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FREAKS
Penelope tesseva. Nel Circo Itinerante dei Fenomeni Umani del Magnifico Santini era quello il suo compito, creare ragnatele. Ragnatele gigantesche, elaborate, bellissime. Lei era la donna-ragno, e ogni sera si metteva in mostra, davanti a volti sempre nuovi. La acclamavano tutti, ma Penelope sapeva che avevano pietà di lei e in parecchi provavano anche disgusto. Lei passava ore e ore tutti i giorni a provare il suo numero. A sperimentare arabeschi sempre nuovi, a sfidare le proprie capacità. Il suo carrozzone era invaso dalle ragnatele, al punto che era diventato complicato muoversi. Lei ci riusciva benissimo, e anche Medusa, ma per gli altri era difficile, lì dentro si trovavano a disagio, timorosi di poter distruggere le sue creazioni, all'apparenza così fragili. Un timore assurdo, dato che le ragnatele che lei produceva non potevano essere infrante, non con tanta facilità, almeno. L'avevano sperimentato in parecchi, quando si erano trovati invischiati. Avevano scoperto quanto quei fili fossero collosi e aderenti, e come imprigionassero chiunque ne venisse in contatto. Penelope era nata così, e sua madre prima di lei. Aveva due ghiandole supplementari, le filiere, che le consentivano di produrre la seta. Purtroppo queste ghiandole, che lei sfruttava in continuazione, si erano ingrossate al punto di sformarle il volto, ingrossandole pure il collo più del normale. Questo era il suo cruccio, perché sapeva di non essere bella. Di più, si considerava un mostro, e non osava mostrarsi in pubblico senza il suo velo. Medusa non aveva di questi problemi, coglieva ogni occasione per liberarsi di quello scomodo velo e lasciare liberi i capelli serpentini. Nonostante il nome minaccioso, i capelli di Medusa non pietrificavano la gente, non erano neppure veri e propri serpenti, assomigliavano di più a tentacoli, sempre in movimento. Penelope non aveva mai baciato nessuno, in tutta la sua vita, e talvolta pensava che non sarebbe capitato mai. «Troppo presto per dirlo,» soleva ribattere Medusa. In fondo Penelope aveva solo sedici anni. Per questo in molti si erano scandalizzati quando Santini l'aveva scelta. Il Magnifico li dominava, i suoi desideri erano ordini, nessuno osava mai contraddirlo. Ma stavolta era stato diverso, persino Medusa aveva osato intervenire. «Non puoi!» aveva detto. «È solo una bambina!» Ma Santini non l'aveva ascoltata. Non aveva ascoltato nessuno. Penelope sapeva che era suo dovere farlo, anche Medusa l'aveva fatto sei mesi prima, ma non aveva funzionato. Finora non aveva mai funzionato, eccetto quell'unica volta, diciotto anni prima. Medusa era uscita sconvolta da quell'esperienza. Erano occorsi mesi per poter tornare normale, e Penelope le era sempre rimasta accanto. Era lì, quando Medusa si svegliava in piena notte urlando, pronta a consolarla. Da quel giorno la lampada non si era più spenta nel carrozzone di Medusa, il terrore del buio era divenuto un suo fedele compagno. E ora toccava a Penelope. Era pericoloso, molto pericoloso, sarebbe anche potuta morire. Altre erano morte. L'ultima era stata Kriss, la donna-serpente. Penelope non l'aveva vista, quando l'avevano seppellita, non gliel'avevano permesso. Però le avevano detto che era stato uno spettacolo orribile. Che Lui era riuscito a liberarsi e l'aveva dilaniata. Lui. Non era facile, ma il Magnifico Santini c'era riuscito: nel suo Circo Itinerante, che da tre secoli deliziava le platee di tutta Europa, c'era la creatura più pericolosa e terrificante che fosse mai stata