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Attenzione: questo scritto ha contenuti destinati a un pubblico adulto. O perlomeno a un pubblico adolescenziale abbastanza disinibito. Come erano gli adolescenti di un tempo, insomma. Leggendo di seguito dichiari sotto tua totale responsabilità di essere un adolescente e di essere disinibito. Se terminologia o situazioni esplicite possono offenderti o andare in contrasto con la tua morale, sei pregato di chiudere questo post e di non querelarmi. Sono allergico alle querele. Mi inibiscono! Nonostante mi senta ancora adolescente...
PEN FRIENDS
Quando il giornalista David Moccio giunse all'ingresso della villa, la strada gli fu sbarrata da un energumeno. «Invito», chiese a mezza bocca il gorilla, mentre i suoi occhi erano incollati sul sedere di una donna che aveva appena varcato l'ingresso. David cercò nelle tasche della giacca. «Devo averlo dimenticato», disse e, come suo solito, sentì una vampata di calore incendiargli il viso. «Allora non può entrare», rispose l'energumeno. «Ma io sono stato invitato», balbettò David. «Sono un giornalista, devo intervistare il Maestro». «Come si chiama?» «Moccio. David Moccio». «Come il moccio del naso?» ridacchiò il bisonte. «Sì», rispose stizzito e un po' imbarazzato David. Il gorilla prese un quaderno e iniziò a scorrere i nomi degli invitati. «Qui non c'è nessun David Moccio», constatò soddisfatto. «Se ne vada», aggiunse annoiato. David, allora, cercò di mettersi in contatto con la segretaria del Maestro, ma la signorina Brenda Bills non rispondeva al cellulare. Si guardò intorno alla ricerca di qualche faccia nota, ma non ne trovò. Decise di insistere con l'energumeno. «Ascolti», gli disse timidamente, «io devo entrare. Chiami qualcuno dell'organizzazione». «Invito», chiese risoluto il gorilla. «Ma le ho già detto che non ce l'ho!» «Come si chiama?» «Le ho detto pure questo». David stava cominciando a perdere la pazienza, cosa non da lui. «Stia calmo», disse l'energumeno. «Come si chiama?» «Moccio. David Moccio», rispose il giornalista, scandendo tutte le sillabe. «Come il moccio del naso?» «Sì! Le ho detto di sì!» rispose David in preda a una crisi di nervi. Il gorilla ridacchiando si mise di nuovo a scorrere l'elenco. «Non ci sono su quel maledetto elenco!» gridò David. Come se non avesse inteso, l'energumeno diede il suo responso: «Qui non c'è nessun David Moccio». Il giornalista, esasperato, decise di passare comunque. Lo scimmione, però, lo afferrò con violenza, torcendogli il braccio destro dietro la schiena. «Ah! Mi sta facendo male!» Proprio in quel momento, sentì una voce di donna che lo chiamava: «Signor Moccio!», era la segretaria del Maestro. «Lascialo andare», disse all'energumeno, «è con me». L'uomo, con rammarico, mollò la presa, sistemò il collo della giacca del giornalista e tornò a fare il suo lavoro. «Sono spiacente, signor Moccio: questi gorilla non hanno il minimo tatto», si scusò la segretaria. «Non fa niente», rispose David massaggiando il braccio indolenzito. «In fondo la colpa è mia». «Prego, da questa parte», gli disse. «L'accompagno». I due si incamminarono e Brenda raccontò che Michael Saxon aveva voluto organizzare una grandiosa festa per il lancio dell'ultimo film del Maestro. «Sono qui apposta. Voglio dedicare il prossimo numero della mia rubrica al vostro mondo così perverso e interessante. Mi affascina molto, sa? Come si intitola questo film?», chiese David mentre la ragazza lo colse a frugarle le gambe con gli occhi. «”Pene infernale”», disse la donna fissandolo con malizia. «Titolo geniale, non trova?» aggiunse e riprese a sculettargli davanti. «Leggo sempre la sua rubrica», riprese, «è molto divertente, sempre ricca di personaggi famosi, delle loro vite, dei loro segreti. E poi, adoro come inizia: Cari amici di penna...», e si fece una risatina ambigua. David annuiva alle parole della segretaria e si guardava attorno, cercando di immaginare dove li avrebbe condotti quel lungo viale. D'un tratto, vide stagliarsi contro il cielo, imponente nel suo stile classico, la villa del regista di film porno At Porters.
