La lunga notte della Cosa Enorme
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La lunga notte della Cosa Enorme

Creature Feature horror story - 39200 caratteri

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    Salve gente eccomi a proporvi un racconto che spero vi diverta (è l'unica pretesa), scritto nelle ultime 48 ore tra tachipirina, stitichezza (ehm...) e un fracco di sigarette. vi piacciono i vecchi B-Movies? Amate i polizieschi? Non avete nulla di meglio da fare? Allora preparatevi a...

    La lunga notte della Cosa Enorme




    MARIUCCIA

    Ce ne stiamo nascosti in soffitta, quasi non respiriamo. Ci siamo barricati qui dopo che Raffaele è stato preso e trascinato fuori dalla finestra, dopo che Mimmo ha sparato due colpi con il fucile, dopo che Saro ha perso la voce a furia di abbaiare alla notte. Dabbasso ora è tutto tranquillo, ma sappiamo che le escrescenze della cosa strisciano sotto i tavoli e sui tappeti, negli angoli delle stanze, sulle mattonelle della cucina. Muovendosi come vermi ciechi frugano il buio, tastano, si attorcigliano intorno a qualsiasi cosa possa ricordare una gamba, un braccio, il corpo di un essere umano. Tra noi e loro ci sono solo dieci gradini, un corridoio e questa porta chiusa col catenaccio. La casa ha due piani. Il primo non ci appartiene più da quasi un'ora.
    Dev'essere colpa di papà, che Dio lo stramaledica. Mentre vedo Mimmo accendersi una delle sue ultime sigarette ripenso alle frasi smozzicate che il vecchio sussurrò sul letto di morte, al tono di scusa che credetti di leggervi. Delirava, dissero tutti, non era più in sé. Parlava di una colpa terribile, della sua anima destinata all'inferno, di sangue e cadaveri. Parlava della mamma, morta quando io avevo solo sei anni. Mai trovata. Scomparsa come brina al mattino.
    ‏– Pensi che l'abbia uccisa lui? ‏– Mimmo torna a leggermi nel pensiero come quando eravamo ragazzini e indovinava i miei stati d'animo, allora gli bastava uno sguardo per capire se avevo rotto con il fidanzato di turno o avevo preso un brutto voto a scuola. Attende la mia risposta senza muovere un muscolo, il puntino rosso della cicca gli illumina il viso a ogni boccata.
    ‏– L'hai vista anche tu ‏– gli dico rabbrividendo. Annuisce e controlla per la centesima volta che il fucile sia carico.
    L'ha vista anche lui. L'abbiamo vista tutti. Eravamo a cena intorno al grande tavolo, noi tre fratelli e il nostro unico cane. All'improvviso c'è stata come una scossa di terremoto, la vecchia casa è sobbalzata come per uno spavento e si è messa a ballare il twist. Il frigorifero è caduto, la credenza si è aperta e ha vomitato stoviglie, la luce è andata via con un crepitio secco. Muovendomi a tentoni ho recuperato alcune candele e le ho accese con un fiammifero, mentre Raffaele accarezzava Saro per cercare di calmarlo. Mimmo si è attaccato al telefono e ha chiamato la polizia, non so perché. Non si chiama la polizia quando c'è una scossa di terremoto.
    Era come se avesse avuto un brutto presentimento. L'ho visto andare verso l'armadietto delle vecchie armi da caccia e prendere il fucile di papà, poi correre verso una delle finestre e appostarsi come un cecchino. La campagna fuori era un groviglio di ombre, la città un presepe illuminato al di là della valle. Tra noi e il primo avamposto di civiltà, solo chilometri e chilometri di terra coltivata a verdura.
    La seconda, la terza e la quarta scossa si sono susseguite con una tale rapidità da atterrirci. Saro si è divincolato dalle braccia di Raffaele ed è scappato a nascondersi dietro una cassapanca, lo sguardo fisso alle crepe che nascevano sull'intonaco. Ho proposto di uscire fuori prima che il soffitto ci crollasse in testa, ma Mimmo ha detto di no. Lo ha detto senza smettere di guardare fuori, con i denti scoperti e gli occhi così spalancati che parevano volergli saltar via dalla faccia. Il terremoto si è trasformato in una sequenza di tonfi. La cosa peggiore è stata accorgerci che venivano verso di noi.

