Ratti
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Ratti

di Roberto Bommarito 39K

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  1. RobertoBommarito
     
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    Attenzione: questo scritto ha contenuti destinati a un pubblico adulto. Leggendo di seguito dichiari sotto tua totale responsabilità di avere più di 18 anni. Se terminologia o situazioni esplicite possono offenderti o andare in contrasto con la tua morale, sei pregato di chiudere questo post.

    Ratti


    1


    La prima cosa che vidi fu il mezzobusto di una segretaria curva sul PC. A quel tempo, i ratti erano già una specie in via d'estinzione.
    Il posto, spazioso, era ben illuminato, per quanto potesse esserlo una sala senza finestre. La luce al neon rimbalzava sulla cornice rosso-fuoco degli occhiali, stile anni Sessanta, della segretaria.
    «E lei sarebbe?»
    Per un attimo sentii di doverle chiedere scusa per averla disturbata. Quello dopo, avrei voluto onestamente mandarla a fare in culo. Era il mio dodicesimo colloquio di lavoro in due mesi, l'ennesima volta che mi davano la sensazione che preferissero non esistessi, come se venire al mondo fosse stata una mia scelta.
    Una settimana prima, una mia amica, Mariastella Polaretti, mi aveva comunicato: «Un amico che lavora a Canale Libero mi ha detto che cercano dei collaboratori esterni. Pagano una miseria, ma almeno pagano, che è già qualcosa. Perché non provi?».
    Io non sapevo nulla di giornalismo, ma decisi comunque di tentare.
    Così mi trovai in sala d'attesa, quando dal corridoio emerse una donna sulla quarantina, elegante, le guance impasticciate di Rimmel sciolto. Aveva il passo incerto, come se avesse paura che potesse aprirsi una voragine nel pavimento, inciampare e caderci dentro.
    Era una cosa così inaspettata che per una stretta parentesi di tempo mi dimenticai il bruciore di stomaco. La mia vita che sembrava non mi fosse mai appartenuta. Me stesso.
    La donna mi superò, poi piantò i tacchi a terra con l'enfasi di un punto esclamativo. Inspirando catarro dal naso, si voltò. Gli occhi erano lucidi come porcellana cinese. Guardò la segretaria, scostando dalla bocca uno Scottex appallottolato, intriso di moccio.
    Forse voleva dirle qualcosa. O forse avrebbe voluto mandarla anche lei a fare in culo, non so. Però, di qualsiasi cosa si trattasse, dopo un attimo ci ripensò, richiamando invece l'ascensore.
    La segretaria osservò la scena con la stessa indifferenza con la quale si sarebbe sorbita la pubblicità del gorgonzola.
    La donna poi guardò me. Io ci provai, ma non riuscii a distogliere lo sguardo dal suo, anche se non sapevo cosa stesse provando. O meglio: avevo paura di saperlo. Ero di nuovo in me. Il bruciore di stomaco. Questa vita assurda. Avrei voluto essere altrove. O, più semplicemente, non esserci e basta.
    Rimasi immobile. Poi la donna perse interesse in me, concentrandosi invece sul colletto della camicetta, nel tentativo di ricomporsi.
    L'ascensore si aprì.
    Ella Fitzgerald, la voce distante e distorta dalle casse, cantava: "It don't mean a thing...". Gonfiandosi e sgonfiandosi come un palloncino, la donna fece un sospiro. Poi l'ascensore si richiuse, inghiottendo lei, la sua disperazione e la strofa che recitava: "...if it aiiin't got that swiiing".
    La segretaria si girò, muovendo la testa lentamente come una tartaruga, e mi fece: «Un'altra».
    «Un'altra?» replicai io, d'istinto.
    «Eh» fece lei, di nuovo curva sul PC. «Un'altra.»


    2


    Se cinque anni prima non mi fossi preso una sbronza, probabilmente la mia vita avrebbe preso una direzione molto diversa, quando alla fermata dell'autobus mi imbattei in Padre Sebastiano. Non sono mai stato una persona religiosa e feci finta di non riconoscerlo.
    Lui era amato da tutti, simpatico, alla mano, sempre pronto ad attaccare bottone con chiunque. Dio e l'alcool erano le sue due uniche devozioni. La gente lo amava abbastanza da sorvolare quest’ultimo particolare.
    A parte me e Padre Sebastiano, alla fermata dell'autobus c'erano anche due ragazze scosciate, il volto tempestato di brillantini, come se fossero appena emerse da un video musicale di MTV. Pur di evitare di parlare col prete, fissai il marciapiede, l'asfalto consumato, i cuori trafitti e le svastiche sovrapposte alla scritta: Hasta la victoria siempre! sui muri. Fissai pure le due ragazze che mi guardarono di traverso come se fossi un maniaco sessuale.
    Ma purtroppo fu inutile.
    Padre Sebastiano mi riconobbe.
    Si sa come vanno queste cose: pacca sulla spalla, sorrisi, domande.
    «Il tuo compleanno, oggi? Ma davvero?»
    Un'ora dopo, mio malgrado, mi trovai in un bar da due soldi con davanti un esercito di bicchierini stracolmi del suo cocktail preferito: nove misure di Vodka, il resto Red Bull. Una combinazione che a tutt'oggi mi provoca un conato di vomito al solo pensiero.
    A quei tempi, però, ero un cretino ben educato. E quindi feci la mia parte, mandando giù un bicchiere dopo l'altro, con la speranza di intossicarmi abbastanza da giustificare a me stesso la mia stupida esistenza.
    Avevo appena compiuto diciotto anni.
    E non avevo la più pallida idea di cosa dovessi fare della mia vita.
    Padre Sebastiano, invece, aveva le idee più chiare delle mie. «Ragazzo, oggi guadagnarsi il pane non è per nulla facile, che credi? Non sai ancora cosa fare? Beh, allora fa come tutti: iscriviti all'Università. Se non altro aumenterai le possibilità di trovarti un lavoro, invece di finire sotto un ponte a chiedere l'elemosina. La verità è che siamo in otto miliardi di persone su questo cavolo di pianeta: non c'è mica posto per tutti.»
    Mandò giù un bicchierino. Un secondo. Poi, sorridendomi, disse: «Domani mattina ci andiamo insieme, all'Uni, eh, che ne dici?»
    Credo sapesse che se non mi avesse accompagnato, non mi sarei mai recato lì. Ma lui insistette tanto che il giorno dopo mi ritrovai, di nuovo mio malgrado, con un depliant universitario in mano. «Che scelgo?»
    «Che ti piace?» mi domandò Padre Sebastiano.
    Io feci: «Non crede che dovrei pensarci un po' su?»
    «Sì, certo, se hai voglia di sprecare tempo» fece lui.
    «Mi è sempre piaciuto Biologia».


