sostanza ribollente e luminosa.
    Mi sono girato verso il bosco e ho iniziato a correre.

    Ogni respiro mi brucia nel petto. Ogni passo è una lunga sferzata di dolore, dal fianco alla testa.
    Credo di stare piangendo. Per me, per Nicholas. Sarà già nato?
    Non so che ora sia, il cellulare è rimasto in auto.
    Guardo nella tenebra invasa dalla tempesta, la luce che sto inseguendo sembra più vicina.
    Un passo dopo l’altro, un albero dopo l’altro. Pochi passi ancora da fare. Il vento mi spinge, sbatto malamente col viso contro un tronco.
    La vista si annebbia.
    Qualcosa di chiaro si avvicina. Uno spettro tra le ombre.
    “Il mio vestito nuovo.”
    “Che cazzo vuoi, eh, che cazzo vuoi da me?” urlo, piango. Prego, forse.
    “Vieni,” sussurra, “vestimi.”
    Scivolo lungo il tronco scheggiato e storto come me. Le forze che mi hanno portato fino a lì scemano, sciogliendosi nella pioggia assieme al sangue che gocciola dalla ferita aperta.
    Lei mi sovrasta. Bianca, nuda.
    Si siede sul mio ventre e apre la giacca. Inizia a sbottonare la camicia come un’amante premurosa. Mi muovo, lotto troppo debolmente per poterle sfuggire. Si sporge verso di me, afferrandomi i polsi.
    Sono inchiodato a terra, nell’erba e nel fango. Sul viso le gocce mi feriscono come sassi ghiacciati.
    Si china verso il mio collo.
    La sua bocca è un bacio di terra morta. La lingua guizzante è una lumaca, che striscia sulla mia pelle. Pizzica, come il tocco urticante di una medusa. Poi un lento torpore si diffonde.
    Non sento più nulla.
    Alza l’indice della mano destra. Sembra sorridere. Soddisfatta.
    Abbassa il dito verso il mio stomaco. Preme. Sento in lontananza il richiamo del mio corpo, gli avvisi neurali di un dolore che non riconosco.
    I suoi occhi si accendono.
    Le labbra divengono violacee, illuminate dalla sostanza che le sgorga dalla gola, gocciolando nello squarcio aperto. Dentro di me.
    “Il mio nuovo vestito” gorgoglia.
    Io svanisco.

    Sono in ospedale.
    Due donne si contendono un fagotto azzurro, parlottando lontane senza che io riesca a capirle.
    Vorrei salutarle, ma non posso.
    Non ho più una bocca da rivendicare. Nessun corpo da muovere.
    Non avverto neppure dolore. Non sento nulla.
    Le vedo rivolgersi a me, ridacchiare del mio essere completamente bagnato e inzaccherato. Mi prendono in giro per aver cercato di sistemare l’auto ed essere finito nel fango, invece di aspettare tranquillo che mi venissero a prendere.
    “Non hai mai capito nulla di macchine” conferma mio padre, seduto accanto al lettino.
    Sylvia sorride e scuote la testa. Mi prende una mano. Sento il suo tocco gentile, ma non è mia la volontà di stringerla e sorriderle. Sono solo un ospite ormai.
    Mia madre si avvicina e parlando con fare complice mi chiede che regalo vorrei per quel lieto evento.
    La bocca mi si apre in un sorriso.
    “Un vestito nuovo” mi sento rispondere.

    Edited by $haman - 9/5/2010, 09:26
     
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    Losco Figuro

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    Un buon horror anche se l'alternanza passato/presente è un po' spiazzante.
    Devo dire che ci ho messo qualche secondo a capire il finale però, non so se sia colpa mia o se sarebbe il caso di sottolineare un po' di più
    SPOILER (click to view)
    il fatto che lui stia osservando la scena senza alcun controllo del suo corpo e che dunque il "mi sento rispondere" non stia per "lo dico prima di rendermene conto" ma per "lo dice qualcun altro usando le mia corde vocali", per così dire

    Voto 3.