    MANARDI

    Se c'è una cosa che mi sta sul cazzo sono le epifanie. Joyce diceva che le epifanie sono l'unico momento in cui l'autentica essenza del mondo si manifesta, ma io le detesto. Arrivano quando meno te l'aspetti, ti costringono a pensare, innescano una serie di conseguenze che non sai mai a cosa porteranno. Uno ci può scrivere dei libri sulle epifanie, e farci pure bei soldi, ma la verità è che nella vita reale sono una gran rottura di coglioni.
    Mezz'ora fa me ne stavo col culo comodo nella mia poltrona al commissariato, bevevo caffè e sfogliavo il quotidiano fresco di stampa. Squilla il telefono, l'agente del centralino (gran figa, prima o poi me la faccio), risponde: dall'altra parte c'è questo bifolco di un campagnolo che biascica cazzate su un terremoto, dice che è saltata la corrente elettrica e che ha un brutto presentimento. Chiede che mandiamo una volante, sembra che abbia davvero paura. Dice che vivono isolati da tutto e che sta per succedere qualcosa. Cagasotto.
    Io sono l'ispettore di turno e col cazzo che mi schiodo da questo calduccio per andare a tenere la mano a uno zappaterra, se c'è un lato positivo in questa faccenda di avere i gradi è che puoi delegare rotture del genere ai semplici sbirri. Sto per affibbiare la rogna a un paio di sbarbatelli insonnoliti quando la figa pronuncia ad alta voce il cognome del contadino, e allora arriva l'epifania. Gusano, si chiama il tizio. Mimmo Gusano. Qualcosa mi balena nel cervello e mi ricordo di un caso insoluto, una brutta storia risalente a dieci anni fa della quale mi occupai a inizio carriera. C'era questo Mario Gusano, una specie di cavernicolo analfabeta che viveva con la famiglia nei campi fuori città. Un tizio all'antica, tirato su a pane e cipolle, vocazione patriarcale e cinghia sempre in pugno per dar forza ai suoi pochi argomenti. Vecchio, brutto, di poche parole. Sguardo da ritardato, probabilmente figlio di un fottuto incesto. Un giorno gli scompare la moglie, non la si trova da nessuna parte. È lui stesso a chiamare in centrale e la cosa basta a insospettirci. Otto volte su dieci, nel tentativo patetico di crearsi un alibi, è proprio l'assassino a denunciare avvenimenti del genere. Lo fanno perché si credono furbi, sperano di poter sviare le indagini e salvarsi il culo. Otto volte su dieci ci basta il primo interrogatorio per smascherarli. Con Gusano non andò così bene.
    Quando arrivammo sul posto, in quella casa decrepita in mezzo ai terreni, capimmo subito che sarebbe stata dura riuscire a vederci chiaro. I tre figli del Gusano quella mattina si erano svegliati tardi e non avevano trovato la madre in cucina, sulle prime avevano creduto che fosse andata a dar da mangiare ai maiali e non si erano preoccupati. Verso mezzogiorno avevano cominciato a sospettare qualcosa, così erano corsi a chiamare il babbo che lavorava nei campi dalle prime luci dell'alba. Appena conobbi Mario Gusano gli lessi su quella faccia da testicolo raggrinzito che era stato lui, ma non c'era nulla che potesse aiutarmi a incriminarlo: non aveva le mani sporche di sangue, non c'erano segni di lotta sul suo corpo, nessun indizio di una colpevolezza che pure gli leggevo negli occhi. Provai a irretirlo con qualche domanda, ma era freddo come il ghiaccio e non si contraddisse mai. Sorrideva, il bastardo, mentre mi snocciolava una balla dietro l'altra con la naturalezza di un serial killer. Avrei voluto spaccargli il muso e fargli sputare la verità insieme ai pochi denti che gli restavano, invece mi toccò setacciare il suo squallido appezzamento alla ricerca di un cadavere che non fu mai trovato. Dopo quasi tre mesi passati a fare buchi nell'acqua abbandonammo il caso e lo seppellimmo nella pila degli irrisolti, chiuso in un fascicolo giallo dal quale non è mai uscito. Succede, a volte. Come succede che una telefonata notturna ti riporti alla mente un fallimento di gioventù.
    Così adesso sono su questa cazzo di macchina, insieme a due agenti rimbambiti dal sonno, e sto viaggiando fuori dalla città. Non so cosa mi aspetto di trovare, ma voglio guardare in faccia il figlio di Gusano e chiedergli cosa cazzo è successo. Una parte di me spera in una rivalsa, sarebbe una bella soddisfazione chiudere quel caso e spostarlo nel cassetto delle vittorie. Già mi vedo il titolo sui giornali: “Terremoto riporta alla luce il corpo di donna scomparsa: l'ispettore Manardi il primo a fare la scoperta”. Non male, proprio non male. Il genere di colpaccio che ci vuole per impressionare i superiori, garantirsi un aumento di stipendio e portarsi a letto la puledra che risponde al telefono.

    MIMMO

    Mariuccia sta piangendo. Vorrei abbracciarla, ma ho paura a lasciare il fucile. In questa soffitta che puzza della sua lacca, del mio sudore e della merda di Saro sembra che i minuti si trasformino in giorni, ho perso la cognizione del tempo. Non dev'essere passata neppure un'ora da quando ho telefonato alla polizia, eppure mi sembra un avvenimento lontanissimo. Dopo, le cose sono accadute con una tale velocità che se ci ripenso mi sembra di aver vissuto in un sogno. I colpi che si avvicinano e scuotono la terra, Mariuccia con la bocca spalancata per lo sgomento, Saro che ringhia dietro la cassapanca con la bava tra le gengive. E poi la finestra accanto a me che scoppia in frantumi, quelle cose nodose che afferrano Raffaele e se lo portano via sollevandolo come se fosse fatto di carta. Ho guardato fuori, nella direzione in cui scompariva mio fratello minore: quello che ho scorto nel buio non so descriverlo, non voglio ricordarlo per il terrore che il mio solo pensiero possa servire a farlo materializzare qui dentro. Ho gridato a Mariuccia di restare dov'era e sono corso verso l'ingresso con Saro, ho spalancato la porta e ho sparato alla notte, alle ombre, alla cosa mastodontica che girava intorno alla casa muggendo come una vacca da incubo. L'ho vista bene, e l'ha vista anche il cane. Fino a oggi non credevo che gli animali potessero impazzire per la paura, ma mi basta guardare gli occhi di questa povera bestia in preda a una diarrea isterica per capire che mi sbagliavo.
    Le cartucce calibro dodici le hanno fatto il solletico. Non è di carne, eccetto il viso. L'ho vista sollevare Raffaele verso l'alto e scuoterlo come un pupazzo, l'ho sentita ragliare come un somaro mentre gli spezzava tutte le ossa facendolo ballare a sei metri dal suolo. Là, sulla soglia, davanti allo spettacolo del mio fratellino che si sfaldava e cadeva in pezzi sull'erba umida, ho ricordato tutte le volte che da bambino lo tormentavo quando non voleva obbedirmi. Le angherie, le vessazioni, i pomeriggi in cui lo rincorrevo tra i cavolfiori e lo raggiungevo tra i pomodori, glieli spiaccicavo sulla faccia e lo costringevo a mangiarseli. Mariuccia che arrivava sudata, scarmigliata, e mi rimproverava dicendomi di lasciarlo in pace. Io che infilavo una mano tra i capelli di Raffaele e gli sorridevo, gli regalavo un pezzo di cioccolata. La prima sigaretta che gli ho fatto fumare. La prima volta che gli ho prestato un preservativo. La festa per i suoi diciotto anni, con la mamma così commossa. Lui era il suo preferito. Diceva sempre che doveva continuare gli studi e che le avrebbe dato tante soddisfazioni.
    Sono rimasto lì a guardare Raffaele che pioveva un poco alla volta, finché tutti i suoi pezzi non si sono ritrovati a galleggiare dentro una pozza scura. La cosa si è piegata su ciò che restava di lui e ha cercato di accarezzargli la testa, ha provato a chiudergli gli occhi e glieli ha schiacciati nelle orbite come olive. Dopo si è voltata verso di me e io sono scappato dentro, ho afferrato Mariuccia e l'ho portata di sopra, verso la soffitta. Sulle scale ci siamo fermati, paralizzati dal fragore di mura che crollavano. Ci siamo voltati e abbiamo visto la cosa che cercava di entrare, troppo grande per passare attraverso la porta. Mariuccia l'ha riconosciuta e ha cominciato a urlare, urlava così forte che m'è venuta voglia di essere sordo. Urlava ancora quando ho aperto la porticina della soffitta, non la smetteva mentre cercavo il catenaccio, mentre Saro si accucciava in un angolo e cagava battendo i denti. Ho dovuto darle uno schiaffo per calmarla. Dopo, per un po', c'è stato solo il silenzio.

