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IL DRAGO BIANCO di Daniele Picciuti
Pelle bianca e lucente, occhi color sabbia che a tratti volgevano all’ambra, secondo il danzare dei fuochi che incendiavano le pire. Le ali fremevano, contraendosi come a tentare di sciogliersi dalle catene che le ancoravano al suolo. La bocca, serrata dentro una morsa di ferro che lacerava la carne tra le narici e la mascella, recava fitte dolorose al cervello. Abadir giaceva al suolo, inchiodato da una prigione fatta di catene e carrucole. L’ambiente in cui si trovava era immenso, una grotta scavata nella montagna; in alto una fetta di cielo lasciava filtrare le ultime luci del tramonto. Cinque guerrieri in armatura d'argento lo circondavano. Sulla testa portavano un elmo che lasciava intravedere a malapena gli occhi, sormontato da due zanne di drago che curvavano in su. Cacciatori di draghi. Abadir scattò in avanti ruggendo, ma le catene lo fermarono e il verso gli morì in gola. Cercò di divincolarsi, tentando fulminei movimenti ora con le ali, ora con la coda, ma ogni più piccola parte del suo essere sembrava bloccata. Riflesse nei suoi occhi, le fiamme nelle pire danzavano ardenti. La disperazione gli torceva lo stomaco, mentre il cuore palpitava furibondo. Doveva liberarsi ora o sarebbe morto nel modo più umiliante mai toccato a un drago. Non gli importava dare la sua vita in battaglia, poiché morire combattendo contro avversari valorosi era quanto di più nobile attendesse un guerriero dei cieli; essere giustiziato in quel modo, invece, alla stregua di un criminale, avrebbe incrinato l’onore del suo intero casato. Il sibilo della lama lo catapultò nella realtà, in tempo perché vedesse uno spadone abbattersi contro la sua nuca. D’istinto tirò indietro la testa, quanto bastava perché la lama fendesse il ferro della catena, sprigionando una scarica di energia simile a una folgore. Gli anelli si spezzarono e di colpo si ritrovò con il collo libero dal giogo della prigionia. Cercò di scuotersi di dosso lo strano marchingegno che gli teneva chiusa la bocca come una museruola, inutilmente. Sotto gli sguardi immobili dei compagni, il cacciatore si fece di nuovo avanti e lo spadone colpì con veemenza, penetrando lateralmente nel corpo di Abadir, facendosi largo tra le scaglie e la fitta peluria bianca della criniera. Il dolore arrivò devastante, come se a colpirlo fosse stato un fulmine. Abadir rìnghiò furente e si rovesciò su un fianco, sbriciolando il guerriero sotto la sua mole. Poi, lento si erse sul cadavere che giaceva rattrappito al suolo con l'elmo spaccato. Il volto immobile rivelò le sembianze di un giovane dal viso gentile. Non aveva per niente l'aspetto di un assassino.
* * * Il cielo alle prime luci dell’alba, sulle montagne del Noranlon, è di un azzurro-dorato così intenso da offuscare la vista, se fissato troppo a lungo. L’altopiano innevato si estende per miglia fino ai ghiacciai eterni che separano la terra dei draghi dal Khalan settentrionale, dove verdeggiano le foreste degli elfi. A sud, il continente è quasi del tutto occupato dagli uomini, i quali, divisi in una moltitudine di regni, sono costantemente impegnati in guerre fratricide di cui molto spesso neanche ricordano le origini. È una fortuna, per lui, essere nato drago. I draghi nascono guerrieri e, nelle loro vene, sangue e onore scorrono insieme. - Abadir! La voce possente di Trisandthir, il suo compagno anziano, lo richiama ai suoi doveri. Si accorge di essere rimasto indietro, ma bastano pochi batter d’ali a permettergli di recuperare la distanza perduta. Trisandthir è uno Shavarin, un drago d’argento; le sue scaglie risplendono sotto i raggi dell’alba creando un alone