concepita. Era questo che lo distingueva da qualsiasi altro spettacolo di quart'ordine. Nessuno mai aveva avuto tra le sue attrazioni un autentico Vampiro. Non era vero che i Vampiri non si riproducessero, che fossero solo carne morta e putrefatta. Lui c'era riuscito, diciotto anni prima. Purtroppo era quasi impossibile tenerli in cattività. Il primo che era riuscito a catturare era rimasto con loro solo quattro anni, abbastanza però da farlo riprodurre. Poi erano stati costretti a sopprimerlo, prima che sterminasse l'intero Circo. Con questo era diverso. Lui era nato in cattività ed era abituato a essere tenuto in catene. Erano loro a occuparsene, a nutrirlo, e l'avevano reso totalmente dipendente. Almeno così era sembrato all'inizio. Ma poi era cresciuto, e i problemi si erano fatti più grandi, così come la sua forza. Ora aveva quasi diciotto anni, e già da due il Magnifico cercava di farlo riprodurre. Perché disperava di poterlo dominare ancora a lungo e aveva bisogno che la discendenza continuasse. Era quella la legge del Circo, era così che prosperava. Accoppiarsi tra di loro, per creare attrazioni sempre nuove. Era Santini a decidere gli accoppiamenti, e nessuno poteva opporsi. Il Vampiro non aveva nome, nessuno gliel'aveva mai dato. Non aveva mai trovato nessuno in grado di provare sentimenti per lui, neppure quando era un neonato. Era pericoloso, era sempre stato pericoloso. Nessuna donna l'aveva voluto allattare, perché c'era il rischio che strappasse loro i capezzoli. Era tenuto in catene, sempre, fin da quando era un bambino, e il suo spettacolo era il più cruento di tutti. Quando veniva fatta entrare nella sua gabbia una capra, o un vitello, e lui si lanciava, la dilaniava con i suoi artigli, le squarciava il collo e beveva il suo sangue, c'era sempre qualcuno nel pubblico che si sentiva male, che sveniva o scappava fuori a vomitare. In molti si era lamentati, ma poi tornavano sempre, perché qualcosa li affascinava in tutto quell'orrore. Il Vampiro aveva già fatto ucciso cinque esseri umani, e sapevano che era solo l'inizio. Ogni anno che passava diventava più forte e più pericoloso. Kriss era la terza a essere morta nel tentativo di accoppiarsi con lui, ma il Vampiro aveva ucciso anche uno dei guardiani che si era avvicinato troppo alla gabbia, e pure una spettatrice che si era lasciata affascinare dalla sua bellezza, senza rendersi conto di quanto fosse pericoloso. Il Vampiro non parlava, nessuno gli aveva insegnato a farlo. Non comunicava in alcun modo. Erano solo loro a dargli ordini, usando lance acuminate, ma il dolore che producevano era solo momentaneo, e ogni ferita che causavano al suo corpo si rimarginava all'istante. Fisicamente era bello, sì, ma non c'era alcun fascino in lui: era solo una bestia, un uomo delle caverne, più simile a uno zombi che a un vampiro, affetto da una fame insaziabile, che lo portava a mettere sempre in mostra la sua dentatura da predatore. Santini gli permetteva di nutrirsi solo sul palcoscenico, e anche lì con moderazione. Era suo interesse che fosse sempre affamato, pronto ad aggredire chiunque gli si avvicinasse. Cosa fossero i vampiri non lo sapeva né pareva interessargli. Che fossero davvero morti tornati in vita o creature maledette emerse da un lontano passato, per lui era irrilevante. Facevano spettacolo, questo era importante. Nel suo Circo ci sarebbe sempre stato un vampiro, proprio come c'era sempre stata una donna-ragno. Penelope non ricordava più sua madre. Al suo fianco aveva sempre avuto soltanto Medusa. Medusa era troppo giovane per poterle fare