Una vecchia co(no)scienza
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Una vecchia co(no)scienza

di Marcello Gagliani Caputo

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  1. margaca
     
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    Perdonate il gioco di parole sgrammaticato del titolo, ma mi piaceva troppo!

    Lorenzo aprì l’armadio e prese la giacca della divisa.
    «Sbaglio, o ti avevo detto che quel vestito non volevo più vederlo?» Si voltò verso la moglie.
    La donna si avvicinò e guardò dentro. Piegato sopra una scatola di cartone usata per il cambio stagione, c’era un abito di lino bianco.
    «Pensavo di averlo dato via.»
    «Come vedi non l’hai fatto». Lorenzo si infilò la giacca e si sistemò il colletto. «Quando torno non voglio ritrovarlo, non voglio che mia moglie vada in giro vestita come una puttana». Si guardò allo specchio sistemandosi la cravatta. «Ma d’altronde te l’ha regalato tua sorella…», si girò verso di lei, «…a proposito, ho saputo che ieri è passata da qui.»
    La donna lo guardò afflitta.
    «Perché ce l’hai tanto con lei?» Chiese sistemando il vestito dentro una busta di plastica.
    «Perché è una puttana drogata e lo sai benissimo anche tu.» Il suo volto si irrigidì. «Ti ho detto mille volte che non voglio si avvicini a questa casa, come devo fartelo capire?» Controllò la pistola e la fece sparire nella fondina.
    «Ma è sempre mia sorella, non posso abbandonarla.»
    «Non me frega un cazzo, non deve mettere piede in questa casa, non voglio ripetertelo ancora.»
    «Sei ingiusto con lei, ha avuto tanti problemi, dovremmo aiutarla.»
    Lui si avvicinò e la prese per le braccia. La spinse verso l’armadio fino a quando lei non poté più muoversi.
    «Mi fai male.»
    «Ti sei scordata quanti soldi c’ha fregato quella sgualdrina?» Le sue mascelle si irrigidirono e gli occhi si iniettarono di sangue. «Non fosse stato per te, l’avrei già fatta sbattere in galera da anni, è lì che devono marcire quelli come lei.»
    La donna tentò inutilmente di liberarsi.
    «Non ne voglio più parlare, hai capito?» La sua voce risuonò minacciosa. «Vuoi diventare come lei? Guarda che non ci sto niente a buttarti fuori a calci, sono già stato troppo generoso con te e la tua famiglia.»
    Lei scosse la testa spaventata.
    «Ora fai sparire quel vestito.» La lasciò e afferrò una borsa da lavoro. «Devo andare, è tardi.» Uscì dalla stanza.
    Lei rimase un attimo ferma, massaggiandosi le braccia dolenti, poi gli corse dietro e lo vide entrare in auto e partire veloce verso la città. Sospirò e chiuse la porta. Camminò verso una poltrona e si lasciò andare chiudendo gli occhi mentre le prime lacrime le solcavano le guance. Si coprì il volto con le mani e si chiese per l’ennesima volta perché vivesse ancora con quell’uomo, perché gli permettesse di trattarla in quel modo, perché si faceva picchiare senza dire una parola. Si asciugò con rabbia il viso e afferrò il cordless, compose il 112, ma dopo uno squillo riattaccò. Non poteva farlo, non poteva abbandonarlo a se stesso, quel mostro se lo sarebbe inghiottito per sempre. Ripensò a quando si erano sposati, ai primi anni di matrimonio e un sorriso le si disegnò sulle labbra, spegnendosi quando rivisse le violenze subite negli ultimi mesi. Lorenzo non era più l’uomo che aveva sposato da ormai troppo tempo: indifferente, duro, nervoso, forse esaurito. Tornava a casa e si piazzava davanti alla tv, nemmeno un saluto, una parola. A cena ingurgitava tutto in pochi minuti e si alzava senza aspettare che anche lei finisse di mangiare. Ogni tanto lei aveva provato a chiedergli come andasse a lavoro, se ci fossero dei problemi, se aveva qualcosa da dirle, ma in tutta risposta le erano arrivati solo sguardi truci e mugugni incomprensibili. Ormai viveva con un estraneo.
    Si asciugò il viso con un fazzoletto e guardò dalla finestra: il cielo si stava rannuvolando minaccioso, in lontananza si sentì un tuono. Si alzò e andò in cucina. Mise un pentolino d’acqua sul fuoco e si preparò un the caldo. Tornò nel salotto e accese la tv. Le voci degli attori di un telefilm riempirono la stanza, ma lei non le sentì nemmeno. Avrebbe voluto uscire da quella casa e andare lontano, in un posto dove poter ricominciare.
    Un lampo squarciò il cielo.
    «Pioverà tutta la notte.» Disse tra sé. Avvicinò una coperta e se la mise sulle gambe.

