La valle degli alberi che camminano
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La valle degli alberi che camminano

Drammatico? - Daniele imperi - ca. 30000 caratteri

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  1. Magister Ludus
     
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    La valle degli alberi che camminano



    Quando arrivò al paese, il sole era ridotto a un disco rossastro sull'orizzonte opaco. L'azzurro del cielo spento. Un velo di nubi nell'aria autunnale. Aveva camminato per tre giorni, un lungo viaggio dalla città dove il treno non avrebbe potuto raggiungere la sua destinazione. Tre giorni di marcia sulla strada senza incontrare anima viva. Il silenzio. E i suoni della campagna. Il profumo di piante che conosceva. L'odore della roccia e della terra umida. Funghi. I colori della stagione che si accendevano e sbiadivano al sorgere e al morire della luce. Aveva dormito all'addiaccio, avvolto in una coperta, stendendo un telo impermeabile fra i rami d'un albero. S'era alzato presto, al mattino, aveva tolto il campo e s'era rimesso in cammino. Solo. Verso quella comunità che da anni non dava segni di vita.
    Valle Rocca sorgeva in una grande vallata. Boschi ovunque. Fiumi e ruscelli d'acqua limpidissima e fresca. Selvaggina. Non conosceva nessuno di quelle parti, ma era l'unico gendarme rimasto. Qualcuno doveva andare a controllare. A vedere. Di solito, dal paese, arrivavano contadini e artigiani per la fiera. A vendere le loro cose. Tornavano a casa dopo due giorni e, in genere, vendevano tutto. Ma questo accadeva anni prima. Poi, da Valle Rocca, non era più arrivato nessuno.
    Il cartello era sbiadito. Anche alla cupa luce del tramonto, il segnale stradale che annunciava il paese appariva come un superstite d'una guerra lontana. Ruggine. Lettere semi-cancellate. Erbaccia sul ciglio della strada che portava al centro dell'abitato. L'uomo si guardò attorno. Più avanti, dalle ombre della sera che stavano calando, una casa spuntava dal nulla. Si diresse verso quell'abitazione.
    Finestre chiuse. Sbarrate. Silenzio intorno. Ancora erbaccia. Nessun animale, né cani né gatti. Il richiamo d'un gufo lontano che si perse nel silenzio. Bussò alla porta, ma nessuno rispose. Fece il giro della casa. Era deserta da anni.
    Tornò sulla strada principale e continuò a camminare. A breve avrebbe raggiunto le prime abitazioni del paese e, sebbene la giornata volgesse alla fine, avrebbe incontrato qualcuno o sentito voci, rumori, visto luci e avvertito il profumo della legna che bruciava e del cibo che cuoceva.
    Le prime case. Nessuna luce. Né rumori, suoni, voci. Nessuno in giro. Dai comignoli non si levava il fumo dei camini. Non sentiva odori di cucinato. Camminò per un centinaio di metri, le casupole a destra e a sinistra della strada silenti, buie, vuote. Alcune porte erano aperte. Alcune persiane spalancate e ora sbattevano a un vento di pioggia che s'era levato d'improvviso.
    Entrò in una delle case rimaste aperte. Odore di muffa. Polvere, terra, escrementi di animali rinsecchiti. Vetri. Tracce di un lupo nello strato di polvere. La bestia aveva cercato del cibo, c'erano sedie e suppellettili in terra e residui di un pasto. Nella cucina, la tavola ancora apparecchiata, piatti, bicchieri, posate rimasti sporchi. Uscì dalla stanza. Una scala portava al piano superiore. Salì. Due camere, una aperta. Entrò in quella. Un letto disfatto, giocattoli in terra, abiti lasciati alla rinfusa, in parte strappati. Perlustrò l'altra stanza. Un letto matrimoniale, anch'esso disfatto. Vestiti in terra, a brandelli. Nessuna traccia di sangue. Nessun segno di lotta.
    Uscì da quella casa confuso. Non riusciva a spiegarsi quel quadro. Si disse che era prematuro, che avrebbe dovuto controllare altre case, forse tutte. In strada provò a chiamare qualcuno, nella speranza che qualcuno fosse davvero in ascolto. Non arrivò alcuna risposta a quei richiami. Solo il vento. E le prime gocce di pioggia.
    Provò a entrare in una delle abitazioni chiuse. Forzò la porta, che si spalancò nel silenzio. Chiamò. Vuota anche quella. La cucina era stata ripulita alla svelta. Le camere, nello stesso piano, erano in disordine, i vestiti e gli oggetti in terra, i letti disfatti. Nessuna traccia di lotta, di effrazione. Eccetto la sua.
    Uscì ed entrò in una seconda casa lasciata con la porta spalancata. Sporcizia ovunque. Il vento non era stato clemente. Bicchieri, bottiglie, soprammobili, tutto era in terra, in frantumi. Polvere e macchie d'umidità sui pavimenti. Tracce di animali, lupi, cani randagi, gatti. Sterco di uccelli su un tavolo e sui mobili.
    Vagò per quella desolazione finché la pioggia non lo costrinse a trovare riparo in una delle case. Era buio, ormai, e aveva bisogno di mangiare qualcosa e di dormire. Trovò rifugio in una costruzione a due piani, si sistemò al piano di sopra, in una camera con un letto e un tavolo. Cenò con del pane e del formaggio e bevve acqua. Poi scese a chiudere la porta di casa, risalì e chiuse a chiave anche la stanza. Si buttò nel letto vestito e in breve tempo s'addormentò.
    Sognò una guerra senza nome che aveva cancellato ogni forma di vita nella sua città. Fumo. Gente che moriva in silenzio. Case disabitate. Anche la sua. Sognò che era stato mandato a cercare superstiti. Che non aveva trovato. C'erano però lupi ovunque, emaciati, affamati. Lo inseguirono lungo le strade vuote e silenziose, lo braccarono senza dargli tregua finché lui riuscì a mettersi in salvo in una casa, correndo su per le scale fino a chiudersi dentro la stanza di un bambino. Inciampò su alcuni giocattoli in legno, e s'affacciò alla finestra. I lupi erano là fuori. E aspettavano. Un vento gli scompigliò i capelli. Si ritirò per chiudere i vetri, ma il vento fece sbattere le imposte. Il rumore fu assordante. La casa tremò e, sbriciolandosi come un castello di sabbia, crollò. Tentò di urlare, ma il grido si spense in gola. E i lupi gli furono addosso.