    CITAZIONE ($haman @ 2/5/2010, 08:55)
    mi diressi al cofano. Sollevato e fissato con l’asta, di cui mai mi ero fidato completamente,

    Dovrebbe essere "Sollevatolo e fissatolo", ma meglio ancora "Dopo averlo sollevato e fissato". Così manca il soggetto a quei due verbi.

    CITAZIONE ($haman @ 2/5/2010, 08:55)
    avevo usato una lampadina ricaricabile per cercare di vedere qualcosa.

    Meglio una lampada o una torcia, una lampadina fa pensare al bulbo più che all'intero congegno, e tipicamente le lampadine intese in quel senso non si ricaricano.
     
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  3. Alessanto
     
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    Bello!
    Anche questo l'ho riletto con piacere. Ricordavo un inizio un po' lento mentre questa volta (l'hai modificato?) non l'ho riscontrato. Anche la tendenza della prima persona che si parla addosso è solo sfiorata.

    Voto 4 per l'atmosfera che sei riuscita a creare.
     
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  4. marramee
     
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    Ciao,
    un racconto senz'altro affascinante, molto scorrevole. Manca tuttavia di quella "comprensione" che l'avrebbe migliorato assai. Ovvero: cos'è? Chi è? Perché? Non spiegare è un'arma a doppio taglio, da un lato non delude, però alla fine resta sempre il dubbio di non aver capito qualcosa. Comunque l'atmosfera è senz'altro azzeccata, resa molto bene, anche se il finale un po' prevedibile.
    In definitiva un tre pieno.
     
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  5. $haman
     
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    CITAZIONE (Alessanto @ 3/5/2010, 10:15)
    Bello!
    Anche questo l'ho riletto con piacere. Ricordavo un inizio un po' lento mentre questa volta (l'hai modificato?) non l'ho riscontrato. Anche la tendenza della prima persona che si parla addosso è solo sfiorata.

    Sì, l'ho sistemato da quello della RR togliendo abbastanza "fronzoli" inutili e cercando di asciugare dove possibile il testo.

    CITAZIONE (marramee @ 3/5/2010, 13:26)
    Ciao,
    un racconto senz'altro affascinante, molto scorrevole. Manca tuttavia di quella "comprensione" che l'avrebbe migliorato assai. Ovvero: cos'è? Chi è? Perché? Non spiegare è un'arma a doppio taglio, da un lato non delude, però alla fine resta sempre il dubbio di non aver capito qualcosa. Comunque l'atmosfera è senz'altro azzeccata, resa molto bene, anche se il finale un po' prevedibile.
    In definitiva un tre pieno.

    eh, il problema del non spiegare... a me piace di più così, visto dalla vittima che non è cosciente della natura del proprio carnefice e ne rimane ucciso, ma mi rendo conto che rimangono come dici tu i dubbi.
    Il finale prevedibile dici per i riferimenti al presunto "vestito"?
    Nel caso suggerimenti per migliorarlo da quel punto di vista?
     
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  6. Piscu
     
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    il racconto è buono, manca però di un contesto. è vero che trovandosi in una vicenda del genere difficilmente si capirebbe qualcosa oltre a ciò che si vede di immediato, ma messa così sembra solo un episodio di una storia più ampia di cui non si conosce altro.

    comunque è scritto bene e scorre al ritmo giusto, e ha un buon finale. il tre ci sta.
     
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  7. Gordon Pym
     
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    Una buona atmosfera, descrizioni efficaci.
    Ti confesso però che ho riletto più di una volta il finale, mi sembra un po' criptico. Inizialmente pensavo fosse morto, o uno spirito, o posseduto, ma vuole urlare la sua gioia, poi la sorella lo prende per mano. Perché suo padre gli dice che non ha mai capito nulla di macchine se poi è ripartito? È stata quella donna ad aver "alterato" il funzionamento del motore? Lui, ha la donna in corpo? Ne è diventato il vestito?
    Comunque, arrivo a 3.
    Attenzione che ci sono errori nei tempi verbali, ti segnalo qualcosa sotto.
    Ciao, a rileggerti.

    CITAZIONE
    È stato su uno degli ultimi tornanti, prima del passo, che le cose hanno cominciato... ... quando la macchina aveva iniziato a rallentare

    C'è una discordanza di tempi.

