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Urban Fantasy/Horror - di CMT - circa 26000 caratteri

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    Losco Figuro

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    Quando Sylke aprì gli occhi, la luce nella sua stanza gli fece capire che il sole era ancora visibile in cielo.
    Non avendo lavoro al momento, preferiva dormire durante il giorno, ma dopo un po’ gli divenne chiaro che non sarebbe riuscito a riprendere sonno, quindi decise di alzarsi.
    Con gli occhi semichiusi si diresse in cucina e aprì la dispensa, ritrovandosi a fissare il vuoto. Vi infilò comunque una mano, nella speranza di trovare qualcosa che fosse sfuggito al suo sguardo, e quando la estrasse stava reggendo un pezzo di formaggio il cui colore non rientrava in alcuna delle classificazioni dello spettro visivo.
    Lo guardò con aria assorta, domandandosi se dalla sua superficie variegata una nuova popolazione di microscopiche creature senzienti stesse guardando lui allo stesso modo, quindi lo gettò via. Doveva assolutamente fare un po’ di spesa.

    Si lavò il viso con acqua fredda, si pulì i denti, e solo allora si concesse un’occhiata nello specchio. I capelli erano troppo corti per aver bisogno del pettine. Il volto sembrava ancora rasato di fresco, a eccezione della sottile linea di barba argentea che seguiva la curva della mascella fino a contornare le labbra.
    Decise di non aver bisogno di ulteriori cure, e passò al guardaroba, indossando tutta una serie di capi neri – calze, pantaloni, stivaletti, camicia e guanti – che coprivano quasi ogni centimetro della sua pelle grigio cenere.
    Infine, si diresse alla porta e uscì, non prima di aver prelevato dall’angolo accanto all’ingresso un rotolo dall’aspetto dimesso. Giunto fuori, lo distese sull’uscio, rivelando quello che sembrava un tappetino da ginnastica di colore verde.
    Vi si sedette sopra a gambe incrociate, focalizzò nella mente la propria destinazione, e un attimo dopo il tappeto si era totalmente irrigidito e si stava sollevando nel cielo del crepuscolo, puntando verso il supermercato più vicino.

    Non amava fare compere, e lo stato della sua dispensa lo dimostrava senza ombra di dubbio. Soprattutto, non amava stare in mezzo alla gente. Aveva sempre l’impressione che tutti lo fissassero, come se gli fosse rimasto tra i denti un pezzo di quel formaggio che si era ben guardato dal mangiare. Sapeva di non essere poi molto diverso dal resto della variegata popolazione locale, ma questo non gli era mai bastato a convincersi di potersi mescolare a quest’ultima senza essere notato.
    Prese a vagare tra gli scaffali del reparto alimentare, senza una meta precisa. Afferrò senza soffermarsi una pagnotta brunastra sigillata in un sacchetto trasparente – non aveva davvero idea di cosa fosse, ma era ragionevolmente certo che si trattasse di qualcosa di commestibile – e la lasciò cadere nel suo carrello, poi si spostò verso una pila di scatole dall’aspetto interessante.
    Attorno a lui si udiva il classico chiacchiericcio delle persone più disparate, e l’aria vibrava delle note di una qualche canzone che non aveva mai sentito prima, mentre venivano diffusi gli immancabili annunci promozionali.
    «Visitate il nuovo reparto cristalli, solo per oggi… Sylke!»
    Le parole telepatiche dell’annunciatrice si mescolarono a quella proveniente dal suo cristallo di comunicazione.
    Avendo riconosciuto nella voce quella del detective Lars Seymourn, e nel tono una certa urgenza, non attese un secondo richiamo prima di rispondere.
    «Ti ascolto, che succede?»
    «Puoi venire in centrale?»
    «Sto facendo compere. – rispose mentre già si dirigeva verso le casse – Devo ripassare da casa, ma posso essere lì tra breve.»
    «Bene. Vieni direttamente alla sezione omicidi.»
    «Omicidi?» non riuscì a evitare di domandare. Seymourn non esitava a chiedere il suo aiuto in caso di necessità, ma il capo della sezione omicidi era noto per essere contrario a ogni genere di interferenza nelle indagini, così le definiva, e gli sembrava davvero anomalo che potesse desiderare la sua presenza… a meno che volesse accusarlo di qualcosa.
    Intanto, aveva iniziato a passare i propri acquisti alla cassiera – una gnoma pesantemente truccata che fortunatamente doveva essersi accorta che era impegnato in una conversazione e non aveva tentato di attaccare bottone – che li stava esaminando con aria più critica del dovuto prima di infilarli in un sacchetto.
    «Sì, servi a loro. Ti spiegherò tutto quando arrivi.»
    «Va bene. Ci vediamo tra poco.»
    Chiuse la comunicazione e si sporse in avanti, lasciando pendere il parallelepipedo di cristallo che portava appeso al collo. La gnoma lo sfiorò con una bacchetta dello stesso materiale, trasferendo quanto dovuto per la merce acquistata, si esibì in un sorriso di circostanza e gli porse il sacchetto. Sylke scivolò fuori prima che potesse venirle in mente di aggiungere qualcosa.