    «Allora, come va?»
    Lorenzo sorrise e schiacciò l’occhio al collega che lo aveva raggiunto, un ragazzotto di poco più di vent’anni e un po’ sovrappeso. Un terzo agente carcerario stava armeggiando poco più in là con un cellulare.
    «Tutto bene, ogni tanto ho qualche screzio con mia moglie, ma tutto normale. Rientra nella vita familiare, te ne accorgerai.»
    L’altro sorrise e annuì.
    «Buonasera, ragazzi.» Il terzo agente, pelato e con un lungo pizzetto sul mento, li raggiunse e si sistemò il manganello.
    Lorenzo sorrise, mentre il grassoccio rispose con un cenno del capo.
    «Avete saputo cosa è successo stamattina?» Chiese il pelato.
    «No, cosa?» Domandò curioso il grassoccio.
    «C’è stata una rissa durante una partita di basket», rispose il grassoccio, «sono volati cazzotti e anche qualche morso, sono dovuti intervenire in quattro per dividerli. Me l’ha raccontato Carmine prima di staccare.»
    «Chi erano?» chiese Lorenzo.
    «Mi pare quel tizio arrivato l’altra settimana, quello che ha provato a uccidere la moglie, e Benny il Grasso. Se le sono date di santa ragione.»
    «Qui dentro sta diventando sempre più pericoloso.» Commentò il pelato togliendosi il cappello e grattandosi. Poi sorrise e si rivolse al grassoccio. «Hai portato gli scacchi?»
    L’altro sorrise.
    «Certo, dobbiamo finire la partita di ieri sera.»
    Il pelato gli passò un braccio sulle spalle.
    «Allora muoviamoci che devo darti scacco matto.» I due si avviarono lungo il corridoio e sparirono oltre una curva.
    Lorenzo rimase qualche secondo fermo, giocherellando col manganello attaccato alla cintola, poi si girò e andò verso la biblioteca. Arrivato nella stanza, si guardò attorno e afferrò un libro poggiato su un tavolo, lo sfogliò e poi lo rimise al suo posto. Controllò che tutto fosse a posto, poi sentì un rumore.
    «Chi c’è?» Esclamò brandendo il manganello.
    Da un tavolo fece capolino una testa.
    «Che cazzo ci fai qui?» Gli chiese Lorenzo.
    Un ragazzo lo guardò.
    «Sto sistemando i libri.» Rispose timido.
    Lorenzo si avvicinò e guardò l’orologio.
    «Come mai non sei in cella a quest’ora?»
    «Il direttore mi ha concesso di rimanere qui ancora un’ora.»