    CITAZIONE
    Girai di nuovo la chiave.

    Anche qui.

    CITAZIONE
    Afferrai l’ombrello colorato, dimenticato mesi prima da mia moglie, e mi diressi al cofano. Sollevato e fissato con l’asta, di cui mai mi ero fidato completamente, avevo usato una lampadina ricaricabile per cercare di vedere qualcosa.
    Avevo imprecato...

    Idem.

     
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  8. Daniele_QM
     
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    Bello, riesci a ricreare un'atmosfera davvero inquietante. I dettagli che semini circa la figura della ragazza sono inredibilmente vividi. Sì, non sappiamo niente in definitiva, né chi sia, né ci faccia lì ecc.
    Ma s'intuisce. Abbastanza. Insomma, l'invasione degl ultracorpi e suoi consimili, l'abbiamo visto tutti.

    Quattro. :)
     
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  9. Idrascanian
     
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    Bellissimo Sciamano! Mi è piaciuto davvero molto, sia per quel gusto dei particolari che ti contraddistingue, sia per come hai gestito il ritmo e i tempi della storia. Racconto molto classico, col tipico guasto alla macchina, una casa abbandonata e una scrittura semplice ma efficace. La mancanza di originalità, in questo caso, non delude, perché il racconto colpisce nel segno, è permeato da un'atmosfera malsana che vale da sola la lettura. Ottimi personaggi e un gran finale. Sulla mancanza di spiegazioni sono d'accordo con te (al mio racconto sono state mosse critiche molto simili in questo senso). Anche a me piace lasciare un finale che possa dare spazio a diverse interpretazioni, ma è una scelta che può far storcere il naso. Ottima prova, bravo! Dico 4.
     
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    Amante Galattico

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    Ciao eccomi

    SPOILER (click to view)
    Bello. Non è un'idea originale, ovvio e neppure la situazione. Ma mi è piaciuto molto il ritmo e come il ritmo si sia molto ben fuso alle descrizioni e all'atmosfera.
    Il finale non è chiarissimo, ci ho messo un poco a capirlo, forse mi ha confuso il fatto che comunque c'è una coscienza in prima persona ancora, anche se è lei che ha preso il controllo... però ci sta.
    L'andamento, la struttura, è ben gestita, su questo non ci piove (!), anche se alla fine non c'è una reale spiegazione su chi sia lei o cosa sia. Non che debba esserci e non che lei debba sproloquiare tipo supercattivo di turno, ma magari qualche elemento che potesse far intuire, far pensare...

    Allora: tra 3 e 4. Metto 4 perché scorrevolissimo e lo ritengo superiore al fatto che è un "già visto" con un andamento tradizionale.

    VARIE
    -"lunghi e sporchi" - quello sporchi riferito ai capelli secondo me non ci sta bene; oltra al fatto di essere sotto la pioggio, saranno anche difficili da vedere; un aggettivo troppo netto
    -"Temo di congelare, ma temo ancor più la cosa che si aggira barcollante tra gli alberi, cercandomi." - quel cercandomi mi stona come tempo verbale
    -"Mi si era avvicinata con piccoli passi..." - ha senso che si avvicini, visto che lo ha già afferrato per il polso? Forse andava messo prima
     
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  11. $haman
     
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    Eccomi ancora qua!
    Purtroppo una settimana lavorativa devastante non mi sta lasciando molto tempo per leggere commenti e racconti, spero di recuperare nel weekend.

    Intanto... grazie per le correzioni e per i giudizi.
    Sono contento che sia migliorato rispetto alle prime stesure (soprattutto la prima, logorroica) e al finale "criptico" penso di aggiungere giusto un accenno, che possa soddisfare chi vorrebbe almeno capire cosa sia quella cosa che gli fa la cosa.

    Sui tempi verbali errati la puntualizzazione mi è stata molto utile.
    Ho rivisto quei passaggi, ho chiesto aiuto in giro (ne capisco la grammatica quasi meno che di donne) e sto cercando di ristudiare l'uso dei tempi nelle analessi per non ricadere in quei errori.
     