    * * *

    Entrato alla centrale di polizia, Sylke rivolse un cenno di saluto in risposta a quello dell’agente di servizio all’ingresso, una donna dalla pelle color ebano che aveva visto centinaia di volte ma di cui non conosceva neppure il nome.
    Seymourne lo intercettò sulla porta della Sezione Omicidi e gli fece cenno di seguirlo in una stanza chiusa da una porta a vetri, dove lo attendeva il capo sezione, un individuo alto e asciutto che doveva avere un qualche genere di rettile tra i suoi antenati.
    “Capitano, questo è Sylke. Sylke, il capitano Throll, capo sezione della Omicidi.” li presentò in breve senza enfasi.
    I due si rivolsero un cenno del capo. Si conoscevano di vista e di fama, ma non si erano mai rivolti la parola, e sembrava non intendessero iniziare. Nessuno dei due fece cenno di voler stringere la mano dell’altro.
    Fu Throll a rompere il silenzio. “Il detective Seymourne la descrive come una persona fidata.” disse con un tono brusco, tutt’altro che condiscendente.
    Sylke si strinse nelle spalle. “Se lo dice lui…”
    “Abbiamo per le mani una faccenda che richiede la massima sicurezza, – continuò il capitano – niente di quello che vedrà o sentirà dovrà uscire da questo edificio.”
    “Se anche volessi raccontare del mio lavoro a qualcuno, non saprei a chi.” replicò lui asciutto, guadagnandosi un’occhiataccia del poliziotto.
    Poi Throll si mise in movimento, facendo segno agli altri due di accodarsi.

    Dopo un po’ divenne chiaro che si stavano dirigendo verso l’obitorio, un luogo che a Sylke era molto più familiare rispetto ai piani alti.
    Il suo lavoro si svolgeva quasi sempre sulla scena del crimine, sia perché il tempo poteva essere un fattore fondamentale, sia perché non veniva esattamente visto di buon occhio alla centrale, ma era capitato in alcune occasioni che dei poliziotti troppo zelanti asportassero i cadaveri prima del suo arrivo, costringendolo a recarsi fin lì per poter fare il suo dovere.
    Venne condotto davanti all’ampia parete in fondo alla sala, dove Throll stesso estrasse dal muro uno dei cassetti per la conservazione delle salme, indicandogliene l’ospite.
    “Questo è il primo.” fu il suo solo commento.
    Sylke osservò il cadavere. Era umano, o almeno lo era stato, e doveva aver sofferto pene indicibili, a giudicare dall’aspetto di quel che ne restava. Le palpebre erano del tutto assenti, l’intero corpo portava i segni di evidenti torture, e le labbra erano costellate di strani puntini rossi. Vi avvicinò un dito facendo attenzione a non sfiorarle, nonostante indossasse i guanti.
    “Gli avevano… cucito la bocca?” azzardò
    Throll assentì gravemente con un cenno del capo. Sylke sospirò. Non era affatto sicuro di volerne sapere di più su quella faccenda, ma non aveva molta voce in capitolo. Certo, avrebbe sempre potuto rifiutare l’incarico e compromettere definitivamente i suoi rapporti con la sezione omicidi. Non sapeva quale delle due alternative fosse meno allettante.
    Soprattutto, c’era il rischio che fosse passato troppo tempo dalla morte perché lui potesse ottenere qualcosa. Gli incantesimi di preservazione impedivano la decomposizione, ma non influenzavano in alcun modo gli effetti del suo potere.
    Si sfilò lentamente il guanto nero dalla mano destra, e poggiò con delicatezza due dita sulla fronte del cadavere. Immediatamente venne proiettato in un altro tempo e luogo, ritrovandosi a vedere, sentire, percepire tutto ciò che quel povero malcapitato aveva provato nei suoi ultimi istanti.
    Era seduto su una sedia fredda, forse metallica. Percepiva delle corde attorno ai polsi, bloccati dietro la schiena, e dal dolore che provava capì che le palpebre gli erano già state asportate, le labbra già suppliziate con ago e filo. Si chiese se fosse accaduto mentre era cosciente, ma non aveva modo di saperlo. I ricordi, le emozioni, i pensieri gli erano preclusi, poteva solo osservare. E non molto, in questa occasione. Il deterioramento doveva essere già iniziato, perché gli sembrava evidente che la morte fosse molto vicina a raggiungerlo.
    Si trovava in una stanza vuota, anonima. Non riusciva a vedere nessuno assieme a lui. Non aveva modo di cambiare il suo punto di vista, non poteva voltare lo sguardo, e si accorse che neppure il defunto l’aveva mai fatto, anche se non poteva comprenderne il motivo.
    Poi udì una voce sussurrargli all’orecchio “Vuoi giocare?” e vide comparire una lama davanti ai suoi occhi. Una lama insolita, satinata e opaca, senza alcun riflesso. La vide scendere e la sentì tagliargli la gola. Dopo un istante, sebbene fossero trascorsi diversi minuti nel suo tempo soggettivo, tornò ai propri sensi.