Ovunque, c'erano personaggi famosi dello show-business. David riconobbe veline e tronisti, letterine e attori, presentatrici e ospiti fissi di trasmissioni – che, a dirla tutta, non avevano altre qualità se non quella di comparire in TV e, quindi, erano assolutamente perfetti per la sua modesta rubrica di gossip. C'erano persino reduci dei più famosi reality show del momento. Sventole dai seni al vento assorbivano il sole che veniva trattenuto con ostinazione sulla pelle satura dai corpi avidi di abbronzatura; uomini, col cervello oppresso dai muscoli e il sedere ben delineato da costumi simili a tanga, si pavoneggiavano tuffandosi dal trampolino e ricevendo in premio i gridolini di donne vicine all'orgasmo. La facciata della villa somigliava a un tempio greco, solo molto più pacchiano, con colonne in stile corinzio che sorreggevano un enorme porticato. All'interno, gli occhi di David si focalizzarono sul pavimento a scacchiera bianco e nero, per poi scorrere sui caminetti ornamentali incassati nelle pareti, e infine soffermarsi sul gigantesco lampadario di cristallo che pendeva dal soffitto. Al centro dell'immenso, affollatissimo salone, dominava un'aberrante fontana a forma di pene dalla quale, di tanto in tanto, zampillava un fiotto giallo. «È limonata», disse Brenda, leggendo lo stupore sul volto dell'ospite. Il liquido giallo riempiva una vasca circolare dove due splendidi cigni sguazzavano incuranti della festa. Oltre la fontana, una doppia scalinata di marmo rosa conduceva, con un abbraccio, ai piani superiori. Dal vano che si apriva nello spazio tra le due scalinate entravano di continuo bellissime cameriere, vestite solo di bikini e rollerblade, pronte a soddisfare ogni desiderio degli invitati. In un angolo c'era anche una grande vasca idromassaggio in cui uomini e donne si ammucchiavano selvaggiamente. Ma quello che più colpì David furono le due statue sulle scalinate, poste lì quasi ad accogliere i visitatori: due giganteschi peni, leggermente flessi in un bizzarro inchino di benvenuto. «Sono opere dello scultore Max Di Giovanni», specificò Brenda che ancora una volta indovinò i suoi pensieri. «Valgono un patrimonio». «Non ne dubito», disse David che subito aggiunse: «A quanto pare, il pene è un motivo ricorrente in questa villa». Ovunque vedeva falli di ogni forma e dimensione, dei più svariati materiali e utilizzati per gli usi più impensabili. C'erano peni mosci, rivestiti di pelli leopardate, che accoglievano i sintetici sederi degli ospiti, e peni in erezione, che fungevano da tavolini e comò. C'erano persino grossi peni in ceramica che contenevano fiori profumati o avevano uno scopo puramente ornamentale. «Sì, il Maestro voleva uno stile che rispecchiasse la sua indole professionale e l'architetto ha pensato di sfruttare appieno le scenografie dei suoi film più famosi», disse Brenda mentre si guardava attorno per essere sicura che tutto funzionasse. «Del resto», aggiunse «il pene ci dà il pane! Non dice così la canzone?», e rise di un riso squillante, mostrando denti bianchi che tanto pane avevano dovuto masticare. «Signorina Bills!» Una voce richiamò l'attenzione di Brenda che si scusò: doveva occuparsi anche degli altri ospiti. «Faccia come a casa sua», si congedò. «Farò del mio meglio», le urlò David quando già non poteva più essere udito. Il giornalista allora si avvicinò al tavolo dei cocktail e si servì un aperitivo. Mentre beveva, lanciava sguardi curiosi a destra e a manca: c'erano individui che sniffavano cocaina, sparsa sulla punta di uno di quei peni di ceramica, e spacciatori pronti a rifornirli, impegnati in una bizzarra gara di velocità. In un angolo c'era una donna circondata da un gruppetto di uomini posti a una distanza di due o tre metri. David vide che gli uomini si stavano masturbando; al momento di eiaculare, iniziarono a dirigere il getto verso la donna che attendeva vorace. Un giudice in giacca e cravatta segnava su una lavagna i punteggi che variavano a seconda della zona “colpita”: tre punti per il seno, quattro punti per il viso, cinque punti per la bocca, un punto per il resto del corpo. Zero, ovviamente, se si mancava il bersaglio. Poco distante, un uomo osservava la scena ma, a differenza degli altri, non sembrava eccitato; era piuttosto malinconico e sovrappensiero. David si avvicinò, nella speranza che conoscesse il padrone di casa, con l'intenzione di raccogliere informazioni per il suo articolo e, in verità, molto incuriosito da quella strana pratica sessuale che si stava svolgendo sotto i suoi occhi. «Bella festa, vero?» gli chiese per attaccare bottone. Lui lo guardò, inarcando lievemente il sopracciglio destro, quindi tornò a guardare la scenetta. «Sono sempre così movimentate le feste da queste parti?» insistette David, accennando con la testa alla scena che andava consumandosi davanti a loro. Per tutta risposta, il tizio sputò per terra e se ne andò.
