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LA VITA E' UNA METAFORA
<<cosa distingue una storia da una buona storia? Che la storia è una sequenza di parole e simboli che creano un intreccio sensato, la buona storia è una sequenza di parole e simboli che posti nella giusta combinazione creano nella mente del lettore immagini indelebili. Ciò che rende lo scrittore capace di dare vita ad una buona storia è un processo innato chiamato ‘fantasia’.>>
Marco era lì, fermo, davanti al luminoso schermo del suo computer da circa due ore. La feroce battaglia contro la fugace ispirazione che caratterizzava quel periodo della sua carriera durava da circa tre mesi; troppo calcolando l’ultimatum ricevuto dalla sua casa editrice. Gli ultimi tre romanzi pubblicati si erano rivelati un flop totale; erano stati costruiti su idee scaturite da un processo mentale elaborato piuttosto che dalla sua fantasia, quella stessa qualità che l’aveva reso famoso anni addietro. Inoltre il suo contratto editoriale era in scadenza: necessitava di una svolta. Il tempo che trascorreva inesorabile giorno dopo giorno non si stava rivelando suo alleato. Si sfilò gli occhiali per riporli sulla scrivania prima di abbandonarsi sbuffando alla spalliera della sedia. Quel lavoro gli serviva per svariati motivi pratici oltre che per un senso di autorealizzazione che solo attraverso la scrittura riusciva a provare. Si alzò tirandosi indietro i folti capelli scuri, sentiva le gambe indolenzite, era stato nella stessa posizione per troppo tempo. Prese a camminare per lo studio, nel tentativo di riattivare i muscoli, stando attento a non fare troppo rumore; sua moglie Anna e sua figlia Denise dormivano già da un po’. Guardandosi intorno la sua attenzione ricadde su una cornice in argento proprio di fianco a un portapenne decorato con piccole coccinelle di plastica. Si avvicinò per osservare meglio suo padre, in quella foto non doveva avere più di sessant’anni. Con lui aveva sempre avuto un rapporto difficile, forse perché per tutta la vita era stato un eterno bambino, forse perché l’unico modo per stargli accanto era non prenderlo sul serio. Probabilmente ogni bambino vorrebbe vedere suo padre come una sorta di protezione personale e non come un vecchio cantastorie che passa la propria vita a raccontare favole. Ora il suo vecchio se n’era andato; gli mancava maledettamente. Guardò oltre la finestra posta dietro lo schermo del computer, un luminoso sorriso gli si aprì in volto. Meno di un minuto dopo era nell’ampio giardino antistante l’abitazione. La dolce oscurità della notte dominava il paesaggio silenzioso mentre il cielo si presentava come un’enorme trapunta cosparsa di porporina d’orata. Sedette sul prato poggiando il peso del busto sulle mani aperte, come gli era già accaduto trent’anni prima, quando però, a fargli compagnia, c’era l’uomo che poco prima aveva osservato in foto.
Marco era seduto sulla scogliera dove avevano deciso di passare la notte, aveva cinque anni. Il rumore delle onde contro i grossi scogli era l’unico suono che arrivava alle sue piccole orecchie. Ci volle un po’ prima che suo padre finisse di montare la tenda e lo raggiungesse. Il vento tiepido cullava i corpi dei due intendi ad osservare il magnifico paesaggio da cui erano circondati. <<cosa guardi?>> Chiese l’uomo osservando gli occhi grandi di suo figlio puntare in alto. <<quella!>> Rispose lui indicando una grossa massa luminosa nell’immobile cielo stellato. <<oh,>> fece suo padre con enfasi, <<la luna>>. <<si>>. <<hai la fortuna di poterla guardare, sai che altri bambini, tanti, tanti anni fa, non hanno avuto la tua fortuna?>> Il bambino si voltò verso l’uomo con espressione incuriosita. <<eh si, figlio mio, devi ritenerti fortunato!>> L’uomo tentò di stuzzicare la curiosità del piccolo ottenendo risultati immediati. <<perché altri bambini non sono stati così fortunati?>> <<eh, non so se posso dirtelo, solo i bravi bambini possono saperlo, quelli che non fanno la spia e non raccontano questa storia a nessuno>>. <<ma io sono bravo, non faccio la spia>>. Il tono del bambino era supplichevole, l’uomo aveva raggiunto il suo obiettivo. <<promesso?>> <<promesso!>> <<allora ascoltami bene. Un tempo, tanti anni fa, lì su>>, fece indicando il cielo scuro, <<ci fu una battaglia violentissima; la più violenta che si fosse mai vista>>. L’uomo aveva abbassato il livello della sua voce per rendere il racconto più avvincente. Marco sembrava già rapito da quelle parole come accadeva ogni volta che suo padre gli raccontava una storia. <<tutto cominciò per colpa delle nuvole che stufe del fatto di non essere apprezzate da noi uomini e invidiose di fronte alla smisurata bellezza della luna decisero di ribellarsi. Sai che fecero quelle nuvole cattive?>> <<no papà>>. <<catturarono la luna!>> Marco produsse un piccolo urlo prima di tapparsi la bocca con entrambe le mani. Non avrebbe potuto immaginare un tempo in cui la luna non fosse stata al suo posto. <<la tennero in ostaggio per tanti, tanti anni, più di quanto può durare la vita di un grosso drago sputa fiamme>>. <<cosa vuol dire ostraggio?