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Bersagli

di Luca Pagnini - thriller (26300 k)

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    BERSAGLI



    ***



    10 settembre 2016



    Questura di Milano
    Poche ore dopo la sua cattura, uno dei terroristi arrestati durante la notte stava già parlando. Costretto sulla sedia di legno, sovrastato dalle domande urlategli in faccia dal poliziotto, l'uomo tremava e l'esaltazione religiosa delle sue parole evocava più il delirio di un folle che la professione di una fede.
    «Non ci fermerete. Il nostro movimento è destinato alla gloria di Dio, noi...»
    «Lascia stare la gloria e dicci chi?», gridò l'agente, «chi volete colpire?»
    Alle spalle del terrorista, un altro poliziotto aprì una cartellina titolata "FCV - Falangi del Cristo Vincente – cellula pedemontana"; dalle carte appena sequestrate, estrasse un foglio in cui lesse il proposito di esasperare il conflitto con il mondo islamico, internazionalizzando la lotta per una "rinnovata civiltà cristiana". Le FCV si ispiravano agli ordini religiosi cavallereschi e trovavano risonanza nelle correnti più estreme dell'ultraconservatorismo cattolico; dopo due anni di attentati, la loro pericolosità era provata.
    «Chi?» ripeté l'agente.
    «Non importa... chi, ma come», farfugliò il falangista, con lo sguardo spiritato, «sarà un sacrificio in mondovisione!»

    Centro di Firenze
    Sul lastricato del ponte Santa Trinità, per un attimo Iacopo Passavanti perse lo sguardo a ovest. A quell'ora la luce tersa mostrava nitidi i lungarni brulicanti di gente indaffarata; nel tardo pomeriggio, un velo di porpora avrebbe dipinto ogni edificio affacciato sull'Arno fino a Ponte Vecchio, incatenandoli nelle immagini da cartolina note in tutto il mondo.
    In via Tornabuoni e in via Strozzi, Iacopo ignorò le vetrine dei grandi marchi e i turisti fermi ad ammirarle. Giunto sotto il portico di piazza della Repubblica, scartò una caramella al rabarbaro ed entrò nella libreria Edison evitando i giovani senegalesi impegnati a vendere copie dell'Iphone 11. Lento, raggiunse lo scaffale di poesia. Dopo aver osservato, prese una raccolta di haiku e salì al bar del primo piano; ordinò un caffè e sedette a sfogliare le pagine. Dalla grande vetrata, ogni tanto osservava pensieroso la piazza post risorgimentale; intanto, su uno schermo al muro opposto, le immagini di un telegiornale passavano silenziose.

    Viale dei Mille, Firenze
    Fermo al semaforo dell'incrocio con via Pucinotti, Enzo Girotto abbassò il volume dell'autoradio che stava diffondendo gli U2 e lesse una locandina della Nazione, appoggiata all'edicola. Grandi caratteri gridavano l'evento del giorno successivo; sotto, un occhiello precisava: "A Firenze primo atto di riconciliazione tra musulmani e cattolici". Quando il traffico ripartì, il cellulare di Enzo squillò.
    «Pronto», rispose lui, con il viva voce.
    «Enzo?» accertò una voce maschile, senza presentarsi.
    «Sì, dimmi».
    «Stasera la personalità non arriva. Sei libero».
    «Niente festa?»
    «Niente».
    «E domani?»
    «Domani resta tutto invariato. Passa di qui più tardi, per i dettagli».
    «Bene. A dopo».
    A comunicazione chiusa, Enzo guardò il telefono e sbuffò, quindi proseguì in direzione stadio.