«Non farci caso», disse qualcuno alle spalle del giornalista. «Poverino! Quella lì è sua moglie, comprendi?» David si girò e scoprì che la voce apparteneva a un uomo vestito con sgargianti pantaloni violacei e una maglia nera a girocollo. In testa, portava il tipico copricapo del torero. «Piacere», disse «Me llamo Emilio Luciero, comprendi?» «Piacere», rispose David, «che cosa devo comprendere?» «Come? Non mi riconosci?» «Beh, veramente, non saprei...» «Sono il direttore della fotografia dei film di At Porters, comprendi?» Parlava con uno strano e falso accento spagnoleggiante e aveva al collo un esposimetro, uno di quei dispositivi con cui si misura la luce. D'un tratto, lo afferrò e lo avvicinò al volto del giornalista. «Non mueva», disse «empresa...», David fissava quell'aggeggio a pochi millimetri dai suoi occhi, come fosse la gelida lama di un coltello. «La luz aquì no es buena, comprendi?» Lo prese allora per un braccio spostandolo di qualche centimetro, dopodiché tornò a misurare la luce. «Aquì es muy buena, comprendi?», disse entusiasta. Bevve un altro sorso di sangria. «Ma cosa stanno facendo?», chiese David, alludendo alla stramba scena di sesso. «”Bukkake”, comprendi?», rispose l'uomo. «Un'antica pratica sessuale giapponese usata per propiziarsi il dio della fertilità, comprendi?». «E quel giudice?» «Beh, attualmente è diventata anche una disciplina sportiva. Ce ne sono molte varianti, comprendi?» «Io mi chiamo David e sono un giornalista». Alla parola giornalista, gli occhi di Emilio si illuminarono. Se in quel momento avesse avvicinato l'esposimetro, avrebbe trovato che la luce che li faceva brillare era “muy buena”. «Un giornalista!», osservò interessato Emilio. «Devo scrivere un articolo sul Maestro per la mia rubrica, forse la conosce, si intitola...» «Il Maestro?», Emilio sospirò, interrompendo David. Un punta d'invidia colorò il suo sguardo. «Ci conosciamo da quando eravamo bambini, comprendi?», disse guardando altrove come per darsi un contegno e senza rendersi conto di aver perso l'accento. «Mi racconti qualcosa», chiese David. «Bene, vediamo un po'. At fu il primo a credere nel rilancio del porno come espressione artistica e non commerciale del genere. Frequentavamo l'ambiente sin da giovani, comprendi?» «Ehm, no, cos'è che devo comprendere?» «Il sabato sera ci intrufolavamo di nascosto nei cinema a luci rosse e ci mescolavamo alle palpitazioni tenui e ansimanti della sala. Lui, però, è sempre stato diverso da tutti noi: non era interessato al mero aspetto materiale della questione. Cioè, voglio dire, non solo, comprendi? Quando aveva finito quello che stava facendo...» «Facendo?», chiese David non afferrando. «Sì, insomma... di masturbarsi, comprendi? È sempre stato un tipo rapido e non sopportava di starsene lì con le mani in mano ad aspettare noialtri. Così, quando aveva finito, iniziava a studiare la meccanica di questi film che trovava noiosi e sciatti: la sceneggiatura inconsistente, le inquadrature prevedibili e banali, la recitazione un clichè del genere. “A me interessa la storia che c'è dietro”, diceva. Tutti noi lo prendevamo in giro, credendo fosse solo un alibi per la sua eiaculazione