iridescente che pare avvolgerlo come se emanasse luce. Abadir sa che è meglio non far innervosire il vecchio. Veterano di tante battaglie, ha un carattere irascibile, duro come quercia. Così vola al suo fianco, muto, verso il sole che sorge. * * * Uno dei cacciatori sventolò in aria le braccia, declamando una sfilza di parole incomprensibili con una voce baritonale. L’omelia non durò a lungo e, quando ebbe finito, si mosse in direzione dello spadone, che giaceva in terra a pochi passi dal drago. Fu una mossa studiata, poiché subito dopo si mossero anche gli altri. Abadir aspettò paziente che quello a lui più vicino entrasse nel suo raggio d’azione e, quando fu alla sua portata, gli rifilò una testata in pieno petto. La maschera di ferro gli causò una fitta dolorosa alla nuca, ma allo stesso tempo parve allentarsi. Il cacciatore volò in aria per una mezza dozzina di metri, atterrando sul pavimento roccioso privo di conoscenza. Percepì un movimento sul lato che aveva lasciato scoperto e, prima che potesse ritrarsi, lo spadone colpì, aprendogli uno squarcio sul fianco. Il dolore gli strappò un gemito che fece vibrare l'aria. Il cacciatore che aveva recuperato l’arma era lì a un passo e si stava preparando al secondo affondo. Peccato fosse così lento in quell'armatura. Abadir spostò il collo e vibrò una testata, frantumandogli elmo e cranio. Mentre lo spadone ricadeva di nuovo a terra, qualcosa si mosse alle sue spalle. Colse il movimento del cacciatore che si tuffava sotto di lui per recuperare l'arma, ma prima che potesse arrivarci gli si sedette addosso, spezzandogli in due la spina dorsale. Quando cercò con lo sguardo il quinto cacciatore, si ritrovò a fissare il buio. Era scomparso. * * * In lontananza ecco comparire il drago nero. Lo hanno trovato. Si chiama Iswarr ed è sospettato di tramare alle spalle dell’attuale Detentore della Fiamma. Abadir non conosce tutti i dettagli e nemmeno gli interessano. È un soldato e ciò che deve fare è eseguire gli ordini. Seguono l’aura del fuggiasco tenendosi a debita distanza, servendosi dei propri sensi innati per restare incollati alle emanazioni spirituali della sua essenza. Di fronte a loro una stretta gola si apre tra due alti ghiacciai, correndo verso est fino a confondersi con l’orizzonte. Iswarr è furbo. Sa che le pareti di roccia lo schermeranno dalle percezioni dei suoi inseguitori. I due esploratori si immergono nella gola, planando basso, rasenti al suolo per evitare di essere scorti. Sotto di loro la neve è un tappeto bianco che si srotola all’infinito. A un tratto qualcosa attira l'attenzione di Abadir e, mentre rallenta, grida a Trisandthir di aspettarlo. Il drago d'argento si volta, contrariato, ma non si ferma, lasciandolo indietro. Abadir è incerto sul da farsi. Sa che non è bene separarsi, ma quella sensazione torna a rimbalzare in lui, insistente. C'è un drago, molto vicino, ed è certo si tratti di Iswarr. * * * Si sbagliava. Uno dei cacciatori a terra era ancora vivo. Abadir lo osservò mentre si tirava a sedere con difficoltà, gemendo per via delle ferite. Quando fu in piedi, temporeggiò qualche istante prima di togliersi l’elmo. Lo gettò a terra con noncuranza e il bagliore del fuoco, che crepitava piano sulla catasta di legna, svelò i suoi lineamenti. Era una donna. Aveva lunghi capelli rossi raccolti in una coda di cavallo, zigomi alti e occhi chiari come laghi ghiacciati. Su una guancia recava i segni runici della casata Orbren, i Draghi Rossi. Abadir non riusciva a crederci. Quegli uomini, non erano affatto uomini. Erano draghi non trasformati. Draghi che cacciavano draghi. Non aveva alcun senso. La donna zoppicò verso uno dei pilastri di ferro dove era ancorata la catena e ne