    MANARDI

    Più o meno in corrispondenza dell'uscita nord della tangenziale, mentre ci lasciavamo alle spalle i casermoni di cemento della periferia, ho chiamato il commissariato dal mio cellulare. Mi ha risposto la figa, le ho chiesto di fare una breve ricerca su Mario Gusano. Con quella sua voce da pornostar mi ha detto che il vecchio è schiattato cinque anni fa per una polmonite acuta, i figli adesso vivono da soli nella casa al centro del nulla. Peccato. Mi sarebbe piaciuto guardarlo in faccia mentre gli mettevo le manette, dirgli che non era poi tanto furbo e che i nodi prima o poi vengono al pettine. Sempre che le mie speranze non siano disattese. Sempre che stiamo davvero andando lì a risolvere un caso freddo e non solo a tranquillizzare questi vaccari spaventati da un terremoto fantasma.
    I due pulotti che mi accompagnano si chiamano Grenza e Valzini. Grenza ha la pelata e i baffi da ragioniere, le dita cicciotte e un'espressione da tricheco un po' idiota. Non ha mai sparato un colpo in vita sua e credo ne vada fiero, il lardo che gli straborda dall'uniforme lo rende più adatto a impersonare Babbo Natale in un supermarket che a dar la caccia ai delinquenti. È alla soglia della pensione, povero stronzo. Vent'anni di servizio e ancora gli fanno fare il turno di notte.
    Valzini è quello giovane, quello senza esperienza che nei film salva i colleghi con l'azione che non ti aspetti. Ha il naso a goccia e gli occhi da pesce, non ci vede quasi un cazzo e tartaglia come una macchina da scrivere. Uno zio assessore gli ha fatto passare il concorso ed eccolo qui, abile e arruolato, con il cappello storto sopra la testa e il chewing-gum tra i denti a scimmiottare Al Pacino. Mi avrà chiesto almeno dieci volte se può inserire l'ultimo dei Negramaro nell'autoradio. Alla prossima gli rifilo una nota di demerito.
    Quando ormai intorno a noi non ci sono che campi, qualche agriturismo e un sacco di cespugli, ci imbattiamo in un SUV parcheggiato di traverso in mezzo alla strada. Grenza inchioda sul freno e mette in folle, Valzini che si era appisolato si risveglia con una bestemmia. Furioso, apro lo sportello e mi preparo a dare una lavata di capo a quelli che immagino essere un paio di giovinastri ubriachi, ma quando vedo le giacche nere e le mani guantate perdo tutta la boria e comincio a sudare freddo.
    ‏– L'ispettore Manardi? ‏– mi fa uno dei due, sventolandomi il distintivo sotto il naso. ‏”Servizi Segreti”, leggo alla luce dei fari accesi. Le ginocchia mi diventano di marzapane e quasi mi piscio nelle mutande.
    ‏– Abbiamo intercettato una telefonata diretta al vostro commissariato e proveniente dalle campagne qui intorno ‏– spiega l'altro senza darmi il tempo di aprire bocca. ‏– Si tratta di una faccenda coperta dal segreto di stato, non è di vostra pertinenza. Vi invitiamo, per il bene della sicurezza nazionale, a tornare indietro e dimenticare quanto accaduto.
    Sono gelidi come robot, sono armati e non hanno l'aria di chi ami ripetere più di una volta lo stesso concetto. Sulle prime il panico mi consiglia di infilarmi in macchina e ordinare a Grenza di ingranare la retro, ma poi una rabbia orgogliosa comincia a ribollirmi all'altezza dello stomaco. Chi sono questi due manichini per dirmi quello che devo e non devo fare? Con quale autorità del cazzo si permettono di tagliarmi fuori da un'indagine che mi spetta di diritto? Sicurezza nazionale un paio di maroni, se ci sono loro di mezzo vuol dire che si tratta di affari grossi. E sporchi. Quel genere di affari che solo gli ispettori di polizia, ligi al dovere e forse un po' eccitati dal caffè, possono sperare di risolvere. “Manardi scopre il vaso di Pandora e rivela l'intrigo del secolo”: a sei colonne su tutte le prime pagine. Figa come se piovesse. Interviste ai talk show.
    ‏– E se non volessi andarmene? ‏– mi sento dire come se mi ascoltassi da fuori. I due James Bond ficcano all'unisono le mani sotto le giacche.
    ‏– Tutto a posto, ispetto'? ‏– Grenza cerca di uscire dalla volante, resta per un momento incastrato con la pancia tra lo sterzo e il seggiolino e alla fine riesce a districarsi. Dall'altra parte, stropicciandosi gli occhi, compare pure Valzini. Siamo in superiorità numerica adesso, tre contro due. Sembra la sfida all'O.K. Corral tra i replicanti di Blade Runner e la combriccola dei fratelli Marx.
    ‏– Le illustro brevemente la situazione, agente Grenza: ‏– dico a voce alta, sfidando con lo sguardo i due Terminator ‏– Siamo nel bel mezzo di un conflitto tra poteri, da una parte la Polizia di Stato e dall'altra il SISMI. Questi due signori ci hanno appena intimato di non rispondere a una richiesta di soccorso, contravvenendo al nostro preciso dovere. Lei cosa ne pensa?
    ‏– Non mi pare una cosa buona ‏– mi fa morire con quella sua aria da bambinone impacciato. ‏– Voglio dire... con tutto il rispetto... se quel Gusano ha chiamato noi...
    ‏– Nessuno vi ha mai chiamati ‏– lo interrompe uno degli zerozerosette. ‏– Lei farà bene a rimuovere dalla sua mente gli avvenimenti di questa notte, compreso il nostro incontro. In caso contrario, agente Tullio Grenza, sua moglie e le sue due figlie potrebbero andare incontro a un brutto incidente.
    Ora, quello che non vi ho detto è che Grenza è sposato. Ha una moglie piccola e fragilina che ama con l'entusiasmo di un liceale e due splendide ragazze di sedici e ventun anni per le quali stravede. Grenza lo puoi chiamare “sacco di merda” e “vecchio ciccione”, puoi prenderlo per il culo nascondendogli una mortadella sotto il berretto o disegnandogli sorrisi sulla pelata, puoi telefonargli alle tre di notte solo per fargli uno scherzo e lui liquiderà tutto con una risata senza serbarti rancore. Se però gli tocchi la famiglia non ci vede più, perde le staffe, diventa una bestia. È fatto così, ed è fatto bene. Pensando di intimidirlo, questi due coglioni in completo da Men In Black hanno compiuto il loro sbaglio peggiore. Hanno pigiato l'unico bottone capace di trasformarlo in un vero sbirro.
    Grenza non dice niente, ma gli vedo gli occhi colorarsi di rosso. Con una rapidità che nessuno si aspetterebbe mette mano alla fondina, estrae il ferro d'ordinanza e lo punta dritto davanti a sé. Gli agenti segreti lo imitano, tirano fuori due gigantesche 44, io muovo un passo di lato e faccio comparire la mia Beretta. Ci spariamo da una distanza di non più di quattro metri, immobili, senza provare a ripararci e senza gridare quando il piombo trova la carne. Contravvenendo alle sceneggiature di tutti i film polizieschi Valzini crolla a terra senza nemmeno aver tirato il grilletto, la bocca impastata di sangue e le mani rigide, rattrappite come artigli. Mi dispiace per lui, ma ho altro a cui pensare in questo momento: mi hanno beccato a un braccio e fa un male cane, con la coda dell'occhio riesco appena a vedere uno dei due bastardi che cerca di zoppicare dietro il SUV. Anche Grenza lo vede, gli va dietro e gli molla un calcio nel culo.
    ‏– Cos'è che fate a mia moglie? ‏– grida. Altro calcio, nei denti. ‏– Cos'è che fate alle mie figlie?
    È entrato in una specie di furor bellico e devo buttarmi su di lui per trattenerlo. Lo spingo via a fatica, sporcandogli la divisa con il mio sangue, non so se lo convinco a consegnarmi la pistola o se gliela strappo di mano. Una zona periferica del mio cervello registra velocemente il corpo senza vita dell'altro spione abbandonato sulla striscia di terra: il foro che ha in mezzo agli occhi farebbe invidia a un cecchino serbo.
    ‏– Basta, Grenza ‏– ansimo. ‏– Quest'altro non lo ammazzare. Gli facciamo qualche domanda, lo portiamo con noi.
    Il tipo è conciato male. L'ho preso a una gamba e perde parecchio fluido vitale, è diventato pallido come il gesso e trema come un neonato. Gli mancano i canini e gli incisivi inferiori, visto così non sembra più tanto pericoloso. Un calcio nelle palle glielo rifilo anch'io, giusto per cortesia. Mugola da fare pietà e una lacrima gli cade fuori da un occhio.
    Carichiamo il povero Valzini e l'altro figlio di troia nel SUV, li lasciamo lì e ripartiamo. Mi stringo uno straccio intorno alla ferita per fermare l'emorragia, faccio salire lo spione sul sedile posteriore della nostra volante e mi accomodo accanto a lui. Gli punto la pistola alla tempia, mentre Grenza riparte.
    ‏– Ora facciamo due chiacchiere – dico. ‏– E sarà meglio che non mi rifili bugie.

