|
|
Ecco a Voi:
UN NUOVO INIZIO
All’interno della Clio verde bottiglia la donna si agitava; a ogni colpo di bacino un ondeggiare dell’auto e un ricciolo nero faceva capolino dal finestrino. Attraverso la vegetazione Gaetano udiva i rantoli che si spandevano nell’umidità. Strinse gli occhi e cercò di immaginare ciò che le fronde non gli permettevano di vedere. La sua mano iniziò a fare su e giù. Vide Marco – aveva deciso che l’uomo si chiamava così – che le accarezzava i capezzoli; li vide combattere, scuri e grandi per emergere dai seni mentre lui le si insinuava dentro. Attorcigliate a una gamba, le mutandine erano scivolate sul tappetino impolverato; il piede destro con un infradito dagli strass luccicanti appoggiato sul cruscotto. La prostituta si muoveva con la cadenza quasi militare imposta dal cliente. La mano di Gaetano si irrigidì quando la fibbia della cintura che penzolava dai pantaloni cinguettò metallica; se la infilò in tasca e si guardò intorno un paio di volte. In strada, una ventina di metri più indietro, le auto scappavano veloci; come ogni estate si lanciavano tra i viali alberati della Favorita verso Mondello. Lì, per qualche ora, in centinaia si sarebbero illusi di abbandonare a Palermo il calore appiccicoso. Gaetano rimase immobile provando a percepire dei passi o delle voci: era certo che lì vicino, nascosti tra gli alberi, ci fossero altri come lui intenti a rubare sospiri e piacere a chi preferiva una donna – anche a pagamento – a sé stesso. Alzò la testa e gettò un’occhiata a Monte Pellegrino che incombeva su di lui. Mentre si accarezzava realizzò che non gliene importava nulla: che fossero anche cinquanta a godere con quel sesso di seconda mano, la sua realtà non sarebbe cambiata. Chiuse gli occhi, fece scendere la mano e continuò a muoverla. Gli ci volle poco più di un minuto. Quando la tensione fu troppa e il suo corpo si arrese, sentì lo sgocciolare liquido sulle foglie. Sempre uguale: traditore di un piacere che lo svuotava nell’anima oltre che nel corpo. Quando l’ultima goccia, dopo aver indugiato indecisa, raggiunse le altre, si alzò i pantaloni. Andò verso la sua auto; dai rantoli dietro di lui capì che i due, ancora, non avevano finito.
*** «Ecco, ti ho portato il caffè.» «Gaetano! Sei un tesoro!» pigolò Lidia scoccandogli un’occhiata sorridente. L’uomo trasalì, si infilò le mani nelle tasche della giacca e tornò alla pratica sul tavolo. «E quindi? Come è andata a finire?» chiese Maria dalla parte opposta della stanza. Aveva un giornale di gossip sulle ginocchia. La copertina urlava in rosso: “Il sesso può essere una malattia”. Appena sotto, ritagliato tra la foto in topless di una qualsiasi partecipante del Grande Fratello e quella di Sharon Stone che fuma in Basic Instict, il titolo: “Un italiano su sei è ammalato di sesso”. Lidia riprese a raccontare della beauty farm del sabato precedente. Gaetano cercò di concentrarsi sul foglio che aveva davanti cacciando l’immagine di Lidia in costume e di Maria che glielo sfilava baciandola dietro le orecchie, per poi passare alle labbra e infine ai capezzoli. Si passò le mani sul volto. «Che hai?» gli chiese Lidia. «Ehm… No… è che ho un… po’ di mal di testa…» La donna arricciò il naso osservandone la stempiatura drammatica, le mani pallide e certamente sudate, sottili come quelle di una donna. Non si sarebbe fatta toccare da lui nemmeno morta ma Gaetano era così gentile che era impossibile non approfittarne, specie per una come lei. «Mi dispiace! Vuoi qualcosa?» «No, grazie. Allora? Il massaggio al cioccolato? Com’era?» disse l’uomo fingendosi interessato. «Favoloso! Ci hanno fatto sdraiare su due lettini vicini. C’erano le candele…» La voce di Lidia si fece lontana. Gaetano aveva smesso di ascoltarla. Si ritrovò ad annuire come un robot mentre vagava dove il rigonfiamento dei pantaloni lo costringeva. Le due donne erano di nuovo nude e si accarezzavano. Scosse la testa e cercò di scacciare l'immagine: "No, con Lidia, no!" si disse.