liberò l’estremità. Abadir si ritrovò con la zampa anteriore destra libera. Sia pur sbigottito, non perse tempo, servendosi degli artigli per strapparsi di dosso una dopo l’altra, le catene che lo imprigionavano. Restava la maschera di ferro, ma per quanto si sforzasse, non aveva la manualità necessaria a togliersela. Avrebbe potuto tentare di trasformarsi e ritornare umano, ma temeva che la sua testa avrebbe potuto risentirne in modo fatale in quelle condizioni. Non era da escludere che finisse decapitato. La cacciatrice avanzò verso di lui, splendente nell’armatura accesa di rosso dal riverbero delle fiamme. Con studiata lentezza, Abadir si abbassò fino a ritrovarsi al suo livello. Incontrò il suo sguardo, che era una cortina impenetrabile, e lei gli si accostò, per nulla intimorita. - Se ti tolgo la maschera, mi lascerai vivere? La domanda lo sorprese. Dopotutto, valutò, lei lo temeva. Analizzò le alternative. Avrebbe potuto ucciderla e poi volare fino a casa, dove gli sarebbero state riservate tutte le cure del caso, tuttavia non era sicuro di farcela. Le ferite non smettevano di sanguinare e la maschera di ferro gli rallentava i movimenti e lo privava della concentrazione necessaria a razionalizzare gli eventi. A malincuore, annuì con la testa. Lei si avvicinò e prese ad armeggiare con l’orribile marchingegno. Poi ci fu uno scatto e la maschera si aprì. Abadir si ritrasse in fretta, allontanandosi dalla cacciatrice e dallo spadone, che giaceva a terra in mezzo a loro. - Perché mi hai liberato? – le chiese, con una voce profonda, che gli saliva direttamente dall’anima. - Il rituale non è andato come doveva – rispose lei, piatta. – Ucciderti non avrebbe senso, ora. Il drago non riusciva a capire. - Quale rituale? - Lo shan s’ral. La Consacrazione del Valoroso. * * * Una grande caverna si apre su un fianco della parete ghiacciata, celando una galleria che si perde nell’oscurità. Iswarr, se è davvero lui la presenza che avverte, è da qualche parte laggiù. Abadir vola all'interno della grotta, percorrendo un lungo tratto di galleria. Alla fine del tunnel un leggero chiarore riverbera sulle pareti di roccia, mandando riflessi vermigli che sono indice della presenza di un fuoco. La caverna dall’altra parte è di proporzioni inaudite. Dall’altissimo soffitto pendono enormi stalattiti bianche, che ne ricoprono la quasi totalità della superficie, eccezion fatta per una larga apertura attraverso la quale filtra la luce del giorno. Dal pavimento, reso scivoloso dal ghiaccio, si levano numerose stalagmiti, larghe e giallognole, oltre le quali scorre lento un fiumiciattolo di acqua gelida. Al centro della caverna, quattro alte cataste di legno bruciano come roghi, sciogliendo gli strati di ghiaccio più interni. In mezzo alle pire sono piantati diversi pali di ferro attaccati ai quali c’è una ragnatela di catene che non promette nulla di buono. È tutto ciò che riesce a vedere. Poi una pioggia di frecce lo investe. Abadir, colpito tra le scaglie, vacilla, la vista annebbiata. Veleno, realizza prima di crollare a terra, privo di sensi. * * * Quelle erano forse le uniche parole che non si aspettava di sentire. Lo shan s’ral era un rito antichissimo, caduto in disuso da secoli e bandito da tutte le famiglie dei draghi perché ritenuto arcaico e privo di quei fondamenti spirituali che caratterizzavano la loro fede. Tutti i draghi credevano in un Grande Spirito superiore, chiamato Vidar, al quale si tendeva dopo la morte. Secondo il valore che un drago aveva dimostrato in vita, Vidar decideva se far salire la sua anima al Vengarian, la Valle Eterna, o se rimandarla indietro, facendola rinascere sotto forma di drago, nel caso fosse meritevole di una seconda