    SARO

    Mi vergogno tanto. I miei padroni sono qui in questa soffitta, spaventati a morte, e invece di aiutarli io non faccio altro che fabbricare montagnole di cacca. Non sono un cane da guardia, sono un cagnetto bastardo e spelacchiato e anche un po' zoppo, ma so che quando succedono certe cose gli uomini contano sui loro amici a quattro zampe per un po' di conforto. Potevo muovermi in maniera diversa, di sotto. Forse potevo aggrapparmi ai pantaloni di padron Raffaele e trattenerlo, cercare di strapparlo coi denti alla Cosa Enorme che lo ha rubato. Invece non ho fatto niente, me ne sono stato lì ad abbaiare come uno stupido fin quando la voce non mi è sparita. Dopo mi sono anche lasciato scappare una scoreggia, quando padron Mimmo ha fatto gridare quel suo bastone che sputava lingue di fuoco. E dopo ancora, mentre la Cosa Enorme distruggeva padron Raffaele, ho pensato per un momento di scappar via e non tornare mai più. Sono un vigliacco, un cane indegno. Non merito l'amore che mi hanno dato fin dalla nascita.
    Non avevo mai visto niente di simile alla Cosa Enorme, lo giuro. È più alta di tre uomini messi uno sull'altro e ha tante braccia che non riesci a contarle, se ti prende con una di quelle per te è finita. Si muove lenta, ondeggiando, a ogni passo la terra trema e rimbomba spaccandosi in decine di piaghe. Non la devi guardare, perché altrimenti sei perduto. Ti si rompe qualcosa dentro e non riuscirai più a dormire, mai più. Mi pare di rivedermela davanti come se fosse qui, come l'ho vista poco prima sull'uscio. La faccia (quella faccia fissa, livida, mezza mangiucchiata dagli insetti) io la conosco bene. Non la vedevo da molto tempo, ma non l'ho mai dimenticata.
    Mentre la Cosa Enorme si aggira qui fuori sbatacchiando contro la casa, mentre Mariuccia piange e Mimmo mastica bestemmie succhiando fumo, io ricordo. Ricordo con la mia debole memoria di cane un giorno di tanti anni fa in cui mi ero svegliato presto, mi ero messo alle calcagna dei vecchi padroni e li avevo accompagnati nei campi. Era una bella mattina di primavera, non troppo fredda, io ero più giovane e ancora non zoppicavo. I cavolfiori quasi luccicavano nella luce del primo sole, i pomodori parevano chiedere con impazienza di essere colti. Curvo e affilato come l'unghia di un gatto immenso, un falcetto scintillava alla cintola del vecchio padrone. Ci siamo messi tutti e tre lì, loro a lavorare e io a saltellargli intorno chiedendo un po' d'attenzione. All'inizio parlavano in maniera tranquilla, ma poi la vecchia padrona ha cominciato a dire qualcosa su una certa università dove voleva mandare Raffaele. Mario non era d'accordo e si è arrabbiato. Secondo lui non era un bel posto, quell'università, bisogna che chi nasce in campagna non si mischi con le brutte faccende dei cittadini. Lei ha protestato, arrivando a minacciare di prendere i soldi che tenevano sotto il letto e darli a Raffaele perché fuggisse. Allora lui ha sollevato il falcetto, e ho visto la grossa unghia affondare nella gola di quella che era sua moglie e trarne uno spruzzo rosso. Non è stato bello, né breve, non è stato come quando di tanto in tanto catturo un topo e lo finisco con un morso alla testa. C'è voluto un sacco di tempo prima che rivoltasse gli occhi all'indietro, e io lì a guaire e a leccarle il viso credendo di potermi rendere utile. Dopo, molto dopo, il vecchio padrone mi ha azzoppato con un calcio come se avessi qualche colpa in quella faccenda. Sono scappato via mezzo svenuto per il dolore, mentre lui prendeva il corpo tra le braccia e lo portava lontano.
    Adesso i colpi fuori sono diventati più forti, il legno e la pietra di cui è fatto questo rifugio scricchiolano e si piegano verso l'interno. Tre o quattro assi vanno in frantumi e una falla compare tra noi e l'orizzonte, qualcosa che sembra un grosso serpente scuro striscia tra le schegge ed entra nella soffitta. Mariuccia urla, Mimmo balza in piedi e sento il tuono del bastone metallico così vicino da ferirmi l'udito. Un dardo invisibile colpisce in pieno l'estremità strisciante sul pavimento, la spezza in due, la costringe a fuggire. Il moncherino si ritrae veloce verso il buco dal quale è entrato, la parte staccata rimane ferma sull'impiantito in una chiazza di roba verde. Fuori la Cosa Enorme ulula come un branco di lupi, si scuote tutta, poi i tonfi sul terreno si fanno veloci e la casa vacilla sotto la violenza dell'assalto finale. Una, due, tre volte si schianta contro le mura esterne, decisa ad abbattere tutto e seppellirci sotto un cumulo di macerie. Mimmo corre verso la porta e la apre, rintuzza con i piedi e il bastone i serpenti neri che lo aspettavano dall'altra parte, li schiaccia come lombrichi. Coperto di muco verdastro grida a Mariuccia di seguirlo, grida che devono scendere, che devono fare in fretta. Lei si muove, dice di sì con la faccia bagnata dal pianto. Nella concitazione del momento non pensano a me, così li seguo di mia iniziativa più veloce che posso. Sono un cane codardo, zoppo e cagone, ma tutto ha un limite e non voglio più avere paura. Ora che andiamo là fuori, ora che dobbiamo giocarci la vita contro la Cosa Enorme che vuole ammazzarci, io proverò a fare la mia parte.

    MANARDI