precoce, comprendi? Un giorno, al cinema, mentre ero ancora intento, ehm... nelle mie faccende, comprendi?, mi disse “Emilio, dobbiamo far vedere come si fa un vero film!” Io gli risposi che non era quello il momento, se poteva aspettare ancora un paio di minuti insomma, ma lui scomparve nell'oscurità della sala». A quel punto, Emilio, si fece più vicino, si rabbuiò in viso e abbassò la voce rendendola graffiata e quasi sussurrata, come se stesse per rivelare un segreto pericoloso. «Qualche settimana dopo», riprese con voce impostata, «mi telefonò dicendo che aveva scritto la sceneggiatura e trovato gli attori. Mi disse che gli serviva qualcuno che si occupasse delle luci, perché la fotografia nel suo film era fondamentale, comprendi?», disse guardandosi attorno con sospetto. «Mi chiese se volevo occuparmene. Io risposi di sì, più che altro per assistere dal vivo a qualcuna di quelle scene che... sì, insomma, che avevo visto solo al cinema, comprendi? Mi disse: “Io non voglio fare un film dove la gente viene, si siede, si fa una sega, si alza e se ne va prima di vedere come va a finire la storia”. Proprio così. Diceva: “Certo, ci vogliono cazzi enormi e tette giganti per portare la gente al cinema, ma come li fai rimanere una volta che sono venuti?”, venuti in tutti i sensi, comprendi?», fece l'occhiolino a David annuendo complice. «Mi diceva: “Anche quando hanno svuotato il serbatoio, voglio che restino incollati alla poltrona finché il film non è finito”». Detto questo, Emilio si ricompose, bevve un altro sorso di sangria e riassunse il solito tono di voce in finto falsetto. «Non le pare un'idealista il suo “Maestro”?» «È stato un precursore», disse David sinceramente ammirato. Cominciava a comprendere le dinamiche particolarissime di quel mondo sommerso: aveva avuto proprio una buona idea a farne un articolo per la sua rubrica. Era sempre stata una rubrichetta di scarso successo, ma - ne era sicuro - ora le cose sarebbero cambiate. «Sa cosa mi disse prima di iniziare a girare? Mi disse: “Emilio, il mio sogno è fare un film vero, onesto e drammatico!” Fu così che facemmo il nostro primo film: “Per un pugno di sperma”, si intitolava. Faceva il verso a Sergio Leone, comprendi? In effetti, era un film diverso dagli altri di quel genere, con una solida sceneggiatura western alla base, dove si scopava solo se necessario. Le scene erano gestite come veri e propri duelli: sceriffi e banditi sparavano a colpi di pene. Quel film ebbe un successo inimmaginabile. Michael Saxon lo distribuì su scala internazionale. Quindi, trovò i soldi per finanziare il seguito: “Per qualche spermatozoo in più”. Clint Eastwood e Lee Van Cleef chiesero di poter partecipare, ma furono scartati». «Scartati? Clint Eastwood e Lee Van Cleef?», chiese incredulo David. «Sì, scartati. Per via del pistolino, comprendi? Il produttore gli fece un provino e li scartò. Ah, a proposito, ecco Michael...» Proprio in quel momento passava di lì il produttore, un tipo distinto sulla settantina, con un cappello da cowboy in testa, un sigaro in bocca e due ragazzine sottobraccio. David non si fece scappare l'occasione e lo rincorse, nonostante Emilio gli ululasse dietro.
