L'arrivo mancato

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  1. Magister Ludus
     
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    L'idea per questo racconto ha almeno vent'anni, ma soltanto l'altro giorno ho deciso di trasformarla in un testo. Non so se sono riuscito a far cogliere il "messaggio". Il titolo è provvisorio, non mi convince molto.

    L'arrivo mancato

    Hauni correva a perdifiato, seguendo il fratello lungo il sentiero che dal villaggio portava al mare. Avrebbe dovuto riparare il tetto della sua capanna, nonostante la pioggia, ma quello che gli aveva sussurrato Ayehn, senza che i genitori sentissero, non era qualcosa che si poteva rimandare. Ayehn aveva anche detto di essere più veloci del vento, altrimenti non sarebbero stati i primi a vedere l'arrivo. Presto tutto il villaggio sarebbe accorso sulle sponde del grande mare, allertato dagli uomini che stavano tirando in secca le barche, più a est. A loro non sarebbero sfuggiti quei tre giganti che si avvicinavano all'isola, sfidando le turbolenze dell'acqua. Suo fratello aveva parlato di enormi legni, come mai ne avevano visti, sormontati da pali a cui erano attaccati grandi drappi bianchi, con uno strano simbolo dipinto in rosso. Si muovevano velocemente, sobbalzando sulle onde ma pur sempre restando a galla.
    Il ragazzo era convinto che suo fratello esagerasse, come era già accaduto altre volte. Ricordava quando, due anni prima, lo aveva convinto a stanare un feroce iguana grande quanto dieci uomini, mentre si era rivelato poi solo uno dei tanti rettili che si aggiravano innocui da quelle parti. Ma questa volta non si sarebbe fatto convincere così facilmente. Sarebbe andato a vedere, certo, perché era nella sua natura curiosa, ma era quasi sicuro che si trattasse semplicemente di tre imbarcazioni provenienti da un villaggio delle isole vicine.
    Il sentiero su cui i ragazzi correvano era immerso nell'ombra di alti alberi di mogano e voltava, in prossimità della laguna che nasceva in mezzo all'isola, verso nord ovest, aggirandola. La giornata non era calda, sebbene quella fitta foresta, unita alla repentina corsa, cominciava a dargli un senso di soffocamento. Uccelli dal piumaggio variopinto stridevano al passaggio dei due ragazzi, come a volerli incitare a dare più forza alle loro gambe. Qualcuno spiccò il volo, irritato da quel frenetico correre, e nei cespugli attorno qualcosa guizzò via, spaventato, ma fu soltanto un'ombra, rapida e sconosciuta.
    Poi gli alberi si fecero più radi e la terra divenne roccia. Macchie di mangrovie apparvero alla fine del sentiero, fino a scomparire e lasciare il posto alle sabbie e alla costa. Ma la corsa dei due fratelli si interruppe appena prima della distesa di sabbia. Ayehn si buttò dietro una piccola macchia di arbusti, in attesa dell'arrivo di Hauni. Poi indicò la riva, davanti a lui, a poche centinaia di passi.
    “Là” disse, ansimando. “Ecco i giganti del mare!”
    Hauni restò a bocca aperta. Questa volta suo fratello non aveva esagerato. Laggiù, contro la forza del mare e del vento che minacciava di inghiottirli, c'erano tre legni d'una grandezza inimmaginabile. Avanzavano sull'acqua in subbuglio ora alzandosi e abbassandosi, ora piegandosi da un lato e dall'altro, ma resistendo, invitti, a quella forza della natura che non pareva dar loro tregua. I drappi, come aveva detto Ayehn, erano attaccati a lunghi pali e si gonfiavano al vento che infuriava al largo. Su ognuna delle grandi barche uno o più drappi recava dipinto un simbolo, in rosso, come fossero due bastoni incrociati. Hauni ne ignorava il significato. Forse, si disse, era il simbolo del capo di quella gente sconosciuta che si stava avvicinando.
    Dietro di loro un vociare concitato e il rumore di rami spostati e foglie calpestate annunciò l'arrivo della gente del villaggio. La voce, dunque, si era già sparsa. I due fratelli rimasero là, nascosti dal fogliame, a osservare i legni sballottati dalle onde. Dopo qualche minuto la spiaggia si popolò di uomini e donne e bambini, che indicavano il mare e si parlavano meravigliati di quello strano e inconsueto spettacolo che la giornata stava offrendo loro.
    “Avviciniamoci anche noi, Ayehn!” propose Hauni. “Mi sembra di scorgere qualcuno su quei legni, ora che son più vicini!”
    Il fratello accolse la proposta di Hauni e i due uscirono dal riparo della vegetazione, sotto la pioggia che bagnava la costa, dove il capo del villaggio stava a osservare, muto e estasiato, mentre gli altri vociavano ponendosi mille domande, a cui nessuno poteva dare risposta.
    Sulle tre grandi barche, infatti, c'era un gran movimento d'uomini, che urlavano fra di loro e si affannavano, nell'intento di manovrare le enormi imbarcazioni nel mare sempre più agitato. Dalla costa non era possibile sentire le loro voci, ma Hauni sapeva che cosa si stavano dicendo. Quando il mare era in tempesta, al largo delle coste della loro isola, non era facile tenere a galla una barca.