    Da una decina di minuti Grenza è lì che guida e farfuglia scuse non richieste per ciò che ha fatto: dice che lui non è così, che gli è partita la boccia, dice che non voleva ammazzare nessuno e che adesso lo sbatteranno in prigione dove morirà di solitudine. Guida e piagnucola, una mano sul volante e l'altra sul capoccione che sembra una luna piena, ogni tanto si volta e mi chiede se al processo testimonierò a suo favore.
    ‏– Tranquillo, Grenza – gli faccio. – Non ti metteranno in galera.
    Le campagne ci passano accanto monotone come lo sfondo di un film dei Lumière, ettari ed ettari di terra arata in mezzo alla quale si stagliano i profili di casupole buie. Il cielo è pieno di stelle, l'aria è frizzante, da qualche parte cantano i grilli. Una serata perfetta per imboscarsi con una sbarbina, invece devo torturare questo spione di merda per fargli dire quello che sa. Lo guardo e capisco che è rientrato in sé, si è messo in testa di fare il professionale ed è deciso a non aprir bocca. Non ho tempo da perdere, così gli prendo il naso rotto tra pollice e indice e glielo premo, glielo contorco, glielo strizzo come se volessi tirarglielo via. All'inizio si sforza di non urlare, ma poi comincia a sudare e cerca di divincolarsi, stringe gli occhi e digrigna i denti, chiede pietà. Gli rifilo una botta su un ginocchio con il calcio della Beretta e gli consiglio di dar fiato alle trombe, se spiffera tutto può darsi che porti a casa la pelle. Esita, guadagnandosi un'altra spremuta di cartilagine maciullata. Decide che ne ha abbastanza e comincia a cantare. Mi metto comodo e lo ascolto senza smettere di puntarlo col mio cannone.
    ‏– Circa un anno fa il governo compra quest'arma segreta dai russi ‏– attacca. ‏– Roba chimica, altissima tecnologia, una cosa a metà tra un virus e un fluido miracoloso. R.A.C. lo chiamano: Rigeneratore di Attività Cadaverica. È un composto liquido che agisce sulle cellule morte e le rivitalizza, riportando al movimento i corpi senza vita con cui entra in contatto. L'idea è quella di trasformare i cadaveri in soldati senza coscienza, per usarli nelle zone di guerra dove le perdite sono più ingenti. Rwanda, Afghanistan, Filippine. Una possibile guerra con i paesi arabi. Mandare in battaglia corpi già freddi, invece di persone vive. Una trovata capace di cambiare la storia così come la conosciamo.
    ‏– Bella schifezza – gli dico. ‏– Vai avanti.
    ‏– Si scopre che l'R.A.C. non agisce sulle cellule del cervello, è incapace di mantenere stabili i più semplici processi mentali. Alcuni scienziati fanno dei test in una base segreta, ma il risultato è una massa di morti senza controllo che attaccano qualsiasi cosa in modo indiscriminato, senza obbedire agli ordini né riconoscere le divise. Durante quell'esperimento crepano dodici persone tra militari e ricercatori, fatti a pezzi dalla furia dei resuscitati. La base viene chiusa e ripulita con un'atomica depotenziata, il progetto R.A.C. fallisce.
    ‏– E poi?
    ‏– Una settimana fa arriva la soffiata che l'ONU sospetta qualcosa, stanno per inviare i loro ispettori e se ci scoprono sono cazzi. I fusti con l'R.A.C. vengono seppelliti in fretta e furia in varie zone del paese, si scelgono quelle meno abitate per scongiurare resurrezioni impreviste. Uno dei siti preposti allo smaltimento è localizzato nelle campagne circostanti. Non ci sono cimiteri da queste parti, non credevamo che ci fosse seppellito qualcuno.
    ‏– Ma qualcuno invece c'era ‏– concludo con l'aria di chi ha capito tutto.
    ‏– Sì. Due ore fa gli scanner che abbiamo piazzato per monitorare le zone a rischio hanno registrato il movimento di una massa non viva, la telefonata del Gusano ci ha confermato quello che già temevamo. Doveva esserci un corpo sepolto in quei terreni, e di certo almeno uno dei fusti aveva una perdita. La cosa strana è che sugli schermi a rilevazione di movimento il soggetto rianimato appare gigantesco, alto più di otto metri. Non sappiamo di cosa possa trattarsi. Abbiamo dovuto agire così per la sicurezza nazionale.
    Ridagli con la sicurezza nazionale. Questi prima piantano i guai e poi invocano il bene pubblico per risolverli alla loro sporca maniera. Brutti bastardi, mi danno il voltastomaco. Per fortuna ho scoperto i loro magheggi e adesso metterò tutto a posto.
    Questa cosa del morto vivente alto otto metri non è che mi faccia stare molto allegro. Una cosa è avere a che fare con uno zombie normale, che già di per sé non è il massimo, ma uno extralarge come facciamo a tirarlo giù? Ci vorrebbe l'aviazione, Cristo, una bella doccia di napalm e tanti saluti. Però così io perderei tutto il merito, l'opinione pubblica mi vedrebbe solo come un ispettore che ha intralciato i Servizi Segreti perdipiù facendo secco un agente. Ci sbatterebbero dentro davvero, a me e a Grenza, e se per quanto mi riguarda non ci sarebbe un cane a piangere il mio destino non ho cuore di condannare un padre di famiglia a trent'anni di sole a scacchi. No, mi dico, dobbiamo andare avanti, ormai abbiamo passato il punto di non ritorno. Ecco l'appezzamento dei Gusano, ecco la loro bicocca mezza crollata, ecco una specie di calamaro gigante che caracolla e barrisce sotto la luna come in un Creature Feature degli anni '70. Rifilo una testata allo spione e lo metto a dormire per evitare che scappi, poi scendo dall'auto e controllo di avere il caricatore pronto.
    ‏– Andiamo a prendere quella merda mostruosa, Grenza! ‏– dico al mio flaccido compagno. ‏– E non portarti le manette, ché tanto non sapremmo dove mettergliele.