    Lo stato della seconda vittima, anche questa umana, si rivelò non molto differente. Niente palpebre, segni di cucitura sulle labbra, tracce di tortura su tutto il corpo.
    La sua morte era più recente, e il deterioramento meno avanzato, ma questo gli servì solo ad assistere a molte delle torture, potendo fortunatamente distaccarsi almeno in parte dal dolore che queste gli causavano. Non vide mai l’assassino, e solo una volta lo sentì parlare, questa volta un po’ di tempo prima del colpo di grazia. “Sono qui per te.” aveva sussurrato.

    “Questo lo abbiamo trovato ieri.” annunciò Throll aprendo il cassettone che conteneva la terza e ultima vittima di quello che poteva di certo essere classificato come un serial killer.
    Sylke non poté fare a meno di notare che si trattava di un altro umano, una femmina, e che portava esattamente gli stessi segni dei precedenti.
    Essendo un morto recente, il deterioramento era quasi assente, ma nonostante ciò si ritrovò a osservare una scena già iniziata, partendo già seduto e legato, già con la bocca mutilata da un filo robusto. Vide la punta della lama avvicinarsi lentamente al suo occhio destro, poi il buio mentre lo serrava inutilmente per difendersi. La luce tornò assieme al dolore, mentre la palpebra tagliata gli veniva rimossa come la buccia di un frutto maturo.
    “Allora, Sylke, non hai ancora capito?”
    Interruppe bruscamente il contatto con il corpo e tornò a percepire il presente, voltandosi di scatto. Seymourne, Throll e il medico legale che li assisteva lo fissarono incuriositi. Passò qualche istante prima che il capo della sezione omicidi si decidesse a parlare.
    “Ha scoperto qualcosa di utile?”
    Sylke non gli rispose. Non esattamente.
    “Avete detto qualcosa?”
    “Le ho chiesto se…”
    “Non ora. Prima. Mentre stavo ancora esaminando il corpo.”
    Seymourne scosse la testa. “So che preferisci stare in silenzio…”, ma Sylke non lo stava ascoltando, avendo ricevuto conferma della sua prima impressione: l’assassino stava parlando a lui! Aveva usato la memoria sensoriale delle sue vittime per mandargli un messaggio. Apparentemente, non solo sapeva che lui sarebbe stato convocato per le indagini, ma perfino quanto tempo dopo la prima morte questo sarebbe accaduto. Aveva calcolato i tempi prima di parlare, in modo tale che il deterioramento non gli impedisse di sentire quello che voleva dirgli.
    Ma chi poteva conoscerlo così bene?
    La voce non gli aveva fatto scattare alcun campanello. Forse il volto avrebbe potuto riconoscerlo, se solo l’avesse visto.
    In quel momento tutto acquisì un senso. La lama priva di riflessi per impedire alle vittime di scorgere in essi il volto dell’assassino. La…
    “Le vittime lo conoscevano!” esclamò all’improvviso, facendo trasalire il dottore.
    “Come fa a dirlo?” gli domandò Throll
    “Non ha cucito loro la bocca perché non potessero gridare. Lo ha fatto perché non potessero pronunciare il suo nome. … perché io non potessi sentirlo.”