da madre, ma era comunque più di un'amica. In pratica era ogni cosa per lei: il suo mentore, la sua guida. Medusa le aveva parlato di Lui, del Vampiro. «Credevo di farcela,» le aveva confessato, «ma niente è andato come previsto. L'avevano incatenato, steso a terra. Era nudo, non poteva muoversi. C'erano anche quattro uomini che lo tenevano fermo. Dovevo fare tutto io. Soltanto...» Non aveva retto il suo sguardo e si era voltata. «Non mi sono neanche spogliata. Non ce l'avrei fatta, davanti a tanti estranei. C'era pure Santini che mi guardava, ma lui era rimasto fuori dalla gabbia. Mi sono solo tolta le mutandine e poi... sono salita su di lui. Non riuscivo a guardarlo, mi faceva troppa paura. Aveva sentito l'odore del mio sangue, era eccitato, molto eccitato. Cercava di mordere chiunque, di liberarsi. Sapevo che se ci fosse riuscito mi avrebbe squarciato la gola, non avrei avuto scampo. Era silenzioso, sai? Non ringhiava, non emetteva alcun suono. E quegli occhi... quegli occhi! Dio, quanto odio!» Tremava, mentre ne parlava, e questo era preoccupante, perché Medusa era sempre stata una donna forte, in grado di contrastare persino il Magnifico. «L'ho eccitato, ci ho provato. Non è stato affatto difficile. Poi... dovevo metterlo dentro di me. Ho cercato di estraniarmi, di dimenticare chi mi stava guardando, di dimenticarmi anche di lui. Qualche minuto e sarebbe finita, solo questo pensavo.» «Non ha funzionato,» mormorò Penelope, e non era una domanda. «Si è liberato, come era già successo con Kriss. Durante... l'atto, lui diventa più forte, proprio perché è eccitato. È sfuggito alle mani di chi lo teneva bloccato e si è drizzato. Io non ho potuto fare niente! Ero congelata, terrorizzata! Me lo sono trovato davanti al volto, le fauci spalancate, gli occhi rossi di sangue. Ercole l'ha afferrato appena in tempo, l'ha bloccato con tutta la sua forza, e non era poca, ma il Vampiro si è girato, è stato velocissimo, e l'ha morso al braccio. Gli ha strappato via un pezzo di carne. Lupo gli è saltato alle spalle, gli ha stretto un braccio intorno al collo, ma il Vampiro l'ha schiacciato a terra. Io ero impazzita, urlavo e cercavo di liberarmi, volevo solo scappare via, ma non potevo muovermi. Lui era dentro di me, e non riuscivo a rialzarmi, il sangue l'aveva eccitato ancora di più.» I tentacoli sulla sua testa si agitavano impazziti, mentre riviveva quei momenti. «Gli saltarono addosso, Ercole, Lupo e tutti gli altri, con le lance. Lo trafissero da ogni parte, incastrandolo a terra. E lui lottava, continuava a lottare lo stesso! E tutti a spingere per bloccarlo, e lui ad agitare gli artigli per colpirli! E mi urlavano di andarmene, di scappare via, ma io non ci riuscivo! Ero imprigionata, non potevo alzarmi! E quel bastardo, Santini, gridava che dovevo continuare, andare fino in fondo! Non riuscivano più a tenerlo, anche se le lance l'avevano trapassato, lui era più forte, e allora è arrivato Ercole. Lui mi ha salvato la vita. Anche se era ferito è corso da me, mi ha afferrato alla vita e mi ha tirato via. È stato così doloroso! E quando mi ha portata fuori dalla gabbia quel bastardo di Santini era infuriato, l'ha persino schiaffeggiato!» Poi la voce di Medusa si era abbassata, era diventata solo un sussurro. «Non farlo, Penelope. Va via, scappa.» Era già successo in passato, qualcuno di loro era fuggito, aveva rinunciato alla vita nel Circo. Che ne era stato di quei poveretti? Non si era mai saputo. Il mondo non li voleva, non li accettava, ne aveva paura, disgusto. Non c'era niente al di là del Circo, era