    3


    «Come Biologia?»
    Un salto avanti di cinque anni, di nuovo al giorno del colloquio.
    Il Caporedattore di Canale Libero, la fronte aggrottata, sbottò: «Come diavolo credi ti possa essere utile per fare questo mestiere? Hai visto la tipa che è uscita da qui in lacrime, prima?»
    Io gli avrei risposto: "Purtroppo sì", ma una botta di acido gastrico mi salì dallo stomaco alla gola, paralizzandomi le corde vocali.
    Il Caporedattore si alzò dalla sedia. Il completo Dolce&Gabbana, perfetto come se se lo fosse stirato addosso, dava l'impressione che a forza di strofinare i gomiti con politici e affini si fosse dimenticato di essere un giornalista.
    Puntando le braccia verso l'alto come se invocasse una grazia divina, il Caporedattore continuò: «Lisa Leoni. quarantatré anni. Ha lavorato qui per undici anni. Ossia fino a oggi. È stata una delle migliori giornaliste che abbia mai avuto. Vuoi sapere perché l'ho licenziata? Perché ieri sera ha ottenuto un rating di 4, ecco perché».
    In un angolo c'era una caffettiera. E di fianco a questa, sullo stesso tavolino in mogano, un piccolo televisore Philips.
    Era acceso.
    Incorniciata dal televisore, il nuovo Segretario Generale delle Nazioni Unite, l'ex-attrice Angelina Jolie, stava sorridendo alle telecamere, circondata dai microfoni.
    Il Caporedattore disse: «Oggi alla gente non importa nulla di cosa sia vero e cosa falso. Il pubblico è assillato dai problemi. La sera, quando accende la tv, vuole vedere qualcosa di piacevole. Di spettacolare. Vuole distrarsi. Da quando si è introdotto il rating di gradimento, hai idea di quanti bravi giornalisti ho dovuto licenziare perché altri meno capaci ma più fotogenici hanno ottenuto un rating più alto?»
    Questa volta, trattenendo il respiro, riuscii a sopprimere il riflusso gastro-intestinale. Dissi: «Se non altro è un sistema più democratico.»
    Lui mi guardò come se lo stessi prendendo per il culo.
    Poi, dimenticandosi la stupidaggine che avevo appena detto, proseguì: «Ieri, al Tg delle venti, Lisa Leoni ha mandato in onda il suo pezzo sul sovraffollamento delle scuole. Un signor pezzo, davvero. Ma, alla fine del servizio, il verdetto degli utenti è stata una bocciatura. La gente ha votato, infischiandosi di tutto il resto. È bastato un pulsantino del telecomando a cancellarle la carriera. Si sono stancati di lei e delle sue notizie troppo poco divertenti. Questo è il mondo, ragazzo. Ormai, gli utenti decidono non solo quali facce vogliono vedere sullo schermo, ma anche quali notizie vogliono sentire».
    Le labbra di Angelina Jolie, carnose e sensuali come ai tempi in cui la menopausa era ancora per lei Terra Incognita, dissero qualcosa riguardo l'obbligo morale dei governi del pianeta di rimediare al problema della fame nel Terzo Mondo. Bisognava incrementare l'esportazione nei Paesi poveri del frumento geneticamente modificato, capace di adattarsi anche alle condizioni di siccità più estreme. Insomma, la solita retorica.
    Il Caporedattore abbassò il volume della tv. «Non fraintendermi: certe cose vanno fatte. Il mio compito è di rubare più spettatori possibili alla concorrenza. Ma ingaggiare di continuo nuova gente è una perdita di tempo. Quello di Lisa Leoni è stato il terzo licenziamento in un mese. Sì, certo, quella povera donna deve mantenere due figli e un marito disoccupato. Però ormai pensavo di essere diventato bravo a dare il ben servito agli impiegati. Non mi aspettavo una reazione così... così onesta».
    Piazzandosi davanti alla macchina del caffè, dandomi le spalle, mi fece: «Adesso, ragazzo, dimmi: per quale diamine di motivo dovrei prenderti?».
    Con l'audio della tv azzerato, le labbra di Angelina Jolie si muovevano ora a vuoto.
    Sentii il respiro pesante del Caporedattore.
    Il mio.
    Mi accorsi di star parlando solo quando avevo già iniziato a farlo.
    «A dire il vero, non ne ho la più pallida idea» dissi. «Però le giuro che se dovesse licenziarmi, mi tratterrò dallo scoppiare in lacrime.»
    Un altro salto avanti, questa volta di sei anni.


    4


    Aveva ragione il Caporedattore sei anni fa, il giorno del colloquio. Alla gente non importa nulla di quanto tu sia bravo. Non importa nulla nemmeno della veridicità della notizia. Vuole solo distrarsi. Così ho capitalizzato sulla mia inettidudine.
    Ho imparato in fretta, guardandomi bene dal comunicare una qualsiasi impressione di professionalità.
    Ho dimenticato sistematicamente nomi, posti, mi sono lasciato sfuggire ingiurie in presenza di vescovi e cardinali.
    Ho palpato in diretta il culo delle ragazze del jet-set, ricevendo in cambio insulti, schiaffie un rating fra i più alti nella storia di Canale Libero.
    Nella graduatoria nazionale risultavo ventitreesimo. Un posizionamento di tutto rispetto.
    Il mio Caporedatore era contento.
    Io ero il futuro su cui puntare.
    Questo fino a quando ho ricevuto una e-mail dalla Dott.ssa Caterina Ferrini, studiosa di genetica all'Università "La Sapienza" di Roma, con l'oggetto:
    Pongo alla Sua cordiale attenzione.
    Il che sarebbe stato normale, se non per due cose.
    Primo, il contenuto della e-mail. Ovvero, il suo numero di telefono personale, quello e nient'altro.
    Secondo, la dottoressa stessa.
    Lì per lì, ho provato un senso di soddisfazione. La Dott.ssa Caterina Ferrini era stata mia tutor all'Università. Malgrado ciò, non si era mai sforzata neppure di ricordarsi il mio nome correttamente. Spesso non se lo ricordava proprio. Noi studenti l'avevamo soprannominata "l'Imperatrice" perché quando ti parlava dava l'impressione di guardarti dall'alto in basso. Andava sempre di fretta. Durante l'ultimo anno di studi, avevo passato più tempo rincorrendola nei corridoi che non lavorando sulla tesi.
    Credo che per lei insegnare fosse solo un dannato supplizio cui doveva sottoporsi, pur di potere usufluire dei laboratori universitari e portare avanti la ricerca. Se solo avesse potuto, si sarebbe liberata di mee di tutti i suoi studenticon un piacere comparabile solo a quello che si prova alle sei e mezzo di mattina sulla tazza del cesso.
    E adesso, invece, non solo era lei a cercare me, ma mi aveva dato addirittura il suo numero personale.
    Avevo deciso di ignorarla. Se davvero ci teneva, sarebbe stata lei questa volta a rincorrere me.
    Ma la mia risolutezza è durata solo finché la curiosità non ha avuto la meglio.
    Quella sera stessa, mi trovai in presenza della Dott.ssa Francesca Ferrini, mentre palpava lo scroto nero e gonfio di un ratto dissezionato. «Vede?».


