Amante Galattico
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OK, sto sul corto questa volta...
L’INSERZIONE di Alberto Priora
Vorrei chiarire, proprio al principio della breve narrazione che riguarda il periodo più recente della mia vita, che non sono morto. Sarebbe molto disdicevole, per non dire antipatico e poco signorile nei vostri confronti, se alla fine della lettura scopriste che sono morto. Sarebbe più d’effetto, ma anche poco corretto. Si tratterebbe di una situazione molto spiacevole soprattutto per me. Malgrado gli acciacchi dell’età, godo ancora di buona salute. Trovai l’annuncio in una pagina interna del giornale. Ero solito, da quando ero rimasto senza lavoro per la dipartita del mio precedente principale, trascorrere il pomeriggio al parco con i quotidiani del giorno prima, che ritiravo da un albergo dove lavorava un mio conoscente. Vedovo e solo, stavo cercando un nuovo impiego, pur sapendo che le possibilità nella mia professione si stavano restringendo con il passare degli anni. “Cercasi maggiordomo esperto, minime referenze. Vitto e alloggio compresi. Disponibilità immediata.” Questo era il testo di un’offerta, di cui ometto per professionalità i dettagli sensibili, modesta dal punto di vista economica; ma dato che i questuanti non possono mettersi a discutere su quello che ricevono, mi recai quella sera stessa all’indirizzo indicato. Raggiunsi, in cima a una delle colline che sovrastano la città, un vecchio maniero a suo modo elegante anche se trascurato. Era un grande edificio a tre piani, che richiedeva di certo un notevole sforzo organizzativo, malauguratamente superiore al salario promesso. Eppure avevo intenzione di accettare, anche perché non ero più in grado di pagare l’affitto del monolocale in cui abitavo. Fui accolto subito e parlai a lungo con un uomo dal viso pallido e dal fare nervoso, che volle più ascoltare me che esporre le caratteristiche del lavoro che offriva. Quando si congedò, dicendo che doveva uscire per un impegno urgente malgrado fosse notte, fu la moglie, una donna dai movimenti rigidi e dalla mente quasi assente, a proseguire il colloquio. Sussurrando, mi elencò le mansioni del mio incarico e mi guidò, con passo caracollante, a visitare la dimora. Molte stanze erano chiuse; alcune addirittura sbarrate. I corridoi erano ornati da quadri con soggetti oscuri e discutibili, da armature medievali in pessimo stato e da armi rovinate dal troppo utilizzo. Gli ampi saloni avevano vetrate chiuse da pesanti tendaggi. Alcune rampe di scale non conducevano da nessuna parte, mentre su tutto aleggiava un odore di muffa. Feci anche la conoscenza del personale: una cuoca con la statura di un nano e un giardiniere che borbottava senza sosta in una lingua sconosciuta. Il lavoro era molto, ma le richieste poche, e quindi accettai l’offerta. Non avevo neppure bisogno di tornare in città: in valigia c’erano le poche cose che possedevo, tutto il resto lo avevo consegnate al banco dei pegni. Così entrai nella stanza che mi era stata assegnata, un locale all’ultimo piano con un letto a baldacchino e strette finestre.
Durante la notte mi parve di sentire strani rumori provenire dalla casa stessa. Udivo gemiti e lontani sbattere di porte e di finestre, anche se all’esterno non c’era un alito vento. Sbirciando fuori vidi un’ombra avvicinarsi all’edificio, la sagoma di qualcuno impegnato a trascinare qualcosa. Forse era il padrone di casa che rientrava. Poi udii suoni come di una festa con molti partecipanti, ma quando mi avventurai in pantofole fino al ballatoio che dominava sull’atrio, non vidi nulla e anche i suoni parevano scomparsi. Al mattino, dopo una colazione preparata dalla cuoca senza dire una sola parola, cominciai il mio lavoro. Fu molto impegnativo, perché nei corridoi sembrava aver camminato qualcuno che aveva lasciato del fango di colore chiaro e traslucido sul pavimento e le cui orme andavano e venivano da stanze che erano chiuse e a cui io non avevo accesso. Inoltre alcune delle armi, soprattutto spade e asce, erano state messe fuori posto e avevano aloni scuri sulle lame difficili da mandare via. Mi occupai anche della biblioteca, dove antichi volumi in latino e in greco, ricchi di incisioni che rappresentavano strane creature, alcune dimoranti in regge sottomarine e altre occupate a vivere sotto cieli stellati, erano sparsi alla rinfusa sui tavoli. La signora si aggirava per casa con il suo passo lento e incerto, osservando distrattamente quello che facevo. Quando si trattò di servirle il pranzo la cuoca mi impose, esprimendosi a gesti, di non sollevare i coperchi della zuppiera e dei piatti da portata che erano sul carrello. Naturalmente non lo feci. Più tardi la cuoca mi diede un sacco di tela con degli avanzi di cucina. Lo consegnai al giardiniere che, sempre borbottando, andò a seppellirlo sotto a un cipresso. Solo nel pomeriggio mi accorsi che non avevo specchi da lucidare. Pensai che era un compito in meno. Il signore rimase assente fino al tramonto e comparve all’improvviso alle mie spalle, tanto che ebbi un sussulto per la sorpresa. Lui si scusò per l’inconveniente con un ampio sorriso, in cui mostrò un’invidiabile dentatura, rimase ad ascoltare le mie impressioni e poi, senza accennare a rispondermi, uscì di casa.
Le giornate sono più o meno sempre le stesse cose. Il padrone pare vivere solo di notte e rientra trasportando grossi sacchi di tela. La signora non ha bisogno di dormire e neppure di scaldarsi; il suo corpo è freddo, quasi gelido, ma la cosa non le desta problemi. Di notte ci sono sempre grandi movimenti, ma non sono mai riuscito a vedere o trovare nessuno. Ho scoperto che alcune scale portano a sotterranei dove geme incessantemente qualcosa: ma non ho né il modo, né il permesso di raggiungerli. Ho anche visto il giardiniere aggirarsi vicino agli alberi, vestito come un monaco, e poi agitare le braccia mentre cantilena delle litanie. Ma il mio compito di maggiordomo è servire il mio datore di lavoro senza fare domande inopportune. La mia professionalità è il mio onore. So di saper fare molto bene il mio lavoro. Non posso dire di non essere preoccupato, talvolta, della mia sorte, ma umilmente mi adeguerò a essa. Ma come ho detto all’inizio: non sono morto. E sono ancora utile. Per ora.
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