quella la loro casa. Penelope non aveva mai pensato di andarsene, non ne sarebbe stata capace. Persino lì era difficile sentirsi accettata, fuori sarebbe stato anche peggio. Ma non era per questo che intendeva obbedire a Santini. Il Vampiro era un ragazzo bellissimo. Nessuno se ne rendeva conto, ma lei sì. Ogni notte passava ore a spiarlo di nascosto. Erano anni che accadeva, fin da quando erano ancora bambini. Quando non c'era nessuno intorno, quando era rinchiuso nella sua gabbia, quando non era dominato dalla fame, allora in quei momenti lui si rilassava, si sedeva per terra, quel minimo di movimento che gli consentivano le catene, e guardava la notte. Quanto avrebbe voluto sedersi accanto a lui, conoscere i suoi sogni, i suoi desideri. Lui di giorno dormiva, nel buio di una tenda, chiuso in una strana cassa, che ben poco assomigliava a una bara. Di giorno non era un pericolo per nessuno. Solo al calare del sole lo incatenavano di nuovo, prima che si svegliasse, e lo riportavano nella gabbia per lo spettacolo. Più di una volta Penelope aveva sfidato il sole, che tanto odiava anche lei, per andarlo a trovare. Sempre con gran cautela, senza farsi vedere da nessuno. Apriva la cassa e restava a guardarlo. Accarezzava il suo corpo, bellissimo e nudo, perché non c'era modo di costringerlo a indossare vestiti. Una bestia, che in quei momenti pareva così fragile, così innocua. Era morto. Durante il giorno era morto, il cuore non batteva e il sangue non circolava nelle sue vene. Era impossibile eccitarlo, e neppure riprodursi. Eppure lei si coricava nella cassa accanto a lui, lo teneva stretto, l'abbracciava. Più di una volta era quasi arrivata a congiungere le labbra con le sue, ma poi aveva avuto ribrezzo ed era fuggita. Non ribrezzo di lui, ma di se stessa, povero mostro patetico. Ma ora era diverso, ora erano stati scelti, ora avrebbero dovuto farlo. Ora si sarebbe dovuta unire col ragazzo dei suoi sogni. Lei, misera creatura. «Bambina mia!» disse Medusa in lacrime, quando venne il momento, e l'abbracciò stretta. La partenza del circo era già stata programma per il giorno seguente. Non restava che quell'occasione. L'avevano riempito di sangue, durante lo spettacolo e dopo. Gli avevano lasciato dissanguare una capra e due vitelli, nella speranza di renderlo meno aggressivo. Ercole era preoccupato. Lupo, invece, era al massimo della forma. Quella sera c'era la luna piena, e i suoi peli si erano allungati, ricoprendolo tutto. Le sue narici fremevano, sentendo l'odore del Vampiro. Insieme a loro c'erano Pietro, l'uomo-roccia, e Lazzaro, colui che era in grado di tornare dalla morte. Un tempo era stato lui la star dello spettacolo, finché Santini non aveva trovato il primo Vampiro. Ogni sera si faceva uccidere sul palcoscenico, con metodi sempre diversi, per rinascere subito dopo. Nonostante tutto non era immortale, sapeva bene che un giorno sarebbe successo, non sarebbe più riuscito a tornare indietro. Medusa non se l'era sentita di andare con loro, l'aveva salutata sulla porta del carrozzone. Penelope era la vergine sacrificale data in pasto al mostro, tutti la vedevano così. Tutti ma non lei. Per Penelope era diverso. Loro non potevano capire, ma per lei quello era il giorno delle sue nozze, si sarebbe unita per sempre col ragazzo che amava. Attendeva con trepidazione quel momento. Aveva scelto il suo abito più bello, naturalmente nero, e aveva indossato un velo per nascondere il suo orribile volto. Non voleva che fosse disgustato da lei. Poi era andata sola, creatura fragile ed eterea, incontro al suo