    5


    Ho conosciuto la mia amica, Mariastella, quando i ratti ai quattro angoli della Terra iniziarono a estinguersi senza che nessuno ne sapesse la ragione e gli studi sul fenomeno erano ancora agli inizi. Non che le due cose fossero connesse. Ma a volte un episodio è utile per ricordarsi l'altro, un po' come quando si appiccicano i post-it sul frigorifero con la lista della spesa.
    Mariastella studiava Economia. Più che altro per avere l'opportunità di contraddire i suoi docenti, date le sue dichiarate inclinazioni neo-marxiste. Deve essere stata una delle poche matricole universitarie capaci di riconoscere il volto di Che Guevara stampato sulla propria t-shirt.
    Io, invece, passavo i giorni a dissezionare le cavie da laboratorio per conto della Dott.ssa Caterina Ferrini, nonostante le proteste degli studenti che si opponevano agli esperimenti sugli animali.
    Feci la conoscenza di Mariastella quando, sventolando la lama di un coltello da cucina davanti alla mia faccia, mi diede dello stronzo, e poi disse una frase che sembrava tratta da un thriller hollywoodiano.
    «Non muoverti, a meno che non intendi fare la stessa fine delle povere creature che stai dissezionando».
    Mariastella era anche membro di un movimento eco-terroristico ancora allo stadio embrionale, tanto da non avere nemmeno un nome.
    Ero solo in laboratorio. Non c'era molto che potessi fare. Ed essendo di natura un codardo, probabilmente non avrei fatto nulla comunque.
    Così rimasi immobile, fissando la mia faccia impietrita riflessa sulla lama del coltello, mentre il resto del suo gruppo si dava da fare, liberando un totale di quarantuno roditori.
    Fu un gesto eroico, il loro, se non altro da una prospettiva ambientalista, anche se l'indomani una squadra di disinfestazione provvide ad avvelenare tutti e quarantuno i topi liberati, che diffondendosi nelle aule avevano causato il panico fra gli studenti.
    La polizia mi domandò se sapevo chi fossero stati i colpevoli.
    Io mentii.
    Dissi loro che no, non lo sapevo, perché erano incappucciati.
    In effetti, gli eco-terroristi non solo non avevano un nome, ma non avevano avuto neppure il buon senso di indossare dei passamontagna.
    Fatto sta: quando chi ti punta un coltello in faccia trema più di te, per qualche strano meccanismo psicologico che non so spiegare bene, finisci col provare una certa affinità nei confronti di chi minaccia di ammazzarti. Un po' come succede con la Sindrome di Stoccolma.
    Così, io e Mariastella, noi due diventammo amici.
    Adesso, per come la vedo io, ci sono due tipologie principali di persone. Da una parte ci sono quelli che lottano per un mondo migliore. Come Mariastella. E dall'altra ci sono quelli che, al contrario, si aspettano sia il mondo a rendere migliori loro. Come me.
    Fatto sta che io e la vita abbiamo sempre fatto a pugni.
    Fatto sta che, a volte, prima di andare a dormire la sera tiravo una monetina.
    Testa: domani è un altro giorno.
    Croce: tagliati le vene.