«Signor Saxon? Sono David Moccio, un giornalista, curo la rubrica...» «Non ho tempo», rispose brusco il produttore che in effetti, in quel momento, era troppo impegnato a palpare i sederi delle due ragazzine. «Solo alcune domande, la prego», insistette David, sforzandosi di vincere la timidezza. «Cosa vuole sapere?» «Il signor Luciero mi diceva che lei è stato il produttore del primo film del Maestro». «Maestro? Tsè!» disse Saxon con disprezzo. «È un regista come gli altri. Chi si crede di essere? Kubrick?» «Ma mi scusi», intervenne David arrossendo, «da quanto ho potuto capire, i suoi film sono diversi dagli altri: hanno una trama che intriga, veri attori, dialoghi credibili. Chi va al cinema non lo fa solo... sì, insomma, solo per svuotarsi ma anche e soprattutto per vedere un buon film». David parlò con fervore; ormai si sentiva risucchiare da quel mondo che aveva cominciato ad avvilupparlo come sabbie mobili. Si sentiva più coraggioso e sicuro di sé. Finalmente sarebbe diventato un giornalista di successo. «Un buon film! Tsè!» ripeté Saxon. «Roba buona solo per scopare». Si girò, in cerca di approvazione, verso le sue ragazze che, come azionate da un comando a distanza, iniziarono a ridere. «I suoi film», continuò Saxon, «sono sempre stati troppo costosi. Ma lo sa lei quanti soldi ci vogliono?» «No», rispose David, «veramente non sono un grande esperto». «Ci vuole una montagna di quei bei biglietti filigranati per fare queste cose», afferrò dalla tasca una mazzetta e la fece frusciare sotto il naso di David che starnutì. «E lui? Il suo “Maestro”? È un fissato della pellicola, lui. Ma con il digitale, internet, youporn, a chi vuole che importi se il film è fatto su pellicola?» Diede una sonora boccata al sigaro e cacciò il fumo sul viso di una delle ragazze che continuò a ridere, nonostante non potesse fare a meno anche di tossire. «Ricordo come se fosse ora, quella notte di tanti anni fa. Lui era in sala di montaggio, era molto tardi, le due o le tre – è sempre stato un gran lavoratore, questo lo devo proprio ammettere. Il film doveva essere nei cinema già da una settimana, ma lui si intestardiva a montare e smontare sempre la stessa scena. “Non mi piace!” diceva, “Non è vera. È rozza, dozzinale. Dobbiamo rigirarla”. “Rigirarla?” dissi io. “Sei ammattito? Ma lo sai quanto mi costa rigirare la scena?” Iniziammo a litigare: lui minacciò di ritirare il film. “Tu sei pazzo!” gli urlai contro. “Io ti rovino!” Gliene cantai quattro! Proprio così! Gli dissi che da quel momento in poi sarebbe cambiata la musica: “Da oggi, la pellicola te la puoi scordare! In digitale, si gira. Capito? E gli attori, li scelgo io!”» «E cosa successe?», intervenne David tutto preso dal racconto. «Successe che cominciammo a strillare: “Abbiamo un contratto”, diceva. “Per altri dieci film si fa come dico io!” “Io ci piscio sopra, al contratto”, risposi. Sì! Gli dissi proprio così! Ci piscio sopra!», e cominciò a ridere sguaiatamente e alla sua risata, com'era ovvio, si unì anche la risatina delle due gallinelle. «E lui?», chiese David. «Lui?», riprese Saxon smorzando a poco a poco la risata. «Lui ebbe un infarto». Il volto gli si oscurò come se stesse rivivendo proprio in quel momento la scena. Gli occhi, sbarrati, fissavano il vuoto. «La sua segretaria...», riprese con una voce flebile, «quella puttana di Brenda intervenne in suo aiuto: “Io ti denuncio”, disse. “Ti faccio arrestare per omicidio”. Poi, quel regista da strapazzo si riprese e ora eccoci qui a pubblicizzare “Pene infernale”». Fece una pausa, negli occhi tristi ancora la scena che aveva descritto. Poi, spalancò la bocca in un poderoso sorriso e disse: «Bel titolo, non trova? L'ho inventato io!», e ricominciò a ridere e ridendo portò le gallinelle a beccare altrove.