    Lui si guardò alle spalle e camminò verso il detenuto.
    «Il direttore, eh?» Chiese accennando un sorriso.
    L’altro annuì.
    «Hai qualcosa per provarlo? Una lettera? Un permesso?»
    Il detenuto sembrò in difficoltà.
    «No, però…»
    «Però un cazzo», lo fermò Lorenzo battendosi il manganello sulla mano, «se ti trovano qui passerò i guai.»
    «Ma io…», biascicò il detenuto.
    «Da quanto stai dentro?» Incalzò Lorenzo.
    «Un mese.»
    «Che cosa hai fatto?»
    «Rapina.»
    Lorenzo abbassò il manganello.
    «Vedo che però non hai imparato niente.»
    Il ragazzo sembrò non capire.
    «Se vuoi vivere tranquillo qui dentro devi rispettare le regole.»
    «Lo so ed è quello che sto facendo.»
    Lorenzo scoppiò in una fragorosa risata.
    «Dai», disse poi scostandosi, «adesso tornatene in cella, per stavolta chiuderò un occhio.» Lo fece passare.
    Il ragazzo abbozzò un sorriso e si incamminò verso la porta, ma dopo un attimo sentì un dolore fortissimo alla schiena e si ritrovò a terra col ginocchio di Lorenzo ben piantato sulla spina dorsale. Sbatté la faccia sul pavimento e sentì il sangue riempiergli il naso.
    «Ehi…», provò a dire, ma un altro colpo stavolta al polpaccio destro, gli fece morire le parole in gola.
    «Qui dentro non c’è posto per i furbi», disse rabbioso Lorenzo, «tanto meno per quelli come te».
    Il ragazzo respirò con fatica e sputò sangue sul pavimento.
    «Che cazzo stai facendo?» Davanti la porta comparve il secondino grassoccio con due bicchieri di caffè tra le mani.
    «Ho beccato questo figlio di puttana qui dentro». Rispose Lorenzo.
    Il secondino si avvicinò.
    «Gli esce sangue dalla bocca.»
    Lorenzo sorrise.
    «Ha provato a scappare.» Si alzò e lo tirò su per la camicia.
    Il grassoccio lo guardò poco convinto, poi si voltò e controllò se ci fosse qualcun altro.
    «Riportalo in cella, io vado, ho una partita di scacchi in sospeso.»
    Lorenzo annuì e aspettò che sparisse.
    «Adesso ti riporto in cella», si rivolse al detenuto e gli diede un fazzoletto per tamponare il sangue, «se dici una parola, non immagini cosa ti farò passare.»
    Il ragazzo annuì spaventato e si tamponò il naso.
    «Avanti, muoviti, pezzo di merda.»