    6


    La Dott.ssa Caterina Ferrini, con lo scroto deforme del ratto fra le dita, ha detto: «Come può vedere i testicoli sono di colore bluastro invece che rosa».
    La Dott.ssa Ferrini era identica a come me la ricordavo. Stessi movimenti nervosi delle mani. Stesso modo di parlare elettrico, impaziente, svelto, come se volesse articolare più frasi di quanto fosse fisicamente possibile. Stesso sguardo altezzoso che le aveva fatto guadagnare il suo soprannome.
    Ogni cosa che faceva e diceva aveva il sapore di un passato che mi ero lasciato alle spalle. Ricordandomi lei, mi balzava in mente anche l'immagine di un me stesso che avevo voluto dimenticare.
    Era un po' come riscoprire una vecchia foto messa da parte in un cassonetto. Una foto che detestavi a tal punto da credere di averla bruciata.
    La Dott.ssa Ferrini ha detto: «Analizzando il tessuto, abbiamo costatato che le cellule presentano alterazioni significative, che risultano nella produzione di spermatozoi difettosi».
    Chiudendo i testicoli nel pugno, ha proseguito: «La gravità delle mutazioni cellulari aumenta da generazione a generazione. Alla sesta o settima generazione, la sterilità è quasi totale».
    Gli Apple con le tastiere abusate, i tasti mancanti o tenuti a posto con lo scotch. Il muro di gabbie incastrate l'una con l'altra come mattoni, a formare un muro divisorio centrale. L'odore feroce di piscio ed escremento di ratto. Il laboratorio era un dejà vù di cui avrei fatto volentieri a meno.
    Così come avrei fatto volentieri a meno di ricordarmi chi ero stato prima di venire ingaggiato da Canale Libero. Prima che, schiacciando un fottuto tasto sul telecomando, il pubblico da casa mi convincesse di non essere poi così perso. Solo. Fuori posto.
    Fissando lo scroto mutato del ratto, simile a due noccioline ammuffite, ho fatto: «Ma questo lo sapevamo già, no?».
    «Sì, certo; quello che non sapevamo, però, era la causa.»
    Non direi che in quel momento ho odiato me stesso per avere accettato di incontrare la Dott.ssa Ferrini.
    Direi piuttosto che ho sempre odiato me stesso, a prescindere.
    La Dott.ssa Caterina Ferrini ha lasciato cadere nel cestino dell'immondizia i testicoli deformi. Si è tolta i guanti asettici. Ha buttato via pure quelli.
    Di spalle, mi ha detto: «Il mangime».
    Voltandosi a guardarmi, braccia sui fianchi, sopracciglia inarcate a formare una V sulla fronte, ha precisato: «Il mangime geneticamente modificato».
    «Ma a suo tempo testammo pure quello.»
    Non mi stava dicendo nulla di nuovo. Durante i miei anni all'Uni, avevo passato giorni curvo sul microscopio a dissezionare cavie. Centinaia di cavie e centinaia di testicoli deformi. Irritato per la perdita di tempo, le ho detto: "Non riscontrammo nessuna differenza fra gli effetti del frumento geneticamente modificato e quello naturale."
    Nessuna correlazione fra soia OGM e sterilità.
    Le ho detto: «Anche le cavie nutrite con frumento naturale presentavano mutazioni all'apparato riproduttivo. Perché mi ha chiamato?».
    Questo bruciore di stomaco.
    Questa assurdità che chiamano vita.
    Questo mio desiderio di essere altrove.
    O, più semplicemente, di non esserci e basta.
    Chiedendole di scusarmi ma avevo cose più importanti a cui badare, ho fatto per andarmene. Ma poi la Dott.ssa Ferrini mi ha detto: «Ne va del futuro di noi tutti».
    E ha continuato: «Abbiamo scoperto che più dell'ottantacinque per cento della soia "naturale" è stata contaminata col DNA delle varietà geneticamente modificate, sfuggite al controllo degli agricoltori. Più dell'ottantacinque per cento. Ciò vuol dire che, ai tempi dei nostri primi test, quando la popolazione dei ratti iniziò a declinare, la contaminazione era già allo stadio avanzato. Quelle che credevamo essere varietà "naturali" non lo erano affatto».
    Ha aperto una delle gabbie incastrate a mò di mattone nel muro divisorio. Infilandoci dentro la mano, l'ha stretta attorno a un ratto grigio come cenere. «Siamo riusciti a isolare delle piante fra le poche ancora non contaminate».
    Ha tirato il ratto fuori dalla gabbia. Il piccolo roditore infastidito ha protestato, inutilmente.
    La Dott.essa Ferrini ha posizionato lo scroto del roditore a pochi centimetri dalla mia faccia. «I risultati parlano chiaro: le cavie nutrite con mangime non contaminato sviluppano un apparato riproduttivo normale. Vede? È perfetto».
    Ho risposto di avere capito, Ok, ma cosa c'entravo io?
    Rimettendo il ratto nella sua gabbia, ha detto: «Sono in contatto con diversi ricercatori, dalle università di tutto il mondo. Hanno ottenuto anche loro gli stessi risultati. Ma ogni tentativo di pubblicazione è stato inutile. L'Animal Science, il Nutrition and Health, l'European Journal of Histochemistry... sono un buco nero. Per questo vogliamo provare con i media. Abbiamo bisogno di visibilità. Di informare le popolazioni prima che sia troppo tardi.»
    «Troppo tardi?»
    Ogni traccia di nervosismo e fretta dissipatasi nel nulla, per la prima volta articolando ogni frase con lentezza melodrammatica, l'Imperatrice Ferrini, ora un essere umano capace di esprimere preoccupazione come tutti, ha detto: «Il novantanove per cento di tutto ciò che mangiamo deriva da cibo geneticamente modificato. Se gli stessi effetti non sono ancora stati notati negli esseri umani è solo perché i ratti si riproducono più velocemente di noi. La prossima popolazione animale in declino potrebbe essere la nostra».


    7


    «No» è stata la reazione del Caporedattore. «Vuoi per caso rovinarti la carriera?»
    Mettere a rischio il rating di Canale Libero?
    Ha detto: «Cosa credi che possa importare alla gente dei coglioni deformi di alcune cavie da laboratorio?».
    Io ho replicato che credevo valesse la pena rischiare.
    «No.»
    Questa era una notizia vera.
    Raddrizzandosi la cravatta, il Caporedattore ha detto: «Ma ti ricordo che tu non sei un giornalista vero».
    La discussione si è conclusa lì.
    Mentre richiamavo l'ascensore, la segretaria mi ha chiesto: «Un altro?».
    «No, non questa volta» ho detto.
    Lei ha replicato: «È solo una questione di tempo».
    Dopo la discussione col Caporedattore, mi sentivo inutile. Non solo, ma le memorie rievocate dall'incontro con la Dott.essa Ferrini rendevano le mie sensazioni ancora più dense. I pensieri si aggrappavano alla mia coscienza con la stessa tenacia di un nastro adesivo che non viene via. Ogni tentativo di scrollarmeli di dosso aveva l'effetto opposto. Penetravano ancora più in profondità. Facevano più male. O forse era il contrario: stavano solo emergendo in superficie. In ogni modo, echeggiavano nella mia scatola cranica come se un pazzo si fosse messo a suonare la tromba alle prime luci dell'alba. Quella sera ho tirato la monetina.
    Testa: domani è un altro giorno.
    Un altro giorno.
    Ma non sono riuscito a chiudere occhio.
    Ho acceso il lettore mp3.
    "There's battle lines being drawn..." hanno detto i Buffalo Springfield.
    Bruce Hornsby invece ha fatto: "The man in the silk suit hurries by..."
    E Bob Dylan ha intimato: "Or you'll sink like a stone..."
    Fatto sta che quando nemmeno le canzoni ti risparmiano le botte, se non reagisci rischi di finire al KO. Di non rialzarti più.
    Così ho preso il cellulare. E ho chiamato Mariastella.
    Ancora mezza addormentata, lei ha risposto: «Ma che cazzo?».


