Canto del declivio
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Canto del declivio

(di Daniele Picciuti) 8000 car. circa - Gotico

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  1. Daniele_QM
     
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    Canto del declivio
    (di Daniele Picciuti)





    La ferita che porti dentro non è che un ricordo. Eterno.
    Non lasciarlo uscire.

    (Canto del declivio)


    Quassù nel vento il freddo ti penetra nelle ossa. Gela la pelle. Ti sussurra cose che non vorresti sentire.
    Il mare schiuma contro la scogliera come una torma di cani rabbiosi. I flutti si avventano sulla roccia per arrampicarsi fino in cima, ma ricadono morenti nel nero che si ritrae nella risacca.
    Il cielo incombe sull'abisso, stracolmo di nembi carichi di pioggia che flettono verso il basso come un ubriaco con la pancia gonfiata dall'alcol.
    Tra poco verrà giù di tutto.
    Aspiro un'altra boccata da quello che rimane dell'ultima sigaretta, poi getto nel vuoto il mozzicone, osservandolo scomparire tra le raffiche di tramontana.
    «È ora.» La voce mi giunge inaspettata.
    Mi volto e incrocio lo sguardo liquido di Emma. La sua pelle diafana sembra assorbire il freddo della costa che, come cristallizzato sul suo viso, le dà una parvenza lunare. I capelli corvini, folti e selvaggi, ricadono a ciocche sulle spalle nude. Indossa ancora quel vestito. Rivederlo fa male. È come se qualcuno mi avesse infilato una mano nello stomaco e vi stesse rimestando dentro.
    «Davvero?» La mente è obnubilata da una coltre di nebbia che tiene lontana la nitidezza del ricordo.
    Dovrei fuggire, o gettarmi nel vuoto. Qualunque cosa, ma non questo. Non questo.
    «Devi rientrare.»
    Non aggiunge altro: si volta e si avvia verso la casa, stagliata contro il piombo fuso del cielo come un avvoltoio in attesa di un cadavere da spolpare.
    Muto, la seguo, mentre nel vento risuona il suo delicato canto, ricordo di ciò che è stato e presagio di ciò che non può più essere. L'erba è un tappeto di brina sotto le mie scarpe. A ogni passo scricchiola più forte. È come se il freddo aumentasse man mano che ci avviciniamo.
    La casa. Forse dovrei chiamarla il rudere. Una costruzione vecchia di secoli, fatta di legno, ferro e mattoni; eredità della mia famiglia. Non c'è istante in cui non mi chieda come abbia potuto resistere per tutto questo tempo. Forse anche per lei è arrivato il momento di arrendersi.
    Osservo Emma salire le scalette che portano sulla veranda e poi varcare la soglia che dà accesso al buio.
    Le assi di legno sembrano urlare mentre le calpesto. Mi fermo un istante quando sono davanti all'uscio. Rientrare qui, adesso, cambierà tutto.
    «Vieni.»
    La mano ossuta che si protende dall'oscurità tende le dita pallide per accogliermi.
    Non c'è altro di fronte a me. Lascio che quella mano stringa la mia e varco la soglia.

    * * *

    Se questo è il mio cammino, non son degna di te.
    Se questo è il tuo cammino, non sei pronto per me.
    Se questo cammino è il nostro, lasciami entrare.

    (Canto del declivio)


    Mi chiamo Emma.
    Oh, Emma. La tua voce torna a bussare a questa porta. Sopra c'è scritto ricorda. Ma la verità è che tutto quello di cui ho memoria sei tu. Il sorriso che mi rivolgesti nel vedermi la prima volta. Lo sguardo fatto di malizia e nascosto desiderio che colsi quando ti voltasti per andartene.
    E io ti fermai.
    Possiamo rivederci? Una domanda sciocca. L'approccio di un principiante.
    Sì. L'unica risposta che abbia mai contato davvero.
    Ora di te non resta che il buio. E la tua mano che mi conduce.
    «Dove stiamo andando?»
    Non rispondi. Non subito almeno.
    Camminiamo ancora, nella tenebra del corridoio, sul legno che scricchiola, ma so che non è davvero così. Perché non vedo porte, non c'è una luce e, soprattutto, il viaggio non ha mai fine.
    «Resterai con me?»
    Eccola, la tua risposta. Una domanda. Tipico di te.
    Quale musica ascolti?
    E tu?

    Oh, Emma.
    Ti piace mangiare cinese?
    E a te il messicano?

    Emma...
    Vorresti sposarmi?
    Mi farai soffrire?

    Perdonami.
    «Sì» rispondo. Ed è l'unica risposta che conti davvero.

    * * *

    La stanza per lei non è mai cambiata.
    Il lettino è vuoto, lo è sempre stato. Come i nostri cuori.
    Ai tuoi sospiri, io mi rimetto.
    Non c'è mai stato altro, lo sai. Nella solitudine ci siamo spenti.