    * * *

    “Cosa sappiamo delle vittime?”
    Throll lo guardò con aria di rimprovero. “Le indagini non sono un suo problema. Non ha neppure ragione di essere ancora qui.” lo apostrofò.
    In effetti, Sylke aveva già riferito ogni singolo dettaglio di ciò che era riuscito a vedere, e non c’era altro modo in cui potesse contribuire alla scoperta del colpevole, ma ormai la faccenda si era trasformata da professionale a personale.
    “È decisamente un mio problema. Chiunque stia facendo… quello, sta cercando di arrivare a me.”
    “Peccato stia uccidendo chiunque tranne lei.”
    “Se mi lascia partecipare, prometto che gli darò un’occasione per farlo non appena lo troveremo.” ironizzò lui per tutta risposta.
    “Non è stato di molto aiuto finora, come crede di poterlo essere adesso che ha esaurito le sue frecce? O conosce qualche altro trucchetto di cui non sono al corrente?”
    Seymourne rivolse uno sguardo in tralice al capitano, che lo ignorò.
    “So tirar fuori un cilindro da un coniglio.” rispose Sylke in tono serio. In realtà Throll non aveva tutti i torti. “Forse se sapessi qualcosa di più su quei poveretti, potrei capire se sono collegati con me in qualche modo, non crede?”
    Throll gettò tre fascicoli sul piano della scrivania, come se gli stesse facendo un favore. Lui si avvicinò, restando in piedi, e aprì quello che si era ritrovato sopra gli altri. La fotografia di una ragazza era fissata a un piccolo plico di fogli. La osservò di sfuggita mentre cercava di assimilare il contenuto di questi ultimi, poi vi riportò di scatto lo sguardo e si sentì raggelare. La conosceva.
    Non l’aveva mai incontrata di persona, e mai l’avrebbe riconosciuta nello stato in cui l’aveva vista all’obitorio. Tutto ciò che sapeva di lei, in effetti, era il modo in cui si era salvata da uno stupratore, grazie all’intervento di uno sconosciuto che aveva letteralmente fatto a pezzi il suo aggressore. Aveva assistito a tutto ciò attraverso i sensi del morto, o del poco che ne rimaneva, per cui non sapeva chi fosse la ragazza, o come si chiamasse. E soprattutto non poteva parlarne alla polizia.
    In quella particolare occasione, aveva deciso di mentire a Seymourne, affermando che le condizioni del corpo gli avevano reso impossibile usare i propri poteri su di esso. Aveva ritenuto che l’autore di quell’omicidio, per quanto efferato fosse, aveva fatto un favore al mondo, e non meritasse di essere perseguito per questo. Ma ammetterlo ora avrebbe significato mettersi in guai peggiori di quelli in cui già si trovava.
    Si sincerò che nulla nel fascicolo menzionasse la denuncia per un tentato stupro, o altro che potesse ricollegare la donna a quegli eventi di cui era stato indiretto testimone. Poi passò a esaminare gli altri due incartamenti.
    Non lo stupì scoprire che anche le altre due vittime erano comparse, in tempi e per motivi diversi, nelle sue visioni, testimoni di crimini alle cui indagini aveva partecipato.
    Sollevò le foto per mostrarle a Seymourne.
    “Hanno avuto a che fare con dei casi per cui era stata richiesta la mia assistenza.” precisò. Il detective annuì, a confermare che lo ricordava.
    “E la terza?” domandò Throll.
    Sylke si strinse nelle spalle. “Non che io ricordi”, asserì, reggendo senza difficoltà lo sguardo carico di sospetto del capitano.
    “Non è un granché come aiuto.” borbottò Throll, rinunciando al tentativo di intimidazione.
    “Potremmo esaminare tutti i casi a cui hai collaborato. – suggerì Seymourne – Potremmo trovare un collegamento, o almeno isolare altre potenziali vittime.”
    “Buon lavoro allora. – ribatté lui – Su questo non posso esservi utile. La prossima volta, chiamatemi appena scoprite il corpo.”
    Nessuno dei due agenti replicò. Entrambi, come lui, non avevano dubbi sul fatto che una prossima volta ci sarebbe stata.

    * * *

    Sylke non amava l’idea di nascondere alla polizia un indizio che poteva rivelarsi fondamentale, e il fatto di non avere altra scelta lo tormentava, anche se non rimpiangeva la decisione che lo aveva portato a quel punto.
    Purtroppo lui non aveva le capacità e le competenze per svolgere un’indagine personale, non una degna di nota almeno. Non sapeva raccogliere informazioni, se non con il suo potere, e in quanto a elaborarle aveva i suoi limiti. Anche così, alcuni dettagli della situazione non gli sfuggivano.
    Risalire a due delle tre vittime, collegarle a lui, era qualcosa che parecchie persone sarebbero state in grado di fare. Ma la ragazza… quello era un altro discorso. A parte lui, e lei stessa, solo un’altra persona poteva sapere del suo coinvolgimento in quella vicenda… una persona che, a rigor di logica, non avrebbe in cambio dovuto saper nulla di quello di Sylke. Il che non implicava che in qualche modo non gli fosse noto.
    Ritrovare quell’uomo avrebbe potuto, se non altro, essere un punto di partenza. Se solo avesse saputo come fare.
    Per quanto il suo volto gli fosse rimasto stampato nella memoria, come del resto tutti quelli che vedeva, di certo questo non sarebbe bastato a scoprire chi fosse, meno che mai a rintracciarlo.

    Il segnale del cristallo di comunicazione lo colse di sorpresa mentre era immerso in questi pensieri. Lo afferrò al volo da dove lo aveva poggiato e rispose.
    «Signor Sylke?» la voce mentale dall’altra parte aveva un che di familiare, ma sul momento non riuscì a identificarla.
    «Sono io.»
    «La chiamo dalla centrale di polizia. C’è un’altra vittima, in un magazzino dell’area industriale. La pattuglia è appena giunta sul posto. Può raggiungerli subito?»