    8


    Anche dopo avere concluso l'Università, Mariastella non aveva mai smesso di lottare per un mondo più decente.
    Fra le altre cose, si era arruolata due volte con lo Sea Shepherd, per opporsi alla pesca del tonno e alla decimazione delle foche nel Newfoundland.
    Si era impegnata a raccogliere fondi per la salvaguardia degli ultimi chilometri quadrati di giungla amazzonica rimasti.
    E aveva partecipato a delle operazioni di sabotaggio di complessi industriali dediti alla produzione di materie plastiche.
    Quando una volta le domandai che senso aveva battersi per una causa persa, lei mi aveva risposto: «Se fosse una causa già vinta che senso avrebbe lottare?».
    Non so se faceva tutto questo perché seguiva una qualche voce interiore che la guidava o se fosse semplicemente una forma di dipendenza. Alcuni non possono fare a meno dell'alcool o di una pista di cocaina a colazione. Altri non possono fare a meno del sesso. Altri ancora non possono fare a meno dell'approvazione altrui. Forse esiste anche chi non può fare a meno di rompere i coglioni alla gente.
    Quando le ho raccontato ciò che mi aveva detto la Dott.ssa Ferrini, Mariastella mi ha dato del codardo.
    «Certo che lo sono. Appunto per questo sono venuto da te.»
    Mariastella ha fatto ciò che avrei dovuto fare io. Ha indagato sulla situazione, iniziando le sue ricerche da dove lo fanno tutti: Google.
    Ha trovato quarantuno siti che parlavano della possibile relazione fra gli OGM e il declino dei ratti. Alcuni di questi erano stati messi online dai ricercatori stessi che, non riuscendo a pubblicare i risultati inquietanti della loro ricerca sulle pubblicazioni scientifiche, cercavano di raggiungere il pubblico attraverso internet. L'informazione era là, disponibile a chiunque fosse interessato. Alcuni fornivano addirittura la possibilità di scaricare in formato PDF tutti i dati riguardanti gli studi condotti.
    Eppure la conta delle visite a questi siti non superava mai i milleecinquecento, massimo i duemila. Per dei siti web che annunciavano il possibile epilogo della storia della razza umana, un numero ridicolo. Insignificante.
    Nei giorni a seguire, quando io e Mariastella ci incontravamo per fare il punto sulla questione OGM, era difficile ignorare l'irrequietezza dei suoi movimenti. Quel suo gesticolare frenetico delle mani. Quel tono di voce attraversato da una vena di nervosismo, inquietudine e angoscia. Nel corso della sua carriera da attivista, Mariastella aveva visitato tutti e quattro gli angoli della Terra, un giorno per opporsi a questo, quello dopo a qualcos'altro. Ma malgrado ciò era ancora la stessa ragazza che puntandomi in faccia un coltello da cucina non poteva fare a meno di tremare. Nessuno di noi due era davvero cambiato.
    Ho dato a Mariastella il numero della Dott.essa Ferrini.
    Una volta raccolta tutta l'informazione necessaria, Mariastella ha contattato altri attivisti, sia in Italia che all'estero.
    Alcuni di questi sapevano già della ricerca.
    Non solo: ma avevano provato a organizzare delle marce e a piazzare dei chioschi mirati a informare la gente.
    Il risultato: le persone continuavano a camminare, ignorandoli.
    Questo succedeva in Italia come negli Stati Uniti. In Francia. In Russia. In India.
    Ma Mariastella non si è scoraggiata. Si è messa a capo di un gruppo di attivisti con lo scopo di informare il pubblico, sia attraverso internet che in piazza.
    Tre mesi dopo, essendo uno dei suoi amici più intimi, è toccato a me parlare al suo funerale.


    9


    Mentre questa puttanella identica a mille altre ti racconta come la doppia penetrazione sia un'esperienza che ogni donna dovrebbe provare almeno una volta nella vita, tu devi fare un'espressione buffa.
    Mentre dice che intende seguire le orme di Brigitte Bardot, devi sorridere.
    Il servizio è la metafora perfetta della tua vita.
    È la tua vita.
    Mentre dice che la sua filosofia è vivere nel presente, tu cerca di assumere un'aria di comprensione, empatia e profondo rispetto come se stessi intervistando la reincarnazione postmoderna di Socrate.
    O del Buddha.
    O di Gandhi.
    Con l'unica differenza che questo nuovo Gandhi indossa la minigonna.
    Questa Madre Teresa ha di proposito dimenticato di mettersi un paio di mutandine.
    Tu devi sbirciare.
    E poi ammiccare al pubblico a casa.
    Così avranno l'opportunità di dimenticarsi dei loro problemi.
    Del loro bruciore di stomaco.
    Di questa assurdità che chiamano vita.
    Del desiderio di essere altrove.
    O, più semplicemente, di non esserci e basta.
    Ti premieranno puntando il telecomando contro il loro schermo al plasma a tantissimi pollici e definizione esagerata e schiacciando il pulsantino verde.
    Votando il tuo servizio.
    Convincendoti di non essere poi così perso.
    Solo.
    Fuori Posto.
    Grazie di cuore, rating del cazzo.
    Ho attraversato il Corso, contando quante persone mi urtavano con i gomiti. In media tre ogni minuto. Ci vogliono quindici minuti circa per raggiungere l'altro capo della strada. Quindici per tre fanno quarantacinque. Quarantacinque persone che a causa del marciapiede troppo affollato non hanno potuto fare a meno di toccarmi. Troppo poco spazio. Troppe persone. Cosa mi sta succedendo? Paranoia. Follia. Quanti giornalisti esisteranno al mondo? Un milione, due? Quanti sanno quello che so io? Otto miliardi di persone su questo pianeta. Angelina Jolie, le sue labbra. Paranoia. Mariastella. È stato un incidente. Un'auto sbucata dal nulla. Paranoia. Pazzo. Sono pazzo. No, non lo sono. Otto miliardi di persone. Bisogna aumentare l'esportazione di cibo geneticamente modificato. Aiutare le popolazioni del Terzo Mondo. Paranoia. Ratti sterili. Siamo in tanti. In troppi. I ratti erano troppi. Adesso non ci sono più ratti per le strade. Nelle fogne. Angelina Jolie, il Segretario Generale delle Nazioni Unite. Le labbra delle Nazioni Unite, così sensuali e carnose, dicono che è un nostro dovere esportare cibo geneticamente modificato. Lo stesso cibo che mangiamo noi. Paranoia. Pazzo. Sono solo un codardo. Mariastella non lo era. Lei ora non c'è più. Paranoia. Pazzo. Il Caporedattore dice che non importa a nessuno. Ho bisogno dell'approvazione della gente da casa. Del loro voto. Il rating. Ventitreesimo. Io, falso giornalista. Io sono amato. Non è vero. Cos'è vero? Mariastella non c'è più. Sono solo. No, la gente mi ama. Ogni sera, schiacciando il pulsantino del telecomando, mi ama. Bruciore di stomaco. Cammino. Un altro tizio mi ha urtato col gomito. Non ha chiesto scusa. Ci è abituato. Lo sono anch'io. Siamo in tanti. Siamo in troppi. Siamo come ratti.
    «Ragazzo».
    Oh.
    «Ragazzo».
    Padre Sebastiano dice che non si sarebbe mai e poi mai immaginato una mia visita. «Quanto tempo è passato?»
    Dice che ho un'aria strana.
    Cosa ci faccio in Chiesa?
    Sono passati più di dieci anni ma è come se fossi di nuovo al punto di partenza. Padre Sebastiano dice di calmarmi, adesso. Si alza. Dopo cinque minuti torna. Davanti ho un esercito di bicchierini stracolmi di Vodka & Red Bull. Non siamo più in Chiesa. Questo è un bar. «Ha aperto di recente» dice. Si chiama: "Acropolis". Ci sono due colonne all'entrata. Il barman serve i drink su un altare in pietra. Padre Sebastiano dice: «Che fine hanno fatto i bar semplici di una volta?». Strizzando l'occhio, fa: «Al diavolo». Dice di raccontargli cosa è successo. Lo faccio. Ma è come se a parlare fosse qualcun altro, non io. Io sono nel mio corpo ma non sono me stesso. Sono perso. Fuori posto. Sono il pubblico di me stesso. Mi osservo mentre bevo. Mi voto: una bocciatura. Padre Sebastiano manda giù un bicchierino. Un secondo. Lo stomaco brucia. Ma questa volta è l'alcool. Sono al mio terzo bicchierino. Anche Padre Sebastiano è al suo terzo bicchierino, quando mi trovo a fissare le sue labbra strette aprirsi e chiudersi, aprirsi e...
    «E Dio disse: "Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde"
    Gli dico che non sono mai stato un tipo religioso.
    «Non cambia nulla» dice lui.
    Fatto sta che nessuno è Dio.
    «Le Nazioni Unite non sono Dio».
    Quando torno a casa, sono solo.
    Ho una monetina in mano.