    (Canto del declivio)


    Quando appare la camera dalle pareti rosa, uno spasmo mi prende al petto, e mi piego, tossendo rabbia e disperazione. Eccolo, il dolore.
    Vorrei tenermi in piedi, ma le ginocchia sono di colpo vuote, fatte di sabbia, e così crollo sul legno marcio. Svuoto di lacrime i miei occhi al ricordo di ciò che non è mai stato, delle speranze scivolate via nel vento e nell'acqua. Delle mie menzogne.
    Il mare scuro chiuso su quel corpo esanime. Tutta la mia vita sprofondata in tetri abissi in quell'unico momento, assieme a lei. E alla bambina nel suo grembo.
    «Allora rammenti.» La sua voce torna ed Emma è di nuovo con me. Cammina nella stanza, poi lenta si siede sul lettino.
    «L'avremmo chiamata Iside.»
    Sorrido amaro. Ancora la sua fissazione per quello stupido nome.
    «Erica» obietto io. Era il nostro gioco.
    La guardo, aspettandomi che sorrida come un tempo. C'è soltanto tristezza nello sguardo.
    Si alza nella sua camicia da notte bianca, l'ultima cosa che ha avuto indosso quando...
    Abbasso gli occhi verso il suo ventre e il respiro mi si mozza in gola.
    Una macchia rosso cremisi si fa largo sotto la veste, impregnandola come una tela vergine, trasformando il suo candore in un truce ricordo.
    Tutto quel sangue, gli abiti che grondano acqua, la trasparenza contro cui si stagliano i seni, tutto brilla, adesso, sotto i raggi della luna.
    La luna.
    Guardo fuori, attraverso la finestra. Tutto è come allora.
    Ancora una volta.

    * * *

    Correva la vita e non lo capivamo. Correvamo noi, nell'oscurità.
    Nell'amore e nella morte ci siamo persi.
    E l'ultima corsa è stata questa, tra il nulla e il declivio.

    (Canto del declivio)


    Emma, perché? Perché tutto questo?
    Ora sei lì, sul portico. Osservi l'orizzonte che, per te, come per me, non è mai stato sgombro da nubi.
    Dovei sei stato? La tua voce ritorna, di nuovo, nella mia testa.
    Cos'è questo profumo?
    Chiudo gli occhi, per non ricordare, ma così tutto diventa più nitido.
    Quello è rossetto!
    Poi le urla, gli strepiti, i nostri corpi in lotta. Io che cado e sbatto, tu che corri lontano.
    Non è stato che l'inizio della fine. Tutto è scivolato via dalle nostre mani. Giorni e giorni spesi nel silenzio di una imbarazzante verità, fino a quel momento.
    La casa che moriva, la passione che si spegneva, le nostre anime che si spezzavano.
    E poi, l'ultimo atto.
    Ci siamo persi, Emma. Nostri la colpa e il cordoglio.

    * * *

    Così io ti porto, marito mio. Nel cuore e nell'anima. E nel ricordo.
    Di te non mi resta più niente. Ma di me, tu avrai memoria?

    (Canto del declivio)


    Infine tutto si fa chiaro. Questo viaggio è alla fine.
    Mentre torno a passi lenti verso il declivio, mi trovo a ripensare a quel giorno, quando corresti via.
    Ero caduto e la testa mi doleva. Tutto girava troppo forte per poterlo fermare.
    Ti vidi correre e ti seguii, ma la ferita era profonda e non riuscivo a respirare.
    Ti cercai lungo la sterrata che portava giù sulla costa, ma non c'eri. Mi bastò girare lo sguardo in alto per vederti: eri lì, in cima al dirupo.
    Mentre mi avvicinavo, arrancando tra i ciottoli, scorsi un rivolo di lacrime sul tuo viso.
    Dolci lacrime. Per me. Per noi.
    Perdonami Emma.
    Ti voltasti, vedendomi. Vedendo ciò che avevi fatto. L'orrore deturpò i tuoi lineamenti.
    Allora compresi e, impaurito, tesi la mano verso di te, per chiederti aiuto.
    Non avrei mai voluto che accadesse. I tuoi piedi si mossero, un passo indietro, uno solo. Sufficiente a sbilanciarti. Poi cadesti indietro, nel vuoto, e restai impotente a guardarti precipitare, e poi scomparire tra i flutti.
    Mi accasciai nell'erba, mentre le forze mi abbandonavano e il sangue sgorgava a fiotti dalla mia testa. La vita stava correndo via.
    Ora, come allora, sono qui sull'orlo del baratro, in lacrime, a rimpiangere il passato e le scelte fatte. E a ricordare la nostra morte. In eterno.

    Non resta che questo dell'amore e della morte. Un pensiero, un frammento.
    E tutto ricomincia. La memoria del tempo ritorna, cammina e calpesta.
    E, a volte, ricuce.
    Anche tu, marito mio, perdonami.

    (Canto del declivio)


    Edited by Daniele_QM - 1/10/2010, 19:34
     
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