    Libreria Edison, Firenze
    "Nello stagno sta, – sotto la superficie, – la rana muta." Mentre rifletteva sui versi, Iacopo notò sullo schermo televisivo l'immagine di un personaggio mediorientale accolto da un picchetto militare; chiuso il libro, indossò un paio delle cuffie wireless a disposizione degli avventori e, in un attimo, entrò in contatto audio con la trasmissione.
    "...attesa per l'arrivo del presidente della Repubblica Islamica dell'Iran, Abolhassan Heshami. Com'è noto, appena eletto, il giovane leader ha intrapreso una seria politica di laicizzazione dello Stato, fortemente osteggiata dai fondamentalisti del vecchio regime. Heshami ha poi riallacciato i rapporti diplomatici con l'occidente, rapporti logorati da anni di tensione. Il trattato di amicizia e collaborazione con il nostro paese, che domani sarà siglato a Firenze con il Presidente del Consiglio, sarà il primo di una serie che il premier iraniano firmerà con quasi tutti i più importanti paesi europei. In seguito, il presidente Heshami incontrerà Sua Santità, Papa Benedetto XVII. Eccezionali misure di sicurezza in..."
    La vibrazione del cellulare riportò Iacopo nella libreria. Il numero del chiamante lo riportò al lavoro.
    «Ispettore Passavanti, dov'è?» chiese, autoritario, un uomo.
    «Al Commissariato per...» mentì Iacopo.
    «Non importa, lasci stare tutto. Tra dieci minuti la voglio qui», ordinò l'altro, «Ci sono importanti novità da Milano».
    «Va bene, dottore. Arrivo subito».

    Periferia di Firenze
    Azadeh Girotto appoggiò il soprabito e la borsa sul divano di pelle del salotto, quindi sfilò i tacchi e si affrettò in camera da letto. Decisa, aprì il guardaroba. Con un gesto elegante, le lunghe dita curate sfiorarono i vestiti a uno a uno. Dopo aver scelto un abito da sera verde scuro, lo indossò, quindi si dedicò ai sandali alti e ai monili orientali. Alla fine, i suoi penetranti occhi neri ammirarono il bel profilo sinuoso riflesso nello specchio, e lei sorrise.

    Questura di Firenze
    «A Milano ne sono convinti: le FCV agiranno qui, domani». Mentre parlava, Valerio Mannucci, il dirigente della Digos fiorentina, non stava fermo un attimo; le quattro persone nella stanza rimasero in silenzio. «Secondo loro, l'attentato sarà compiuto da un killer professionista e l'incontro finale tra questi e uno dei mandanti avverrà oggi pomeriggio in periferia». Sventagliando un foglio davanti a sé, il dirigente proseguì: «A completare il pessimo quadro, ci hanno pensato i Servizi Segreti: una fonte gli ha soffiato che in città si aggirerebbe, guarda caso», fece una pausa, «Bino Salvatore».
    «Accidenti! Un committente davvero d'eccezione», commentò uno dei presenti.
    «E inaspettato», aggiunse un altro. «Dopo la strage fallita alla moschea di Roma, pensavo fosse espatriato».
    «Tutti lo pensavamo», chiosò Mannucci, «invece, proprio oggi, alla vigilia di un avvenimento storico, ci ritroviamo tra le palle un pericoloso latitante delle FCV e una minaccia seria di atto terroristico».
    «I milanesi hanno scoperto dove avverrà l'incontro?» sondò l'ispettore Passavanti.
    «No, o meglio, sanno soltanto che si tratta di un appartamento vicino a Scandicci, in qualche strada il cui nome rimanda a un pittore», precisò il dirigente.
    «Ma a Firenze di strade così ce ne sono a decine», sottolineò un giovane commissario, attirando su di sé lo sguardo ironico di tutti i presenti.
    «Pittore?» ripeté Passavanti, «In una telefonata che abbiamo intercettato il mese scorso, un fiancheggiatore delle Falangi parlava di un appartamento sicuro in via Caravaggio, zona San Quirico...»
    «San Quirico è...» accennò Mannucci.
    «Al confine con Scandicci», concluse Passavanti.
    «Centro».

    Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Roma
    «Allora è confermato, dottore. La Digos di Firenze pare abbia individuato l'indirizzo esatto del covo dove Bino dovrebbe incontrare il killer». Il funzionario abbassò il telefono e guardò il suo interlocutore.
    Nel grande ufficio del Viminale, la tensione si allentò.
    «Bene», il Capo della Polizia sembrava soddisfatto. «I Nocs sono pronti?» chiese.
    «Sì, sono già a Ciampino in attesa del nostro via. In poco più di un'ora saranno sul posto».
    «Perfetto, mi faccia passare il loro dirigente al telefono. Non voglio ci siano dubbi sull'importanza dell'operazione e su...» il responsabile della sicurezza nazionale sembrò cercare le parole «...su quanto sia fondamentale che non ci siano vittime, nemmeno tra i terroristi».
    «Beh, è per questo che utilizziamo il Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza, no?» suggerì il funzionario.
    «Giusto», concluse il Capo della Polizia, «anche per questo».

