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Quanti posti ancora! Ne approfitto, un racconto antico che ho portato al MMX. Ciao.
EDIT: RACCONTO GIà MODIFICATO COI VOSTRI SUGGERIMENTI. HOeliminato lei 'fantasma', lasciandola viva, e molti ma molti aggettivi. Grazie, secondo me adesso è valido!
La casa delle bambole
16 Dicembre
Percorre il corridoio semibuio che conduce alla porta dello scantinato. I suoi passi riecheggiano nel silenzio della sera. Passando davanti alla porta della camera da letto dei nonni, sente il cigolio della sedia a dondolo e un flebile russare, accompagnati da un ronzio metallico. Le bambole di porcellana la osservano dall’alto delle mensole con i loro falsi sorrisi, occhi di vetro che luccicano nel riflettere la luce proveniente dalle lampadine a risparmio energetico. La sua manina chiusa a pugno, colpendo la porta di legno del seminterrato, produce il rumore pulsante di un cuore mostruoso. Non riceve risposta. Abbassa la maniglia e, con entrambe le mani, apre la porta quel tanto che basta a far passare la testa, provocando un cigolio sinistro. I gradini di pietra che vanno verso il basso si distinguono appena. Un fruscio, poi il suono acuto degli strumenti che vengono a contatto. Silenzio. Il tavolo da lavoro è nascosto dietro una tenda ingiallita che percorre i lati opposti della stanza, dividendola a metà. La piccola vede solo frecce di luce perforare la penombra da sotto il telo, ma avverte la momentanea attesa del respiro trattenuto del padre, in ascolto, e il gemito soffocato con cui subito dopo riprende il proprio lavoro, più rapido, quasi frenetico. Non vuole essere disturbato, di solito. Lei richiude con cura il portone, fa per allontanarsi ma si ferma a metà del corridoio. Si volge indietro, e appoggia ancora gli occhi sulla porta chiusa con un’espressione nostalgica e fredda, distante. Il papà deve aver interrotto ancora il suo lavoro. Non lo sente muoversi più.
Sul tavolo sporco e immerso nel disordine, una piccola testa, separata dal corpo, lo fissa con sguardo vacuo, un sorriso a sfiorarle le labbra. I capelli, raccolti in due treccine laterali, spuntano da un grazioso cappellino color pannocchia. Deve solo unirla al corpo e la bambola cui lavora da qualche settimana sarà pronta. Sente la sua bambina richiudere la porta, attenta a non fare rumore, e la caricatura di un sorriso affiora dalle sue labbra, salate di lacrime. I polmoni prendono aria attraverso sospiri pallidi e tremanti, come si sentano in colpa nel compiere il loro dovere nei confronti dell’uomo. La bambola è venuta molto bene, aggraziata, dolce. Materna. Sarebbe un perfetto regalo di Natale per la piccola Giorgia, ma ha già deciso di metterla in sala, sul pianoforte. Per lei ha in mente altro, c’è ancora tempo. Non dovrebbe impiegarci più di qualche giorno, pensa, mentre sale le scale e spegne la luce. Dalla guancia tonda e rosea della bambola, seduta su una mensola con le manine in grembo e gli occhi eternamente aperti, scende la lacrima dell’uomo, che va ad addormentarsi sul grembiulino di pizzo e lì, piano, si lascia morire.
Quella sera, Giorgia si addormenta con il suono della voce della mamma che ancora le sfiora i timpani. Si sveglia durante la notte nel sentire un rumorio soffocato provenire dalla camera dei genitori. Si stanno facendo le coccole, come spesso accadeva quando era ancora molto piccola. Rigirandosi nel letto, si raggomitola sotto le coperte. Sanno un po’ di polvere, e hanno assorbito l’umido della stanza. Non importa. Il suo petto trabocca affetto nell’immaginare la mamma e il papà abbracciati nel lettone, un sentimento così forte e caldo da farla quasi piangere. Vorrebbe tanto andare da loro. Decine di occhi immobili e privi di espressione vegliano il suo sonno dall’alto degli scaffali, mentre fuori cadono i primi fiocchi di neve.