possibilità, o di animale, affinché scontasse il disonore di cui si era macchiato. Lo shan s’ral veniva utilizzato come dono al Grande Spirito affinché egli riservasse al guerriero consacrato un trattamento di riguardo al momento del giudizio finale. La pratica era però alquanto crudele: un drago veniva catturato e poi ucciso da un altro drago non trasformato - colui che sarebbe stato consacrato - avvalendosi di un’arma sacra, chiamata Hanui, la cui lama era pregna del sangue delle vittime sacrificali precedenti. Hanui, lo spadone, acquistava potere a ogni nuovo sacrificio. Poco importava se il drago era incatenato e incapace di reagire. Secondo lo shan s’ral era sufficiente uccidere il drago per ottenere la benevolenza di Vidar. - E tu vorresti essere una Valorosa? – berciò Abadir, alzandosi sulle gambe posteriori per imporre la propria presenza. - Lo sono già – rispose lei, spavalda. – Ho ucciso il mio drago anni fa. Oggi non toccava a me consacrarmi a Vidar. Erano gli altri i novizi. Questo doveva essere il loro giorno. Abadir si abbassò, avvicinando l’enorme muso al volto della donna. I grandi occhi ambrati penetrarono in quelli di lei per sondarne gli abissi. Fu come affacciarsi da uno scoglio su un mare tumultuoso. - So chi sei – sussurrò Abadir, riconoscendo la sua aura mistica. – Lady Opal, della famiglia Orbren. Lei serrò gli occhi. Non si aspettava di essere riconosciuta. Abadir annusò l’aria e un profumo denso di umidità gli penetrò nelle froge enormi. Il cielo, attraverso lo spacco sulla volta rocciosa, volgeva rapidamente all’imbrunire, colorando la sera con quella gradazione bluastra che preannunciava l’avvento del crepuscolo, così fastidioso per gli occhi di un drago. Delle pire ormai non rimanevano che tizzoni vermigli. Tornò a scrutare Opal, che lo fissava con apparente calma. - Cosa c’entrano gli Orbren con i cacciatori di draghi? – domandò a bruciapelo. Lei abbozzò una smorfia indecifrabile. - Nulla. È solo uno stratagemma per mascherare lo shan s’ral. È bene non si sappia che l'antico rituale vive ancora. Abadir ne comprendeva il motivo: lo shan s’ral era la negazione stessa del concetto di onore, qualcosa di estremamente pericoloso per un drago. - Ora devi lasciarmi andare, – sentenziò Opal. – Abbiamo un accordo. - È vero, – ammise Abadir, senza nascondere la sua rabbia, – ma prima devi dirmi dov’è Iswarr. La donna esibì il suo più bieco sorriso, quindi si voltò indietro, indicando un punto al di là delle pire, nascosto nella luce bluastra che da fuori stava lentamente oscurando la caverna. Abadir affinò lo sguardo, ma nel crepuscolo le forme erano come annebbiate e non riusciva a vedere bene. Spalancò le ali, ravvivando con una folata il fuoco che ardeva sulla catasta più vicina, facendo sfrigolare la brace tra i legni carbonizzati. Con un balzo si lanciò oltre il quadrato sacrificale, atterrando al di là delle ultime pire. Il drago nero era lì immobile, ombra tra le ombre, che lo osservava. La pelle, umida e viscida, si muoveva luccicando al lento respiro di Iswarr. Due fessure ambrate riversavano odio sul nemico. Abadir, torse il collo lattiginoso verso il basso, inarcando le ali in segno di ostilità. - Cercavi me? – lo schernì Iswarr, emettendo un verso simile a un grido. Lo sguardo di Abadir guizzò sul pavimento di roccia e lì la vide: l'armatura d'argento. Allora tutto gli fu chiaro. Il novizio che aveva visto dileguarsi nell'oscurità non era fuggito, si era semplicemente nascosto per potersi ritrasformare in drago. - Iswarr – sussurrò, sconcertato. - Lo sha’s ral non è ancora finito! – Era la voce di Opal. Abadir si voltò e vide che tra le mani stringeva Hanui. - Anche Iswarr è un novizio e ha ancora la possibilità