Spine
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Spine

Porno-horror, 25.500 car.

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  1. Otrebla Bla Bla
     
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    SPINE
    di Alberto Priora
    Prodotto dalla Illegal Unitia. Tutti i diritti riservati alla Illegal Unitia 2010

    Disclaimer: questo racconto contiene espliciti riferimenti sessuali. Se ti danno fastidio in qualche modo, sei avvertito e quindi hai la possibilità di non proseguire nella lettura. Se prosegui, significa che lo fai di tua precisa volontà.

    Nota
    SPOILER (click to view)
    rivolta a chi ha già letto il racconto in altra sede: si tratta di una nuova versione limata in alcune parti e meglio studiata in altre, più lunga di circa 5000 caratteri


          La scena sembra quella di un film: la moglie che riempie veloce una valigia di vestiti mentre il taxi la aspetta di sotto, lo sguardo in equilibrio tra il deluso e l’incazzato, l’espressione tesa, la bocca che freme per esalare la fatidica frase Me ne vado per sempre!; e il marito seduto sul letto, l’aria incredula, le spalle curve e la sconfitta resa manifesta dalle mani abbandonate sulle cosce. Solo che non si tratta di un film. Solo che Luca si rende conto che non è una decisione presa nell’impeto di un momento, ma che è preparata da tempo. Solo che non c’è reale sorpresa.
          Luca osserva la donna mentre raccoglie le proprie cose. Non si è accorto, o meglio non si è voluto accorgere, che con il trascorrere dei giorni lei le ha fatte sparire poco alla volta, tenendo in giro solo il minimo indispensabile. In fondo si trattava solo di oggetti sparsi per la casa o chiusi negli armadi. Elementi trascurabili.
          Lei chiude la valigia e lo fissa. — Sei uno stronzo, sai, sei solo un povero stronzo.
          — Monica, io…
          — Non cominciare; non cominciare con le tue solite scuse del lavoro, dei tuoi problemi, dei tuoi stress. Sono solo cazzate. Non cominciare con le tue solite lagne. Non scaricare le colpe su qualcun altro. Io dovevo essere la tua vita, ma non te ne è mai fregato nulla. Non ti sei mai preoccupato di quello che provavo io; hai sempre ritenuto che non meritasse la tua attenzione. Guarda, ti elimino il problema. Adesso avrai tutto il tempo di pensare solo a te stesso, come hai sempre fatto. Vedrai che ti piacerà.
          Solleva la valigia. Si vede che è pesante. Luca si protende in avanti, come in una tardiva volontà di aiutarla, ma lei alza una mano. — Non ti disturbare. Faccio da sola — dice con voce secca.
          Si gira ed esce dalla stanza. Percorre il corridoio e si chiude la porta alle spalle. Non la fa sbattere, ma il movimento è deciso e il rumore incide l’appartamento.
          Luca si affaccia alla finestra. Il tassista è sotto casa, appoggiato alla sua auto; fuma e legge il giornale. Per lui lo scorrere del tempo è solo avere soldi in più. Quando Monica scende, le prende la valigia, la mette nel baule e le apre la portiera.
          Poi il taxi parte e sparisce oltre l’angolo della via.
          Luca pensa che, adesso, lo scorrere del tempo sarà il vuoto della sua vita.