    * * *

    Quando raggiunse l’indirizzo che gli era stato fornito, si stupì di non trovare nessun poliziotto all’esterno. Nonostante questo, riarrotolò il tappeto con una scrollata di spalle ed entrò, passando attraverso le ante socchiuse della porta del magazzino.
    Anche lì, però, nessuna traccia della presenza di qualcun altro, poliziotto o meno che fosse.
    L’ampio locale era vuoto, fatta eccezione per alcune casse accatastate contro una parete. L’unica illuminazione era fornita da un globo fluttuante di potenza decisamente inadeguata, che a malapena rischiarava ciò che si trovava sulla sua perpendicolare. In effetti, però, quel poco era tutto ciò che ci fosse da vedere.
    La sedia era metallica, come aveva immaginato. Molto semplice, senza fronzoli, di colore grigio plumbeo, o almeno tale era stata prima che il sangue la incrostasse. L’uomo che vi stava sopra gli dava le spalle. Aveva la testa reclinata all’indietro in maniera innaturale, e gli occhi privi di palpebre fissavano la sfera di luce senza poterla vedere. C’era sangue sul suo viso e su ogni parte visibile del corpo, in parte secco, in parte ancora fresco. Il filo nero usato per cucirgli la bocca risaltava oscenamente sulla pelle esangue, resa ancora più bianca dall’esposizione alla luce diretta.
    Senza riflettere ulteriormente, avanzò verso la quarta vittima, iniziando a sfilarsi il guanto della mano destra.
    “Non sarà necessario.” lo apostrofò una voce proveniente dall’oscurità alle sue spalle.
    Si fermò e si voltò a guardare la figura che si tratteneva al margine dell’area illuminata. La sua pelle, nera come gli abiti che indossava, la rendeva quasi invisibile. Nonostante la sua vista notturna fosse migliore di quella di un comune umano, gli ci volle un po’ di tempo per riuscire a discernere i suoi lineamenti, e comprendere che la conosceva.
    Dunque non era del tutto vero che non ci fossero poliziotti sul posto.
    “Come mai la scientifica non è ancora al lavoro? – chiese in tono colloquiale – Mi aspettavo…”
    “La tua ingenuità è quasi patetica quanto il tuo lignaggio.” ribatté lei, ignorando totalmente la domanda.
    Sylke le rivolse uno sguardo privo di comprensione.
    “Tu non sai chi sono, vero?” gli domandò lei di rimando.
    “L’agente che fa il turno di notte alla reception in centrale.” rispose lui meccanicamente.
    “Mi chiamo Talsya D’shilth.”
    Un nuovo sguardo che non rivelava alcun genere di emozione la raggiunse. “Dovrebbe dirmi qualcosa?”
    “Non riconosci neppure il casato di tuo padre.” asserì lei, stizzita.
    Sylke per poco non si mise a ridere, anche se si sarebbe trattato di un riso del tutto privo di allegria.
    “A malapena so di che razza fosse, mio padre, e comunque quel che so di lui è più di quanto avrei voluto sapere.”
    “Nostro padre era un nobile, temuto e rispettato; avresti dovuto ringraziarlo per averti messo al mondo!”
    “Tuo padre – rispose lui, calcando l’accento su quel possessivo – ha rapito mia madre, l’ha segregata, l’ha violentata, e l’avrebbe uccisa se lei non fosse riuscita a fuggire prima di mettermi al mondo. Se il fatto che ne parli al passato significa che è morto… mi spiace solo che non sia stato per mano mia.”
    “A tua madre è stato riservato un onore di cui era indegna. Proprio come tu sei indegno della tua eredità.”
    “È questo il motivo della riunione di famiglia? Se sì, mi spiace informarti che non ho ereditato altro che qualche pigmento. E se potessi ridartelo indietro lo farei, anche se non vedo come potrebbe esserti utile.”
    “Tu hai il Tocco. Il Tocco che avrebbe dovuto essere mio di diritto. Io sono sua figlia più di quanto tu lo sia mai stato, anche se non sono la primogenita.”
    “Ho… cosa?”
    “Sai benissimo di cosa sto parlando!”
    “Vuoi dire che questo potere mi viene da lui? – chiese lui stupito – Be’, se sai come prendertelo fa’ pure, allora. Non mi piaceva molto neppure prima di saperlo.”
    “È esattamente quello che intendo fare. Per questo sei qui. Per questo ho preparato tutto.”
    “Speravo di aver frainteso… tu hai ucciso queste persone per avere il mio potere?”
    “No, non per quello. Solo per portarti qui e ora e potermelo riprendere. E per liberarmi.” disse lei avanzando di un passo. La luce si rifletté sul metallo lucido della bacchetta che impugnava, puntata verso di lui, e Sylke dubitò seriamente che si trattasse di una semplice arma stordente.