>> <<si dice ostaggio piccolo mio. Vuol dire prigioniero>>. <<oh, va bene. Come ha fatto la luna a tornare al suo posto?>> Gli occhi e il tono di Marco lasciavano trasudare una fame di conoscenza smisurata. <<beh, non avere fretta, è stato un processo lungo e doloroso in cui migliaia di stelle hanno perso la loro luce>>. <<le stelle?>> <<si, perché proprio loro formarono un grande esercito incaricato di liberare la luna. Questo esercito si divise in diversi gruppi, ognuno con un incarico diverso. I gruppi prendevano il nome di costellazioni. Sai, le costellazioni esistono ancora oggi. Vedi quella? Quella è l’orsa maggiore!>> Disse indicando un insieme di stelle proprio sopra le loro teste. Suo figlio osservava il cielo in silenzio, la bocca spalancata. Il riflesso chiaro della luna illuminava i suoi grandi occhi neri. <<ma torniamo alla storia. La luna era prigioniera al grande castello oscuro delle nuvole e le stelle questo lo sapevano. Si organizzarono in gruppi, come ti ho detto, e partirono all’assalto del castello. Le nuvole però si ribellarono e i due eserciti diedero vita ad una battaglia che durò centinaia e centinaia di anni>>. <<e come fecero le stelle a sconfiggere le nuvole?>> <<con l’organizzazione, questo fu alla base del successo, ogni stella che vedi in cielo fa parte di una costellazione. Non ti nego che in quella battaglia molte stelle si spensero ma quello fu il prezzo che pagarono volentieri per riportare la loro regina sul trono>>. L’uomo guardò l’espressione perplessa di suo figlio. <<qualcosa non va?>> <<e’ che la tua storia non mi convince>>. <<perché mai?>> <<perché ancora oggi le nuvole a volte coprono la luna e le stelle>>. <<e’ vero piccolo mio, ottima osservazione!>> Si compiacque l’uomo. <<e allora papà?>> <<oggi, quanto dura in realtà il dominio delle nuvole? Uno, due, tre giorni? Poi le costellazioni tornano a guardarci dall’alto e la luna a splendere in tutta la sua eleganza>>. Il bambino sorrise abbassando lo sguardo mentre l’uomo lo fissava felice. <<un giorno mi racconti la storia degli uomini e degli animali papà?>> <<questa è la storia più semplice figlio mio. L’uomo è il regalo più bello che dio potesse fare alla luna>>. Il bambino era di nuovo perplesso. <<sai perché Marco? Perché prima la luna non aveva nessuno che potesse ammirarla>>. Il piccolo sospirò con aria soddisfatta come uno scolaretto che abbia appena appreso una nuova lezione. Poi suo padre gli scombinò i lunghi capelli neri e lo portò con se nella tenda per trascorrere lì quell’ultima notte di campeggio.
Trent’anni dopo era seduto nel giardino della casa in cui abitava con una famiglia tutta sua. Guardava il cielo e: nonostante non fosse più un bambino, nonostante tutte le preoccupazioni di un uomo adulto a un passo dal perdere il proprio lavoro, provava ancore quelle sensazioni, le stesse sensazioni suscitate dalla presenza di suo padre. Suo padre, l’eterno bambino, l’uomo che sembrava non avergli insegnato niente, che aveva speso la sua vita a raccontare inutili storie; ma erano davvero inutili storie? Sentì l’incontenibile desiderio di abbracciare Denise così si alzò, entrò in casa e corse verso il piano superiore. Lentamente spinse la porta della camera cercando di non svegliare la piccola. Una volta nella stanza guardò sua figlia, avvolta nelle calde coperte ricamate; se la immaginò più grande, luminosa quanto una stella, su un grosso unicorno bianco come il latte, pronta a combattere le malvagie nuvole per riportare la sua regina sul trono; sorrise a quel pensiero. Si avvicinò al lettino e curvandosi le baciò la fronte. La bambina aprì gli occhi e gli sorrise. <<ho una storia da raccontarti!>> Le sussurrò l’uomo all’ orecchio. Vide il volto di Denise come illuminarsi, così la prese tra le braccia per uscire ancora una volta nel giardino, accompagnato, ora, dal suo piccolo amore. Quella notte si udirono storie di bellissime principesse e orchi cattivi e ancora di enormi draghi e valorosi cavalieri, racchiusi in bellissimi paesaggi marini e boschivi; paesaggi che Marco non credeva di poter creare. Fu una notte fantastica ricca di sensazioni ed emozioni che per troppo tempo l’uomo si era precluso; eppure passò così, in un lampo, come un leggero soffio di vento in una calda giornata estiva.
La mattina seguente aprì gli occhi accanto a sua moglie Anna ancora avvolta in un sonno profondo. Guardò la sveglia: erano le sei e trentadue. Si lavò velocemente per poi mettere qualcosa sotto i denti e cominciare la giornata. Quando fu nello studio prese tra le mani la cornice d’argento raffigurante la foto di suo padre. <<grazie>>. Sussurrò rivolto all’oggetto che ripose di fianco al monitor del computer. Poi si sedette; rimase per qualche istante immobile a guardare il foglio bianco del suo programma di scrittura; fu allora che capì di aver vinto la sua personale battaglia.
Edited by Armando88 - 1/10/2010, 18:26
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