David non credeva a quello che aveva sentito: decisamente l'idea dell'intervista era stata ottima! Sempre che gli permettessero di pubblicare quell'aneddoto. E chissenefrega!, pensò. Io lo pubblico lo stesso. E si meravigliò un poco nel constatare la grinta che sentiva esplodergli dentro. Come aveva potuto resistere tutta la vita lontano da quell'elettrizzante ambiente? Mentre si sfregava le mani, si voltò e vide un ragazzo che lo stava fissando: aveva lo sguardo rapito e la bocca malinconicamente socchiusa. David non sapeva chi fosse: un altro degli strambi invitati di quella festa? «Ti serve qualcosa?», gli chiese. Il ragazzo rimase a fissarlo. Quindi, d'un tratto disse: «Fai schifo». David rimase come paralizzato da quella rivelazione. «Co-come?», chiese. «Tu... tu fai schifo», ripeté il ragazzo. Poi, abbracciando con lo sguardo tutta la villa e i suoi invitati, estese anche a loro il suo anatema: «Tutti! Tutti quanti fate schifo!», e se ne andò. «Non ce l'aveva con te». David si voltò e si ritrovò di fronte un uomo calvo, con indosso un gilet di pelle che metteva in mostra il petto villoso, un paio di jeans e sandali ai piedi. «È solo un povero pazzo! Piacere, sono Bob Thishole». «Bob Thishole?» «Come? Non sa chi sono!», esclamò sinceramente meravigliato. «In pratica», aggiunse facendo una pausa per creare una sorta di suspense, «sono il protagonista di tutti i film di Porters. Sono una specie di suo attore feticcio». «Oh, che fortuna!», sorrise David, «Posso farle qualche domanda?» «È un giornalista?» chiese interessato. «Sì», disse David che cominciò a rendersi conto del potere legato a questa parola: “giornalista”. «Ma certo. Dica pure», fece Bob, accarezzandosi il villoso pettorale che faceva capolino dal gilet di pelle nera. «Ecco, sto scrivendo un articolo sul Maestro», disse David, al che l'entusiasmo di Bob si smorzò. «Curo la rubrica...» «Mi scusi, non è che abbia tutto questo tempo», disse. «Solo una domanda, la prego. Volevo sapere del suo lavoro col Maestro». «Beh, certo, non è facile. Occorre metodo e professionalità, ma se poi non ti funziona l'idraulica...», disse e si diede un'aggiustatina all'idrante. «Prima di me, At ne ha scartati a decine, sa? Ormai, nel nostro ambiente, quasi più nessuno lo sopporta. È troppo rigido nelle sue convinzioni, e poi, a detta di tutti, lui solo è il genio. E io? Io non conto un cazzo?» Dai suoi occhi sgranati emergeva un certo astio nei confronti del regista. «Ecco, vede quello lì?», e con lo sguardo indicò il ragazzo che poco prima aveva lanciato invettive contro David e gli altri invitati. Adesso stava inginocchiato per terra e fissava il pavimento. «Ma cosa sta facendo?», chiese David. «Cerca di scambiare la sua anima con quella di uno scarafaggio», rispose Bob che poi aggiunse: «Lui ha fatto una miriade di provini, ma il Maestro l'ha sempre scartato. Sa che è il figlio del produttore?» «Di Michalel Saxon?» «Proprio lui. Il ragazzo si chiama Max Brox, è il nome d'arte, ovviamente. Tutti qui ne abbiamo uno, per lo più ispirato ai porno americani degli anni Ottanta. Ricordo che Max doveva dire una battuta: “Sei il dolce nido del mio passerotto”, ricordo la scena come se l'avessi davanti agli occhi». Di nuovo una pausa. Lo sguardo si fece intenso a guardare la mano che lentamente portava sopra la testa stringendosi a pugno. «At gliela fece ripetere più di cento volte, tanto che il suo uccello poco a poco si ammosciò. At non ne poté più, scaraventò per terra il megafono e se ne andò. Il povero Max, umiliato davanti a tutta la troupe, iniziò a singhiozzare. Cadde in ginocchio e, proprio in quel momento...», fece un'altra pausa studiata, d'effetto. Proprio un grande attore, pensò David. «Proprio in quel momento?», chiese concitato. «Proprio in quel momento, disgraziatamente schiacciò uno scarafaggio». «Uno scarafaggio?», fece David stupito. «Sì, un miserabile, schifosissimo ma innocente scarafaggio che nulla aveva a che fare con tutta quella storia. Il povero Max rimase