          Il ragazzo dell’agenzia Muovo Casa ha un sorriso stereotipato stampato sul viso. Gli coinvolge anche le orecchie tanto è tirato.
          — Queste sono le chiavi. Un mazzo, più un mazzo di riserva.
          — Abiterò da solo — precisa Luca.
          Il ragazzo, un giovane diplomato con i capelli dritti in testa affogati nel gel, guarda gli operai che arrancano sulle scale con il divano. Quello senegalese ha gli occhi iniettati di sangue, perché è costretto a fermarsi ogni volta che quello italiano, sbuffando, appoggia il mobile sui gradini.
          — Non ha importanza. Il contratto dice che le devo dare due copie di ogni chiave.
          — Capisco.
          — Magari, avrà degli ospiti — mormora il ragazzo.
          — Già, magari avrò degli ospiti.
          Il senegalese dice qualcosa in francese che suona tanto come una maledizione, e fa cenno al compagno di muoversi; così il divano varca finalmente la porta del piccolo appartamento in affitto che ha scelto Luca. Ha deciso di portare solo pochi mobili con sé e di lasciarne indietro la maggior parte.
          — Pensa che ci vorrà molto? — chiede.
          — Per cosa?
          — Per vendere la casa in cui abitavo prima.
          — No, non credo. Vedrà che la piazziamo prima della fine dell’estate. Comunque non dovrà preoccuparsi dell’affitto fino all’avvenuta vendita. Il totale le verrà scalato in seguito, assieme alla commissione. Ci occupiamo di tutto noi della Muovo Casa.
          — Capito, grazie.
          — Si figuri. Si tratta del nostro lavoro.
          Sul pianerottolo si diffonde il rumore di una serratura che scatta. Proviene dall’altra porta che vi si affaccia. Quattro mandate in lenta successione e poi la porta si apre. Compare un uomo con un innaffiatoio di metallo in mano; un anziano, i capelli radi e bianchi, lo sguardo incattivito dalla vita. Alle sue spalle si allunga il corridoio del suo appartamento, con i mobili vecchi e infarciti di oggetti inutili; in fondo rimbalzano il bagliore e i suoni di una televisione accesa.
          L’uomo guarda Luca per un istante, bofonchia una specie di saluto e poi, senza attendere risposte, si mette a dare da bere ai vasi che ospitano delle piante grasse. Gesti misurati, per far scendere poca acqua che poi sgocciola dalle spine come brillanti. Terminata la sua opera rientra in casa sua.
          — Il suo unico vicino — dichiara il ragazzo. — Un pollice verde, sembrerebbe.
          — Già.
          Luca conta cinque vasi. Uno dei cactus, le spine dritte e aguzze, gli arriva al ginocchio, un altro sembra un cuscino in cui qualcuno ha infilato dieci scatole di spilli, un terzo è come un bruco peloso congelato durante una crisi epilettica. Gli ultimi due vasi sono popolati da piante più piccole, affollate tutte assieme al centro come se urlassero per attirare l’attenzione.
          — Bene — dice il giovane dell’agenzia guardandosi attorno. — Credo manchi solo qualche scatolone e gli operai avranno finito.
          Il senegalese scende le scale, mentre l’italiano preme il pulsante di chiamata dell’ascensore. Luca annuisce e cerca di non pensare che quello è il primo giorno della sua nuova vita. Vorrebbe trovare un modo per riempirla, ma non sa ancora pensare a quale.