*** Il cavallo era passato al galoppo. L’incitazione del fantino era stata portata via dal vento che scompigliava la criniera dell’animale. Accadeva spesso di assistere a scene simili: allenamenti in vista di qualche corsa clandestina. Gaetano li aveva visti scomparire in un turbinio di zoccoli e metallo. Poco prima che la vegetazione lo inghiottisse aveva incrociato due prostitute. Entrambe lo presero in giro. “Tu è porco! Scopa con donna vera, no con tua mano!” gli aveva gridato la prima. Era nera come un tizzone e aveva due enormi tette strizzate da un body color ciliegia fluorescente. La seconda, un po’ più chiara, aveva sollevato la gonna corta come una cintura e condito lo scherzo con una risata sguaiata. Gaetano aveva fatto finta di nulla distogliendo lo sguardo –non prima, però di aver notato che la donna non portava gli slip. Era in attesa da poco meno di mezz'ora quando vide arrivare una Punto bianca, pochi movimenti del volante e il motore si spense. Una bionda splendida e un grassone in giacca e cravatta parlottarono un po', quindi la testa di lei sparì dal finestrino e l'uomo chiuse gli occhi: il sorriso ebete sul volto rasato gli ricordò un bambino obeso che mangia una cucchiaiata di Nutella. Durò in pochi istanti; Gaetano, come al solito, per terra, tra i rifiuti, esaurì il proprio piacere. Deluso fece due passi indietro e rischiò di cadere su un cumulo di stracci e foglie. Un'imprecazione sottovoce e uno sguardo alla macchina. Non lo avevano sentito: con un sospiro di sollievo se ne andò.
*** «Prego! Si segga» la esortò Gaetano. La donna anziana lo guardò con diffidenza, poi vedendo che si era alzato davvero, non poté fare a meno di sorridere. «Grazie!» esclamò accomodandosi sulla formica del seggiolino, il sacchetto frusciante sulle ginocchia, la collana di pietre turchesi appoggiata sul decolté rugoso e un paio di occhiali da sole che le coprivano mezza faccia. Quel giorno Gaetano era senza auto e, cosa che odiava, aveva preso l'autobus. Come sempre il centouno era stracolmo: sudore, puzza, persone che sbraitavano al telefonino e donne, con i sacchetti della spesa tra le mani, che si sventolavano con fogli di carta spiegazzati. «Lo sa che queste cose non si usano più?» gli fece la donna, mentre lui cercava guadagnare lo spazio per rimanere in equilibrio. Sorrise. «Come?» «Persone educate ce ne sono sempre meno!» ripeté lei annuendo. «Ma no, cosa dice», disse Gaetano. «Dico vero!» rispose la donna una “e” lunga che la collocava, nonostante i vestiti firmati e la bigiotteria costosa, piuttosto in basso nella scala sociale. Gaetano fece spallucce, intuendo già il tono della discussione che da lì a qualche secondo sarebbe scaturita: si sarebbe trascinata fino alla sua fermata ma probabilmente oltre. Si preparò ad ascoltarla. «L'altro giorno, quando fu? Giovedì? Quel giorno che c'era un caldo da morire, sa?» Gaetano annuì per gentilezza. «Salgo sulla centosei, mi creda, ero morta! E c'era un ragazzino, quanti anni poteva avere? Dodici?» La donna si guardò intorno come se i passeggeri vicini, che ascoltavano interessati, potessero saperlo. «Ci chiedo: “scusami, che fa, mi fai sedere?”» Si guardò di nuovo in giro godendosi la pausa d'effetto. «Sapete lui cosa mi risponde? “Picchi chi c'ave? U' culu ca pisa?”» Un borbottio di disappunto percorse l'autobus, anche se Gaetano percepì qualche risata soffocata. «I vastasi ci sono sempre» ribatté scansando un'ascella sudata. «La verità è che facciamo schifo» disse la donna con un smorfia di disgusto. «E che vuole farci?» «Niente! Solo dire grazie a chi è bravo!» gli sorrise. Gaetano non aggiunse nulla, sorrise di rimando e si preparò a scendere.