    Si risvegliò al mattino e ricordò il sogno. La pioggia era cessata, ma la temperatura era scesa di qualche grado. Si strinse il mantello addosso e uscì all'aperto. La mano corse alla pistola nella fondina. Il ricordo dei lupi che aveva sognato era ancora vivo.
    Proseguì la sua perlustrazione per le strade del paese. Arrivò alla piazza principale, dove la chiesa col suo vecchio campanile svettava sulle case attorno. La porta a due battenti era chiusa. Aggirò l'edificio e trovò una piccola finestra sul retro rimasta socchiusa. Buttò uno sguardo all'interno. Polvere. Odore di umidità. Si sfilò il mantello, che gli era d'impaccio, e si introdusse in quello stretto pertugio. Quando fu dentro, accese un fiammifero. La luce fioca rischiarò il piccolo ambiente. Trovò una candela e l'accese. Era nella sagrestia. Gli abiti del parroco erano in terra. Aprì la porta e si ritrovò dietro l'altare. Accese altre candele. Macchie di muffa e umidità disegnavano strani motivi e forme sui muri ingialliti. Le panche erano intatte. In terra un sottile strato di polvere, come se l'incuria e il tempo avessero avuto timore di sporcare e rovinare quel luogo sacro.
    Spense le candele e rientrò nella sagrestia, chiudendo la porta. Uscì da dov'era entrato, si rimise addosso il mantello e proseguì la sua ricerca.
    Il Municipio. Là, forse, avrebbe trovato qualche informazione, una data, la nota d'un evento che aveva causato quell'abbandono. La porta era chiusa, ma non a chiave. Entrò. Odore di chiuso. Polvere. Silenzio. Salì fino all'ufficio del sindaco. Fogli in terra. Ne raccolse uno e lesse. L'inchiostro era scolorito, ma la data si leggeva ancora. Risaliva a circa sette anni addietro. Più o meno all'ultima volta in cui gli abitanti di Valle Rocca erano stati visti in città, per la fiera annuale. Frugò sugli scaffali, aprì cassetti, mobili, fece lo stesso nelle altre stanze, ma non c'era nulla. Uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
    La bottega di un fornaio, l'odore del pane solo un ricordo. Quella del ramaio. Pentole, conche, vasi ormai neri, scuriti. Un'altra abitazione aperta. Entrò. La casa del medico del paese. C'erano medicinali e flaconi, alcuni in terra, i vetri sparsi ovunque. Nella stanza che fungeva da studio alcune ricette. Ne prese una. Risaliva a dieci anni prima. Un tale era stato colpito da una rara malattia, che non aveva mai sentito nominare. Diede un'occhiata anche alle altre stanze ma, a parte il disordine e la polvere, non trovò nulla. Ma che cosa stava cercando, esattamente?
    Il paese era disabitato da anni. Era stato abbandonato in fretta, come se un pericolo repentino fosse giunto fin là da lande remote a minacciarne la popolazione. A quell'epoca il brigantaggio aveva dato del filo da torcere alla gente e alle autorità, ma non certo a quel livello. Pochi briganti, per quanto ben determinati e armati, non sarebbero stati in grado di spaventare un intero paese e indurlo a fuggire in massa. No. C'era qualcos'altro. E doveva scoprire cosa. Doveva trovare delle tracce. E seguirle. Anche dopo tutto quel tempo.
    Perlustrò il paese per tutta la mattinata, entrando in altre abitazioni, ma senza trovare nulla di nuovo. Poi si diresse al cimitero. Uno sguardo alle lapidi. Le date. Doveva conoscere quando era avvenuta l'ultima sepoltura. Forse non aveva importanza, o forse sì. Il cancello era chiuso. Lo scavalcò con facilità. Erba rinsecchita. Foglie morte su terra morta. Tumuli. Pietre tombali, fredde e corrose. Vagò per quasi due ore in quel luogo sacro e dimenticato, leggendo e annotando le date più recenti che trovava. Infine scoprì che l'ultima risaliva a sei anni prima. Un uomo di circa quarant'anni. Lasciava moglie e una figlia. La lapide non riportava la causa della morte.
    Tornò in strada e rifece al contrario il percorso, fino alla piazza. Non aveva una cartina della zona, ma a est il terreno era impervio, c'erano montagne e gole che una massa di gente non avrebbe potuto attraversare. La direzione da cui era arrivato era sud, dunque era da scartare. A ovest, lontano nell'orizzonte, c'erano altri monti, che chiudevano la valle a nord. Era quella la direzione più ovvia presa dalla popolazione. Verso il tramonto.
    Uscì dal paese e si diresse a occidente, in un muto appuntamento col sole che di lì a poche ore sarebbe stato nascosto dai crinali. Si fermò a consumare un breve pasto, bevve a un ruscello che scorreva appena fuori del paese e proseguì il cammino.
    La sera lo colse nel bosco. L'aria fredda e umida. Alberi che montavano la guardia in eterno, alcuni frondosi, altri rinsecchiti. Tirò fuori il telo e costruì un piccolo riparo in una radura. Stese a terra il mantello, accese un fuoco con della legna secca che raccolse intorno e mangiò qualcosa. Aveva portato abbastanza scorte di cibo nello zaino, carne affumicata e lardo, del formaggio, due forme di pane, frutta secca. Ne aveva consumata gran parte. Avrebbe dovuto cercare qualcosa da mangiare, prima di finire tutto. Non sapeva quanto tempo avrebbe richiesto quella ricerca.
    Allungò le mani verso le fiamme. Una luna quasi piena si accese nel cielo, improvvisamente svelata da una nube in movimento. Un ululato lontano. Un lupo. O forse un cane. Mise altra legna nel fuoco, s'avvolse nella coperta e si stese sul mantello. S'addormentò quasi subito e quella notte non sognò di nessuna guerra. Gli parve di sentire strani rumori, durante il sonno, ma non seppe dire a cosa appartenessero. Insoliti fruscii. Come un pesante e lento calpestio. Forse era stato il vento, si costrinse a pensare.
    Al risveglio il fuoco era ridotto a un cumulo di cenere. L'alba era sorta da almeno un'ora. Si stirò, ripiegò la coperta e la ripose nello zaino, mangiò della frutta secca e bevve un po' d'acqua dalla borraccia. Poi si rimise in cammino. La radura, alla luce del giorno, aveva un aspetto diverso. Ricordava degli alberi secchi, ma non ne vide. Il buio giocava strani scherzi, confondeva le immagini, manipolava i ricordi. Il buio e quell'atmosfera di desolazione e silenzio.