          Luca suona il campanello e la porta di vetro smerigliato si apre per lo scatto di una serratura elettrica. La spinge e varca la soglia di quel regno che trasuda vizio, dominato dall’ostentazione di corpi nudi, colorato da amplessi di gente che guarda nelle telecamere, abitato da fantasmi di orgasmi sparsi ai quattro venti. Finti, veri: non ha importanza.
          L’uomo dietro il bancone, il viso allungato, i capelli raccolti in una coda che arriva a metà della schiena, gli rivolge un sorriso che dovrebbe essere complice, ma che è spento e distaccato. Come i pasticceri che non hanno più piacere nel mangiare dolci, sembra ormai ignorare tutto il sesso che lo circonda.
          Luca lo guarda appena e dedica la sua attenzione al negozio. Nel sexy shop ci sono altri clienti: un ometto con la faccia da topo che passa in maniera sistematica le copertine dei DVD sadomaso e una coppia vistosa, lei rossa e sovrappeso, lui brizzolato ed elegante, che esplorano la biancheria intima. Ridono nel fingere di provare a turno una sottoveste rosa già traforata in tutti i punti giusti.
          Luca si aggira tra gli scaffali. Una serie di bocche che succhiano attira il suo sguardo, e così si ritrova in mano Turiste affamate volume sei; quando gira la scatola, legge che si tratta di ragazze porche che girano l’Europa in cerca di sesso e che lo fanno senza inibizioni con sullo sfondo i monumenti più famosi. In una delle foto si vede la Torre Eiffel, mentre in primo piano lei sta coricata sul fianco con lui dietro; il monumento spicca tra le gambe aperte della ragazza, la destra sollevata e la sinistra distesa.
          La coppia ride e lo distrae; l’ometto adesso sta passando in rassegna la sezione fetish, curvo sull’espositore, gli occhi che guizzano sulle carni esposte, e sta sotto il cartello che recita che Tutte le scatole sono vuote. Rivolgersi alla cassa per il contenuto. Luca non ha voglia di passargli accanto; sceglie tre film quasi a caso, tanto per l’uso che ne dovrà fare la cosa conta poco, e si avvicina al bancone.
          In quel momento la vede. Lei si trova alle spalle del commesso, in una teca di vetro che non si nota dall’ingresso.
          Luca la osserva. Ha capelli biondi che le scendono fin sulle spalle, occhi scuri dalle ciglia lunghe, la bocca socchiusa, le labbra invitanti, i lineamenti delicati, seni che vogliono uscire dal vestito verde troppo stretto, capezzoli turgidi che risaltano, gambe avvolte da collant neri, scarpe laccate.
          L’uomo al bancone alza lo sguardo e tende la mano per prendere in consegna le custodie, poi si accorge che Luca è immobile, rapito dalla bambola gonfiabile che gli sta alle spalle.
          — Le bambole sono nel corridoio di destra. C’è la serie Vanessa in offerta a soli ventinove euro.
          Ma Luca non risponde. C’è qualcosa nello sguardo di quella bambola confinata nella sua prigione di vetro che lo attrae, che lo chiama.
          L’altro si gira. — Ah, quella? Non ne ho altre. Ho solo quella esposta. Scheletro articolato in plastica, pelle in gomma siliconica, camere d’aria multiple, tutti e tre gli ingressi vibranti e con cinque programmi differenti ciascuno. Pesa poco più di dieci chili, ma ne sopporta fino a centoventi — recita, la voce monocorde, l’indice che batte sulle dita dell’altra mano durante l’elenco.
          — E come si chiama?
          — Come si chiama? — esclama a voce abbastanza alta da far voltare la coppia e far interrompere l’ometto nella sua selezione.
          — Sì. Come si chiama.
          L’uomo è in imbarazzo, come preso alla sprovvista dalla domanda. — Non ho più la confezione. Penso sia di una serie che non è più in produzione. Forse era un campione… non ricordo. Naturalmente lei può chiamarla come vuole; che ne so, magari Alessia.
          — Alessia — ripete Luca passandosi le esse sulla lingua.
          — Come preferisce.
          — Quanto costa?
    L’uomo pare accorgersi solo in quel momento della possibilità di una vendita. Vero è che, di solito, i clienti si comportano in maniera differente. — Gliela lascio per ottocento — dice con il tono di chi spara alto il prezzo per poi essere disposto a trattare.
          — Va bene.
          — Va bene?
          — Prende la carta di credito?
          — Sì certo. Però come le ho detto è senza confezione e temo sia un modello che è meglio non sgonfiare; viene vulcanizzata direttamente in fabbrica.
          Luca si guarda attorno; gli occhi passano in rassegna la fiera dei desideri che lo circonda, ma niente possiede la stessa capacità di attrarlo che ha Alessia. Nello sguardo dell’ometto fermo tra i DVD c’è come invece un accenno di gelosia repressa e codarda.
          — La porto via così. Se solo ha dei sacchi neri, userò quelli.
          — Neri? Certo. Ho quelli grossi, quelli che di solito si usano per… ma OK, nessun problema — risponde il commesso, che è abituato a dare ai clienti solo sacchetti e buste di plastica rigorosamente scure e mai trasparenti.
          — Grazie.
          La rossa, che si è avvicinata abbastanza per sentire, ridacchia divertita, ma Luca non le bada. La sua attenzione è tutta per Alessia: anche se quelle labbra non si sono mosse, è sicuro che gli abbiano sorriso.