    “Hai mai pensato di provare semplicemente a chiedermelo? E poi… liberarti da cosa?”
    “Dubito che se te lo avessi chiesto avresti lasciato che ti uccidessi per prendermelo.”
    “Quindi è questo il piano.” commentò lui in tono piatto. Non sembrava che la cosa gli causasse alcuna preoccupazione.
    “Tra non molto qualcuno chiamerà la polizia, dicendo di aver sentito delle urla provenire da qui. Io sarò ufficialmente sulla strada di casa quando arriverà la chiamata, sarò fuori servizio ma essendo la più vicina al luogo sarò la prima a intervenire, e troverò te ancora all’opera. Certo, dovrò prendermi una lavata di capo per essere intervenuta senza aspettare i rinforzi, ma visto il buon lavoro non avrò troppi problemi.”
    “E pensi che qualcuno ti crederà?”
    “Perché non dovrebbero? Sono un’agente. Ho dovuto agire per legittima difesa. E poi, il capitano Throll già pensa che tu sia più implicato di quanto vorresti ammettere, non gli servirà molto a decidere che sei tu il serial killer.”
    “Ma non bastava uccidere me? Perché anche loro? Cosa ti avevano fatto?”
    “Non sopportavo più la loro esistenza. E poi erano solo umani.” disse l‘ultima parola con evidente disprezzo, difficile dire se rivolto a quegli umani in particolare, all’umanità in generale o, indirettamente, all’unica umana che aveva ferito suo padre: la madre dell’ibrido che le stava davanti.
    “E tutto questo solo perché vuoi veder morire la gente? – domandò lui rinunciando a indagare sul senso del primo commento – Santi numi, ragazza, devo dirti che non ne vale davvero la pena. Non è qualcosa di piacevole.”
    “So esattamente com’è! Io non ho il tocco, ma ogni volta che tu lo usi vedo tutto quello che vedi tu, provo tutto quello che provi! E non posso controllarlo in nessun modo! Le scene che tu rivivi mi ossessionano di continuo, i volti mi ritornano nella mente, giorno dopo giorno, finché non riesco a cancellarli… a ucciderli.”
    Per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata, il volto di Sylke mostrò un accenno di emozione, dipingendosi di una cupa tristezza.
    “Mi dispiace. – disse sinceramente – Riesco a immaginare cosa tu abbia provato. Ma questo non può giustificare le tue azioni.”
    “Non desidero giustificarmi, meno che mai con te. Voglio solo ciò che è mio.”
    “In questo caso… – lasciò cadere in terra il guanto che già aveva parzialmente sfilato, poi fece un unico balzo nella direzione del cadavere, allungandosi il più possibile per raggiungerlo – … prenditelo pure!”
    La sua mano si serrò sulla spalla del morto. Lasciò che la sua percezione di ciò che lo circondava scomparisse, sepolta dagli ultimi istanti di vita di quel malcapitato, e fece cadere tutti i suoi scudi, abbandonandosi completamente alle sensazioni che gli provenivano dal suo potere, vivendo ogni stilla di dolore, ogni singolo istante della tortura che la sua sorellastra aveva inflitto alla sua ultima vittima.
    Tutto in un solo, brevissimo istante.
    Non poté sentire l’urlo di lei, né il tintinnio metallico della bacchetta che rimbalzava sul pavimento in pietra, ma non ne aveva bisogno per sapere ciò che stava accadendo. Lui stesso riusciva a malapena a stare in piedi con quello che stava soffrendo, e per lei la situazione non doveva certo essere migliore. Ciò nonostante, quando la sequenza di morte fu completata e riuscì a tornare al mondo reale, chiese un ultimo sforzo al suo corpo dolorante e si lanciò verso l’arma.
    Lei fu più veloce. La sua mano nera si chiuse sulla bacchetta un istante prima che Sylke potesse arrivarci, ma quella grigia di lui, ancora priva di guanto, si serrò sul suo polso.
    I loro sguardi si incontrarono.
    Nulla traspariva dal volto di Sylke. Un’angoscia che scivolava verso il terrore sfigurava quello di Talsya.
    “Che stai…? Cosa…?” farfugliò lei, incapace di dare un nome alla sensazione che stava provando.
    Lui tacque, mentre l’energia scorreva attraverso i loro corpi e fuori da essi, consolidandosi nella forma di un cilindro nero e cristallino, sospeso al di sopra delle loro mani.
    In breve, lo sguardo di lei si spense, i suoi occhi divennero vuoti e opachi. Sarebbe rimasta così ancora a lungo, prigioniera del proprio corpo privato di ogni capacità di percezione.
    Il cilindro di energia, ormai del tutto solido, ricadde sul palmo della mano di Sylke, che lui aveva voltato giusto in tempo per afferrarlo.
    “Riesce… meglio… col coniglio.” riuscì a stento a dire lui, prima di svenire.