    Periferia di Firenze
    In attesa dei Nocs, un reparto di agenti prese posizione lungo le direttrici più importanti attorno al civico 13 di via Caravaggio; al momento giusto il perimetro sarebbe stato serrato. Nel contempo, diversi uomini e donne della Digos, in abiti e auto civili, si appostarono per osservare l'obiettivo. Niente e nessuno avrebbe più potuto muoversi nell'area senza essere monitorato.

    ***



    Ore 15,42
    In una Hyundai verde oliva di servizio, l'ispettore Iacopo Passavanti masticava, una dietro altra, caramelle al rabarbaro.
    «Vuoi?» chiese, allungando il pacchetto verso il collega più giovane e molto più annoiato di lui seduto alla guida.
    «No, grazie. Secondo me, le mangi solo te queste caramelle», rispose disgustato l’altro, «Quante volte ti ho detto che non mi piacciono?»
    «Non so, quante?» ribatté Iacopo, beffardo.
    Con il viso affilato e trascurato, simile ad alcuni personaggi di Andrea Pazienza, e l'abbigliamento stropicciato di chi vive solo da troppo tempo, Passavanti non sembrava un poliziotto della Digos, la divisione più elegante della Questura. A cinquantadue anni, seppure con i suoi vestiti approssimativi, lui si considerava ancora il miglior investigatore del gruppo occupato a contrastare terrorismo e reati politici in genere.
    «Senti Iacopo», riprese l’autista, dopo qualche minuto trascorso a fissare la strada, «ma, il tuo nome, perché non si scrive con la J?»
    «Perché a mio padre la J ricordava troppo la squadra di calcio che in famiglia non sopportiamo, quindi, per accontentare mia madre, intransigente sul nome, fu trovato il compromesso della I». La storia non era vera, ma, per ora, era la migliore che Iacopo avesse mai inventato per zittire quella domanda ricorrente e stupida.
    «Ganzo», accennò l'altro.
    «Ascolta, Ganzo, io scendo a fare due passi», tagliò il discorso Passavanti. «Se la centrale chiama, sai dove trovarmi».
    «Dove?»
    «A comprare le caramelle».

    Ore 16,36
    Nella loro casa, Enzo Girotto e sua moglie Azadeh stavano di nuovo litigando. L'alterco era scoppiato quando lui, appena rientrato, aveva trovato la donna intenta a provare un abito da sera.
    «Non ne posso più. Hai capito? Non ti sopporto più!» La voce strozzata di Azadeh tradiva la rabbia che non traspariva dai gesti misurati con cui stava riponendo il vestito in un porta abiti.
    «Sei solo una stronza! Se stasera vai a quel ricevimento, non fare la fatica di rientrare», minacciò lui, sapendo bene che Azadeh, interprete ufficiale del consolato, non avrebbe potuto sottrarsi con facilità al gala di benvenuto in onore del presidente Heshami.
    «È solo il mio lavoro», ribadì lei.
    «Non fingere, Aza. L'ho saputo prima di te: il presidente stasera non ci sarà. Tu non ci vai per lavoro!» l'accusò.
    «Parli proprio tu, che non mi dici mai cosa fai, i tuoi orari, dove passi le giornate... Questo è il mio lavoro, fine», scandì Azadeh.
    «Fine lo dico io, non ci vai e basta!»
    «Fatti curare, Enzo. Stasera io va...»
    Lo schiaffo la raggiunse in pieno volto, zittendola.
    Immobile, Azadeh fissò il marito per molti, interminabili secondi. Gli occhi, privi di lacrime, parevano lanciare saette. Quando si voltò di scatto per uscire, i suoi capelli lisci e corvini, raccolti in una lunga coda, frustarono l'aria lasciando un segno tanto indelebile quanto il colpo ricevuto.