    10


    «Ho una notizia in esclusiva da darvi» dico, mostrando il mio bel sorriso fotogenico. «La notizia è che state ignorando ciò che già sapete.»
    Sento le luci dello studio televisivo bruciare sulla pelle del volto come il sole di mezz'agosto. Davanti a me, l'ospite dello Speciale (in onda ogni venerdì alle 21:35 su Canale Libero, non perdetelo) Luciano Attesi, ufologo.
    Nascosto dalla telecamera, simile a un cavallo meccanico, il cameraman della 2 si sporge da un lato per guardarmi meglio. L'espressione confusa del suo volto mi comunica: "Che cazzo stai facendo?".
    Sullo schermo della telecamera, il teleprompter detta ciò che dovrei dire:

    Signori e Signore, benvenuti!
    Oggi parleremo di un argomento che sappiamo appassiona
    molti di voi carissimi telespettatori...



    Il Cameraman della 2 scambia uno sguardo confuso con quello della 3, ma il pubblico non ha ancora iniziato a capire che qualcosa non va.
    Ignorando il teleprompter, io dico: «Da piccolo, una delle mie fiabe preferite era la storia del Pifferaio Magico».
    Dico che la conosciamo tutti, no? La città di Hamelin viene invasa dai ratti. Un Pifferaio Magico, spuntato fuori da chissadove, promette di liberarla dalla piaga. La gente acconsente, promettendogli un'adeguata ricompensa in cambio. Il Pifferaio mantiene la sua parola. La gente, invece, no.
    Ora, il pubblico comincia anch'esso a domandarsi che c'entra il Pifferaio Magico con gli avvistamenti UFO. Lo si può vedere dalle loro facce serie, concentrate, mentre una vena di panico comincia a insediarsi fra i Cameraman.
    Con la mano, il Cameraman della 1 pressa la cuffia contro l'orecchio. Aspetta istruzioni dalla Regia.
    L'ufologo Luciano Lombari dice: «Mi scusi ma...».
    E io, portandomi l'indice davanti alla bocca, faccio: «Sssssh».
    E poi continuo: «A questo punto il Pifferaio decide di vendicarsi. Aspetta che la gente si raccolga in Chiesa, poi si rimette a suonare. Ma questa volta sono i bambini, sotto l'influsso delle note magiche, a seguirlo. Alla fine il Pifferaio li rinchiude tutti e centotrenta in una caverna, lasciandoli intrappolati a morire di fame».
    Dico: «Mi sono sempre domandato come mai i genitori non si fossero accorti di cosa stava succedendo?».
    Se i bambini nelle loro case potevano sentire quelle note, perché non i loro genitori in Chiesa?
    Dico: «Forse dovremmo prendere in considerazione la possibilità che i loro genitori, dopo essersi liberati dei ratti, avessero deciso di approfittare del Pifferaio per liberarsi anche dei loro figli».
    Il Cameramen della 2 si mette una mano sulla fronte.
    L'ufologo Luciano Attesi si alza dalla sua poltrona, si guarda attorno e, chiudendo le mani a pigna e muovendole su e giù disperatamente, si domanda anche lui che cazzo sto facendo.
    Io dico: «Credo che i genitori chiusi in Chiesa abbiano fatto finta di non sapere».
    Il Cameraman della 1 inclina la testa dalla parte dove tiene la cuffia pressata contro l'orecchio. La Regia gli sta dicendo qualcosa.
    Dico: «Credo che quei genitori in Chiesa siamo noi».
    Il Cameraman della 1, concentrato su ciò che gli viene detto dalla Regia, fa un cenno d'assenso. Un attimo dopo, come un cavaliere medievale in groppa al suo destriero, fa compiere alla telecamera un giro di centoottanta gradi.
    Ora sta inquadrando la Regia, nascosta dietro allo specchio riflettente.
    Dalla porta che collega Studio e Regia emerge il Caporedattore. Piazzandosi davanti alla 1, dice: «Mi scuso col pubblico presente e quelli a casa ma sembra che ci sia stata un po' di confusione...».
    E bla bla bla.
    L'ufologo Luciano Attesi, vistosamente contrariato, fa per andarsene, ma il Caporedattore riesce a calmarlo.
    Il pubblico è ammutolito.
    Questo è vero intrattenimento.
    Poi il Caporedattore fa due passi verso di me. Io, alzandomi, tiro fuori dalla tasca un coltellino a scatto.
    Lo apro.
    Non so dire esattamente a che punto l'Umanità abbia deciso di gettare via il proprio destino. Forse già agli inizi del secolo passato, solo che la Grande Depressione, i due conflitti mondiali, il nucleare, lo smog, la fame, l'AIDS, tutto questo non è bastato. Ci dev'essere stato un momento in cui la razza umana, a livello inconscio, ha deciso che c'era solo una soluzione a se stessa.
    Il Caporedattore alza le mani davanti a se come se un'automobile gli stesse venendo addosso. Ma io rimango fermo.
    Dico: «Forse così capirete».
    L'ufologo Luciano Attesi scuote la testa, incredulo.
    Qualcuno fra il pubblico urla, qualcun altro pure. Il Caporedattore, pur non sganciando lo sguardo dal mio, dice di stare tranquilli.
    Il Cameraman della 1 e della 2 puntano i loro obbiettivi su di me. Sono circondato. L'ufologo Luciano Attesi alla mia destra, il Caporedattore alla mia sinistra, se volessero potrebbero saltarmi addosso, provare a fermarmi. Ma non lo fanno.
    Il Cameraman della 3 inquadra invece il pubblico. Il pubblico, che potrebbe scappare ma non lo fa. Che rimane a guardare.
    Chissà quale sarà il mio rating a fine serata?
    Con voce tremula, il Caporedattore dice: «Metti giù il coltello, niente pazzie».
    Io faccio un passo in avanti.
    Poi mi volto.
    Guardo la 2.
    Non so se a decidere di gettare via il futuro della razza umana siano stati i governi con l'assenso taciuto della popolazione. Ma durante le guerre ci è stato detto di sterminarci a vicenda e l'abbiamo fatto. Avremmo potuto smettere di avvelenare l'acqua dalla quale bevevamo, ma invece abbiamo persistito. Avremmo potuto investire miliardi nella ricerca contro le malattie incurabili, ma invece ci siamo limitati a scuotere la testa commossi prima di darci la buonanotte.
    Ma tutto è stato inutile: continuavamo invece ad aumentare.
    Aumentare.
    E aumentare ancora.
    Come ratti.
    Così, quando la storia della correlazione fra sterilità e OGM è emersa a galla, abbiamo preferito ignorarla.
    Con la 2 ancora zoomata sul mio primo piano, ho il coltellino dietro l'orecchio sinistro. Ieri la monetina è venuta croce.
    Sento la lama gelida contro la pelle.
    Qualcuno urla: «No».
    Non so in che momento la razza umana abbia tirato anche lei la sua monetina. In quale momento abbia deciso di sacrificare il suo domani. Di suicidarsi.
    Sento il taglio pulsare.
    Non so in che momento, assillata da se stessa, l'Umanità abbia preso una decisione che invece toccherebbe solo a Dio.
    So solo che l'ha fatto.
    «No!»
    Ma forse ora capiranno l'assurdità di ciò che stanno facendo.