          L’aria calda della città si insinua sotto la tapparella abbassata come se arrivasse a ondate. Uno spiffero caldo avvolge ogni cosa, senza lasciare tregua o respiro.
          Luca è nudo e sudato. Ha trasportato Alessia su per le scale, perché temeva potesse schiacciarsi tra le porte dell’ascensore. Prima di uscire in strada, l’ha avvolta bene nei sacchi della spazzatura che gli ha dato il negozio e così ha attirato solo pochi sguardi distratti da parte dei passanti. L’ultima cosa che desiderava era rispondere alle loro domande. Anche il vicino, che ha incontrato con il suo innaffiatoio quando è arrivato sul pianerottolo, ha gettato solo un’occhiata su quello che portava, ma non ha osato chiedere nulla.
          Ora Alessia è sdraiata sul divano, lo sguardo perso verso il soffitto, un braccio piegato dietro la testa. Di lato al vestito si vede la curva del seno, la gonna è spostata e mostra le mutandine di pizzo, le scarpe sono sul pavimento.
          Luca mette via l’apribottiglie e appoggia la birra ghiacciata sul tavolino. — Fresca. Ci voleva proprio con questo caldo. Davvero un’estate torrida. Non me ne ricordo di così da parecchi anni.
          Lei sorride. I capezzoli formano due rilievi molto evidenti sotto la seta. Invitanti. Luca si avvicina e le carezza una guancia, poi le passa la mano sulla gamba, la insinua nelle mutandine e la esplora con un dito. Le falangi si piegano più volte. È eccitato, il pene già in erezione.
          — Alessia — sussurra. Poi la bacia, le slaccia l’abito e le lecca prima il bordo e poi il centro del seno sinistro, passando più volte sull’areola. La pelle è soffice e profumata; offre eccitanti sensazioni. Lei si lascia sfilare le mutandine senza protestare e Luca le monta sopra, la penetra e le ansima sul collo; la sente reagire, la vagina che lo stringe seguendo il ritmo, che lo massaggia e gli dà piacere.
          Avanti e indietro. Avanti e indietro con il pene che striscia dentro il soffice, che lo porta su per una strada di piacere dalle numerose svolte.
          Quando si scarica dentro di lei, sente come qualcosa che lo avvolge, che lo attira verso di lei, verso i suoi occhi, verso il suo sorriso.
          Come trovarsi sul bordo di qualcosa.
          È un attimo, poi Luca si sposta.
          — Mi servirà un fazzoletto. Vado a prenderlo — dice. Beve un sorso dalla bottiglia e poi attraversa la stanza. L’ultimo sguardo, prima di uscire, lo dedica a lei. Tutto il resto sembra meno importante, adesso.