*** «E questo?» domandò alla vegetazione. Aveva appena completato il solito rituale, questa volta davanti a una Ford Fiesta blu scuro con dentro un ragazzo a cui cresceva appena la barba e una delle prostitute che lo avevano preso in giro. Si stava sollevando i pantaloni, quando aveva avvertito sotto la suola il terreno soffice, smosso da poco. Si era chinato e, con circospezione e un bastoncino, aveva spostato le foglie e le pietre. “Sarà una radice” pensò, poi, cercando di non far rumore, tolse ancora un po' di terra. Quando vide cos' era, fece un balzo all'indietro e si morse le labbra per non gridare. Stretta a pugno come se volesse stringere l'aria, una mano marrone e raggrinzita faceva capolino tra i piatti di plastica, i fazzoletti appallottolati e le lattine vuote.
*** «Si può sapere oggi che hai?» chiese Lidia dalla sua scrivania. Teneva le gambe accavallate, una scarpa col tacco spuntava dal piede del tavolo. «Eh?» disse lui sobbalzando. «Ti ho chiesto cos'hai. Già che Maria è in malattia, ci manchi solo tu che non parli!» «Niente. Sono un po' stanco oggi e...» «Ti capisco! Questo caldo mi manda al manicomio! Dovevo mettermi in malattia come quella» lo interruppe Lidia con uno sbuffo. «Ma il condizionatore? Non funziona?» Gaetano non ne aveva la più pallida idea e glielo disse. «Va bene, ci penso io!» rispose lei, alzandosi e imbracciando la borsa. Era evidente che non vedeva l'ora di uscire e far prendere un po' di polvere ai cumuli di pratiche che teneva sulla scrivania. Gaetano la osservò muoversi: colma di una finta risolutezza, sapeva già che sarebbe andata al bar per poi, con calma, passare da qualche ufficio segnalando il problema dell'aria condizionata. Inondandolo di profumo a cui il suo corpo rispose prontamente, con poche agili falcate arrivò alla soglia. «Adesso vedrai!», disse richiudendosi la porta dietro e lasciando solo. Finalmente si mise la testa tra le mani. “Ho trovato un cadavere” continuava a dirsi. Aveva passato la notte senza dormire, il pensiero di quella mano rugosa lo tormentava. Il punto era cosa avrebbe dovuto fare. Avvertire i carabinieri? E mettersi in mostra anche con chi aveva ucciso quel poveretto? Una “lupara bianca”, magari di un parente di qualche pentito e lui che manda i carabinieri. Proprio una cosa furba. Si passò le dita tra i capelli. Gaetano rabbrividì ripensando al ragazzino sciolto nell'acido dopo due anni di prigionia e al sasso in bocca di Parrineddu nel Giorno della Civetta. Aveva pensato di fare una telefonata anonima. Ma poi era convinto che l'avrebbero rintracciato. Cosa ci voleva a fare qualche domanda, magari alle prostitute abituali? Già si immaginava la scena: “Non hai il permesso di soggiorno? Ti rimando a calci in culo al tuo paese se non mi dici cosa hai visto.” “Io ha visto quello che si tocca. Io no conosco nome ma posso dire macchina e parlare di sua faccia. Lui è tipo strano. Lui no vuole donne.” “Uhm... un porco tra i cespugli? Troviamolo e domandiamogli un po' di cose” Gaetano non riusciva più a stare seduto. Si mise a girovagare nella stanza sfiorando i faldoni e sistemando gli evidenziatori e le matite nei portapenne. Senza pensare a quegli altri: “Dimmi chi è o t'ammazzo!” Stessa risposta. E, poi, “Ho capito. Adesso gli insegniamo a farsi i cazzi suoi” Gaetano arrivò alla finestra e, con la mano che tremava, spostò la tenda. E se fosse stata la vittima di qualche serial killer? Sbuffò e diede un'occhiata fuori. Gli autobus su Piazza Giulio Cesare arrivavano e partivano all'ombra della Stazione Centrale, mentre al semaforo di Via Roma i soliti extracomunitari imploravano gli automobilisti brandendo i loro lavavetri gocciolanti di schiuma. In Via Lincoln un serpentone di auto si snodava tra i palazzi sporchi di nero e i marciapiedi spaccati. Illuminata già di prima mattina scorse l'insegna dell'Orfeo, il suo cinema porno preferito. Cercava di scorgere la locandina, quando la sua attenzione fu attratta dalla vetrina del negozio cinese lì accanto. Un tizio con gli occhi a mandorla stava vestendo di tutto punto tre manichini dal colore indefinibile. L'uomo, per infilare più facilmente una casacca viola, aveva staccato una mano a uno di loro. Gaetano rifletté. E se non fosse stata una mano vera? In fondo lui non l'aveva toccata e poi era di un colore talmente strano. Vide il cinese attaccare il talloncino col prezzo con un pezzo di scotch e innestare il polso sul metallo che usciva dal manichino: pochi