    S'incamminò. Attraversò un boschetto di faggi fino a una rupe che s'affacciava a una gola. Una piccola cascata. Il ruscello che saltava giù, l'acqua che spumeggiava, ridotta a vapore. Un arcobaleno appena visibile nell'aria nebulosa di quel mattino. E gli alberi. Un ricordo. Un lampo acceso nella mente, ripescato dalla memoria. Il buio. La notte appena trascorsa e quei rumori che non aveva saputo spiegare. Nella radura dove s'era accampato, la sera prima. Alberi. Senza fronde, senza foglie, rinsecchiti, morti, contorti. Li vide. Si muovevano, ondeggiando al vento. Il vento che non c'era. L'aria immobile, ferma, senza respiro. E un brivido che l'attraversò, lacerandogli la schiena come un fulmine che taglia l'aria durante un temporale. Alberi sempre più vicini alla cascata.
    Si passò una mano sugli occhi, come a scacciare quella visione senza senso. Poi si riscosse e cercò un modo per raggiungere la cascata. Il dirupo era troppo alto e impervio. Impossibile prendere la via diretta. Doveva aggirarlo. Tornò sui suoi passi, superò alcune radure, riprese la direzione della cascata, risalì un pendio e trovò, in lontananza, un punto in cui scendere. Vegetazione che cresceva su tutta la rupe, il dislivello più dolce, il terreno che digradava lentamente fino al fiume. Sorreggendosi sugli arbusti e i cespugli, avrebbe potuto scendere senza pericolo di sfracellarsi sulle rocce. Si fermò a riposare e guardò il sole, alto nel cielo, fra il fogliame. Mangiò della carne affumicata e bevve dalla borraccia. In un paio d'ore avrebbe raggiunto il punto in cui discendere. Alla fine del pomeriggio, prima della sera, sarebbe stato giù al fiume.
    Dopo il pasto si rimise in marcia. Da quel punto la cascata non era visibile, ma ne sentiva il rumore, ovattato dalla vegetazione folta che lo circondava da ogni lato. Guidato da quel suono si mosse, camminando su uno strato di foglie ingiallite e rami caduti. Il cielo era annuvolato, coperto da una patina di nubi chiare, opache. Sentiva il fiume cadere dall'alto. Precipitare nel fosso. Scorrere nuovamente sul suo letto. I ricordi del paese abbandonato riaffiorarono. La sua indagine. La ricerca della popolazione scomparsa, svanita nel nulla. E adesso quegli alberi. S'era diretto a ovest, per cercare tracce. La direzione era la stessa, dunque non aveva deviato dal suo compito.
    Due ore. E aveva raggiunto il punto in cui cominciare la sua discesa. La cascata, sotto di lui, spandeva il suo fragore liquido nel silenzio del bosco. Cespugli e arbusti in abbondanza. Guardò in basso. Solo vegetazione. Non riusciva a scorgere la base del dirupo, dunque scendere non sarebbe stato pericoloso. S'aggrappò a un ramo e, puntellando i piedi nel terreno, avanzò. Lentamente. Senza fretta. Scivolò sulla terra umida un paio di volte. Si tolse il mantello e lo ripose nello zaino. Spine strapparono le sue vesti e gli graffiarono volto e braccia. Si fermò, esausto, sedendo in terra. Non poteva sapere quanto distasse il fondo. Da quel punto non scorgeva ancora il fiume e la cascata, ma il rumore dell'acqua che scorreva era più forte, ora. Si rialzò e riprese a scendere, con più lena e determinazione. Un passo dopo l'altro. Le mani sui rami spinosi. Le scarpe che scivolavano sul terreno molle. L'acqua. Leggeri spruzzi di umidità sul suo viso. Poi il fiume apparve fra due arbusti sotto di lui. Pochi metri ancora. Il fondo della rupe. La riva erbosa. Il suono dell'acqua. Mancava un'ora al tramonto.
    S'avvicinò alla cascata. Si guardò attorno, in cerca degli alberi secchi che aveva visto dall'alto. Nulla. Spariti. Li aveva sognati, dunque? Che cosa aveva visto esattamente? Era stata la sua immaginazione?
    A trenta metri dalla cascata, nel bosco, una piccola radura. Oltre il fiume. Guadò, saltando sui massi che spuntavano dall'acqua. Preparò il campo. Il cielo si scuriva, così raccolse della legna e accese un fuoco. Rimase a guardare le fiamme, senza pensieri, per parecchio tempo. Poi cenò, mise altra legna a bruciare e si stese nella sua coperta. Dopo mezz'ora dormiva.
    Si svegliò che albeggiava. Un sole livido. Senza calore. Una mattina spenta. Si lavò al fiume, mangiò frutta secca, riempì la borraccia e levò il campo. Da quella parte del fiume poteva aggirare la cascata, così si mosse in quella direzione. Camminò per quasi tre ore nel fondovalle, superando boschetti e radure, campi selvatici e ruscelli. Mancavano due ore a mezzogiorno quando si concesse una pausa. Nessuna traccia degli alberi che stava inseguendo come un uomo che avesse perso la ragione. Né della popolazione. Era sempre diretto verso ovest, constatò. Il rumore della cascata era cessato, inghiottito dalla campagna. Nel cielo le prime nubi. Grigie. Riprese il cammino.
    Mezzogiorno. Le nubi sempre più nere, cariche d'acqua. L'odore della pioggia. Mangiò seduto su un tronco caduto, lo zaino in terra, lo sguardo rivolto a intervalli al cielo cupo. Vento. Di lì a poco sarebbe sceso giù l'inferno.
    Dopo un'ora dovette fermarsi. Tolse dallo zaino il telo impermeabile e se lo buttò sulle spalle. Pioveva a dirotto. Secchiate d'acqua venivano giù senza tregua. Nulla sotto cui ripararsi. Gli alberi della campagna ridotti a miraggi. L'aria sferzata dalle gocce più veloci d'una freccia. Si fermò spesso, a controllare la direzione. Poi sbucò nella campagna aperta, il bosco alle spalle. Il terreno salì leggermente e quando fu sul punto più alto poté spaziare cogli occhi sui campi davanti a lui, fra il muro d'acqua.
    E li vide di nuovo. Gli alberi. Non quelli del bosco. Non quelli ricolmi di foglie. Gli alberi contorti. Quelli che aveva creduto di scorgere nell'oscurità due sere prima. Quelli che aveva visto avvicinarsi alla cascata la mattina successiva. Gli alberi. Non molto alti, forse poco più d'un uomo. Pieni di rami contorti. Nodosi. Camminavano. Non c'erano dubbi su questo, si convinse. Quegli alberi si muovevano, in gruppo. Non era il vento, che avrebbe scosso le cime e non certo la base del tronco. Non era la sua immaginazione. Non stava sognando, era sveglio. E vedeva. Vedeva chiaramente quei movimenti lenti, strascicati, insicuri. Ma pur sempre movimenti. Alberi che camminano. Rinsecchiti. I rami aggrovigliati. Una decina, almeno. Forse qualcuno di più.
