L'autogrill
Finalmente! Metto la freccia ed esco. Sono ore che guido. Non so bene quando sono partito, ma l'orologio digitale sul cruscotto segna quasi le tre; serve una pausa. Se il destino mi darà una mano, arriverò a cose fatte. La notte ha sopraffatto il giorno estivo molto lentamente. Dopo l'agonia, l'oscurità si è fatta totale; ormai solo le stelle punteggiano il cielo, privo di luna, sospeso sulla campagna desolata che corre a fianco dell’autostrada. Da un po' di tempo non ho più sorpassato né camion né auto; nessuno ha sorpassato me. In direzione opposta ho incrociato pochissimi fari, poi sono terminati anche quelli. Devo fermarmi per pisciare e prendere un caffè.
Nel parcheggio ci sono poche auto; una sembra identica alla sua vecchia decappottabile. Mi ricordo la prima volta che arrivò a casa guidandola con un foulard bianco al collo come un divo del cinema. A quei tempi ero sicuro che non sarebbe mai morto. In giro neanche un tir; di notte non ho mai trovato un autogrill senza autotreni ammucchiati. Forse questa è un’area battuta dai rapinatori e gli autisti preferiscono evitarla. Il serbatoio è quasi vuoto. Accosto a una pompa, ma nessun addetto si fa vedere; infastidito mi servo da solo cercando di non pensare alla mia meta. Parcheggio, il doppio bip dell'antifurto mi raggiunge ovattato dall’aria appiccicosa e umida della pianura mentre mi affretto verso i cessi. L’insegna gialla e rossa con lo stemma della compagnia petrolifera emana un bagliore lattiginoso in cui affoga l'intera stazione. È come se navigassi verso casa in acque avvelenate, e più mi avvicino, più i rimorsi affiorano simili a pesci morti. La colpa non è mia, me lo ripeto da anni, eppure non mi sono mai assolto. I gabinetti sono accanto all’ufficio con la cassa, pieno di accessori e gadget. Mi affaccio, ma non vedo nessuno; pagherò dopo.
Quindi niente rapinatori. Se fossero una minaccia seria, l'incasso non sarebbe incustodito. Forse però una banda è già passata, e gli inservienti con i clienti sono chiusi nel cesso ad aspettare la cavalleria che li liberi. Oppure sono stati tutti scannati e adesso con il sangue stanno fertilizzando il praticello dietro la baracca. Aprendo la porta della toilette, mi vedo generale Custer che soccorro una carovana accerchiata dagli indiani. Non scagliano una freccia che sono già uno dei fenomeni di CSI mentre raccolgo della materia grigia e descrivo la dinamica della strage: “Erano in tre. Il primo ha aperto il fuoco da qui e ha ucciso il cassiere. Il secondo...” Un lamento. Esito irrigidito sulla soglia per ascoltare; dall'interno non arriva alcun rumore. Rilassando i muscoli mi accorgo dell'aria che libero dai polmoni. Il mio respiro è l'unico suono. Da quando ho spento il motore, ci sono stati solo il ronzio della pompa di benzina e i miei passi. In un attimo sono travolto dalla stessa solitudine che da ragazzo provai davanti a mio padre mentre mi imponeva la sua volontà. Allora fu solitudine camuffata da rispetto, ma... Mi volto di scatto, convinto di aver acciuffato con la coda dell’occhio una sagoma che non c'è. Una goccia di sudore dalla tempia mi solletica costringendomi al movimento. Scrollo la tensione dalle spalle ed entro.
All'interno la luce è abbagliante. Paro gli occhi con una mano, appena la sposto ciò che ho davanti è solo il lurido bagno di un autogrill, vuoto. Entro in uno dei cessi; mi sembra di non farla da un secolo. Il muro dietro la tazza è coperto di inviti osceni. Noto il cellulare di una certa Katia che si descrive brava con la bocca. Dopo diversi numeri di telefono scarico l'acqua ed esco. Davanti al lavabo stento a riconoscere la persona che mi sta guardando dallo specchio. Sembro appena entrato in galera. Tommi aveva questa faccia quando fu arrestato. In tutti gli anni che era stato fidanzato con mia sorella Clara, non l'avevo mai visto ridotto in quel modo. Io, che l'avevo elevato a mito, la causa della sua fine. L’asciugamani ad aria non funziona: ‘Fanculo! Calata nel vuoto pneumatico di questo posto, la mia voce sembra appartenere a un altro mondo.