    GRENZA

    Mi mancano sei mesi alla pensione. Sei mesi. Per vent'anni me ne sono stato lontano dai guai, tranquillo, non mi è successo mai nulla di male. In due ore, stanotte, prima ho ucciso un uomo e ne ho ridotto un altro in fin di vita, poi ho scoperto un complotto per creare soldati dai cimiteri e ora me ne sto qui, pistola in mano, a guardare un mostro alto come una gru che viene verso di me. Se lo racconto non ci crede nessuno, ma mi piacerebbe comunque poterlo raccontare perché vorrebbe dire che l'ho scampata. Sei mesi, porca miseria. E la settimana prossima festeggio le nozze d'argento.
    Descrivere la cosa che abbiamo di fronte significa abbandonare tutto quello che uno crede di sapere sulla realtà: il corpo è quello di una grande quercia centenaria, con una ghirlanda di rami nodosi che si agitano come tentacoli in tutte le direzioni. Uno di questi rami, attorcigliato in maniera impossibile, stringe la testa senz'occhi di un ragazzo, a volte accarezzandola e un momento dopo sbattendola a terra. Le radici sono lunghe, contorte, e brulicano sul terreno mentre l'albero si sposta strisciando e saltellando. In mezzo al tronco, a circa sei metri dal suolo, c'è un buco con dentro una faccia da vecchia: non è viva, me lo dicono le orbite vuote e l'espressione di orrore ebete sul viso scarnificato, eppure deve essere lei che manovra la giostra. L'agente segreto ha parlato del fluido che rianima i cadaveri, ha detto che resuscita tutto. Forse anche la quercia era morta, e si è fusa in qualche modo con il cadavere che le stava dentro. L'R.A.C. li ha costretti a muoversi. A stringere una specie di patto.
    Me ne sto qui a fissare questa montagna di carne e legno che ci viene addosso quando una sequenza di esplosioni mi fa quasi venire un infarto. Mi volto e accanto me c'è l'ispettore Manardi piegato su un ginocchio, che prende la mira con l'occhio chiuso e cerca di centrare la faccia incastrata nel tronco.
    – Che cazzo fai, Grenza? – sbraita mentre la crosta terrestre vibra e si spacca. – Vuoi sparare o aspetti che si metta in posa per scattargli una foto?
    Per sparare sparo, ma la cosa non la becco dove servirebbe. Si protegge l'unico punto debole con una ragnatela di rami, spreco l'intero caricatore con il solo risultato di sforacchiare la corteccia rugosa del tronco. È troppo vicina ormai, anche Manardi lo ha capito, non abbiamo più colpi in canna e tra un momento ci afferrerà sollevandoci in alto. Mi butto in ginocchio e raccomando l'anima alla Madonna, l'ispettore caccia un urletto da femmina che rovina in un secondo la sua bella aria da duro. Siamo spacciati, fritti, ormai non c'è più niente da fare. Non le festeggerò le nozze d'argento, non sarò mai nonno e non rivedrò mai più mia moglie.
    E poi, poi succede quello che ci salva la vita. La porta della casa si spalanca e ne scappa fuori un cagnolino nero, zoppicante, che si mette a correre verso l'albero-zombie ringhiando con voce afona. È piccolo come un gatto, arruffato, probabilmente fuori di testa per il terrore. Ma avanza, sfida il mostro senza esitare, gli pianta i denti in una radice e la strappa via con uno scatto della testa. La cosa se ne accorge, si volta, lo vede e fa per schiacciarlo. Lui le gira intorno, schiva la frustata di un ramo, chiude le fauci su un'altra escrescenza e sgnack!, stacca anche quella. L'albero adesso è incazzato nero, la faccia di vecchia ruggisce sputacchiando bava verde fuor dalla bocca. Ci lascia in pace, insegue il cane, si allontana da noi. Riprendo a respirare, quasi mi viene da piangere. Sono vivo, vivo! Anche se non so per quanto.