destino. Santini le aveva persino alzato il velo e l'aveva baciata sulla fronte. «Tu mi rendi orgoglioso, ragazza mia!» aveva detto, come se per lui non si trattasse solo di far accoppiare due animali di razza. Poi il rito aveva avuto inizio. Non c'era nessuno, oltre a loro. Tutti si erano rinchiusi nei loro carrozzoni, perché avevano dovuto assistere a troppi lutti e sofferenze per essere ancora attratti da una simile perversione. Si fecero da parte per lasciarla entrare. Questa volta erano stati previdenti. Il Vampiro era bloccato a terra, incatenato in ogni parte del corpo, e le catene erano state agganciate a pali piantati in profondità. Non aveva modo di muovere un muscolo. Nonostante ciò sia Lupo che Ercole erano dietro di lui, per bloccargli la testa. Pietro e Lazzaro si erano portati ai suoi piedi e lo tenevano fermo. Nessuno osava guardarla, erano troppo tristi per lei. Ai loro occhi Penelope era solo una bambina, e non c'era nessuno che fosse d'accordo con l'ossessione di Santini. L'unione che lui aveva ordinato era oscena. Penelope non vide la bestia, ma solo il ragazzo, il corpo bellissimo che aveva sempre sognato. Un corpo in grado di rigenerarsi, di restare sempre perfetto, in eterno. Sarebbe invecchiato? Forse no, forse aveva già raggiunto la piena maturità e sarebbe rimasto così per sempre. Almeno finché Santini non avesse deciso che era troppo pericoloso servirsi ancora di lui, e avesse provveduto a sbarazzarsene. Ma era davvero così? Che ne sapevano realmente di lui? Forse era il primo Vampiro che fosse stato concepito nella storia dell'umanità. Forse era diverso, forse la sua vita sarebbe stata diversa. Si inginocchiò accanto a lui e allungò la mano, quasi fosse la prima volta che lo toccava. Adesso la sua pelle non era più gelida, sentiva i muscoli contrarsi, era completamente diverso. Gli accarezzò il petto. Nessuno le mise fretta, erano tutti imbarazzati. Penelope scivolò su di lui, mentre le sue mani continuavano ad accarezzarlo. Non guardò mai il suo volto, perché sapeva che vi avrebbe letto soltanto odio. Continuò a toccare quel corpo che per una volta almeno sentiva completamente suo. Che sarebbe accaduto se ci fosse riuscita? Avrebbe generato un figlio con lui, e questo non era male. Ma dopo? L'avrebbero ucciso, ne era certa, e le avrebbero portato via suo figlio per farlo crescere come un animale. Questo Penelope lo sapeva, non era affatto stupida. «Com'era mia madre?» chiese ad Ercole. Quante volte aveva già fatto questa domanda, e quante poche risposte aveva avuto. Lui la guardò stupito, ma anche molto imbarazzato. «Ti sembra il momento? Sbrigati, che non riusciamo più a tenerlo!» Lui era abbastanza vecchio da averlo conosciuto, e quindi Penelope glielo domandò: «Chi era mio padre?» Nessuno gliel'aveva mai voluto dire. In fondo che importanza aveva, lei era solo una bestia in un serraglio, e non c'era modo di liberarsi. «Penelope, smettila!» urlò Ercole. «Se non ce la fai, dillo, e usciamo subito da qui! Fregatene di Santini, se non puoi andiamo via!» Lei era scivolata sul corpo del Vampiro, con le sue lunghe vesti copriva le nudità del giovane. Non accennò a spogliarsi, ma continuò ad accarezzare quel corpo fremente. Il fatto che l'avessero nutrito non era stato abbastanza. L'odore del sangue che pulsava nelle loro vene aveva fatto impazzire il giovane. Snudati i denti, cercava di morderli, con rabbia. I suoi occhi stavano diventando rossi di sangue. Penelope voleva accarezzare quel collo, quel volto, non desiderava altro, e doveva sforzarsi per tenersi lontana. Sognava di poter