    Francesco Gastami attenta alla propria vita in diretta tv!



    Francesco Gastami, giornalista bandiera di Canale Libero, durante la messa in onda dello Speciale di ieri sera, ha provato a togliersi la vita.
    Il giornalista è stato subito trasportato d'emergenza al Policlinico Gemelli di Roma. Malgrado l'ingente perdita di sangue, questa mattina Francesco Gastami è stato dichiarato fuori pericolo.
    «Presto potremmo provvedere al trasferimento del paziente all'Ospedale psichiatrico Santa Stella della pietà di Roma» ha comunicato il Dott. Carlo Murolo. «Lì potranno provvedere al recupero del paziente sotto il punto di vista fisico e psicologico.»
    Nel corso della trasmissione, il giornalista ha dichiarato che l'intero genere umano avrebbe deciso di estinguersi. Sempre secondo il giornalista, l'indifferenza del pubblico nei confronti dei risultati di alcune ricerche scientifiche, che evidenzierebbero una possibile correlazione fra OGM e sterilità nelle cavie da laboratorio, confermerebbe la sua tesi.
    Secondo il Prof. Filippo Bressa, psichiatra noto ai telespettatori di Canale Libero per il suo programma PositivaMente, quello di Francesco Gastami sarebbe invece un chiaro caso di esaurimento nervoso, dove il soggetto proietta sul mondo che lo circonda le proprie tendenze autolesioniste.
    Il Prof. Filippo Bressa ha dichiarato che la gente non ha alcuna ragione di preoccuparsi. «Se gli OGM non fossero perfettamente sicuriha aggiunto lo psichiatracredete che oggi si troverebbero sulle nostre tavole?»

    Edited by RobertoBommarito - 16/10/2010, 10:34
     
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  2. Virgart
     
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    Ciao,
    ecco il mio commento.

    SPOILER (click to view)
    Purtroppo il tuo stile lascia davvero a desiderare.
    Troppi errori, uso di numeri improprio.
    Uso di espressioni gergali, ripetizioni.
    Probabilmente la trama non è male ma il volume di errori rende la lettura zoppicante.
    Ti consiglio di rivedere totalmente il racconto, sfrondando lacuni particolari come il riferimento al pifferaio di Hamelin.


    Per quanto specificato non posso darti più di uno.

    Nota: se vuoi ho il file di revisione, mandami un MP.
     
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  3.  
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    Letto. Un nichilismo assoluto. Mi è piaciuto per questo.

    Però che sia un aprima stesura, risulta troppo eviente non solo dai refusi a profusione, ma anche da una prosa che andrebbe snellita e appianata in qualche pragrafo (tranne che il riferimento alla favola, quello non toglierlo, visto che dà una morale "alternativa" alla storia).

    Ti segnalo qualche cosuccia:

    CITAZIONE
    dava l'impressione che a forza di strofinare i gomiti con politici e similaria si fosse dimenticato di essere un giornalista

    Quel "similaria" non l'ho trovato nel mio dizionario...

    CITAZIONE
    Questo fino a quando ho ricevuto una e-mail dalla Dott.ssa Caterina Ferrini, studiosa di genetica all'Università "La Sapienza" di Roma, con il soggetto:
    Pongo alla Sua cordiale attenzione.

    Sarebbe "l'oggetto"...

    CITAZIONE
    «Non muoverti, almeno che non intendi fare la stessa fine delle povere creature che stai dissezionando».

    "A meno che". "Almeno" significa tutt'altro.

    CITAZIONE
    Un Pifferaio Magico, spuntato fuori da chissàdove

    Se non è un errore l'aver unite le due parole, devi togliere l'accento sulla A, perché credo che cadrebbe sulla O.