24 Dicembre
Giorgia si sveglia che è ancora notte. Le luci che abbracciano l’albero di Natale bianco offrono giochi di ombre grotteschi, simili a indiani che danzano in silenzio attorno a fuochi notturni. All’accendersi dei lumini, le bambole diventano vive e pulsanti, giudici malevoli che scrutano la bambina dall’alto dei loro piedistalli. Non le fanno paura. Seduta sulla sedia accanto al lettino c’è la mamma. Nel vederla così, il capo piegato di lato, il roseo risalto delle guance, il vestitino da notte bianco che le arriva fino alle caviglie, viene travolta da un’ondata di amore che le provoca una vertigine di nostalgia. La bambina scosta le coperte e scende dal letto con un balzo, atterrando sul pavimento della cameretta. Guarda la mamma, che non si è mossa, ed esce dalla stanza socchiudendo la porta. Attraversa il corridoio addobbato di luci natalizie. Il marmo gelido del pavimento non dà fastidio ai suoi piedini scalzi. Si ferma di fronte alla porta chiusa della stanza da letto dei nonni. L’attrito dei cardini rugginosi provoca un acuto stridio che si insinua come una serpe negli anfratti della casa addormentata, avvolgendosi attorno ai tonfi che provengono dall’interno della camera e danzando con essi fino a scomparire. La sedia a dondolo, posta di fronte alla finestra che guarda alle ombre degli alberi del giardino, cigola violentemente, mentre il busto e la testa della nonna vengono sballottati con scatti secchi avanti e indietro per il movimento degli ingranaggi meccanici. La figura del nonno, sdraiato a letto sul fianco, di spalle rispetto alla porta, si delinea da sotto una coperta imbottita. Giorgia abbassa il pulsante che controlla il meccanismo artificiale della sedia: il corpo della nonna si ferma di botto con il busto in avanti, le dita delle mani che quasi sfiorano il parquet; con lo scatto di un secondo dispositivo, collegato al registratore, il russare del nonno si dissolve in un silenzio tale da fare male ai timpani. La bimba si avvicina al corpo della nonna, freddo come ghiaccio. La risolleva con fatica, appoggiandola allo schienale, e le scosta la parrucca dalla fronte bianchissima. Due occhi di vetro azzurri si fissano nei suoi, mentre un sorriso cucito, forzato ed eterno, le incurva verso l’alto gli angoli delle labbra. Quando la piccola le accarezza la bocca con un bacio, si immerge in un odore corrotto di muffe e muschio. Poi, la bambina si avvicina al letto in mogano, appoggia la mano sui capelli sintetici del nonno e chiude gli occhi per un istante, inspirando la polvere che si solleva dal suo capo e dal cuscino. Neppure quando, uscendo, richiude la porta per l’ultima volta si volge indietro. Mentre si dirige verso la cucina, la tormenta di neve, all’esterno, tinge il paesaggio di un bianco perlaceo. Il mugghiare del vento, nell’attraversare gli interstizi tra le finestre, si trasforma nell’urlo gracchiante di una gorgone.
***
Nella cameretta, la mamma non ha cambiato posizione. Issandosi sui braccioli, Giorgia le si siede in grembo con delicatezza, appoggiando la testa sopra il duro seno di lei, come faceva quand’era piccola. La mamma non risponde al suo abbraccio. La bimba le cinge forte il collo freddo e socchiude le palpebre. È molto stanca. Gli occhi vitrei della donna, spalancati e immobili, la osservano senza vita da sotto un grazioso cappellino di paglia. La lacrima di Giorgia va a posarsi sul suo vestito candido come neve, cucitole direttamente sulla carne; le cicatrici della mutilazione sono ancora visibili, nonostante la pesante mano di cerone e il pizzo applicato alla scollatura e alle maniche dell’abito. Il papà deve averla soffocata nel sonno. Per evitare di rovinarla. Vuoi ancora bene ai nonni? le chiede lui tutti i giorni quando mangiano insieme. E lei risponde di sì con la testa, e gli sorride. Allora, anche il papà sorride, e in quel momento lei lo sente più vicino che in qualunque altra occasione. I nonni sono morti poco prima del Natale dell’anno prima. Entrambi. Il dolore del loro suicidio l’aveva quasi fatto impazzire. Guarda, le aveva detto scoprendole gli occhi, dopo averla portata nella loro camera. E lei aveva guardato. Li aveva guardati. Ti… ti piacciono? Giorgia non aveva risposto. Si era voltata verso di lui e l’aveva abbracciato e lui l’aveva sollevata e avevano pianto insieme. Il papà, di gioia. Da quel giorno, non aveva più dato a nessuno le bambole che costruiva; le aveva tenute tutte, disponendole in ogni parte della casa, soprattutto nella cameretta della sua bambina per farle compagnia. Giorgia sa che il papà non è cattivo; solo, non ha più il coraggio di soffrire. Gli vuole bene lo stesso. A lui e alla mamma.
La piccola le prende la mano e se la porta al viso. Accarezzami le chiede, come facevi una volta. La mamma continua a sorriderle, mentre la mano le ricade verso il basso e penzola qualche secondo nel vuoto, prima di fermarsi. L’odore del gas metano che fuoriesce dai fornelletti della cucina ha già saturato la casa. Nella stanza accanto il papà, sveglio, si gira dall’altra parte. Una lacrima, posandosi sulla curva del suo naso, si ingrossa e poi scivola con un tonfo sulla federa del cuscino, candida come ceramica. Fuori, cadono gli ultimi fiocchi di neve.
Edited by Mastronxo - 7/10/2010, 22:16
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