di consacrarsi a Vidar, se tu accetti di scontrarti con lui. - E perché dovrei farlo? - Perché è disonorevole per un drago rifiutare di battersi, – rispose lei, astuta. – Perché se uccidi Iswarr, farai colpo sul vecchio Trisandthir. E perché non sopporti l’idea di essere stato raggirato e desideri vendicarti! Abadir fremeva. Ogni singola parola che lei aveva pronunciato corrispondeva a verità e questo, paradossalmente, aumentava la sua rabbia. - Accetto la sfida – decise infine – se Iswarr accetterà di battersi con me fuori di qui, nella gola. Un’ombra comparve per un momento sul viso della donna, ma durò appena un istante. - Iswarr? Il drago nero fece battere le grandi ali e si librò a mezz’aria. - Accetto le condizioni – rispose ruggendo, gettandosi a capofitto contro di lui. Il drago bianco scartò di lato ma non abbastanza in fretta da evitare di essere travolto dall’impeto dell’altro. Venne sbalzato indietro e prima di poter recuperare l’equilibrio bilanciandosi con la coda, finì addosso a una pira, calpestando goffamente i tizzoni ardenti. Ruggì dal dolore e si tuffò in aria, volando dietro a Iswarr attraverso la galleria che conduceva all’esterno, sfrecciando al buio, affidandosi totalmente ai suoi sensi. Riuscì a stargli dietro per tutto il tempo, pur mantenendosi a debita distanza, e quando lo vide scomparire nel cerchio di stelle che segnava la fine del tunnel, intuì che avrebbe dovuto fermarsi. Ma non fece in tempo. Venne investito da una folata di fumo nero che penetrò nelle sue narici con veemenza, stordendolo al punto da fargli perdere l'assetto di volo. Si ritrovò a lottare per non cadere e non si avvide del drago nero alle sue spalle. Gli artigli di Iswarr penetrarono la sua carne, squarciando scaglie e dilaniando muscoli. Gridò, emettendo un verso che riecheggiò per tutta la gola, tornando indietro ovattato, e, nell’udire il proprio grido, s’impose di reagire. Girò su se stesso, sospinto dalle ali lattiginose e da un furente colpo di coda che gli permise di azzannare la prima cosa che gli venne a tiro. Iswarr gemette di dolore mentre l’altro gli addentava il collo e il suo assetto di volo si scompose, lasciandolo precipitare al suolo con Abadir avvinghiato alla spalla. Impattarono nella neve blu della notte, stretti l’uno all’altro, dimenandosi in una danza scomposta e sanguinolenta. Faccia a faccia, si ruggirono contro il proprio astio, finché Iswarr non spalancò le fauci per soffiargli addosso una nuova folata di gas venefico. Abadir capì le sue intenzioni e lo lasciò andare, soffiando fuori il suo alito ghiacciato nello stesso istante in cui il fumo nero lo investiva. Gocce di cristallo oscuro presero forma a mezz’aria e ricaddero nella neve, frantumandosi. Iswarr imprecò e si alzò in volo, rimanendo sospeso in aria con le ali distese, nero contro il nero della notte, gli occhi trasformati in schegge di fuoco. Abadir intuì di avere poco tempo per agire. Chiamò a raccolta tutto il potere che le energie fredde erano in grado di infondergli e, mentre Iswarr si precipitava in picchiata su di lui, sbatté le ali e dalla sua bocca eruppe un grido che, invisibile, penetrò il ghiaccio e la neve. Le pareti della gola esplosero e una valanga si riversò sul drago nero, che si ritrovò in mezzo a due fuochi, restandone travolto. Abadir non cercò nemmeno di spostarsi, e venne sommerso dal ghiaccio assieme a Iswarr. Il silenzio e il freddo rimasero a fargli compagnia sotto la neve. Chiuse gli occhi e si concentrò sulla sua gelida prigione, cercando di vedere al suo interno, di fondersi con essa in un abbraccio liberatorio. Il suo corpo iniziò a scivolare attraverso il manto freddo, come se non vi fosse attrito, e quando alla fine