    Edited by CMT - 6/8/2010, 08:43
     
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  2. Alessanto
     
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    Letto.

    SPOILER (click to view)
    Credo di aver letto già di quest'ambientazione e sono felice che hai deciso di scrivere dell'altro.
    Interessante, misterioso, che invitata a farsi leggere, insomma un 4. Poi l'attenzione scema, per come la vedo il motivo è colpa del dialogo che alla fine non è altro che uno spiegone.
    Ancora una volta, lo dico a te ma vale per me, ci si scontra col problema di un investigazione in pochi caratteri; se fosse stato un romanzo breve okay, ma in questa configurazione risulta sbilanciato. Tutta la spiegazione lo rende legnoso e artefatto, tirato per le lunghe.

    Nota a margine: all'inizio in due righe ripeti due volte grigio.


    Voto 3.
     
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  3.  
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    Losco Figuro

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    CITAZIONE (Alessanto @ 2/8/2010, 16:19)
    Credo di aver letto già di quest'ambientazione e sono felice che hai deciso di scrivere dell'altro.

    Infatti. È l'ambientazione dei miei libri, e in USAM avevo già usato il racconto precedente dello stesso protagonista, "Sfumature di Nero" ^_^

    CITAZIONE (Alessanto @ 2/8/2010, 16:19)
    SPOILER (click to view)
    Poi l'attenzione scema, per come la vedo il motivo è colpa del dialogo che alla fine non è altro che uno spiegone.
    Ancora una volta, lo dico a te ma vale per me, ci si scontra col problema di un investigazione in pochi caratteri; se fosse stato un romanzo breve okay, ma in questa configurazione risulta sbilanciato. Tutta la spiegazione lo rende legnoso e artefatto, tirato per le lunghe.


    In effetti è stato scritto in origine con una limitazione più stretta di quella di USAM.
    Ho pensato più volte di farne una versione più lunga, l'ho perfino iniziata, ma non ne è mai venuto fuori molto.

     
    .
  4. margaca
     
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    Non mi ha esaltato particolarmente. Bella l'atmosfera quasi da Blade Runner, ma mancano i personaggi, non si conoscono, non si sa chi siano e poi il finale è troppo dialogato, simile a un romanzo con Poirot o Miss Marple in cui alla fine il colpevole spiega per filo e per segno i motivi del suo delinquere. Sarebbe un 2 e mezzo, ma mi fermo a un 2 perchè lo stile è un po' spento. Non ho capito bene l'alternarsi dei trattini (-) e delle virgolette (") nei dialoghi...
     
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    CITAZIONE (margaca @ 2/8/2010, 21:34)
    Non ho capito bene l'alternarsi dei trattini (-) e delle virgolette (") nei dialoghi...

    Non si alternano, i trattini interrompono un dialogo tra virgolette.
     
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  6. margaca
     
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    In alcuni dialoghi usi i caporali («La chiamo dalla centrale di polizia. C’è un’altra vittima, in un magazzino dell’area industriale. La pattuglia è appena giunta sul posto. Può raggiungerli subito?») in altri invece usi le virgolette (“E pensi che qualcuno ti crederà?”), perchè? E' una scelta stilistica? O mi sfugge qualcosa?
     
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    I caporali sono dialoghi telepatici, le virgolette sono dialoghi a voce. ^_^
     
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  8. margaca
     
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    A che ci sono ti chiedo l'ultima cosa: nella frase “Come mai la scientifica non è ancora al lavoro? – chiese in tono colloquiale – Mi aspettavo…” dopo il punto interrogativo non andrebbero di nuovo le virgolette che poi vengono riaperte prima di "Mi"?
     
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    No, è sempre il discorso di prima, i trattini servono a creare un inciso nel dialogo senza effettivamente interromperlo. In effetti ho smesso di usarli da un po' e ormai chiudo sempre le virgolette, però questo racconto è di qualche tempo fa e ho lasciato la notazione così com'era. ^_^
    Dovendolo riscrivere oggi userei
    “Come mai la scientifica non è ancora al lavoro?", chiese in tono colloquiale. "Mi aspettavo…”
     
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  10. margaca
     
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    Ok, adesso mi torna tutto! Grazie!
     
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  11. marramee
     
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    Ciao,
    altro racconto che mi lascia perplesso. Anche qui ho trovato un'ottima partenza e uno scoglio sul finale, e devo dire che è lo stesso identico problema che ho trovato in altri due racconti del mese.
    Non sto parlando né dello stile, che è ottimo, né della trama, che è interessante, ma dello spiegone finale, così pesante da affossare tutta la storia.
    E qui si aggiunge il fatto che fa riferimento a troppe cose che nel racconto non ci sono, e che presumo si riferiscano ad altri racconti. Io ricordo di averne letto solo uno.
    Mazzata finale, non ho capito COSA sia il protagonista (che razza di essere), quindi ancor meno i suoi vari gradi di parentela.
    Tirando le somme: una storia del genere avrebbe un senso se tu avessi aggiunto un prologo che desse qualche indicazione sull'ambientazione, magari sotto forma di spoiler. Oppure avessi aggiunto queste spiegazioni qua e là nella storia.
    Tutto questo per dire che sono indeciso se votare due o tre. La prima parte lo era senz'altro da tre. Giacché finora ho abbondato, abbondo anche qui. Tre.
     