    La pioggia era caduta per tutta la notte, ma adesso il sole aveva ripreso a brillare alto nel cielo. L’odore della rugiada arrivava fin dentro la casa e il cinguettio degli uccelli si faceva sempre più chiassoso.
    La donna aprì gli occhi e si trovò a guardare il viso di suo marito.
    «Buongiorno, amore.»
    Lei saltò dal letto e cercò istintivamente di ripararsi con la coperta.
    «Cosa c’è? Non riconosci più tuo marito?»
    Lei abbozzò un sorriso e si rilassò.
    «Mi hai spaventata, stavo dormendo.»
    Lorenzo sorrise e si sedette sul letto.
    «Volevo farti una sorpresa.» Da dietro la schiena tirò fuori un mazzo di fiori.
    La donna guardò le rose e sorrise.
    «Grazie.»
    «Per farmi perdonare.»
    Lei prese i fiori e li odorò. Poi guardò Lorenzo e sorrise: il suo viso era rilassato, i suoi occhi avevano riacquistato quella luce che l’avevano fatta innamorare, sembrava tornato l’uomo che aveva sposato. Aveva vinto la sua battaglia.
    «Fuori è tutto zuppo.» Disse Lorenzo alzandosi dal letto.
    «Ha piovuto tutta la notte.» Ribatté la moglie sistemando i fiori dentro un vaso. «Un temporale terribile.» Guardò soddisfatta e orgogliosa le rose e aprì le tende della stanza da letto. Il sole entrò prepotente dentro la casa illuminandola come non faceva da tempo. «Sembra arrivata la primavera.»
    Lorenzo voltò la testa e annuì.
    «Vuoi mangiare qualcosa?» Gli chiese la donna.
    Lui si sfilò i vestiti e indossò una tuta e una maglietta.
    «Volentieri, non ho fatto colazione.»
    Lei sorrise e andò in cucina.
    Lorenzo la raggiunse e si mise seduto.
    «Ho preso una settimana di ferie.»
    Lei sorrise.
    «E’ tanto tempo che non andiamo da qualche parte.» Spalmò la marmellata su un paio di fette biscottare e gli versò una tazzina di caffè. «Perché non partiamo? Magari una crociera.» Lo guardò speranzosa.
    Lui sorrise e sorseggiò il caffè.
    «C’è stato qualcuno qui ieri sera?»
    La donna lo guardò e si sentì raggelare.
    «No, perché?»
    «E di chi è allora quel cappello all’ingresso?»
    Lei ebbe un sussulto e guardò fuori dalla cucina. Il cappello era lì sul mobile e faceva bella mostra di sé. Sentì le gambe piegarsi.
    «Ah, quello», rispose cercando di sorridere, «ieri sera si è fermato un tizio per chiedere delle informazioni.»
    «E ha lasciato il cappello?» Il viso di Lorenzo si oscurò.
    «Se lo sarà dimenticato, forse lo ha poggiato lì quando l’ho fatto entrare». Si riempì una tazzina di caffè anche lei. «Dai, fai colazione, il caffè diventerà freddo.»
    Lui tamburellò con le dita sul tavolo e la guardò dritta negli occhi.
    «Avete scopato sul nostro letto?»
    La donna lasciò cadere la tazzina che andò in mille pezzi e fece un passo indietro.
    «Ma che cosa stai dicendo?»
    «Ti ho chiesto se avete scopato nel nostro letto.»
    «Non abbiamo fatto nulla, Lorenzo, te lo giuro.» Sentì il sudore scivolarle sulla fronte. «Gli ho spiegato la strada ed è andato via.»
    Lui si alzò.
    «Lorenzo, ti prego…»
    La prese per un braccio.
    «Non abbiamo fatto nulla, te lo giuro!»
    «Sei una troia, proprio come tua sorella.» Le torse il braccio e la spinse verso i fornelli della cucina. «Chissà quante altre volte hai scopato in questa casa mentre io ero lì fuori a lavorare.»
    Lei inciampò sui suoi stessi piedi e finì per terra.
    «Non ho fatto niente!»
    Lorenzo la colpì con uno schiaffo.
    «Sei una puttana!»
    La donna finì col viso sul muro.
    «Sul nostro letto!» Gridò ancora lui. «Scoparti un altro nel nostro letto!» Le sferrò un calcio allo stomaco.
    Lei si rannicchiò contro la parete e cominciò a singhiozzare disperata.
    «Ti prego…»
    «Sei solo una sgualdrina.» Si voltò e uscì dalla cucina.
    La donna si rimise faticosamente seduta e si pulì la bocca sporca di sangue. Quando alzò la testa lo vide tornare.
    «No, Lorenzo, ti prego…»