    Ore 17,02
    Nel tempo trascorso ad aspettare i Nocs, solo un uomo era entrato nel portone al numero 13, e non era Salvatore Bino. Le persone uscite erano state tutte bloccate e identificate, fuori dalla visuale delle finestre al quinto e ultimo piano dov'era il covo.
    Negli uffici del Commissariato più vicino, la riunione tra il responsabile del nucleo speciale e gli uomini della Questura durò dieci minuti. Le informazioni logistiche e il piano approntato durante il trasferimento aereo da Roma furono illustrati con poche battute. Con l'aiuto di una mappa catastale, l'ispettore Passavanti dimostrò di conoscere ogni dettaglio dello stabile; anche per questo, al momento dell'assegnazione degli incarichi, ricevette l'onore di entrare nel rifugio dei terroristi subito dopo i Nocs.
    «Mi raccomando, collega, tieni giù la testa. Questo non ti servirebbe a nulla se la alzassi nel momento sbagliato», gli disse un parigrado del nucleo speciale, passandogli un giubbotto antiproiettile in fibra dyneema, il primo che Iacopo avesse mai toccato in vita sua.
    «Ci puoi scommettere. Ma siamo sicuri che questa sottiletta regga un colpo di pistola?», replicò lui, tastando la protezione.
    «Ha un livello di protezione IIIA, fino alla Magnum siamo al sicuro».
    «Okay», sibilò, poco convinto, Passavanti. Poi, scartando un'altra caramella, concluse: «Quando entriamo?»

    Ore 17,08
    Enzo si era già pentito. Prima di allora non aveva mai alzato un dito su Azadeh. Guardò la foto del viaggio di nozze, sul comò, e storse la bocca; dov'era evaporata quell'allegria?, si chiese.
    Nata in Italia da una coppia di iraniani fuggiti durante la rivoluzione del '78, Azadeh era bella, intelligente e irrequieta. Per lei, musulmana osservante, Enzo aveva interrotto i rapporti con i suoi genitori cattolici, altrettanto ferventi.
    Il primo anno di matrimonio era filato via liscio, poi lui aveva iniziato a essere ossessionato dalla gelosia. Ora, a tre anni dalle nozze, non sopportava più l'indipendenza di Azadeh, il suo lavoro e quelle assenze di giorni senza dare tante spiegazioni.
    Disteso sul loro letto ancora disfatto, Enzo osservò il soffitto. Con le dita ad attorcigliare la coperta, la mente vagò tra un pensiero e l'altro senza trovarne uno positivo. Immaginando il giorno dopo pesante e troppo lungo, in breve si assopì.

    Ore 17,25
    Dal canale criptato delle radio, l'ordine risuonò chiaro negli abitacoli; gli agenti spostarono i mezzi e bloccarono le strade. Un minuto dopo, un gruppetto formato da cinque agenti in divisa, due in borghese – tra i quali Passavanti – e sei specialisti, in tuta militare nera e mephisto, penetrò nel palazzo di via Caravaggio passando dai garage sotterranei, accessibili anche dalla parallela via Tiziano. Nello stesso istante, un elicottero si avvicinò alla verticale sull'obiettivo.
    L'appartamento era dietro una semplice, ma solida, porta blindata. Per irrompervi, senza concedere il tempo di una difesa, un ariete non era funzionale, serviva una detonazione ad alto potenziale. Prima di procedere, quindi, gli agenti in divisa evacuarono gli inquilini dal palazzo, tranquillizzando i più ansiosi e sollecitando i più lenti.
    Durante i minuti dello sgombero, l'artificiere del Nocs attaccò cinque cariche di C4 su altrettanti punti, considerati deboli, della porta all'interno 5A.
    Se fosse stato al cinema, Passavanti avrebbe riso di quella strana partita a scacchi. Invece, era di nuovo alle prese con un'irruzione, dopo molti anni dalla sua ultima volta; teso, non rise affatto.
    Mentre una goccia di sudore gli rigava una tempia, il detonatore venne innescato.

    Ore 17,30
    Enzo Girotto si svegliò di soprassalto.
    Forse aveva sognato, ma non lo ricordava.
    Quasi il sonno di pochi minuti l'avesse rigenerato, si sentiva meglio.
    Si alzò, si spogliò senza accendere le luci ed entrò in doccia.
    Magro, con la muscolatura allenata, sotto l'acqua calda canticchiò "With or without you" degli U2. Con l'asciugamano in vita, radendosi allo specchio, provò una sorta di apologia: «Scusami, Azadeh, sì, scusami per la lite e scusami per lo schiaffo, non succederà mai più, mai più. Ti prometto... ti prometto che non avrò più segreti per te, anzi... ti giuro che domani sarà l'ultimo giorno in cui imbraccerò un fucile. L'ultimo... Ti vuoi trasferire? Ci trasferiamo... Vuoi cambiare vita? La cambiamo... Vuoi un figlio? Lo facciamo... Perdonami, Aza, perdonami oggi e tutto andrà bene».
    Con l'ultima passata di rasoio, oltre alla schiuma, dal volto sparì anche l'espressione contrita con cui era stato declamato il monologo. Al suo posto, un sorriso raggiante riempì lo specchio.