movimenti e fu come nuovo. “ Non ho visto bene” si disse. “Magari è solo un rottame, proprio di un manichino. O una radice rinsecchita, del resto è marrone. Chi ha una mano così?” Più rifletteva più i dubbi lo assalivano. Non poteva rischiare di sbagliare: se fossero arrivati i carabinieri addio coppie che si imboscavano lì. Lidia irruppe nella stanza spazzando via il filo dei suoi pensieri. «Niente. Per il condizionatore se ne parla, forse, domani mattina. Figurati, di venerdì.» Gaetano la guardò sbuffare e gettare la borsa sulla sedia. «Così non si può continuare, però!» riprese sventolandosi con un foglio di carta stropicciato. «Lidia?» «Che vuoi?» chiese la donna. «Facciamo così: chiedi un permesso e vattene a casa.» «Non posso! Ho tante cose da fare!» rispose lei indicando la scrivania, il tono si era fatto piagnucoloso come quello di una ragazzina. Gaetano sorrise. «Scrivimi una lista delle cose urgenti e mi organizzo.» «Ma...» «Basta, dài. Spicciati!» le disse. Lidia ci impiegò non più di un paio di minuti a scrivere un elenco di sette voci. «Mi sento una stronza», fece porgendoglielo. «Non ti preoccupare. Non te l'ho chiesto io?» «Sì, ma tu non senti caldo?» «Non molto. Forza, vai a casa.» La donna prese la borsa. «Grazie!» «Di niente! Ti sdebiterai.» Dentro di sé Gaetano sorrise di nuovo. Sdebitarsi? Non l'aveva mai fatto e non avrebbe iniziato adesso. Lidia era così. «Ci puoi scommettere!» rispose lei salutandolo con un gesto della mano.
*** “La domenica mattina ci sono meno possibilità di essere visti” aveva pensato. “Sarà che molti dormono, oppure è la Santa Messa che rende tutti meno propensi a fare certe cose”. Aveva parcheggiato l'auto lontano e, pantaloni sportivi, zaino in spalla e scarpe da tennis aveva cominciato a correre – o meglio a passeggiare velocemente – sulla pista ciclabile. Un saluto a qualche altro corridore, un paio di biciclette scansate ed era arrivato allo slargo da cui si dipartiva il sentiero abituale. Si guardò intorno prima di infilarsi tra le vegetazione. Nessuno in vista. Quando arrivò allo spiazzo controllò in giro, evitando la zona dove c'era la mano. Ancora nessuno. Si diresse verso l'angolo alla sua destra e la vide. Si chiese come avesse mai potuto avere dubbi. Si piegò sulle ginocchia e la toccò con lo stecchino di un ghiacciolo; anche se le unghia corte e nere sembravano ancora sul punto di staccarsi, se la ricordava più magra e più scura. Era di un uomo. Sbucava dal terreno fino all'attaccatura del polso, le dita avvizzite, non portava anelli né orologio. Gaetano deglutì e si passò un fazzoletto sulla fronte. Poi, cedendo all'istinto la toccò. Era fredda ma non viscida come se la era immaginata. Ne sfiorò le dita e le stirò cercando di sciogliere la loro stretta. Dopo una leggera resistenza, la mano si aprì. Aveva sperato in un indizio qualsiasi ma trovò nulla. I minuti passavano veloci mentre Gaetano rifletteva. Più volte prese il telefonino dallo zaino per chiamare i carabinieri; aveva anche composto il numero ma poi, prima di premere il tasto verde, ci aveva ripensato. «Cosa cazzo, faccio?» si chiese piano fissando l'estremità muta. Una patina di sudore lo avvolse. Batté le palpebre due volte. Si era mossa? Impossibile. La guardò con attenzione, un uccello attraversò la radura e in, un fruscio, si allontanò verso chissà dove. Gaetano si stropicciò gli occhi e scosse la testa. “Questa storia mi porterà al manicomio” pensò osservando la mano immobile. “Cosa vado a pensare?” L'auto si avvicinò tra gli scricchiolii della foglie secche, le lattine vuote e i cocci di vetro. Gaetano alzò la testa e imprecò sperando che l'autista andasse oltre, o tornasse indietro. Il motore smise di borbottare e i finestrini di abbassarono. Non ci volle molto perché un risolino nervoso e un sospiro basso lo raggiungessero. Decise di rimanere in silenzio e di aspettare: venti minuti e tutto si sarebbe concluso. «Aspetta,» disse il maschio aprendo lo sportello, «devo pisciare.» Il suo cuore perse un paio di battiti. Il cliente era sceso dall'auto e stava venendo verso di lui. Raccolse un pezzo di cartone e coprì la mano, quindi imboccò il sentiero: avrebbe aspettato a debita distanza. Proprio mentre stava uscendo in strada vide una volante ferma nello spiazzo dove di solito stavano le prostitute. E se avessero chiamato qualche pattuglia e fatto una retata? Indossando lo zaino iniziò a passeggiare, come un normale sportivo della domenica, verso di loro.