    «Eccola qui, le piace?»
    Lorenzo rimase senza fiato. Deglutì un paio di volte e si accorse di non respirare.
    «E’ rimasto senza parole, eh?» Sorrise l’agente immobiliare.
    Lorenzo buttò fuori l’aria e respirò profondamente allargando la cassa toracica al massimo.
    «E’ uno scherzo, vero?»
    L’agente immobiliare scosse la testa.
    «Perché? La guardi, è proprio come la cercava lei: giardino, posto auto, centoventi mq appena fuori la città, tre stanze da letto, cucina, salone doppio, due bagni.» Aprì una cartella e cominciò a rovistare. «Ecco», gli porse un foglio, «qui c’è la sua richiesta.»
    Lorenzo gli lanciò un’occhiata distratta.
    «Io non entrerò mai in quella casa.»
    L’agente immobiliare annuì e fece sparire il foglio dentro la cartella.
    «Conosce già la storia di questa casa…» Disse quasi rassegnato.
    Lorenzo annuì.
    «Ok», l’agente immobiliare alzò le mani in segno di scusa, «mi dispiace non averglielo detto prima, ma non pensavo potesse avere importanza. Sono passati tanti anni da quella tragedia.» Sorrise. «Dai, le faccio un sconto, gliela do per quattrocentomila euro, è un affare. Non mi dica che è di quei superstiziosi che credono ai fantasmi o roba del genere…»
    Lorenzo lo guardò e poi rivolse lo sguardo alla casa.
    Non era cambiato molto dall’ultima volta che era stato lì, giusto un po’ di erba e muschio in più e qualche pezzo di intonaco che si era staccato corroso dall’umidità. Si avvicinò al cancelletto d’entrata e poggiò le mani sul legno dello steccato.
    «Allora? Che ne dice?» L’agente immobiliare lo aveva raggiunto e lo guardava speranzoso. «Una casa come questa vale almeno settecentomila euro…» Lo guardò come un pescatore in attesa di vedere la lenza piegarsi nell’acqua. «Gliela do per quattrocentomila euro e se vuole potrà pagarmi la percentuale in nero così le faccio risparmiare altri cinquemila euro.»
    Lorenzo rimase in silenzio.
    «E comunque», riprese l’agente immobiliare dopo essersi lanciato un’occhiata alle spalle, «non so cosa sa lei di quella storia, ma detto tra noi quella donna meritava la fine che ha fatto.»
    Lorenzo si voltò e lo guardò stringendo talmente forte lo steccato da farsi diventare le nocche bianche.
    «Diciamocelo, era una sgaldrina, andava con tutti quelli che le capitavano sotto mano, si figuri che la sera prima di essere uccisa, era stata a letto con uno sconosciuto che si era fermato a chiedere informazioni.»
    Lorenzo mollò la presa sullo steccato.
    «E tu che cazzo ne sai?»
    Lui gli mostrò un sorriso ampio.
    «Come che cazzo ne so? Me l’hai raccontato tu.»
    Lorenzo lo guardò senza capire.
    «Non ricordi? Sei entrato in quel pub con l’aria di chi aveva appena visto un fantasma, ti sei seduto al bancone e hai cominciato a trangugiare una birra dopo l’altra. Dopo quasi dieci minuti che ti osservavo, ti sei girato e mi hai sorriso cominciando a raccontarmi com’era andata. Un giro lo pago io un giro lo paghi tu…» Sorrise.
    Lorenzo scosse la testa confuso.
    «E’ da allora che ti do la caccia, figlio di puttana. Sul momento non avevo realizzato di cosa stessi parlando, ma poi a mente fresca ho rimesso in ordine i pezzi e ho capito che quell’uomo di cui parlavi ero io, io mi sono fermato quella sera a chiedere informazioni a tua moglie. Lei mi fece entrare perché fuori diluviava e inavvertitamente ho appoggiato il mio cappello sul mobile dell’ingresso lasciandolo lì dopo che tua moglie mi ha spiegato la strada.» Si avvicinò a Lorenzo così tanto da poterne sentire l’alito mentolato. «Capisci, Lorenzo? Ero io quell’uomo e non sono mai andato a letto con tua moglie. Le ho parlato per dieci minuti ma mi sono subito reso conto di che donna fosse, di quanto fortunato fosse l’uomo che l’aveva sposata e tu invece l’hai uccisa.»
    Lorenzo abbassò la testa e vide i vestiti sporcarsi di sangue. Istintivamente poggiò le mani sullo stomaco e sentì il contatto freddo col metallo.
    «Che tu possa bruciare all’inferno, Lorenzo…»

    Edited by margaca - 3/10/2010, 19:19
     
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