          Quando Luca rientra in casa Alessia non è più sul divano.
          Il sole è ancora alto e il riverbero lo ha tormentato lungo tutta la strada del ritorno. Il suo ufficio ha l’aria condizionata, ma il risultato di averla che ronza nelle orecchie per tutta la giornata è quello di essere assaliti dal caldo non appena si mette piede all’esterno.
          — Tanto quando l’estate finisce, ci si lamenta che fa freddo — dice mentre guarda il divano vuoto.
          E poi c’è quella sua collega, quella che in passato si sarebbe anche portato a letto volentieri se ce ne fosse stata la possibilità. Prima, però. Quando non perdeva una sola occasione per cercare un’intesa. Quando la cosa aveva il senso di dimostrare qualcosa. Quando c’era ancora Monica. Adesso che quella sua collega sembra ricambiare, che pare interessata a muoversi visto il campo rimasto libero, la cosa ha perso tutto il suo interesse. Problemi che non vale la pena affrontare.
          Luca si sposta in camera e trova Alessia. È sul letto, appoggiata languidamente al cuscino. — Ah, eccoti. Non pensavo di trovarti qui.
          In effetti pensava di averla lasciata sul divano.
          Si guarda attorno. Nella stanza c’è come qualcosa di diverso, ma non sa capire cosa. Forse è solo il fatto che si è trasferito da poco e che l’ambiente non gli è ancora familiare.
          Scuote la testa. — Vado a farmi un panino. Da te torno dopo. Non andartene.
          La cucina è immersa nella calura. La tapparella è alzata e i raggi del sole hanno scaldato l’aria attraverso il vetro. Luca era sicuro di averla abbassata, quella mattina, ma è evidente che si ricorda male quel dettaglio.
          Apre il frigo e tira fuori la birra e una busta di affettato, poi prende il pane dalla credenza. Nel primo cassetto cerca un coltello, ma non ce ne sono.
          — Cazzo! Per una volta che riesco a mangiare a casa.
          Apre il secondo cassetto e poi il terzo, ma non ne trova neppure lì. E non ci sono neppure le forchette.
          — Quei coglioni del trasloco. Vai a fidarti. Avranno lasciato una scatola sul camion o chissà dove. Ci occupiamo di tutto noi col cazzo. Imbecilli!
          Allora prende un cucchiaio, lo infila con il manico nel panino e fa forza come con una leva, stuprandone la crosta, poi infila le dita fino a separare le due metà. Il risultato non è preciso, ma è sufficiente per metterci dentro il prosciutto.
          Quando si tratta di aprire la bottiglia di birra non trova l’apribottiglie, quello che ha anche il cavatappi a punta. Forse lo ha appoggiato da qualche parte, visto che lo ha usato il giorno prima; eppure in giro non c’è.
          — Vaffanculo — dice provando prima a forzare il tappo con il cucchiaio e poi rovistando nel cassetto in cerca di un attrezzo utile. Prova con le chiavi di riserva dell’appartamento che tiene sempre appese accanto alla porta, ma capisce che rischia di farsi male. — Vaffanculo — ripete prima di appoggiare il collo della bottiglia all’orlo del tavolo in modo che la ghiera di metallo ne tocchi l’orlo. Una manata veloce e il tappo salta, anche se la birra agitata schizza fuori e si rovescia sul pavimento, macchie di schiuma bianca che svaniscono sulle piastrelle.
          — Cazzo, cazzo, cazzo — ma almeno il liquido è fresco e gli scende piacevole in gola.
          Torna in camera e si spoglia. Alessia è invitante, le lunghe gambe distese sul lenzuolo, il seno rotondo che getta un’ombra sul cuscino, la labbra rosse socchiuse.
          Luca si sente eccitato. La doccia la farà dopo. Tanto non c’è nessuno a rinfacciarglielo.
          Sale sul letto e le infila il pene in bocca, lei lo accoglie dolcemente, la lingua che si muove ritmica. Gli diventa duro e un’onda di piacere gli rimescola le parti basse e poi risale. Luca potrebbe accelerare i movimenti, ma vuole durare più a lungo e allora si sposta e gira Alessia di spalle, le braccia appoggiate alla testiera del letto, le gambe piegate, il sedere bene in alto. La prende così, suda per eccitazione e sforzo, ansima ad alta voce quando le viene dentro e si abbandona poi sulla schiena di lei, premendo il viso tra i suoi capelli.