    MANARDI

    C'è mancato un pelo di fica. Se non fosse stato per quel cane saremmo gelatina, ci ha salvato lui il culo. Le pistole non servono a niente, quella faccia raggrinzita là in alto è troppo difficile da beccare. Ora, mentre Grenza mi aiuta a rialzarmi, mentre spero che non mi abbia sentito strillare come una checca isterica, finalmente mi è tutto chiaro: Mario Gusano uccise la moglie e nascose il corpo dentro la quercia, probabilmente scavando l'interno dell'albero e infilandocelo dentro alla bell'e meglio. Per questo non lo trovammo. Noi cercavamo sottoterra. Poi l'R.A.C.uscito dai fusti ha fatto il resto, ha rinvigorito quello schifoso cadavere e l'ha portato ad arrampicarsi dentro la corteccia finché non è arrivato all'altezza del buco. Non sono un biologo e non so spiegare come un sacco di larve vintage abbia potuto prendere il controllo di un sempreverde da due tonnellate, ma immagino per sommi capi quello che gli passa per il cervello: rabbia, istinto di uccidere, qualche stralcio confuso della vita perduta, terrore. Deve ricordarsi della casa, dei figli, in qualche modo prova a star loro vicino ma distrugge tutto quello che tocca. È amore, quello che muove questo sgorbio? È istinto materno? È disperazione? Rabbrividisco figurandomi il caos che deve avere dentro la testa, tremo al pensiero che probabilmente voleva solo entrare in salotto e sedersi vicino al fuoco come se nulla fosse successo.
    Dalla casa escono un uomo e una ragazza, lui ha il fucile. Sono i figli dei Gusano, sconvolti come babbuini del Congo dopo un viaggio in aereo verso la Scandinavia. Gli vado incontro, li fermo, afferro Mimmo e lo costringo ad ascoltarmi senza interrompermi.
    – Dobbiamo bruciarlo! – indico l'albero che a duecento metri da noi sta ancora rincorrendo il cagnetto. – Avete qualcosa di infiammabile?
    – In cantina ci sono dei bidoni di fertilizzante – balbetta. – Potrebbero andare bene.
    Io, lui, Grenza e la ragazza scendiamo una rampa di scale che porta sotto la casa, ci carichiamo addosso i barili e torniamo fuori. Prepariamo una trappola svitando tutti i tappi e lasciando colare il fertilizzante, ci allontaniamo, Mimmo richiama il cane con un fischio e quello ritorna tirandosi dietro il mostro. Il resto è facile da immaginare: aspetto che l'alberone sia proprio sopra i fusti, poi scoperchio il mio zippo e lo sacrifico per la causa. L'albero-zombie prende fuoco come la vampa di Sant'Antonio, urla e si contorce, grugnisce e piange e collassa su se stesso illuminando la notte di riverberi che danzano a lungo. Crolla al suolo che è già un tizzone, la faccia carbonizzata in mezzo al legno annerito, una bara enorme. “Ciao mamma” dicono i due bifolchi, e quell'imbecille di Grenza si commuove e si mette a piangere. 'Fanculo, se pensano che la cosa mi faccia effetto si sbagliano. Mi entra qualcosa in un occhio e me lo sfrego, badando che non mi vedano.

    Mezz'ora dopo arrivano gli elicotteri, quelli senza scritte né insegne. Un plotone di tute nere si riversa nella campagna, tizi in giacca e cravatta saltano giù mettendosi a fare domande e parlando in linea diretta con il Ministero della Difesa. Un tale ci fa l'offerta, ed è una di quelle che non si possono rifiutare: il nostro silenzio sulla faccenda in cambio dell'impunità per averli intralciati, faranno passare le morti di Valzini e dell'agente segreto come incidenti.
    – Lei che consiglia, ispetto'? – mi fa Grenza. Gli dico che è meglio accettare la scappatoia e tirare avanti. Fanno a pezzi l'albero, lo aprono, estraggono il cadavere e lo infilano in un sacco che portano via senza badare alle lamentele dei due bifolchi. Ecco che se ne va la mia opportunità di diventare famoso, il mio titolo a sei colonne su tutte le prime pagine. Non fa niente, dopotutto quella puledra del commissariato non mi è mai piaciuta più di tanto e secondo me è pure frigida. Ha un brutto brufolo sul naso, se la guardi bene, e un leggero strabismo che la rende tutt'altro che affascinante. Non mi interessa, non è al mio livello. Mi chino, accarezzo il cane che stava meditando di pisciarmi sulle scarpe e sento Grenza al cellulare, impegnato a parlare con la famiglia.
    – Sì, cara – dice con il tono di chi non è abituato a mentire. – Tutto bene, come al solito. A cena? A quest'ora? Mi avete aspettato sveglie? Va bene. Senti, e se venisse anche un mio amico, l'ispettore Manardi? Che dice ispettore, le fa piacere?
    Accetto, una cenetta notturna è quello che ci vuole per tenermi lontano dalla muffa del mio monolocale. Saliamo in macchina, io e Grenza, mettiamo i Negramaro nell'autoradio e guidiamo piano. Mi sento bene, mi sento un eroe, anche se al mondo ci sono solo altre tre persone e un cane che conoscono la verità. Intreccio le mani dietro la testa e mi metto a fantasticare, a far progetti, mi annuso un'ascella per controllare lo stato della mia igiene. Chissà, mi dico, se alla figlia maggiore del caro Grenza piacciono gli uomini un po' attempati.

    Edited by bravecharlie - 13/12/2010, 18:05
     
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  2. rehel
     
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    Prima qualche pulce...

    la metafora: muggendo come una vacca da incubo - non mi sembra felice. Ma forse è un refuso, - muggendo come una vacca in un incubo...

    ci imbattiamo in SUV - refuso - ci imbattiamo in un SUV...

    Servizi segreti, leggo ecc... - d'accordo è un b-movie, ma io non credo che nessuno giri con un tesserino con quella scritta...