    Sembravano vicini. Decise di inseguirli. Doveva raggiungerli. Capire. Doveva vedere da vicino. Si diresse verso di loro, scendendo dal campo e infilandosi in una macchia di arbusti. Di tanto in tanto cercava con lo sguardo gli alberi. Erano sempre davanti a lui, anche se non sapeva calcolarne la distanza. Accelerò il passo, attraversando un campo di erba alta. La pioggia era diminuita, ma il cielo si stava rabbuiando. Fra poco il tramonto lo avrebbe costretto a fermarsi.
    Quando sbucò in un terreno di erbaccia e rocce si accorse che gli alberi erano scomparsi. Da lì poteva vedere un buon tratto della campagna della valle, ma degli alberi in movimento nessuna traccia. Era sudato e stanco. La sera appena scesa. Il vento che gli gonfiava il mantello. Trovò un punto riparato da una sporgenza rocciosa e s'accampò. Il fuoco che disegnava strane ombre sulla roccia. Le scintille che volavano nell'aria, spegnendosi nella sera. Sempre più confuso, s'avvolse nella coperta e s'addormentò senza cenare.
    Sognò che tutti gli alberi della valle camminavano. Si muovevano lenti verso mete lontane. Contorti e secchi. E lui che l'inseguiva. Quando li raggiunse, i loro rami l'afferrarono per stritolarlo. Urlò.
    Si svegliò di soprassalto. Era sicuro d'aver urlato realmente. Non era la prima volta che accadeva. Ricordò quando era stato ferito da un brigante, anni prima. Tenuto prigioniero per un'intera giornata. Malmenato. Senza mangiare né bere. Poi altri gendarmi erano giunti a liberarlo. Sparatorie. Vetri che esplodevano. Fuoco. S'era ritrovato fuori, all'aperto, il petto fasciato, una bottiglia di vino accostata alle labbra. Aveva bevuto avidamente, crollando subito dopo. In ospedale aveva gridato spesso durante il sonno, sognando di essere impiccato dai briganti, o fatto a pezzi.
    L'alba era ancora lontana, ma aveva fame, così, al buio, cercò lo zaino, l'aprì, tirò fuori un pezzo di carne affumicata e lo divorò. Poi tornò a coricarsi, avvolgendosi nella coperta, il freddo della notte sempre più pungente.
    La luce del sole arrivò presto quella mattina. Gli parve di non aver dormito per niente. Non aveva fame. Le nuvole erano sparite. Il cielo azzurro, sgombro. S'alzò e levò il campo. Salì sulla roccia sotto cui aveva dormito. E guardò la campagna di fronte. Erano laggiù, non molto lontano. Li riconobbe. Gli alberi. Spogli, ramificati all'inverosimile. Tronchi nodosi e secchi come quelli d'una foresta millenaria, morta da tempo. Si muovevano lentamente. Avanzavano compatti, determinati, verso un boschetto.
    Saltò giù dalla roccia e si mise a correre. Non poteva perderli di nuovo. Non c'erano ostacoli, questa volta, fra lui e gli alberi. Solo aperta campagna. Correva. Sempre più veloce. La distanza che diminuiva. Correva sul terreno fatto d'erba, rocce e radici. Teneva lo sguardo sugli alberi, come se fossero un faro per seguire la rotta. Cento metri. Non sapeva se essere euforico o sorpreso. Li inseguiva da giorni e adesso li stava per raggiungere. Pochi metri ancora. Rallentò. Anche gli alberi avevano rallentato. Sembravano fermi. Come alberi. Come alberi morti in attesa di crollare al suolo e divenire cibo per la terra.
    Ansimando, si fermò fra i tronchi rinsecchiti. Nessuna foglia. Solo rami, un groviglio assurdo, contorto. Le radici enormi che affondavano nel terreno. Li contò. Erano una quindicina. Camminò fra loro, incuriosito. Non aveva mai visto alberi di quel genere. A dire il vero, non sembravano alberi. Sfiorò un tronco con la mano incerta. Legno. O almeno pareva. Le fronde erano un intreccio di rami spogli. Un particolare lo colpì. Ogni albero aveva due enormi rami a formare una sorta di croce. Sebbene le ramificazioni fossero diverse, ognuno era formato da un tronco sulla cui sommità partivano rami più piccoli e da due rami più spessi con altrettante ramificazioni, poco più in basso. Li osservò uno a uno. Gli alberi sempre fermi. Silenzio. Come se l'intera campagna fosse d'un tratto sotto un incantesimo. O forse lui, con la sua curiosità e la sua immaginazione, aveva rotto quell'incantesimo.
    Occhi. Spalancò la bocca, ma nessun suono ne uscì. S'avvicinò di più all'albero. Alla sua altezza, davanti a lui, una sorta di volto legnoso lo fissava, serio, triste, malinconico. Occhi. Erano occhi quelli, ci avrebbe giurato. Ci avrebbe scommesso la testa. Occhi che lo guardavano. Nessun segno di ostilità. Solo una profonda tristezza.
    Adesso sai.
    Parlò. L'albero. L'albero che aveva di fronte, che lo fissava, gli aveva parlato. Una voce rauca, sofferta. Le labbra non s'erano quasi mosse. Che stregoneria era mai quella? Quale portento si celava in quegli strani alberi? Che creature erano quelle?
    Fece un salto indietro, lo zaino che cadeva, la mano che correva alla fondina. Lo sguardo spaziava intorno, da un albero all'altro. Altri occhi. Altri alberi, tristi, che lo fissavano. Altri volti legnosi che tradivano una malinconia profonda, radicata. Tentò di parlare, di chiedere, ma non riuscì ad articolare frasi sensate.
    Infine fu l'albero a parlare di nuovo. La voce che raschiava come una pialla su una tavola di legno. Che saliva a stento dalla gola.
    Siamo gli ultimi rimasti di Valle Rocca.
    Sembrava ansimasse mentre pronunciava quelle parole.
    Da anni vaghiamo in questa valle. Soli. Lontani dalla gente. Da quando il primo di noi fu colpito dal male.
    Silenzio.
    Gli altri uomini-albero fissavano quello che aveva parlato, silenti, immobili. Se non fosse stato per quei volti di legno, sommariamente scolpiti nel tronco, sarebbero sembrati alberi reali, secchi, morti da tempo, ma alberi. Li guardava, non più confuso. Una verità cominciava a farsi strada nei suoi pensieri. Risposte cominciavano a comparire accanto alle sue domande. Valle Rocca. Il paese disabitato. Abbandonato. Vuoto. Le case lasciate di fretta. La fuga. O forse soltanto un trasferimento. Altrove. Dove poter vivere.