    Ore 17,31
    Divelta dai cardini, la porta cadde all'interno portandosi dietro un pezzo di muro. Appostato al piano inferiore, Passavanti si aspettava una fiammata spettacolare, invece di spettacolare ci fu solo il suono, il boato che si propagò per la tromba delle scale come un terremoto. Ecco il perché dello stabile sfollato; se non avesse avuto i tappi nelle orecchie, lui stesso avrebbe di certo perso l'uso dell'udito per chissà quanto tempo.
    Protetti da caschi e giubbotti antiproiettile, con le pistole mitragliatrici MP7 pronte a sparare, i Nocs scattarono nell'abitazione attraverso una nuvola di polvere e fumo. Dal pianerottolo, nonostante i tappi, Passavanti udì chiara la serie dei "libero!", gridati con cadenza quasi meccanica dagli agenti incursori. Le sei stanze del covo furono perlustrate in meno di otto secondi.
    Quando dall'interno dell'appartamento fu invitato a entrare, senza che nient'altro fosse accaduto, Iacopo capì di aver avuto una paura boia per nulla.

    Ore 17,48
    Enzo Girotto prese la moto e, scivolando nel traffico come un'anguilla, raggiunse l'ufficio per controllare l'ordine di servizio del giorno successivo.
    Prima di entrare in Questura provò a chiamare Azadeh, ma il suo cellulare risultò irraggiungibile.
    Starà lavorando per domani, pensò.
    «Sovrintendente Girotto...» l'agente dell'Ufficio Servizi cercò il nome scorrendo con l'indice una lista appoggiata sulla sua scrivania: «Eccola qua! Turno otto quattordici. La postazione la sapeva già, vero? Il tetto del palazzo Generali...»
    «Sì, sono di fronte al palco», lo interruppe Girotto.
    «Così vedrà bene sua moglie. È l'interprete dell'Iran, vero?»
    «Del consolato», precisò. «Sì, starà accanto al presidente Heshami per tutta la cerimonia. Vigilerò su entrambi», disse, gioviale.
    «In pratica lavorerà con sua moglie», commentò l'addetto ai servizi, «come se foste colleghi, vero?»
    «Vero», ripeté Girotto, sottolineando l'intercalare tipico dell'agente con un sorriso. «È la prima volta che succede e sarà anche l'ultima», concluse salutando.

    Ore 18,26
    Entrando in Questura, l'ispettore Iacopo Passavanti incrociò il sovrintendente Enzo Girotto mentre usciva con un sorriso enorme stampato in faccia.
    «Tutto bene, Enzo? Mi sembri... euforico?»
    «Lo puoi dire forte» rispose Girotto che, adombrandosi, chiese: «Ho saputo che siete andati a caccia, com'è andata?»
    «Un buco nell'acqua, lasciamo stare... Domani sei dei nostri?»
    «Sì».
    «Dove ti hanno parcheggiato stavolta?», ironizzò Passavanti.
    «Sul tetto delle Generali».
    «Di fronte al palco. Bello, no?»
    «Sì, anche perché sarà il mio ultimo appostamento».
    «Cioè?» curiosò l'ispettore.
    «Cambio vita, Iacopo, quella del tiratore scelto non fa più per me. Ci mettessero i giovani a prendere l'acqua sui tetti, oppure a cuocere d'agosto. Io ho già dato».
    «Accidenti! Questa sì che è una sorpresa. E che farai?»
    «Non lo so. Vedremo con Azadeh».
    «Beh, allora auguri».
    Dopo essersi salutati, salendo le scale Passavanti sentì mordere il dolore alla cervicale che l'assillava da anni. Non sapeva cosa avesse spinto Girotto a prendere la decisione di dare una svolta alla sua carriera, però lo invidiava.