*** «Cosa stai cercando?» gli chiese Lidia, le sopracciglia arcuate in un misto di curiosità e preoccupazione. «Non trovo il badge» rispose. Gaetano sbuffò alzando gli occhi al cielo: il dubbio che diventava certezza ogni secondo che passava. «A me capita spesso! Credo di averne cambiati cinque o sei da quando sono qui.» «Cazzo!» disse tra i denti. La donna lo guardò esterrefatta: era la prima volta che gli sentiva dire una cosa come quella. Vide il collega alzarsi e passeggiare per la stanza. «E adesso? Come faccio?» «Come fai? Non ti preoccupare. Vai all'ufficio personale e...» «Per favore, Lidia!» la interruppe. La donna lo squadrò stupita. «Certo che sei proprio uno stronzo! Una cerca di essere utile. E tu ti volti come un cane!» si lamentò piccata, la voce di un'ottava più alta del solito. Gaetano ritornò alla sua scrivania e si sedette. Appoggiò i gomiti sul piano e si mise le mani sulla fronte. «Scusami, Lidia. È un periodo che nulla va per il verso giusto. Anche le fesserie diventano problemi enormi» Il cipiglio della donna si distese, poi mostrò il palmo della mano in un gesto di noncuranza. «Non ti preoccupare! Scusami anche tu. Una giornataccia capita a tutti e tu, poi, sei sempre così gentile. Una sbottata te la posso anche concedere!» Gaetano sollevò la testa; Lidia sorrideva. Un brivido lo attraversò dal collo giù fino al ventre. «Okay,» disse andando alla sua scrivania, «mi avevi detto di avere un problema con le icone del desktop. Vediamo che posso fare prima di passare all'ufficio personale.» Il sorriso di Lidia si amplificò. «Bene, era ora! Te lo avevo chiesto la settimana scorsa! Non sei un tipo di cui ci si può fidare, vero?» Spostò la sedia perché Gaetano si avvicinasse. Quando l'uomo le si sedette accanto, il suo odore lo inebriò facendogli quasi dimenticare che aveva visto il badge, per l'ultima volta, dentro la tasca esterna dello zaino.
*** Erano passati tre giorni. Aveva imprecato contro tutti: i vigili urbani con l'autovelox, la guardia di finanza e i loro posti di blocco, gli operai che scaricavano le transenne per la maratona del fine settimana. Ogni giorno aveva letto i titoli del Giornale di Sicilia e di Repubblica. Non avevano ancora trovato il corpo: c'era ancora speranza. Alla fine aveva deciso di stare zitto. Avrebbe raccolto il suo badge – se mai lo avesse davvero perso lì, altrimenti avrebbe solo potuto pregare –, avrebbe cancellato le sue tracce e sarebbe rimasto in silenzio. Del resto chissà da quanto tempo quel corpo era lì. “Proprio io devo avere problemi?” si chiedeva. Era giovedì, avrebbe rischiato troppo di giorno, per questo c'era andato a ora di cena: era estate e faceva buio tardi, aveva tutto il tempo. Imboccò il solito sentiero nella luce spenta del crepuscolo, lo percorse e arrivò alla radura. Quando vide la terra smossa proprio sul punto dove aveva sistemato il cartone, per poco non svenne. Piano, con gli occhi spalancati, e la bocca secca, si avvicinò. Al posto della mano c'era una buca. Profonda una cinquantina di centimetri, di forma irregolare, tutto intorno cumuli di terra misti a foglie secche e immondizia. Il suo primo pensiero razionale era stato “I Carabinieri! Mi hanno fottuto!” Si guardò intorno. Era certo che tra pochi istanti gli sarebbero piombati addosso in quattro e lo avrebbero arrestato. Ebbe il tempo di maledire la sua idiozia decine di volte, prima di rendersi conto che stavano trascorrendo lunghi secondi senza che accadesse nulla. “Telecamere. Mi staranno riprendendo. Poi mi vengono a prendere a casa”, pensò. Sentì un rumore di passi; si voltò pronto all'inevitabile. «Ei aiato, ti aspettao» disse con voce biascicata la figura che avanzava nella sua direzione.