    Siamo uomini, anche se a te non sembra.
    La fessura di quella che era stata una bocca s'allargò in un abbozzo di sorriso. L'uomo-albero chiuse gli occhi, come a raccogliere i propri pensieri. O forse solo per riposare.
    Quando il male s'estese a tutto il corpo, diventò impossibile vivere in una casa. Qualcuno tentò, ma fu poi costretto a lasciare tutto all'improvviso. A raggiungere il bosco. E gli altri. Quelli che avevano abbandonato per tempo le proprie case.
    Ancora silenzio. Il cielo appena macchiato da pennellate di nubi, bianche come il latte. Un leggero vento che faceva ondeggiare le fronde verdi del bosco davanti a loro. Adesso sapeva. Quella sera. Gli alberi rinsecchiti e contorti vicino a dove s'era accampato. Spariti la mattina dopo. Gli stessi alberi morti che avanzavano verso la cascata. Scomparsi poi improvvisamente. Erano gli abitanti di Valle Rocca, che camminavano come insepolti nella valle.
    Ci nutriamo di bacche, di insetti, talvolta di uccelli, se riusciamo a catturarne, quando si posano sulle nostre membra legnose.
    L'uomo-albero sembrava aver letto nei suoi pensieri. Aveva risposto alla sua domanda inespressa. Come mangiavano? Come si nutrivano quelle creature?
    Beviamo alle cascate. Ce ne sono in questa valle. Seguiamo lo stesso percorso, ogni volta. Ormai sappiamo dove c'è più cibo.
    Sembrò annuire, in quel volto ligneo. Uomini-albero che camminavano in una valle senza nome, cercando cibo e acqua, in un'esistenza monotona e lenta. Come lo scorrere del loro tempo. Nell'attesa. L'attesa dell'ultima ora. Quando sarebbero crollati a terra, come alberi abbattuti o morti.
    Molti di noi sono morti in questa valle.
    Ancora una volta l'uomo-albero aveva letto nei suoi pensieri. Ansimando. Raschiando le parole, come se fossero attaccate alla gola, anch'esse di legno.
    Crollati a terra. Prima i bambini, i più deboli. Poi gli anziani. Accasciati a terra, esausti, sfiniti. Non hanno saputo più rialzarsi e sono morti di fame.
    Si voltò, lentamente, verso la direzione da cui erano venuti. Un braccio ramificato, pieno di nodi, s'alzò a indicare un punto imprecisato alle loro spalle.
    Laggiù abbiamo lasciato i loro corpi. Ora fanno parte della terra da cui sono nati. Come alberi caduti.
    Guardò l'uomo, che fino allora era rimasto in silenzio, ad ascoltare.
    Non possiamo sederci, né sdraiarci. La nostra è un'esistenza molto simile a quella degli alberi. Sempre in piedi. Ma noi possiamo muoverci. Ancora per poco, almeno.
    “La notte...” tentò di chiedere l'uomo, ma la domanda gli morì in gola.
    Ci teniamo uno all'altro, rispose l'uomo-albero, indovinando la domanda. Allunghiamo le nostre braccia, stretti in gruppo. Come una piccola foresta. Solo così non rischiamo di cadere. Di morire.
    Un uccello, nelle vicinanze, lanciò il suo richiamo. Il sole s'era alzato nel cielo, stranamente ancora azzurro. Come se le nubi non volessero disturbare quell'insolita discussione. Un uomo fermo in mezzo ad alberi morti. Alberi che parlavano. Che camminavano. Un mondo fuori dal mondo. Nascosto in quella valle, al riparo dalla gente e dalle sue chiacchiere. Al riparo da altro male.
    Papilloma virus, disse l'uomo-albero. Così il medico chiamò la malattia che colpì il paese. Non ho mai dimenticato quel nome. Lo porto con me. Come gli altri. È con noi, dentro e fuori. È quello che siamo diventati. È quello che saremo fino a quando non cadremo a terra.
    Sul legno del suo volto scesero alcune gocce di liquido trasparente. Scivolarono giù, perdendosi nel tronco. Le ultime lacrime rimaste a quella parvenza d'umanità.
    Ricordo quando apparvero le prime macchie. Quando s'estesero al resto del corpo. Quando informi escrescenze crebbero sulla mia pelle diventata coriacea. Urlai. Urlai fino a scoppiare. Finché divenni ciò che vedi ora. Un uomo-albero. Condannato a una vita di sentinella, senza più una casa, un rifugio. Una vita.
    Gli altri uomini-albero si mossero insieme, come ridestati da una sorta di letargo. Si voltarono verso il bosco. Fu come un segnale, pensò il gendarme. L'uomo-albero s'apprestò a muoversi. Dobbiamo andare, disse. C'è strada da percorrere, cibo da cercare. Addio, uomo. È... è stato piacevole parlare con te.
    “Io...” balbettò l'uomo, “posso restare un po' con voi, aiutarvi...”
    No, l'interruppe l'altro. La tua strada non è questa. Nessuno può aiutarci. Sono anni che provvediamo a noi stessi. Anni. Ma ti ringrazio. Il nostro tempo è ormai alla fine. Già i miei movimenti sono più lenti di prima. E anche gli altri non hanno più la velocità d'un tempo. Manca poco. Lo sento.
    “Addio...”
    Addio. E ricorda, se vuoi, questa valle. E i suoi alberi. Gli alberi che hai visto camminare.
    Insieme, come una minuscola foresta, s'incamminarono lenti, strascicando i piedi enormi e nodosi sul terreno. Pochi centimetri per volta. Silenti. Le ramificazioni del corpo che ondeggiavano appena al movimento. L'andatura incerta, obliqua.
    Rimase a guardarli per ore, finché non scomparvero nel folto del bosco. Alberi secchi e contorti in mezzo ad altri vivi e ricolmi di foglie. Alberi che camminano e parlano assieme ad altri fissi in terra come mute sentinelle. Alberi che un tempo erano stati uomini e donne assieme ad altri nati dal terreno su cui stavano piantati. Alberi che sarebbero caduti a nutrire la terra in mezzo ad altri che sarebbero caduti anch'essi. Una diversa origine, ma un comune destino.
    Si voltò. Mezzogiorno era giunto e passato. Non aveva fame. Avrebbe mangiato qualcosa più tardi. Il cielo sempre pulito. Il vento leggero, appena percepibile. S'incamminò, verso la cascata dove ancora una volta si sarebbe accampato, nel bosco vicino al fiume. Avrebbe poi risalito il dirupo, aggirato quella gola fino ai boschi e alle radure che aveva attraversato giorni prima. Per rientrare nel paese. Vuoto e silente come un monumento lasciato a marcire.
     