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  12. rehel
     
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    Se avessi capito il finale sarebbe stato un bel quattro, così mi limito a tre.
    Tuttavia mi trovo anch'io a sottolineare la tua capacità di rendere un'atmosfera cupa e angosciante, che a tratti mi ha ricordato i racconti dell'antologia: Malarazza. Anch'io, come altri, sottolineo un ottimo stile, un eccellente capacità di rendere l'orrore.
    Segnalo alcune cosucce:
    ...composta da assi ordinate e pulite, dietro le quali s'intravedeva la sagoma di una casa bassa, le mura di pietra, un balcone le cui assi di legno... ecc. - ripetizione della parola ASSI.
    E poi ancora...
    Gocce scendevano ritmicamente dalla fronte... ho capito cosa volevi fare, e in parte l'approvo, ma così non scivola bene. Sarebbe meglio: Alcune gocce scendevano... oppure anche: delle gocce scendevano.
    Credo che per certi versi tu abbia trovato la quadratura del cerchio di uno stile ricercato, ma allo stesso tempo liscio e scorrevole, una cosa che io cerco sempre di fare, ma che non sempre mi riesce... <_<
     
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  13. $haman
     
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    Alura, ho apportato alcune modifiche seguendo i vostri suggerimenti e l'ho editato anche qua.

    Grazie per i complimenti, sono contento che il taglia taglia sia servito, ma m'interessa molto...

    CITAZIONE (rehel @ 7/5/2010, 21:10)
    Se avessi capito il finale sarebbe stato un bel quattro, così mi limito a tre.

    cosa non è chiaro? Mancano sicuramente (e volutamente) i dettagli su chi o cosa ci fosse dentro la donna, ma non ti è chiaro come si chiude la storia?
     
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  14. sgerwk
     
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    Voto 3

    Un buon racconto horror, sia pure con elementi già visti (la macchina che si rompe proprio nel bel mezzo del nulla, la ragazza che dice poche cose e in più strane). La parte centrale e; ben riuscita, ma purtroppo l'inizio è un po' macchinoso per via dei tempi verbali e il finale che andrebbe ulteriormente chiarito (vedi sotto).

    Per quello che riguarda l'inizio: la narrazione parte avendo come "tempo presente" lui che guida troppo veloce. Poi viene detto il passato, ossia per es. lui che si ferma al bar. Segue la parte in cui gli si ferma la macchina, che però sembra una continuazione del passato, cioè che avviene dopo il caffè ma prima di lui che guida troppo veloce (mentre invece è dopo).

    "mente lucida come un lago ghiacciato" similitudine poco chiara

    "barbuti indigeni, dalle guance" o occhio mi pare la virgola sia di troppo

    "le mani simili a zappe arrugginite" idem

    "Mentre stavo aprendo il cofano, per prendere la coperta" il cofano non è quello davanti? Quello dietro sarebbe il portellone o il bagagliaio (poi mi sembra che la virgola si possa togliere)

    "Indossava un reggiseno bianco [...] Una gonna" penso che il fatto che lei non abbia altro addosso vada detto quando lui la vede la prima volta, che poi è quando lui si accorge di come è vestita; in particolare, se lei fosse vestita in modo più o meno normale si potrebbe anche rimandare la descrizione di cosa indossa al momento in cui è in auto, ma in questo caso no perché è una cosa che il protagonista dovrebbe notare subito

    il finale l'ho dovuto rileggere una seconda volta per capirlo... però forse il problema non è tanto il modo in cui è scritto ma il fatto che spesso gli scrittori usano l'immagine del personaggio che "si sente dire" per indicare solo una sensazione dovuta a una forte euforia, e non a una possessione; forse andrebbe evidenziato il fatto che lui non può più per es. muoversi; questo potrebbe rendere più evidente l'idea del finale



    PS: ma puoi postare in USAM un racconto che hai inviato al CM?
     
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  15. rehel
     
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    No... in effetti non ho capito il finale della storia, però ammetto di avere un po' di neuroni consumati e la cosa non fa testo. ;)
    Tuttavia mi pare che anche altri abbiamo espresso delle perlessità.
     
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29 replies since 2/5/2010, 07:55   393 views
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