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  12.  
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    CITAZIONE (marramee @ 3/8/2010, 19:09)
    E qui si aggiunge il fatto che fa riferimento a troppe cose che nel racconto non ci sono, e che presumo si riferiscano ad altri racconti. Io ricordo di averne letto solo uno.

    A dire il vero gli unici riferimenti a racconti precedenti sono proprio a quell'unico che hai letto, e comunque è tutto spiegato perciò non è neppure necessario averlo letto.
    A che cosa ti riferisci di preciso?

    CITAZIONE (marramee @ 3/8/2010, 19:09)
    Mazzata finale, non ho capito COSA sia il protagonista (che razza di essere), quindi ancor meno i suoi vari gradi di parentela.

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    Uhm... aspetta... che importa cosa sia? In effetti si può capire ma non è necessario, e in quanto ai gradi di parentela, l'unico rilevante è che lui e la donna hanno lo stesso padre, cosa che viene detta chiaramente.
    Comunque è un mezzo drow, per la cronaca. ^_^

     
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  13. Fini Tocchi Alati
     
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    Dunque,
    SPOILER (click to view)
    sono d'accordo con alcuni lassù. La prima parte è molto interessante. Ottimi personaggi, bellissima ambientazione e dialoghi riusciti. La sconda parte prende meno: sembra tu abbia avuto fretta di concludere e, come già notato, i dialoghi sono troppo intrusivi.
    Inoltre, aggiungo due annotazioni personali. Mi pare che per un racconto così breve ci siano troppe contaminazioni di genere. Ora, io non me ne intendo, ma mi sembra di aver individuato elementi del fantasy, della fantascienza, del cyberpunk, della detective-story, del noir. Ecco, forse il racconto è troppo contaminato. almeno per i miei gusti. Boh!
    Un'altra cosa.
    A un certo punto dai l'informazione che le vittime conoscessero l'assassino. Poi però non ho capito perché lo conoscessero. Di sicuro, m'è sfuggito un passaggio. O lo conoscono per avere lei indagato sui loro casi? Il fatto però che hanno la bocca cucita (letteralmente! ehehe) per non far rivelare il nome, mi fa credere che la conoscenza sia abbastanza approfondita e vada al di là di un'indagine. O no?

    Vabbè, in definitiva, dico 3.
     
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  14.  
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    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 4/8/2010, 11:35)
    Inoltre, aggiungo due annotazioni personali. Mi pare che per un racconto così breve ci siano troppe contaminazioni di genere. Ora, io non me ne intendo, ma mi sembra di aver individuato elementi del fantasy, della fantascienza, del cyberpunk, della detective-story, del noir. Ecco, forse il racconto è troppo contaminato. almeno per i miei gusti. Boh!

    Il racconto è un thriller più che una detective story (anche perché Sylke non è un detective e non si può proprio dire che abbia tempo o modo di indagare ^_^), ma l'ambientazione, che è preesistente, è quella del mio mondo fantasy evoluto, con la magia che si è sviluppata al posto della tecnologia. Non è fine al racconto.
    In quanto a fantascienza e cyberpunk... no, non credo ce ne siano elementi, soprattutto non di fantascienza. A che ti riferivi?

    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 4/8/2010, 11:35)
    Un'altra cosa.
    A un certo punto dai l'informazione che le vittime conoscessero l'assassino. Poi però non ho capito perché lo conoscessero.

    Che la conoscessero è una deduzione di Sylke e non è detto che sia corretta.
    Ma in realtà il perché possano conoscerla è semplice: tutti loro sono stati alla centrale di polizia e lei lavora lì alla reception. Il che non significa che ne conoscano il nome, ma permettere loro di dire qualcosa tipo "agente" sapendo che quello che dicono verrà poi ascoltato sarebbe un tantino controproducente. ^_^
     
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  15. Fini Tocchi Alati
     
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    SPOILER (click to view)
    Per "cyberpunk" mi riferivo all'atmosfera alla Blade Runner, ma forse non è sufficiente per caratterizzare il genere.
    Per "fantascienza" invece mi riferivo all'esistenza di altre "razze" rispetto a quella umana.
    Ma te l'ho detto: non sono un grand esperto. Sono più che altro sensazioni...
     
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36 replies since 1/8/2010, 09:05   541 views
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