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  2. luckyfer
     
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    Ti confesso che lo stile minimale descrittivo che hai adottato, flash su flash, immagini su immagini, senza subordinate che legassero il pensiero, per me è risultato assolutamente pesante, e un paio di volte sono stato tentato di abbandonare la lettura, poi mi sono costretto a continuare per vedere se avessi capito male e se la cosa era stilisticamente voluta per qualche fine. Purtroppo non è così, lo stile rimane invariato e il racconto è lento, la fine non ha una morale, è totalmente descrittivo senza un risultato apparente.
    Una cosa è molto valida, la digressione verso l'ansia e l'angoscia che trasmette l'ispezione della città (che risulta però lunga in modo non necessario alla funzionalità del racconto)
    Non ti do uno perchè si vede la ricerca fatta, ma prova a pensare di asciugarlo notevolmente e dare un senso alla piaga che ha colpito il paese. Stiracchio al limite il mio giudizio e voto Due, per incoraggiarti.

    E' un refusino o è corretto? Non sentiva odori di cucinato.
    Forse suona meglio non sentiva odori di cucina oppure non si sentivano odori di cibo cucinato
     
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  3. luckyfer
     
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    O.T., ma che belli i tuoi siti di fumetti, vignette e satira! Complimenti!
     
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  4. Magister Ludus
     
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    CITAZIONE (luckyfer @ 1/11/2010, 18:37) 
    Ti confesso che lo stile minimale descrittivo che hai adottato, flash su flash, immagini su immagini, senza subordinate che legassero il pensiero, per me è risultato assolutamente pesante, e un paio di volte sono stato tentato di abbandonare la lettura, poi mi sono costretto a continuare per vedere se avessi capito male e se la cosa era stilisticamente voluta per qualche fine. Purtroppo non è così, lo stile rimane invariato e il racconto è lento,

    Sì, è uno stile voluto, che stavo provando :)

    CITAZIONE
    la fine non ha una morale, è totalmente descrittivo senza un risultato apparente.

    deve avere necessariamente una morale?
    CITAZIONE
    Una cosa è molto valida, la digressione verso l'ansia e l'angoscia che trasmette l'ispezione della città (che risulta però lunga in modo non necessario alla funzionalità del racconto)

    Sì, forse l'ispezione è troppo lunga, concordo

    CITAZIONE
    Non ti do uno perchè si vede la ricerca fatta, ma prova a pensare di asciugarlo notevolmente e dare un senso alla piaga che ha colpito il paese. Stiracchio al limite il mio giudizio e voto Due, per incoraggiarti.

    Ok, grazie della lettura.

    CITAZIONE
    E' un refusino o è corretto? Non sentiva odori di cucinato.