scioccato: da allora, cerca di ottenere il perdono dell'insetto offrendo in cambio la sua anima. Non si è più ripreso, sa? Lo shock gli ha paralizzato il paletto. Non c'è disgrazia peggiore per attori come noi. Che storia, eh?» Si fermò a sorseggiare del Martini, quindi aggiunse: «Del resto non tutti nascono col mio talento. Io vengo dal teatro, sa?» «Dal teatro! Ma sentilo...» una voce femminile lo schernì. I due uomini si girarono e videro, splendente nel suo corpetto nero dal quale due tette imperdonabili pareva volessero evadere, Lauren Leftees. La diva! L'impulso di David, come quello di qualsiasi altro uomo si fosse trovato al suo cospetto, fu di strisciarle ai piedi e leccarle le scarpe, ma la sua voglia venne frenata dalla grinta dell'enorme pantera che Lauren portava al guinzaglio. David sgranò gli occhi e lanciò un urlo. «Non si preoccupi, signor...» «D-David M-Moccio», balbettò il giornalista. «Signor Moccio», disse Lauren, «Black Pussy è la gattina più mansueta che ci sia». «Sì, mansueta finché non decide di sbranare qualcuno», fece Bob. «Vede quei gorilla che circondano la “diva”?», pronunciò la parola “diva” con disprezzo. «Non sono mica le sue guardie del corpo, no. Sono guardiani dello zoo: hanno pistole soporifere nascoste nelle giacche, per addormentare la bestiola prima che salti addosso a qualche invitato». «Non gli dia retta», disse Lauren, «è un impotente!», che era evidentemente l'offesa peggiore che gli si potesse rivolgere. Bob si irritò, ma fu costretto a calmarsi al primo ringhio di Black Pussy. Se ne andò decisamente incavolato. «Mi hanno detto che lei è un giornalista», disse Lauren. «Sì», rispose David. «Sta scrivendo un articolo su mio marito, vero?» «Lei è la moglie di...» «Sì, sono sua moglie. Spero che vorrà dedicarmi un piccolo spazio nella sua rubrica». Lauren si avvicinò e cominciò ad accarezzare David, ma l'uomo, pur volendo darle l'attenzione che meritava, non riusciva a distogliere gli occhi dalla pantera, che gli cominciò a leccare la mano. L'animale, però, lasciò perdere le dita di David e concentrò la sua attenzione sui due cigni che sguazzavano nella fontana; sembrò sgranare gli occhioni come un bambino davanti ad altri bimbi che giocano. «Ultimamente, mio marito è diventato insopportabile», riprese Lauren. «Eppure, quando mi chiese di sposarlo fui molto chiara con lui: “Sai che sono una ninfomane?”, gli dissi. “Sì”, mi rispose “lo so: ti amo per questo”. “Allora, sai anche che non riuscirò a reprimere i miei impulsi sessuali”». Diceva queste cose a David sussurrandogli nell'orecchio. La mano, quella libera dal guinzaglio, gli accarezzava il petto e cominciò a scendere: giù, sempre più giù. La pantera, per David, aveva ormai perso ogni importanza. «Sarebbe impossibile reprimere tutti i suoi impulsi, signorina Leftees», biascicò David, imbarazzato ed eccitato. «Io lo ammazzerei!» aggiunse lamentosa Lauren. «Mi sta sempre addosso, è diventato geloso. Quando giriamo, evita di farmi recitare nelle scene migliori. Quelle hard, capisce, no?» Gli alitò quell'acca sul viso e David sentì rizzarsi tutti i pochi peli della schiena. Intanto, la mano dell'attrice scese a solleticare il suo inguine. «Ho la sensazione che in questi jeans ci sia qualcosa di meraviglioso che aspetta solo di uscire», disse languida Lauren, che poi aggiunse: «Ricordo che il prete sull'altare mi chiese: “Vuole lei, signorina Leftees, essere fedele eccetera eccetera?”. Be', io risposi innocente “Sì, lo voglio!”» L'innocente Lauren iniziò a sghignazzare e mentre sghignazzava con la lingua si lavorava l'orecchio di David e con la mano si lavorava il suo uccello, e anche David non poté fare a meno di sghignazzare. Proprio in quel momento, per tutta la villa, iniziò a risuonare il tema della “Cavalcata delle Valchirie” che sembrava provenire direttamente dagli elicotteri di “Apocalipse now”. L'eccitazione crebbe e gli invitati cominciarono a guardarsi attorno, nell'attesa che finalmente il Maestro facesse la sua apparizione.