    Gli darei tre se avesse subito una sia pur minima revisione, ma mi pare che tu l'abbia scritto e postato come è venuto. Per questo dico


    Voto: 2

     
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  4. RobertoBommarito
     
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    Virgat: Scusa, ma non sono d'accordo che le correzioni vengano comunicate tramite mp. Per quanto mi riguarda, o una cosa è pubblica o nulla. A USAM si impara anche attraverso gli errori degli altri, non solo i propri. Secondo me gli errori vanno comunicati pubblicamente come fanno tutti. Altrimenti, così, uno può mettere un voto e giustificarlo solo con due righe, evitanto di fare il lavoro di correzione a meno che non ci viene chiesto esplicitamente tramite mp. Non mi sembra corretto nei confronti di tutti gli altri che le correzioni le fanno alla luce del sole.
    Grazie comunque.

    Edited by RobertoBommarito - 3/10/2010, 17:35
     
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  5. Virgart
     
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    User deleted


    CITAZIONE (RobertoBommarito @ 3/10/2010, 17:16)
    Virgat: Scusa, ma non sono d'accordo che le correzioni vengano comunicate tramite mp. Per quanto mi riguarda, o una cosa è pubblica o nulla. A USAM si impara anche attraverso gli errori degli altri, non solo i propri. Secondo me gli errori vanno comunicati pubblicamente come fanno tutti. Altrimenti, così, uno può mettere un voto e giustificarlo solo con due righe, evitanto di fare il lavoro di correzione a meno che non ci viene chiesto esplicitamente tramite mp. Non mi sembra corretto nei confronti di tutti gli altri che le correzioni le fanno alla luce del sole.
    Grazie comunque.

    Onestamente io non ho fatto un commento di due righe, ho riassunto gli errori riscontrati segnalandoli per genere.
    Il lavoro fatto sul tuo racconto in particolare mi ha portato via almeno un'ora e mezza, e lo posso dimostrare con il file di revisione.
    Se avessi puntualizzato nel post tutte le segnalazioni, perdonami, ma ci sarebbe voluto un post chilometrico.
    Comunque ti rinnovo l'offerta, il file lo puoi avere via MP.

    buona giornata
    Virgilio
     
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  6. RobertoBommarito
     
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    Scusa, ma no. Apparte il fatto che certe cose come le ripetizioni sono volute (visto che il personaggio è a un passo dalla follia, ossessivo, e finisce addirittura in un istituto psichiatrico... così come le espressioni gergali, dato, di nuovo, il personaggio) Ma, come ho detto, non mi sembra corretto nel confronto degli altri. USAM serve ad imparare sia dai propri errori sia da quelli altrui. Gli errori non andrebbero comunicati tramite pm. Così gli altri come fanno a imparare? Perché non mostrare pubblicamente le correzioni di tutti?
    No, non mi sembra corretto. Mi spiace. O si pubblica tutto di tutti alla luce del sole. O nulla.
     
    .
  7. Virgart
     
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    Che dire, questo è il tuo pensiero.
    Altri partecipanti hanno gradito quanto ho fatto.
    Nessun problema, non cestinerò comunque il file del tuo racconto.

    ciao
    Virgilio
     
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  8. RobertoBommarito
     
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    Ripeto: USAM serve ad imparare sia dai propri errori sia da quelli altrui. Gli errori non andrebbero comunicati tramite pm. Così gli altri come fanno a imparare? Perché non mostrare pubblicamente le correzioni di tutti?

    Lo spirito di USAM, da quando lo frequento, è sempre stato uno di condivisione. Molte delle cose che ho imparato, le ho imparate vedendo gli errori che facevano gli altri, così come gli altri suppongo abbiano imparato dai miei errori. Comunicare gli errori tramite pm, non mi sembra corretto. Perché non c'è ragione di farlo - non me ne hai data alcuna - e farlo va contro quello che credo essere lo spirito e lo scopo di USAM.

    Buona giornata a te.

    Edited by RobertoBommarito - 4/10/2010, 09:31
     
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  9.  
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    Sono d'accordissimo con Roberto. Vorrei vederla pure io questa revisione, per capire fino a che punto sia valida o rispettosa dello stile dell'autore...
     
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  10. Virgart
     
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    Mi sembra che si stia mettendo in dubbio il lavoro che ho fatto.
    Anzi si ventili che possa aver fatto segnalazioni gratuite senza il minimo senso del rispetto e questo è grave. Non posso accettarlo. E poi per quale motivo avrei dovuto farlo?
    A questo Lavoro ho dedicato tempo libero personale, quindi l'ho fatto per passione.
    Nessuno mi ha obbligato, solo la volontà di essere d'aiuto.
    Credo che gli altri autori (otto oltre al signor Roberto) cui ho offerto questo servizio, lo possano testimoniare e manifestare il gradimento.
    Chiedo che venga chiarito questo dubbio, subito.
    Virgilio
     
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  11. RobertoBommarito
     
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    Ripeto per la terza volta la mia domanda: USAM serve ad imparare sia dai propri errori sia da quelli altrui. Gli errori non andrebbero comunicati tramite pm. Così gli altri come fanno a imparare? Perché non mostrare pubblicamente le correzioni di tutti?
     
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  12. Virgart
     
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    User deleted


    Voglio si scriva che non era vostro intento dubitare della mia buona fede!
    E lo voglio scritto qui, adesso.

     
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  13. RobertoBommarito
     
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    User deleted


    Ho ripetuto per tre volte la stessa domanda, senza ricevere risposta. Perché?

     
    .
  14. Virgart
     
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    A questo punto chiedo che intervenga un moderatore.
     
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  15. Daniele_QM
     
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    Sicuramente postare i commenti in modo che ognuno ne tragga beneficio è la soluzione oggettivamente migliore, universalmente apprezzabile.
    Anche sul mio racconto Virgart ha segnalato alcune cose sul forum e poi mi ha mandato un mp dettagliato. Nel mio caso non c'erano grosse differenze tra quanto segnalato e quanto poi ho potuto verificare sul racconto, quindi non mi sono posto molti problemi.
    In linea di massima se il commento pubblico non è esaustivo - e da regolamento deve esserlo affinché la giuria possa tenere in considerazione il voto - occorre che venga chiarito pubblicamente (sempre affinché la giuria possa effettivamente trovare riscontro tra il voto e il commento).
    Quindi se oggettivamente il commento qui postato è insufficiente a giustificare il voto, è necessario riportarlo per intero. Se viceversa - come nel mio caso - il commento è sufficiente, credo non sia così necessario.
    Va detto però che la bellezza di Usam è anche nella trasparenza. :D
     
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54 replies since 30/9/2010, 23:04   1085 views
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