    è purtroppo un refuso che mi porto dall'infanzia... ho sentito sempre dire così e non mi sono mai preoccupato di controllare se fosse giusto... in effetti nel dizionario non esiste quel sostantivo... :P

    PS: grazie dei complimenti ai siti :)
     
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  5. GrilloParlante
     
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    Ciao,
    SPOILER (click to view)
    Ho letto dalla tua precedente risposta che lo stile è voluto, in effetti si capiva che era un esperimento. Purtroppo anche io ho avuto un'impressione negativa, perché le frasi sono davvero troppo brevi, senza legami e soprattutto troppe.
    Alcune ci stanno bene, ma tu ne hai usate così tante che a me sono risultate a sproposito, interrompendo la lettura, più che incoraggiarla.
    Beh, come sempre nelle sperimentazioni, bisogna tentare per trovare il giusto dosaggio :)
    Oltre a ciò che ti hanno già segnalato sull'eccessiva lunghezza dell'ispezione alla città fantasma, ci sono alcuni altri punti:
    - la trasformazione in legno mi dà l'idea di una cosa lenta, ma poi scrivi che alcuni sono stati costretti a lasciare tutto all'improvviso? D'altronde la descrizione accurata della città vuota si basa su questo concetto di abbandono immediato che secondo me non si adatta affatto ad una trasformazione così radicale. Non solo perché è una trasformazione completa ma anche perché un albero è una entità che richiama lentezza, staticità (non è come trasformarsi ad es. in un animale).
    - camminavano come insepolti: qui non ho proprio capito. Gli insepolti camminano? E in un modo particolare? Se sono non-sepolti si potrebbe pensare che almeno sono morti (altrimenti saremmo tutti insepolti) e quindi si dovrebbe desumere che non camminano.
    - Papilloma virus???? Sarebbe meglio inventarsene uno inesistente di virus, oppure dire che è mutato, altrimenti si rischia troppo. Per di più tutte le donne di oggi conoscono questo virus, visto che da giovani bisogna fare un vaccino e da più "grandi" dei test che lo riguardano. Oppure conosci qualche nuovo studio sugli effetti del papilloma? :cry:

    Voto 1
     
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  6. Alessanto
     
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    Letto.

    SPOILER (click to view)
    Una scelta di stile come quella che hai fatto è molto pericolosa.
    La frase breve fissa i concetti. il problema è che se se ne abusa si constringe il lettore a pensare che tutto sia importante, tempestandolo, quindi, di informazioni e sensazioni.

    Alcuni passaggi sono venuti bene, altri, purtroppo la maggior parte, risultano noiosi. Dopo un terzo del racconto mi sentivo in una specie di ta-ta-ra sincopato che mi ha proprio stancato. Non sono arrivato alla fine.


    Voto 1 (era qualcosa in più ma 30.000 cc così sono davvero troppi...)
     
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  7. Magister Ludus
     
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    CITAZIONE (GrilloParlante @ 2/11/2010, 16:54) 
    - camminavano come insepolti: qui non ho proprio capito. Gli insepolti camminano? E in un modo particolare? Se sono non-sepolti si potrebbe pensare che almeno sono morti (altrimenti saremmo tutti insepolti) e quindi si dovrebbe desumere che non camminano.

    Insepolti=zombie. Il termine si usa anche in quel senso. Camminano lentamente, barcollando quasi.

    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    - Papilloma virus???? Sarebbe meglio inventarsene uno inesistente di virus, oppure dire che è mutato, altrimenti si rischia troppo. Per di più tutte le donne di oggi conoscono questo virus, visto che da giovani bisogna fare un vaccino e da più "grandi" dei test che lo riguardano. Oppure conosci qualche nuovo studio sugli effetti del papilloma? :cry:

    Guardati questa pagina di risultati e anche le immagini, io ho portato all'eccesso quella malattia.


     
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  8. black cat walking
     
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    Ciao Daniele! :)
    SPOILER (click to view)
    Allora, il racconto mi ha ispirato due reazioni uguali ma contrapposte:
    da un lato il piacere di leggere le descrizioni,
    dall'altro la noia a leggere le descrizioni. :wacko:
    Ebbene sì, sono schizzofrenico. :D
    Il racconto è interessante fino alla perlustrazione del villaggio, poi l'interesse cala via via che aumentano le descrizioni su come salta un dirupo o mangia il formaggio. Tanto che, quando sono arrivato al dunque, ero sfinito e il dramma degli uomini-albero mi è sembrato quasi nulla.
    Lo stile è molto interessante, però lo dovresti, secondo me, applicare su un racconto lungo un terzo rispetto a questo. Immagina di descrivere alcuni punti così come hai fatto (quelli più interessanti, tipo l'entrata nel villaggio, appunto), mentre puoi sorvolare tranquillamente su altri che non danno nulla di più al racconto (tipo l'aggiramento della cascata che non finiva mai). So che è difficile tagliare pezzi che ci sono costati tempo e fatica (e a cui ci si affeziona, almeno io), però lo dovresti fare per i lettori che, in fondo, sono i destinatari finale di ogni nostro lavoro. Altrimenti scriviamo per noi stessi, ma è un'altra cosa.
    Voto 2.
    A rileggerci! :)

    PS Avevo dubbi anch'io sul papilloma virus, ma data l'accuratezza con cui scrivi mi sembrava impossibile che avessi fatto un errore tanto marchiano, infatti, poi ho letto la tua replica al Grillo e mi sono dato ragione. ;)
     
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  9. Magister Ludus
     
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    Ciao :)

    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE (black cat walking @ 2/11/2010, 19:28) 
    Allora, il racconto mi ha ispirato due reazioni uguali ma contrapposte:
    da un lato il piacere di leggere le descrizioni,
    dall'altro la noia a leggere le descrizioni. :wacko:

    Sì, in effetti spesso mi lascio andare con le descrizioni :P

    CITAZIONE
    Lo stile è molto interessante, però lo dovresti, secondo me, applicare su un racconto lungo un terzo rispetto a questo. Immagina di descrivere alcuni punti così come hai fatto (quelli più interessanti, tipo l'entrata nel villaggio, appunto), mentre puoi sorvolare tranquillamente su altri che non danno nulla di più al racconto (tipo l'aggiramento della cascata che non finiva mai). So che è difficile tagliare pezzi che ci sono costati tempo e fatica (e a cui ci si affeziona, almeno io), però lo dovresti fare per i lettori che, in fondo, sono i destinatari finale di ogni nostro lavoro. Altrimenti scriviamo per noi stessi, ma è un'altra cosa.