baciare quelle labbra. «Che cazzo sta facendo questa ragazzina scema!» gridò Lupo. «Vuole farci ammazzare tutti?» «Penelope, smettila!» aggiunse Ercole. «Fai quello che devi fare e basta. Stagli lontana. Sbrigati!» Lui avrebbe capito che la bellezza non era tutto? Che lei lo amava? Che era l'unica che l'avesse mai amato? Che le parole non importavano, che certe cose erano universali, eterne? Questo si chiedeva Penelope, e altro ancora. Si sarà mai accorto di lei? Del fatto che lo spiasse in continuazione, che lo seguisse ovunque? Gli altri non l'avevano capito, ma lui? Avrà sentito il suo odore, l'odore del suo sangue? Avrà compreso? Non c'era che un modo per saperlo. Lentamente Penelope si tolse il velo. Lo afferrò per un lembo e lo fece scivolare via dal suo volto. Povera fragile patetica ragazzina, con lunghi capelli neri e un collo troppo largo, con occhi così grandi da causare disagio a tutti. Aprì la bocca, perché lui potesse vedere la caverna che nascondeva, e la seta che la riempiva. «Che vuoi fare?» urlò Ercole. «Non serve a niente! I tuoi fili non possono imprigionarlo, sono troppo fragili!» Gli occhi di Penelope erano immensi e con essi agganciò quelli del Vampiro. Lui si perse dentro di lei, come una mosca affascinata da un ragno. Per un attimo non fu più lui il mostro, e di quell'attimo Penelope approfittò. Si abbassò veloce e unì le sue labbra a quelle del ragazzo. «Puah!» gridò Lupo. «Fate schifo! Togliti da lì prima che ti squarci il collo!» Labbra vive, non morte, labbra calde, umide, roventi di rabbia e passione. Il bacio che sempre aveva sognato, il bacio della vita, non della morte. Penelope si staccò di scatto e alzò la testa. Il getto di seta partì immediato e colpì Lupo con violenza. L'uomo-cane fu scaraventato contro le sbarre della gabbia. «Che fai?» gridò Ercole, ma era troppo tardi. Penelope spostò la testa continuando a espellere la seta. Colpì in pieno Ercole facendolo barcollare. Poi non gli diede tregua, continuò a immergerlo nella sua tela. Muoveva il capo velocissima, annodando i fili alle sbarre della gabbia. Lo legava, legava entrambi, lui e Lupo, incurante delle loro urla. «Sei pazza? Cosa stai facendo? Ci ucciderà tutti!» insisteva Ercole, ma tutta la sua forza non poteva niente contro la seta. C'erano voluti anni di esercizio per raggiungere una tale precisione, la sua tela era qualcosa di nuovo, che mai aveva usato durante gli spettacoli. Era la tela nuziale, quella riservata al suo sposo, e solo a lui la donava. «Pazza! Pazza!» gridava Lazzaro alle sue spalle, e in due l'afferrarono, strappandola al corpo del suo amato. Si sentì sollevare ma non per questo smise di tessere la seta. La gabbia ne era già inondata. «Fermala! Fermala!» gridava Pietro, ma nessuno sapeva cosa fare. Per un attimo scorse Santini, ma lui era un uomo prudente ed era già indietreggiato, allontanandosi dalla gabbia. Bestia. Lei sapeva di essere una bestia. Un povero ragno costretto a esibirsi. Non era niente per loro, l'avevano sfruttata tutti. Che ne era stato di sua madre? Cosa ne avevano fatto quando non era più servita? Quando era nata lei per rimpiazzarla? Con chi l'avevano fatta accoppiare per generarla? «Bloccala! Tienila ferma! Dobbiamo farla smettere!» Pietro gridava, ma non aveva il coraggio di andare fino in fondo. C'era un solo modo per fermarla, e loro lo sapevano bene. In fondo non era che una fragile ragazzina, sarebbe stato uno scherzo spezzarle il collo, però loro non avevano il coraggio di farlo. «Si sta liberando!» urlò Lazzaro, sempre tenendola stretta. «Il Vampiro si sta