          — Ma perché non trovo più un cazzo in questa casa? — chiede Luca uscendo dal bagno. Era sicuro di aver comprato delle lamette da barba nuove, ma adesso non ci sono più. Le cose sembrano sparire o essere sempre dove non le aveva messe. Si è trasferito da tre giorni, ma non ha ancora sistemato tutto. Il caldo non aiuta certo a ragionare, ma la situazione gli sembra irreale.
          È ancora presto. Deve andare in ufficio anche oggi, ma quando tornerà avrà di nuovo tempo a disposizione per stare con Alessia. Per scoparsela come si deve. Sì che con lei può fare quello che vuole. Altro che questo no, qui non puoi, lì no. Forse ci sarebbe quella sua collega; ieri ha passato metà pomeriggio a farsi vedere con un bottone della camicetta aperto di troppo, il reggiseno che spiccava. Ci starebbe, ma poi vorrebbe qualcosa in cambio del sesso: attenzioni magari.
          Entra in cucina. È mattina, ma la temperatura è già alta e la giornata si promette torrida. Alessia è sul tavolo, le gambe a penzoloni, le braccia tese all’indietro per sorreggersi.
          Luca si blocca. È sicuro che prima lei fosse in camera.
          — Mi serviranno delle lamette nuove — dice sorseggiando in fretta il caffè. — Le prendo prima di tornare. Ci vediamo questa sera.
          Esce sprangandosi la porta alle spalle, poi si infila le chiave in tasca. Quando si gira per prendere l’ascensore vede che il suo vicino è lì, che lo guarda. Ha il suo innaffiatoio in mano, una goccia che cade dal beccuccio, le piante grasse che godono di quell’acqua anche se è nella loro natura resistere a lungo senza.
          L’uomo ha gli occhi spalancati, l’espressione strana. Adesso fissa la porta dell’appartamento di Luca, ma nel tempo in cui è rimasta aperta ci ha guardato senza dubbio dentro. Forse quando può cerca anche di vedere dal buco della serratura.
          Luca fa un passo, poi chiede indispettito.
          — Ha bisogno? Qualcosa che non va?
          L’anziano scuote la testa, anche se non modifica lo sguardo. Poi mormora qualcosa a bassa voce e rientra in casa.
          Luca guarda le piante. Avrebbe voglia di dirgli che non gli va a genio che stiano lì, che il pianerottolo è di entrambi, che se le potrebbe tenere in casa sua. Ma lascia perdere. Anche se magari è un vecchio pervertito che passa la giornata ai giardini a guardare le gambe e le tette delle adolescenti, a spiare quelle che hanno i pantaloni a vita bassa e il culo di fuori.
          Meno male che non ha una figlia.

          Anche quella giornata è stata calda. Molto calda. Senza dimenticare i casini che rompono le palle ignorando che d’estate il lavoro dovrebbe essere più semplice, o almeno più leggero.
          Luca infila la chiave nella toppa, ma la trova bloccata; la chiave non vuole saperne di entrare.
          — Che cazzo…
          Prova ancora. Niente.
          Poi, però, abbassa la maniglia e la porta si apre. Il mazzo di chiavi di riserva, quello che dovrebbe star appeso in cucina, è infilato dall’altra parte. Non ricorda di essere stato lui a metterlo lì. Ha chiuso dall’esterno al mattino.
          — Chi cazzo le ha usate?
          Percorre il corridoio e li vede.
          Alessia è sul divano, completamente nuda. Un uomo le sta sopra, anzi è dentro di lei, ma non fa alcun cenno di muoversi. Ha la testa appoggiata al seno, la bocca attorno al capezzolo.
          Luca sente la rabbia salirgli in gola. Lo afferra per le spalle e lo scaraventa sul pavimento. Il corpo rotola e si ferma. Un filo di sperma unisce come una ragnatela il suo cazzo eretto alla fica di lei, si allunga e poi si spezza. Da parte dell’uomo non c’è un gemito, non c’è nemmeno un respiro.
          Il sangue di Luca si ghiaccia all’improvviso, incurante della temperatura che lo circonda. Quello è il vicino, nudo e morto, la pelle vecchia grinzosa e macchiata, il pene alzato che è venuto per l’ultima volta. Si sa che il maschio è in grado di farlo anche in tarda età.
          Corre al telefono, solleva la cornetta e poi si ferma. Chiamare la polizia? E poi cosa dire? Che il vicino è entrato come un ladro? E come spiegare allora che le chiavi stavano dentro? Più come se qualcuno gli avesse aperto. Certo il vecchio era un curioso, ma che cosa ne sapeva di cosa c’era in casa? Sembra come se invece qualcuno lo avesse attirato. E non c’è nessun altro in casa: è piccola, ha controllato.
          — Cosa faccio? Cosa faccio?
          Quando Luca torna di là il cadavere è ancora sul pavimento, ma Alessia non c’è. La trova in camera, sdraiata sul letto.
          Non l’ha spostata lui.