    Anche gli ignoti visitatori li avevano scorti, nonostante il gran daffare che avevano. Un uomo specialmente, che da lontano pareva il loro capo, forse l'uomo a cui si riferivano quei simboli rossi, se ne stava con le mani aggrappate al bordo del legno, per non cadere, e li osservava. Sperava di toccar terra, di portare in salvo i suoi uomini e riposare prima di riprendere il viaggio. Hauni lo guardava, con la sua vista che poteva giungere là dove nessun altro al villaggio si era mai spinto.
    “Cosa vedi, Hauni?” chiese suo fratello. Nonostante fosse più grande e esperto, Ayehn lo portava spesso con sé, data la sua innata abilità nello scorgere, a distanze che parevano infinite, dettagli che a tutti sfuggivano.
    “Un uomo” rispose, come sovrappensiero.
    “Mi sembra di vederne molti di più, fratello” ribatté Ayehn. “Forse la luce dei tuoi occhi sta tramontando?” lo schernì, sorridendo.
    “No, Ayehn, non temere. Vedo anche gli altri. Ma quello di cui parlavo è il loro capo. Ci sta osservando, come se per lui la nostra isola sia la sola cosa a cui tenga. Deve aver fatto un lunghissimo viaggio per arrivare sino a noi.”
    I due ragazzi si spinsero fino a riva. L'acqua accolse i loro piedi nudi, mentre il vento sferzava i capelli lisci tagliati corti fin sopra le orecchie. La loro gente era eccitata, alcune donne, atterrite da quei mostri marini in avvicinamento, fuggirono, riparandosi dietro i loro uomini o nella sicurezza degli alberi della foresta. Hauni osservava. Alcuni uomini tentarono di calare in acqua dei legni più piccoli, simili alle barche che la sua gente usava per spostarsi di isola in isola. Fu allora che la prima di quelle grandi imbarcazioni sprofondò in mare. L'acqua si era gonfiata e aveva piegato paurosamente il legno su un lato, che era caduto pesantemente sulla superficie del mare, subito travolto da una gigantesca onda. Dell'enorme barca non restavano che frammenti di legno.
    La gente del villaggio era adesso più irrequieta, colpita da quella improvvisa sciagura che aveva fatto annegare chissà quante vite. Ma non era ancora finita per gli stranieri venuti da lontano e i cuori del suo popolo furono di nuovo trafitti dal dolore della perdita. Hauni non staccava gli occhi dall'uomo che da lontano fissava la sua isola e gli abitanti riuniti in prossimità della riva. Il legno su cui navigava sembrava resistere più dell'altro alla collera del cielo e del mare e ben presto fu l'unico a contrastare le forze che tentavano di rovesciarlo e inabissarlo. Poi un fracasso di legna che andava in pezzi arrivò fino alla costa, come un'inconsueta richiesta d'aiuto, e il mare, gonfio e impazzito, ingoiò quell'ultimo gigante che aveva osato sfidarlo. Un brivido attraversò il corpo di Hauni, quando l'uomo che l'osservava alzò una mano in un muto saluto, prima di accettare il triste destino che l'attendeva in fondo al mare. Il braccio del ragazzo rispose a quell'addio, mentre silenziose lacrime si diluivano con la pioggia che bagnava il suo viso. Nulla più restava dei tre enormi legni che si stavano avvicinando alla loro isola. Nessuno seppe mai chi fosse quella gente né da dove venisse, né per quale motivo avesse deciso di arrivare sino a loro. Il capo del villaggio rimase qualche altro minuto a osservare il mare in tempesta, poi voltò le spalle all'acqua e fece ritorno al villaggio, seguito dagli altri.
    Il mattino dopo, all'alba, Hauni tornò alla spiaggia, forse nella speranza di vedere ancora l'arrivo dei tre giganteschi legni, ma sapeva che non era stato un incubo notturno quello che aveva vissuto, sapeva che all'orizzonte, ormai sgombro, non avrebbe visto drappi gonfiarsi al vento e spingere immense e straordinarie barche né nessun uomo osservarlo e agitare un braccio in un fraterno gesto di saluto.
    Poi un oggetto scuro semi sepolto dalla sabbia attirò la sua attenzione. Era a riva, le onde del mare lo sfioravano appena, come se non volessero toccarlo. Hauni si avvicinò e raccolse quello strano oggetto. Era leggero. Sembrava fatto di un gran numero di foglie delle stesse dimensioni, una sull'altra, unite insieme. Il ragazzo ignorava cosa fosse, ma qualcosa gli fece capire immediatamente che apparteneva all'uomo che aveva veduto il giorno prima. Su qualcuna di quelle foglie erano dipinti dei segni, anche se l'acqua li aveva irrimediabilmente rovinati. Alcuni, però, si erano conservati e Hauni non poté non restare affascinato dalla grazia di quegli strani simboli che si succedevano uno dopo l'altro. Quando tornò a guardare il grande mare che si estendeva silenzioso nel giorno appena cominciato, si accorse che nuove lacrime scendevano sul suo viso.
    Hauni conservò per sempre quel singolare oggetto, come un raro tesoro da custodire. Mai a nessuno parlò di quel ritrovamento e finché fu in vita, per lunghi anni, ricordò con stupore e sofferenza il giorno in cui tre incredibili legni solcarono il mare e in esso furono sommersi e l'uomo che aveva voluto dirgli addio nel silenzio della morte imminente.
     
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