liberando!» Anche Ercole e Lupo urlavano, imprigionati nella ragnatela. Tutta la forza di Ercole non bastava a spezzare la seta con cui lei l'aveva avvolto. Era vero, il Vampiro si stava muovendo, ora che non aveva più nessuno a trattenerlo, ma ancora non era riuscito a spezzare le catene. Pietro non si rese conto dell'errore che stava commettendo e si fece avanti nel tentativo di fermarlo. Appena entrò nel raggio d'azione di Penelope, lei lo inondò con la sua seta, sparandolo contro il tetto della gabbia e lasciandolo lì penzoloni. Lazzaro era isterico e ancora lottava. «Perché ci fai questo? Sei una di noi! Cosa vuoi?» Stupidi, ancora non capivano. Quelle erano le sue nozze, e loro erano un dono per il suo sposo, perché potesse saziare la fame che lo divorava. Perché comprendesse quanto lei lo amava. «Pazza! Pazza!» urlò ancora Lazzaro, poi la spinse con violenza verso il corpo del Vampiro e contemporaneamente cercò di fuggire dalla gabbia. Non c'era riuscito, non aveva avuto il coraggio di ucciderla, e questo era stato il suo ultimo errore. Riversa sul corpo del Vampiro, Penelope girò appena la testa e uno schizzo di seta lo colpì proprio sulla porta. Lazzaro si mise a urlare, cercando di liberarsi, ma era troppo tardi. Nuovi getti di seta lo sommersero, legandolo così stretto da non potersi più muovere. Implorò Santini di aiutarlo, ma il Magnifico era già corso via a dare l'allarme. Sentirono urla, e le torce vennero accese. La grande famiglia del circo fluì al centro della piazza. Il vampiro si era liberato, gridavano, dovevano fare qualcosa. Ma nella loro mente era ancora impresso l'orrore di diciotto anni prima. Quasi nessuno si fece avanti, la maggior parte di loro attaccò solo i cavalli ai carrozzoni, pronti a fuggire via. Penelope li ignorò. Gettò un'occhiata al vampiro, incatenato a terra, e di nuovo i loro occhi si incontrarono. Lui smise di colpo di divincolarsi, e tutta la sua attenzione fu calamitata su di lei. Era qualcosa di diverso, di mai provato prima. Non c'era fame nei suoi occhi, e neppure disgusto. Penelope ne fu elettrizzata. Si alzò di scatto e riprese a tessere. Ci mise tutto il suo amore. A nulla servirono le implorazioni dei quattro malcapitati, Penelope creò la ragnatela più bella che avesse mai fatto. Riempì completamente la gabbia, la trasformò in un nido, il suo nido nuziale. Dall'esterno la stavano guardando, sentiva su di sé i loro occhi, ma non si girò mai. Nel campo la confusione era totale, tutti correvano gridando. Poi arrivò una voce disperata. «Penelope, cosa stai facendo?» Continuò a tessere, senza voltarsi. Medusa urlò di nuovo: «Cosa stai facendo?» Come poteva spiegarglielo? Si voltò a guardarla. Santini era dietro di lei e cercava di trascinarla via, ma Medusa stava lottando. Penelope avrebbe dovuto essere triste per lei, ma non ci riusciva, quello era il giorno più bello della sua vita, il giorno delle nozze. «Vieni via!» gridava Santini. «Si è quasi liberato! Ci resta poco tempo!» Già, ormai era tardi per fare qualunque cosa. Non sarebbero potuti entrare in quella gabbia, non dopo che lei aveva bloccato ogni ingresso. Non c'era modo di impedire che il vampiro si liberasse. I più coraggiosi lanciarono torce attraverso le sbarre, nel tentativo di dar loro fuoco. Ma al contatto con la seta umida e vischiosa si spegnevano all'istante. Non c'era legno dove il fuoco potesse attecchire, in quella gabbia, ma solo ferro per imprigionare la belva. I primi carrozzoni già si mettevano in moto, e le urla crescevano. Vide Medusa trascinata via, e allora Penelope si