Appena fuori, lo sbalzo di temperatura mi colpisce con un pugno allo stomaco. Non mi sono reso conto dell’aria condizionata. Barcollo. Nell'acquario arancione non è cambiato nulla. Le auto sono ferme dove le ho trovate e ancora nessuno si sta preoccupando delle pompe e della cassa. Giro lo sguardo cercando un movimento qualsiasi. Dove cazzo sono andati a finire tutti? Dopo la chiamata per l'agonia di quel bastardo di mio padre, questo passaggio nel deserto sembra messo apposta per farmi saltare i nervi definitivamente. Lo stomaco si contrae. Devo bere subito qualcosa di caldo, al bar avranno anche una spiegazione per questo cimitero.
È di quelli sobri, con la cassa, un piccolo bancone e un sacco di roba inutile accatastata sul lato della vetrina. Anche qui non c’è anima viva. Eppure ci sono due tazzine: una di caffè fumante, l'altra con il fondo di zucchero e caffè ancora umido. Qualcuno era qui fino a pochi attimi fa. Da un impianto stereo fuori vista esce una melodia malinconica, cantata da una donna in una lingua sconosciuta. La porta sul retro è aperta, provo a chiamare: Ehi, c’è nessuno? Niente. Batto il cucchiaino sulla tazzina vuota, ma il suono dà noia solo a me. Il peso allo stomaco aumenta. Grido ancora più forte; nessuna Katia arriva per chiedermi cosa desideri. Mi sento stupido come un condannato davanti alla sentenza di ergastolo che non comprende: “Fine pena mai? Che significa, mai?” Alzo la voce irritato. Tutto inutile. Nello schermo con le immagini del circuito chiuso è inquadrato l'angolo dei giornali con un unico quotidiano che penzola stanco nel suo sostegno. Spinto da una curiosità che non ho più, giro su me stesso e mi avvicino. La riconosco subito. La foto sul fondo della prima pagina è stampata nella mia mente da vent'anni. Lo afferro e leggo il titolo sapendo già che si tratta di mia sorella. Che razza di scherzo è questo? Guardo la data, ma un conato di vomito mi assale prima che possa leggere il resto, mollo il giornale e appena in tempo riesco a svuotarmi sul marciapiede.
Mi asciugo la bocca con la manica della camicia. In bocca il sapore rancido, nella testa stupore e... paura? Fuori dal bar il silenzio è ancora assoluto. Sulla striscia dell'autostrada non scorre neanche un bagliore. Che cazzo sta succedendo in questo posto di merda? Ripenso al giornale: l'omicidio di Clara, la data del suicidio di Tommaso in carcere. Tremo. Dove si sono nascosti tutti? Sputando saliva mista a succhi gastrici, giro intorno al prefabbricato del bar. Non c'è nessuno. Mi fermo un istante. Nessuno e niente. C’è qualcosa che non torna in quello che vedo, in quello che non vedo. Il buio! È tutto completamente nero! Chiudo e riapro gli occhi, ma non è un effetto ottico. Una bestemmia mi muore in gola. All’orizzonte, tutto intorno all’area di servizio, non s’intravede neanche una flebile luce, nemmeno in lontananza. Lampioni, fari, finestre, non c'è niente! Il campo incolto al di là della rete è inghiottito da una voragine tetra e sopra anche le stelle sembrano scomparire dietro un muro alto all'infinito, indistinguibile. Ne ho abbastanza! A fare in culo tutto! Corro alla macchina guardando in giro e sperando di essere fermato da qualcuno incazzato per il pieno che non ho pagato. Salgo preso dalla frenesia. Scappo come fossi inseguito, ma è proprio la certezza di non esserlo ad aumentare il mio terrore. Sgommando, in tre secondi sono di nuovo in autostrada.