          Luca preme più volte il campanello, ma la porta non si apre. È sul punto di battere con la mano sul vetro, quando la serratura scatta e il battente arretra di colpo.
          — Ehi, quanta fretta. Guardi che fra poco chiudiamo. Cosa le manca?
          Luca entra e prende fiato. Ha corso e le parole fanno fatica a uscire.
          — Alessia.
          — Chi?
          — Alessia. Ero qui due giorni fa per lei. Sono andato via con lei.
          L’uomo si gratta la testa e si guarda intorno, come se cercasse una risposta nelle mille facce, nei mille sessi, che lo osservano dalle copertine.
          — Alessia… stava lì — dice Luca indicando con il dito la vetrina vuota.
          — Ah, lei. Sì, ora ricordo. Allora qual è il problema?
          Luca ansima. Cerca di riprendere quel fiato stroncato dall’agitazione. — Chi è? Da dove viene? Che cosa nasconde?
          — Come che cosa nasconde? Non ha mica scoperto che ha un arnese sotto la gonna?
          L’uomo ride, ma Luca lo afferra per la collottola e lo fa arretrare fino al bancone. Quando lo urtano si sentono degli oggetti cadere. Sono soli in negozio visto l’orario.
          — Non sono qui per scherzare. Voglio sapere chi è. Cosa ci faceva qui? Da quanto ci stava?
          L’uomo vede lo sguardo stranito negli occhi di Luca e si spaventa. Non prova a liberarsi; la stretta è troppo forte.
          — Non lo so, non lo ricordo. Qualche settimana, forse un mese. Stava… era di un tizio che è morto. Un attacco cardiaco mentre, insomma mentre se la faceva, mentre se la scopava. I parenti poi l’hanno portata qui. Avranno intuito che qualcosa valeva, che non era un modello economico. Si sa che quando si tratta di soldi i parenti non badano più a certe cose, ma solo a incassare.
          — È morto? Quell’uomo è morto mentre era con lei? — Luca allenta la presa. Qualcosa gli risale per lo stomaco, come se qualcuno lo prendesse a pugni, un pugno dopo l’altro e ogni volta cinque centimetri più in alto. — E da dove veniva, prima?
          — E che ne so. Non gliela avevo venduta io. Anzi, non ho mai visto quel modello in precedenza; su nessun catalogo. Bisognerebbe chiedere a lui dove è stata acquistata la prima volta.
          — E quello è morto…
          L’uomo si libera e si massaggia il collo dove Luca ha stretto; odia il dolore, altro che quei coglioni del sadomaso. — Sì. È morto mentre se la fotteva. Io l’ho presa e l’ho tenuta qui; credevo di aver fatto uno sbaglio, perché in tanti la guardavano, in tanti la volevano, ma poi nessuno aveva il coraggio di chiedermela. Poi, però, sei venuto tu e te la sei portata via.
          — Vaffanculo! — grida Luca e si volta.
          — Sì. Buona serata anche a te — risponde l’uomo. — Brutto stronzo di merda — aggiunge, ma solo dopo che Luca è uscito.