dimenticò di loro. Continuò a tessere. Quando il suo capolavoro fu finito, solo allora, tornò a guardare il vampiro. Lui aveva seguito ogni sua azione, non l'aveva mai persa di vista. Penelope ritenne che il momento fosse arrivato. Si sfilò l'abito e rimase nuda. Poi si coricò su di lui e iniziò ad accarezzarlo. I loro corpi si unirono, le loro bocche tornarono ad attaccarsi. Incontrò la sua lingua. Aveva un sapore metallico, come il sangue, ma a Penelope non dispiacque. Lo sentì fremere, i suoi muscoli tendersi e ribollire. Poi una delle catene si spezzò, con un rumore sordo, e subito dopo un'altra. I quattro prigionieri si misero a urlare. Sentì le mani di lui esplorarla, poi le sue braccia l'avvolsero in una stretta possente, togliendole quasi il fiato. Si abbandonò, sentendosi protetta. Lasciò che fosse lui a prendere l'iniziativa. Voleva che la prima volta fosse meravigliosa, indimenticabile. I loro occhi si incontrarono ancora, mentre il loro bacio diventava selvaggio. Era diverso, era proprio come lei aveva sognato. Sentì altre catene saltare, poi lui fu completamente libero e la sollevò. Penelope era completamente in suo potere, adesso, ma non le importava, perché mai, neppure per un istante, lo considerò un mostro. Solo un ragazzo bellissimo, un principe azzurro. Ed era certa che anche per lui fosse così. L'aveva accettata, forse aveva sempre saputo che lei esisteva. Certe volte l'amore poteva superare qualunque ostacolo. Lui distolse per un attimo lo sguardo dal suo viso e si fissò su Ercole, appeso nella ragnatela. L'uomo si mise a urlare. Il Vampiro espose i denti, digrignandoli, ed emise un brontolio sordo. Penelope gli afferrò il volto con entrambe le mani e lo costrinse ad abbassare lo sguardo su di lei. I loro occhi si incontrarono di nuovo. «Dopo,» disse lei. «Di loro ti occuperai dopo. Pensa solo a rendermi felice, adesso.» Il silenzio era tornato ad avvolgerli, come se fossero andati via tutti. Si sentivano protetti in quel nido, al sicuro. Nessuno sarebbe venuto a disturbarli. Quando il Vampiro la penetrò, Penelope si aggrappò al suo collo. Poi il movimento iniziò, e lei piantò le unghie nella sua schiena, ma lui non sentì alcun dolore. Non aveva mai parlato nella sua vita, ma quella notte fu diverso. Un gemito accompagnò la loro unione, e le loro voci si confusero all'unisono, sempre più alte. Divenne un urlo, e quando l'orgasmo li travolse, si trasformò in un grido selvaggio, di vittoria. Non celebravano soltanto il loro amore, ma la libertà conquistata. Le catene che li avevano sempre imprigionati si erano spezzate per sempre.
FINE
Freaks è stato scritto in tutta fretta due mesi fa, per un'antologia sui vampiri. È anche la prima storia con vampiri che abbia mai scritto. A metà giugno ho scoperto casualmente un concorso per romanzi intitolato Streghe & Vampiri, e allora ho ripreso in mano questo racconto, riscrivendolo completamente e ingrandendolo fino a diventare un romanzo di 400mila caratteri. Il tutto a tempo da record, visto che il limite di consegna era il 23. Purtroppo non ho vinto, visto che i risultati sono stati resi noti il 30. Anche la loro è stata una lettura a tempo di record, dato che sono riusciti a valutare ben 700 manoscritti pervenuti in soli sette giorni, almeno sono questi i dati che hanno resi noti. Resta la consolazione di essere uno dei finalisti, anche se mi è difficile credere che siano riusciti a leggerne più di qualche pagina. Comunque è stata un'esperienza divertente.
Edited by marramee - 6/7/2010, 23:04
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