    Sì, hai ragione. Appena terminano anche gli altri di commentare, lo revisione per bene :)

    CITAZIONE
    PS Avevo dubbi anch'io sul papilloma virus, ma data l'accuratezza con cui scrivi mi sembrava impossibile che avessi fatto un errore tanto marchiano, infatti, poi ho letto la tua replica al Grillo e mi sono dato ragione. ;)

    In effetti sarebbe stato davvero un errore molto marchiano :)


    Grazie della lettura e dei commenti.
     
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  10. GrilloParlante
     
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    CITAZIONE
    In effetti sarebbe stato davvero un errore molto marchiano :)

    Hai ragione, scusa :P. Ho fatto un mese fa il test contro il papilloma virus e quindi avevo ben presente tutto quello che mi avevano detto. A parziale discolpa, avevo anche googlato il virus, senza trovare il tuo articolo da brivido! :woot:
     
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  11. Magister Ludus
     
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    CITAZIONE (GrilloParlante @ 3/11/2010, 09:22) 
    A parziale discolpa, avevo anche googlato il virus, senza trovare il tuo articolo da brivido! :woot:

    Non esiste alcun mio articolo da brivido, infatti :woot:

    La pagina che ti ho segnalato era quella dei risultati di google per una chiave di ricerca, per mostrarti che cosa può fare quel virus.
     
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  12. GrilloParlante
     
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    CITAZIONE (Magister Ludus @ 3/11/2010, 14:04) 
    Non esiste alcun mio articolo da brivido, infatti :woot:

    La pagina che ti ho segnalato era quella dei risultati di google per una chiave di ricerca, per mostrarti che cosa può fare quel virus.

    Mi correggo: non avevo trovato l'articolo da brivido che mi hai mostrato nel tuo link.
    Non avevo mica insinuato che l'articolo era tuo.
     
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  13. Medusa
     
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    Letto - 1
    SPOILER (click to view)
    Premesso che a me lo stile che hai usato, con frasi corte a spot non piace per nulla, nella lettura mi sono sentita un po' come sulle montagne russe: ho storto il naso dopo le prime righe, per via dello stile, mi sono appassionata alla descrizione iniziale della perlustrazione del villaggio, per poi annoiarmi quando questa si è prolungata troppo. E lo stesso alternarsi di umore l'ho avuto quando inizia il viaggio verso ovest, interessante all'inizio quando cambi paesaggio, monotono e quindi noioso dopo, tanto che ho saltato un buon pezzo fino all'arrivo degli uomini - albero, perchè non potevo rimanere senza sapere a cosa avrebbe portato tutto ciò.
    E devo dire che ci sono rimasta male quando non mi ha portato a nulla. Con questo non voglio dire che il racconto non ha senso, in generale, ma che io non l'ho colto, non mi ha dato nulla, neanche un piccolo spunto su cui riflettere, sorridere, piangere, etc. etc.
    L'unico consiglio che mi sento di darti è quello di sfoltirlo un po' qua e là, stoppando le descrizioni, che sono fenomenali, prima che diventino noiose.
     
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  14. Magister Ludus
     
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    CITAZIONE (Medusa @ 3/11/2010, 15:06) 
    SPOILER (click to view)
    Premesso che a me lo stile che hai usato, con frasi corte a spot non piace per nulla, nella lettura mi sono sentita un po' come sulle montagne russe: ho storto il naso dopo le prime righe, per via dello stile, mi sono appassionata alla descrizione iniziale della perlustrazione del villaggio, per poi annoiarmi quando questa si è prolungata troppo. E lo stesso alternarsi di umore l'ho avuto quando inizia il viaggio verso ovest, interessante all'inizio quando cambi paesaggio, monotono e quindi noioso dopo, tanto che ho saltato un buon pezzo fino all'arrivo degli uomini - albero, perchè non potevo rimanere senza sapere a cosa avrebbe portato tutto ciò.
    E devo dire che ci sono rimasta male quando non mi ha portato a nulla. Con questo non voglio dire che il racconto non ha senso, in generale, ma che io non l'ho colto, non mi ha dato nulla, neanche un piccolo spunto su cui riflettere, sorridere, piangere, etc. etc.
    L'unico consiglio che mi sento di darti è quello di sfoltirlo un po' qua e là, stoppando le descrizioni, che sono fenomenali, prima che diventino noiose.

    Grazie dei consigli, provo senz'altro a sfoltire ciò che è di troppo, a modificare lo stile, togliendo o modificando la maggior parte delle frasi corte, e mi studierò un finale diverso :)
     
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  15. Fini Tocchi Alati
     
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    Ciao.
    Dunque, racconto difficile da valutare.
    SPOILER (click to view)
    La prima parte, secondo me, è bella e prende molto.
    Poi, diventa un po' ripetitivo.
    E sopratutto troppo particolareggiato.

    Lo stile che hai usato non aiuta.
    Ci sono solo frasi corte, secche che se all'inizio danno ritmo, poi però lo fanno perdere perché lo spezzano troppo.

    E' un bel mattone, non c'è che dire.
    Anche come lo hai impostato graficamente, mica aiuta! Secondo me, dovresti lasciare di tanto in tanto (dove occorra, ovviamente) un rigo bianco per far respirare il racconto (e il lettore ;) )

    Dicevo dello stile.
    Sai che ho avuto l'impressione di "vedere" una sorta di storyboard?
    A tratti mi sembrava una sceneggiatura resa per immagini, inquadratura dopo inquadratura. Però hai usato troppe inquadrature! A un certo punto, quando il protagonista ha preso la via per andarsene, ho temuto che volessi descrivere tutto il viaggio di ritorno :argh: !

    Comunque, potresti provare a sfoltirlo di un po' (ci sono molte ripetizioni: rinsecchito lo avrò trovato una decina di volte!), a dargli più ritmo cambiando la lunghezza delle frasi, e a "convertirlo" in più paragrafi.

    Cero si avverte l'assenza di dialoghi, ma capisco che, per tre quarti della storia, sono abbastanza inutili.

    E' stata dura arrivare alla fine, ma sono contento di averlo fatto perché la storia mi ha comunque affascinato.


    In definitiva, dico 2.
     
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27 replies since 1/11/2010, 12:47   189 views
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