riuscì a issarsi fuori, vide Iswarr, immobile lì a un passo con una lastra di ghiaccio infilata tra le scaglie del collo. - Ce l'hai fatta. – La voce di Opal giunse inaspettata. Se ne stava là, sulla soglia della caverna semisepolta dalla neve, appoggiata allo spadone sacro, con quell’aria da ragazzina malvagia che gli faceva salire il sangue alla testa. - Hai superato la prova. Sei consacrato a Vidar. Abadir restò di sasso. - Cosa? Che significa? Prima che lei potesse rispondergli, dalla notte sgusciò fuori un uomo dagli occhi piccoli e il naso adunco. Sorrideva con aria di compiacenza Trisandthir, nel suo aspetto umano. - Che significa? - Abadir si sentiva scombussolato. - Lo shan s’ral è un rituale antico, – rispose il vecchio grattandosi la fitta barba canuta. – Non sempre il prescelto per la consacrazione e colui che deve essere sacrificato hanno ruoli precisi. Il drago bianco sgranò gli occhi, ricomponendo il mosaico nella sua mente. - Non è da tutti superare il rituale. Il Grande Spirito ha riconosciuto il tuo valore. Gli occhi di Abadir guizzarono da lui a Opal e viceversa. - Puoi ritrasformarti. – Straordinariamente, lei si concesse un sorriso benevolo. - Non c'è più pericolo. Abadir indugiò ma sentì che diceva la verità. Prese un ampio respiro, calmando i battiti accelerati del suo cuore, poi avvertì un formicolio lungo la schiena, i muscoli si contrassero e il sangue di drago riassorbì l’energia che aveva diffuso nelle sue membra, permettendo all’essere umano di riprendere il sopravvento sulla bestia. La sua figura venne offuscata da un candido bagliore e quando questo si spense, un ragazzo dall’età apparente di quattordici anni comparve dove prima si ergeva il drago bianco. Se ne stava inginocchiato nella neve, nudo, la pelle escoriata in diversi punti, il ventre coperto dal sangue di due brutte ferite, i lunghi capelli a coprirgli il viso. - Va tutto bene, – disse Opal, inginocchiandosi accanto a lui. – La tua Consacrazione è completa, Abadir. Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei, restando incantato dalla sua bellezza. Nonostante tutto, non riusciva a odiarla per quello che gli aveva fatto. Quel giorno erano morti quattro draghi, sacrificati per consacrare lui a Vidar e in fondo al cuore sentiva di esserne la causa. Opal gli cinse le spalle con un braccio e lo strinse a sé. Abadir non riusciva a guardarla. Nudo, si sentiva terribilmente sciocco. - Perché io? - chiese, rivolto a Trisandthir. Il vecchio aveva lo sguardo benevolo ma irritante. Pareva divertito da quella domanda. - La tua famiglia ha chiesto che venissi sottoposto allo shan's ral. Abadir si sentì mancare e vacillò sulle gambe. - Non devi giudicarli male - fece Trisandthir, solenne. - Hanno scelto così per il tuo bene. Per costruirti un futuro. - E se Iswarr mi avesse ucciso? – scattò Abadir. Trisandthir si accigliò un poco. - Avresti recato disonore al tuo casato. - E comunque - aggiunse Opal, paziente, - se Iswarr avesse vinto, sarebbe stato lui il Consacrato. La sua famiglia ne avrebbe giovato in gloria. - È come un mosaico, ragazzo. - Il vecchio ghignò soddisfatto. - Ogni pezzo va al suo posto. Abadir strinse i denti, soffocando la rabbia e il dolore che gli devastava il corpo, come avrebbe fatto un guerriero. - È finita? – volle accertarsi, rifilando un’ultima occhiata al corpo di Iswarr, che giaceva immobile dove lo aveva lasciato. Anche lui, come tutti i novizi, era solo un ragazzo. Opal sorrise e Abadir percepì nella sua aura un calore inaspettato, che trovò dolce e rassicurante. - Sì, – disse lei, cingendolo in un abbraccio. – Ora sei un Valoroso.
Edited by Daniele_QM - 17/6/2010, 20:23
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