*** L'uomo che aveva davanti era magro, aggrinzito da mille rughe sottili; i lineamenti appena accennati, indecisi come se la carne non avesse scelto cosa diventare. Il suo colorito era una sfumatura indefinita tra il grigio e il rosa. Gaetano fece un passo indietro, pronto a gridare il suo orrore. L'essere invece avanzò, nudo, i muscoli molli, solo peli radi sulla testa. e malfermo come un bambino che sta imparando a camminare. Ancora la voce di prima: «Mi toi oendo, eo?» L'essere allargò le braccia e gli mostrò il ventre scheletrico e la gambe malferme: sembrava uno scheletro a cui qualcuno ha attaccatto, senza troppa cura, della pelle. Gaetano inghiottì; il fiotto acido, tributo della paura, gli bruciò la gola e lo fece lacrimare. «Ma...» riuscì a farfugliare mentre l'altro osservava pensieroso il fosso dal quale era uscito. «Ma, coa?» ribatté. Gaetano era al centro nella radura, immobile, le ginocchia rigide, il respiro mozzato e un calore liquido tra le cosce. Con gli occhi dell'altro fissi sui suoi si trascinava ingoiando lo spazio tra loro. Con uno sforzo di volontà fece un altro un passo indietro. Non riusciva a fare di più: si sentiva come se la sua volontà non fosse più tale. Voleva fuggire. Eppure un pezzetto di lui non voleva e costringeva il cervello a non dare i segnali giusti. «Cosa sei?» chiese Gaetano la voce roca, frutto di corde vocali arrugginite. Il nuovo lui fece altri due passi e si portò a meno di un metro. «Coa sono? Guadati. Io sono te.» Gaetano strinse gli occhi: le orecchie, poco più che due appendici, gli zigomi appena pronunciati, l'accenno di naso dove due buchi oblunghi, campeggiavano tra le guance lisce. I loro occhi si incrociarono. Castani e uguali: fu un attimo ma a Gaetano bastò. Si rivede in quell'abbozzo di essere umano. «Tu sei...me?» bisbigliò. Non ci fu alcuna risposta; come un burattino osservò un dito ossuto puntato verso la sua fronte. Storse gli occhi per seguirlo. Il tocco tiepido e viscido della carne fu l'ultima cosa che percepì, prima di afflosciarsi senza vita tra le foglie e i preservativi.
*** Aprì il portone del palazzo dove abitava Lidia, il suo odore addosso. Percorse l'ultimo tratto di Via Roma; bastarono dieci minuti per arrivare al Politeama. Un ottocentosei di quelli scoperti lo aspettava al capolinea. Il nuovo Gaetano, frutto della terra di Palermo fecondata senza volontà, non aveva alcuna voglia di andare in ufficio e trovò in quell'ammasso di vetro e lamiera arancione la soluzione. Passò accanto l'obliteratrice senza degnarla di uno sguardo e si accomodò su uno dei posti di coda. Mentre l'autobus percorreva il viale principale della Favorita, tre fermate prima della sua, gli si affiancò una donna, il pancione prominente nascosto a stento da un abito prema-man, e la mano sulla schiena. «Mi scusi...» disse indicando il suo posto. La fissò, lei gli sorrise accarezzandosi la pancia. «Perché? Le pea il culo?» rispose Gaetano voltandosi verso il finestrino. Sorrise, parlava meglio, adesso. La donna lo ricoprì di insulti così come molti dei passeggeri. Non se ne curò: tra gli alberi, nascoste ma non troppo, aveva visto due prostitute di colore. Sorrise e si leccò le labbra.
Edited by Alessanto - 11/11/2010, 16:11
|
|