Qual era il nome dell'area? Non lo ricordo, non lo so, non riesco a ordinare due pensieri di fila... Spingo l’acceleratore al massimo, in un attimo arrivo ai 220. Sui lati il nero opprimente, davanti solo il fascio dei fari. Nello specchietto retrovisore, la linea bianca della corsia di sorpasso che scompare tra l’alone rosso delle luci di posizione. Immagini confuse si sovrappongono senza logica. L'autogrill; mio padre che mi obbliga alla menzogna; il giornale fuori luogo e fuori tempo; gli occhi di Tommaso durante la mia testimonianza al suo processo; il buio, il vuoto; lo sguardo folle di mio padre accanto a Clara insanguinata; il mio viso nello specchio; io, io che ho visto, io che sapevo chi... Il sudore mi costringe di nuovo al presente. Accendo l'aria condizionata e decelero. Inspiro a pieni polmoni e riporto l'attenzione alla strada completamente sgombra. Cercando di ricordare l'ultima auto che ho visto in movimento, mi schianto contro l'evidenza. Perché non c'è nessuno in viaggio? Il buio intorno, possibile che la notte sia così nera da ingoiarsi qualsiasi luce? Dove sono i cartelli indicatori, i cavalcavia... E dove cazzo sono finiti tutti i clienti e i dipendenti dell’autogrill? Accendo la radio; l'unica stazione ricevibile trasmette la stessa canzone deprimente dell’autogrill. Vaffanculo! Ancora qualche chilometro e sarà tutto finito. Mi stanno aspettando, la prima cosa che faccio appena arrivo a… Il panico mi chiude la gola. Sento la mia voce sussurrare: Dove? Dove cazzo sto andando? Sì, al capezzale di quell'assassino, ma in che posto? Quale città, paese o nazione? Non lo so. Non so dove sono diretto! Inchiodo la macchina che per la velocità s’intraversa tra la corsia di marcia e quella d’emergenza. Scendo con le mani sul viso. Sto impazzendo, o forse sono già pazzo. No, no, il cellulare! Certo! Come ho fatto a non pensarci prima, adesso chiamo casa e mi tranquillizzo. Torno di corsa alla macchina, mi catapulto dentro con le lacrime agli occhi. Dove cazzo è? Frugo nella giacca, trovato! Nel preciso istante in cui il display si illumina, so di essere perduto. Scendo e mi metto a girare, come a prendere farfalle, con l'affare in mano alla ricerca di un segnale che non c'è. Urlo a squarciagola: Merda! Merda! Merda! Nella caccia finisco dietro l'auto, nella zona d'ombra dove la luce dei fanali è coperta. In un attimo le pupille si allargano per abituarsi all’oscurità totale mentre il terrore mi gela il sangue alla stessa velocità. L'oscurità si è ingoiata anche le stelle che avevo sulla testa. Non vedo assolutamente più niente tranne me, la macchina e ciò che è alla portata della luce dei fari: qualche metro d’asfalto, il guard rail, la rete di recinzione, la sterpaglia... Sono su un'isola nel niente assoluto.
Rientro in auto inebetito; riparto raschiando il new jersey di metà carreggiata. Un’uscita, ci dev’essere un’uscita prima o poi! Alla radio la stronza continua con la sua insopportabile lagna. La spengo. Piango come non mi riusciva dal funerale di Clara. Pian piano la temperatura ridiscende e la frescura mi calma quanto basta per tenere l’auto in strada. A una velocità folle foro l’oscurità compatta. Poi lo vedo, un bagliore, come un incendio che all’orizzonte si allarga man mano che mi avvicino. Una stazione di servizio! Sento di nuovo la mia voce andare da sola: Lo sapevo che non stavo impazzendo! Lo sapevo... Che coglione, impaurirsi per così poco. Adesso mi fermo, riposo dieci minuti e dopo un litro di caffè riparto. Una risatina nervosa mi sale dalla pancia. La vescica mi sembra scoppiare. L’orologio digitale segna le 2 e 55, la stazione è sempre più vicina. Ecco il cartello a 1500 metri, “Geenna Est”, mai sentita. Sarà un rigagnolo che in questo posto dimenticato da Dio avranno pure il coraggio di chiamare fiume. Mille. Eppure... la bibbia e l'odiato latino al liceo, che abbinamento assurdo mi salta in mente? Cinquecento. Geenna Est: è la Geenna... Duecento. Geenna Est.
Finalmente! Metto la freccia ed esco. Sono ore che guido…
Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna. (Marco, 9:47)
Edited by black cat walking - 10/7/2010, 00:56
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