    Ore 19,05
    Quando Passavanti entrò nell'ufficio, Valerio Mannucci stava parlando con altri tre funzionari della Questura.
    «Proprio lei ispettore, venga. Ci illumini», lo esortò il suo superiore.
    «Poco, dottore», attaccò caustico Passavanti. Quindi riassunse: «Il covo è arredato e in disordine, sembra essere stato abitato solo per pochi giorni. Quelli della scientifica sono ancora al lavoro, ma oltre alle tante impronte digitali e al block notes, non pare ci sia altro. Come sapete, le ditate lasciate da Bino sono già state individuate, per cui di lì c'è passato di sicuro».
    «E i testimoni? La proprietà?» domandò, serio, il responsabile della Digos.
    «Secondo gli inquilini dell'appartamento accanto, l'interno 5A è stato vuoto per anni, però oggi hanno sentito sbattere la porta verso le quindici e trenta, quindi poco prima del nostro arrivo in zona. Nessuno ha notato estranei nel palazzo, tranne noi, ovviamente...» Qualcuno ridacchiò; Passavanti proseguì: «L'atto notarile per l'acquisto della casa è stato perfezionato dieci mesi fa da un prestanome già presente nei nostri archivi, ma non l'abbiamo ancora rintracciato».
    «Ci parli dell'appunto impresso sul block notes», ordinò uno dei funzionari.
    «Purtroppo, chi ha scritto non ha calcato abbastanza la penna. Con scanner e PC sono comparse delle linee, che sembrano comporre una mappa, e questa serie di lettere intervallate da spazi», l'ispettore prese un foglio e scrisse: T__TO__NZ__NO__S__RR, quindi lo mostrò ai presenti e spiegò: «Stiamo cercando di decifrarne il senso, per ora siamo solo al presunto TETTO iniziale».
    Per qualche minuto nella stanza ci fu un susseguirsi di suggerimenti, poi Mannucci pretese silenzio e annunciò: «Il programma resta invariato. Il Ministro ha detto al Questore che per fermare la cerimonia di domani deve accadere ben altro...»
    «Ma, dottore...» provò a intervenire Passavanti.
    «Lo so, ispettore, è un rischio», proseguì l'altro, «ma quando c'è di mezzo la politica non c'è sicurezza che tenga. Gli iraniani vogliono questa firma, il nostro Governo pure, e la vuole a tutti i costi domani, per il quindicennale delle Torri Gemelle. I primi a firmare un trattato con l'Iran, la rappacificazione tra cattolici e musulmani, v'immaginate il nostro Premier?» Nessuno rispose. «Bene, gli estremisti delle due parti odiano Heshami in egual misura, a noi non resta da fare che il nostro dovere. Lei e i suoi, ispettore, valutate ogni pista possibile, domattina voglio delle risposte».
    Lungo il corridoio, fino al suo ufficio, Passavanti valutò la pista che conduceva al mare, dove fuggire definitivamente. Invece, appena dentro, sedette alla scrivania e iniziò a incastrare lettere.


    11 settembre 2016



    Ore 8,05
    Nel piazzare il fucile sul treppiede, Girotto imprecò tra sé. La sera prima sua moglie non era rientrata, e nonostante l'avesse cercata da amici e parenti, ancora non l'aveva rintracciata. Verso l'una, dopo l'ennesimo tentativo al cellulare, era perfino andato all'hotel Excelsior, dove il ricevimento stava finendo. Grazie ai colleghi in servizio per la sicurezza, era riuscito ad accedere all'attico affacciato sui lungarni, ma Azadeh se n'era già andata.
    La rabbia lo stava rodendo. Quando lui aveva deciso di andarle incontro, lei era scomparsa di nuovo. Dove? E, soprattutto, con chi? Non gli restava che aspettare. Dopo aver predisposto al tiro il fucile di precisione, Enzo afferrò il binocolo e iniziò a perlustrare la piazza.

    Ore 8,12
    Durante la bonifica della piazza, Passavanti si fermò a scartare una caramella e a guardare il palco da dove il Presidente del Consiglio e il presidente Heshami avrebbero tenuto i loro brevi discorsi dopo la firma. Montato sull'arengario di fronte a Palazzo Vecchio, con decine di bandiere delle due nazioni a incorniciare la pedana, la scenografia era perfetta per uno spot mondiale a Firenze, all'Italia e all'Iran rinnovato. Decine di telecamere erano già appostate, intanto i primi curiosi iniziavano ad aggirarsi nella piazza scrutando il set. Solo lo sguardo del David di Michelangelo, rivolto alla parte opposta, sembrava disinteressarsi dello spettacolo.
    Nella nottata, non c'erano state novità.
    Per ore, in tre avevano cercato di dare un senso ai segni impressi sul foglio del blocco. L'unico risultato significativo era stato: TETTO LANZI, NO SBIRRI, per cui era stata aumentata la vigilanza nel terrazzo sopra la Loggia dei Lanzi, dominante il lato sinistro del palco.
    Per il resto non era emerso altro.
    Bino ormai era scomparso, ma aiutato da chi?
    Passavanti sospettava che in Questura ci fosse un infiltrato; l'intuizione, taciuta per evitare inutili cacce alle streghe, gli era venuta in mente non appena aveva varcato la soglia dell'abitazione di via Caravaggio. Chiunque se ne fosse andato da lì, l'aveva fatto troppo in fretta, come se avesse saputo di non avere tempo.