Le note di Wagner suonavano alte e possenti e, dalla ringhiera del secondo piano, proprio al vertice delle due scalinate, fu liberato un gigantesco manifesto raffigurante il Maestro con una corona in testa e la mantella reale, seduto sullo scranno, che guardava in basso con le braccia conserte. Ci fu un prolungato “Ohhh” di meraviglia da parte di tutti. Tutti, tranne Max Brox che, alla vista di quel manifesto, si avvicinò, lento e solenne come un attore di teatro nella parte di Amleto, e gridò: «Tu...», fece una pausa, il volto in preda a un terrore mistico, «Tu sei il diavolo!» Detto questo, lanciò un urlo e fuggì via. Tutti gli invitati lo seguirono con gli occhi; quando riportarono lo sguardo sulla scalinata, rimasero attoniti come davanti a un nuovo effetto scenico. Il Maestro era lì! Scendeva lentamente le scale, in tutta la sua bellezza, barcollando solo un po', come se fosse leggermente brillo. In mano aveva uno di quei peni di ceramica che ovunque ornavano la villa e che sembrava portare in modo solenne come una reliquia. Tutti iniziarono ad applaudire. «È un grande, Maestro!», urlarono. E anche: «È un artista!» O ancora: «La sua è vera arte!» E infine: «Nooo! È sangue!» Man mano che il Maestro scendeva, gli invitati si accorsero che qualcosa non andava. «Sangue!», urlò di nuovo una donna. In sala calò il silenzio. Il Maestro continuava a scendere, ma ormai si capiva che lo faceva solo per inerzia. Adesso lo si poteva vedere bene e si notò come il sangue sgorgasse copiosamente dalla testa e coprisse anche la punta del pene di ceramica che aveva in mano, come se qualcuno lo avesse usato per fracassargli il cranio. Improvvisamente, il Maestro cadde a terra e ruzzolò per le scale, arrestando la caduta solo ai piedi degli invitati più vicini che sembrava fissare con gli occhi spalancati. Si scatenò un parapiglia pazzesco: donne nude che strillavano, uomini che fuggivano coi pendagli che ballonzolavano di qua e di là, Black Pussy che approfittò dello scompiglio e dello svenimento di Lauren per tuffarsi nella vasca di limonata e sbranare i due cigni.
David cercò di rimanere calmo. Adagiò con delicatezza Lauren per terra, uscì dal salone, cercando di non farsi travolgere dalla folla impazzita, e si allontanò in tutta fretta dalla villa. Prima di andarsene, però, vide il gorilla che lo aveva accolto all'ingresso. Era impegnato al telefono e tutto agitato per quel che stava succedendo. Si avvicinò. «Scusi?», disse. «Si ricorda di me?» «Lei chi è? Cosa vuole?», disse il gorilla. «Mi chiamo Moccio. David Moccio». «Come il moccio del naso?» ridacchiò ancora una volta il bisonte, nonostante la concitazione. «Sì», rispose David e gli mollò un tremendo calcio tra le gambe. L'uomo si accasciò senza riuscire a emettere suono. David allora fuggì. Solo quando fu molto lontano, si girò a guardare un'ultima volta la villa che, come un fantasma, brillava di luce artificiale nel cuore della notte. Riprese fiato e si accese una sigaretta per distendere i nervi. È una fortuna non essere stato inserito nell'elenco degli invitati, pensò, e finalmente, stravolto da quell'intensa giornata, se ne andò a casa a scrivere il suo articolo.
Edited by Fini Tocchi Alati - 5/5/2010, 11:45
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