          Luca è tornato a casa, anche se non sa cosa fare del morto in salotto.
          E di lei?
          Chiamare la polizia. Sì, deve chiamarla comunque. Toglierà le chiavi dalla serratura, farà credere che il vicino gliele ha rubate dalla tasca e che gli entrato in casa. E che lui l’ha trovato così. Avrà avuto un infarto; mica lo ha ucciso lui. Gli crederanno. Sì, gli crederanno. E il resto non importa.
          E di lei?
          Dove sei?
          Alessia è di nuovo in cucina. Si vede che lo sta aspettando. Il vestito slacciato di lato a mostrare il seno. Senza mutandine, se ne sta lì invitante, e gli dice: Prendimi.
          Luca sente crescere il desiderio di possederla, il pene già in erezione, la bocca di lei che lo seduce. Non sa fermarsi. Il resto non ha davvero più importanza. Si slaccia i pantaloni senza preoccuparsi di toglierli e le si avvicina; le apre le gambe e la penetra sul tavolo, facendo volare in terra la tazza del caffè abbandonata al mattino. Si muove dentro di lei, seguendo i ritmi della carne che vibra, stringendole i seni, leccandole il collo.
          Adesso è sempre più veloce. Dentro e fuori. Dentro e fuori. Non sa fermarsi. Gli sembra di essere sull’orlo di qualcosa, ai margini di una zona scura, che lo avvolge e lo stringe come la vagina di lei gli stringe il membro. Ma non vuole fermarsi, vuole andare avanti fino alla fine.
          Poi sposta lo sguardo e vede gli occhi di lei che lo fissano, che a loro volta penetrano in lui, la bocca che freme e mormora parole invisibili. Lo attirano in lei, come capisce hanno attirato altri prima di lui. Il vicino, quell’altro che l’ha comprata e chissà quanti altri in precedenza. Nel buio.
          Qualcosa gli afferra il cuore e gli decapita il fiato. I battiti saltano e si perdono. Sta per venire e, se lo farà, non tornerà più indietro. Un lamento e poi si tira indietro all’ultimo istante, il pene duro che pare sul punto di esplodere, ma che si arresta sul ciglio dell’orgasmo.
          Allora la colpisce al viso, la colpisce allo stomaco, ma senza avere effetto. I suoi pugni cadono nel morbido, affondano nella carne e tornano indietro. Luca cerca un coltello, ma non ce ne sono. Cerca un qualcosa che tagli, che punga, ma non c’è più nulla lì che possa servirgli. Rubato, forse nascosto. Da lei, anche se pare impossibile.
          Arretra in corridoio. Si guarda in giro disperato e quando si volta lei è lì, accanto allo stipite. Nuda. La sua fica glabra che chiama irresistibile.
          Si appoggia alla porta d’ingresso e le mani gli tremano mentre gira la chiave. Riesce a uscire sul pianerottolo. Non sa come chiedere aiuto, la voce non esce. E lei è sempre più vicina, che gli inonda la mente con la visione del suo corpo, la promessa di un amplesso totale e travolgente. Finale. E lui cederà. Lo sa che cederà.
          Luca inciampa nei pantaloni abbassati, il suo pene tocca il freddo del pavimento, ma continua a pulsare. Il suo viso sfiora una delle piante grasse. Lui la afferra, la sradica dal vaso e si rialza; poi si scaglia di nuovo all’interno di casa sua. Alessia lo attira; lui non può più resisterle e allora la travolge in corridoio, il membro che mira alla sua vagina.
          Ma quando sono abbracciati Luca alza il cactus spinoso e inizia a menare colpi contro di lei, le sfregia il viso, le ferisce la pelle, le punge i seni. Non importa che le spine gli stiano lacerando le mani, che il sangue goccioli sulla bocca di lei. Colpisce ancora e ancora, finché non sente il soffio vitale di Alessia che lo raggiunge e lo avvolge, la sua aria che esala, le forze di lei che vengono meno. E intanto è riuscito a resistere, a evitare di penetrarla. L’ha solo sfiorata.
          Poi appoggia la pianta spinosa su di lei e si abbandona con tutte le sue forze. Le punte li attraversano entrambi.
          C’è un momento in cui non accade nulla, poi Luca rotola di lato, la carne che gli fa male, e osserva il corpo di lei appiattito sul pavimento, vuoto e sgradevole.
          Il sangue defluisce, il pene si sgonfia.
          Il richiamo è cessato.
          E Luca torna a essere solo nella sua vita.

    Edited by Otrebla Bla Bla - 10/10/2010, 17:20
     
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