    Ore 11,25
    All'improvviso la vide. Dopo aver vagato con lo sguardo per ore, Enzo individuò Azadeh all'angolo con via dei Magazzini. Indossava un ampio abito scuro mai visto prima e sembrava aspettare qualcuno, che infatti arrivò di lì a poco. Lei spinse subito lo sconosciuto dietro l'angolo da dove era apparso; fu un attimo, ma bastò a mostrare a Enzo che l'uomo, un mediorientale, aveva salutato sua moglie baciandola sulle labbra.

    Ore 12,13
    Con alcuni minuti di ritardo, i due statisti uscirono da Palazzo Vecchio. Oltre alla scorta, Heshami era accompagnato da un'interprete che gli avrebbe tradotto il discorso improvvisato dal Capo del Governo italiano.
    Dietro alla folla, dal marciapiedi antistante il palazzo delle assicurazioni Generali, Passavanti riconobbe la moglie di Girotto.
    Girotto, che avrebbe cambiato vita.
    Enzo... sul tetto di fronte al palco.
    Di colpo, Passavanti estrasse di tasca il foglio con annotate le lettere e immaginando le parti mancanti lesse: TETTO, ENZO NO SBIRRO. Enzo non è un poliziotto? Impossibile, non poteva essere lui. D'istinto, però, alzò lo sguardo. Contro il cielo, vide la canna del fucile di Girotto che sporgeva dalla balaustra e puntava verso l'unica zona che non doveva: il palco. Senza perdere tempo a chiedere aiuto, Iacopo si precipitò nel palazzo e attaccò di corsa i quattro piani di scale.

    Ore 12,14
    Ce l'aveva lì, proprio al centro del mirino telescopico; era un tiro da principianti. Doveva solo fare un semplice gesto con l'indice e sarebbe cambiato tutto. Enzo inspirò e si preparò a sparare.

    Ore 12,15
    Iacopo Passavanti sbucò sul tetto del palazzo ansimando. Concesse ai polmoni un paio di secondi, poi gridò: «Enzo!»
    Girotto, disteso col fucile, non si mosse.
    «Fermo! Non lo fare», gli intimò l'altro, con la pistola in mano. «Non lo fare. Togli le mani dal fucile e rotola sulla schiena! Ora!»
    Lento, come lo poteva essere solo un tiratore scelto abituato a gesti precisi, Girotto lasciò la presa sul fucile e si girò con le lacrime che gli segnavano il volto.
    Passavanti avanzò e scalciò l'arma che cadde dal suo sostegno.
    «Non hai sparato, vero? Dimmi che non hai sparato!»
    «No, non ce l'ho fatta», singhiozzò Girotto, « Io l'amo...»
    «Cosa vuol dire l'ami? Chi?» chiese Passavanti, confuso.
    «Mia moglie...»
    «Tua moglie? Che ca...»
    Il fragore che salì dalla piazza fu impressionante. Passavanti barcollò, poi, senza perdere di vista il collega ancora disteso, si affacciò.
    Sul palco, dove poco prima c'era il podio dell'oratore, ora c'era una voragine di circa due metri di diametro circondata da corpi smembrati e sangue. Tra chi saliva per soccorrere e chi strisciava per allontanarsi, la confusione era totale. Intanto nella piazza la gente spingeva e correva in tutte le direzioni. Molti cadevano e venivano calpestati, tutti gridavano.
    «Ma... cosa?» bisbigliò Passavanti, davanti al caos.
    La voce concitata proveniente dalla radio di servizio, che Girotto teneva a volume alto accanto al fucile, fermò il respiro a entrambi: «A tutte le unità! C'è stata un'esplosione! Evacuate la piazza! L'interprete si è fatta saltare in aria!»

    Edited by black cat walking - 18/11/2010, 09:23
     
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