    Quando c'è la parte scritta dal punto di vista del cane - e ho visto la grossa unghia affondare nella gola, ecc... - d'accordo l'immagine è efficace, ma la domanda che sorge spontanea è: perché Saro nella sua parte di narrazione chiama tutte le cose col loro esatto nome, come se avesse conseguito minimo un diploma, e poi se ne viene fuori con questa bella immagine di come un cane nominerebbe quell'oggetto? E tutti gli altri? Perché non prosegue nel suo nominare in modo cagnesco?

    La frase: Lo guardo e capisco che è rientrato in sé, si è messo in testa di fare il professionale ecc... - ecco, hai letto: La strada del samurai, vero? Ho pensato subito così; ma è esatto? (giusto una mia piccola curiosità)

    vedrei la virgola prima di: non ho cuore di condannare ecc...

    la frase: e me lo sfrego, badando che non mi vedano.. - la scriverei: badando che nessuno se ne accorga. (giusto perché è un filo meno allitterata)

    Detto questo:
    racconto piacevole e gradevole da leggere, ma che non appaga il mio palato completamente. Si tratta di un b-movie senza eccessive pretese, credo, tuttavia non sei al tuo meglio. Mi mancano certe metafore alla tua maniera. Avverto un eccesso di assurdità senza che allo stesso tempo il grottesco faccia da propellente alla narrazione.
    Ho apprezzato il cambio continuo dei punti di vista narrativi, ma credo che il personaggio trainante possegga un po' troppa poca empatia col lettore. Penso debba risultare più convincente, un po' più vicino e meno artefatto. Devi sviscerarlo di più. Vive da solo, hai detto; bene, per quale motivo? e via di questo passo. Lo so non ne avevi voglia, volevi solo divertirti un po'. Ma credo che questo difetto si possa riscontrare anche nel mio racconto. Coinvolge poco; tutto lì.
    Per questa volta solo tre. :)
     
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  3. rehel
     
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    Volevo solo dirti che La ragazza spezzata secondo me era un gran bel racconto, e che cavolo se empatizzava col lettore! ;)
    Ma se non ti gusta più scrivere cose come quelle vuole dire che ne hai in cantiere ancora di migliori. :shock:
    Chissà dove ti porterà la tua evoluzione? Un giorno lo sapremo leggendo... cosa? <_<
     
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  4. bravecharlie
     
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    eh, chi lo sa. può darsi anche che alcuni la considereranno un'involuzione. io non posso far altro che continuare a scrivere seguendo l'istinto, quello che mi piace, che mi prende in questo momento. Chi vivrà, come si suol dire, vedrà :sisi:
     
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  5. Magister Ludus
     
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    Ciao,

    racconto godibile, leggero e divertente :)

    Io voto 3.

    E ti segnalo queste cose:

    la vecchia casa è sobbalzato: refuso
    setacciare il suo suo squallido: refuso
    quelle cose nodose che afferrano Raffaele e se lo portavano via: prima il presente e poi l'imperfetto :)
    Mariuccia l'ha riconosciuta: qui mi sono chiesto: perché l'ha riconosciuta?
    tra noi e il l'orizzonte: refuso
    perdipiù: si scrive staccato :)
    Mi volto e accanto me: refuso
    Poi l'R.A.C.uscito: manca spazio

     
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  6. bravecharlie
     
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    CITAZIONE
    quelle cose nodose che afferrano Raffaele e se lo portavano via: prima il presente e poi l'imperfetto

    grazie per la segnalazione, avevo scritto la frase prima all'imperfetto e poi l'ho cambiata al presente, mi era sfuggito un verbo.
     
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  7. Mastronxo
     
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    Ciao!

    SPOILER (click to view)
    Il titolo incuriosisce e quindi è tra i primi che ho letto.
    Scrivi davvero bene, però il racconto non mi ha convinto (non preoccuparti, chiarissime le tue intenzioni e la tua mancanza di pretese, però credo sia meglio dirtele le mie perplessità).
    Allora, mi è piaciuto fino alla fine del paragrafo di Mimmo, extremely verosimile (per quanto possa esserlo un racconto con dentro la Cosa Enorme) e accalappiante l'attenzione. Peccato che poi davvero diventa un film serie-B e un po' mal gestito.
    Posso concederti la presenza dei due agenti e la sparatoria, anche se le motivazioni della stessa restano labili, ma ci può stare. I problemi da qui in avanti per me sono:
    - uno sparo di una calibro 44 che provoca una ferita su un braccio... non sono esperto, ma credo che il braccio ti si staccherebbe: nel caso fosse una ferita di striscio, sarebbe da dire;
    - il pdv del cane per parlare del passato: forse vorrebbe essere una cosa divertente, e un po' lo è, ma secondo me non l'hai reso a dovere. Eliminerei la faccenda dell'università, perchè va bene tutto ma un cane che si ricorda perfino i discorsi dei padroni mi pare eccessivo. In più avrei usato un registo molto più infantile, fatto di immagini, sequenze di avvenimenti, sensazioni primitive, invece di farlo sembrare una persona.
    - il discorso dello 007: grande spiegone poco verosimile e troppo lungo, per un tizio tutto pesto, troppo razionale per uno ferito da un'arma da fuoco; basta usare meno parole e magari alcune anche sconnesse.
    - reazione di Manardi allo spiegone di 007: ci crede subito, non va. Se uno mi dice una cosa simile a me vien da ridere, non da pensare che ci vuole l'aviazione col napalm. Giocherei sulla sorpresa di trovarsi la Cosa di fronte e sul crollo delle sue scettiche certezze.


    Per questi motivi ti dico: molto divertente, per niente pesante, adoro queste cose, ma ci vedo un margine di miglioramento molto grosso. Io ti do 3, seguendo il mio istinto poco razionale, ma non è paffuto.
     
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    Alfré, dovresti avere la diarrea più spesso, se i risultati sono racconti come questo! Seriamente, mi è piaciuto moltissimo. Come divertissement è notevole, tutto perfetto, tutto spiegato, tutto "incastrato" come dio comanda. Inoltre è pure divertente :asd:

    Per me non ha difetti, tranne che fosre alcune frasi sono intervallate da virgole che a volte risultano forzate, mentre altre volte non si sono segni come in questo caso:

    CITAZIONE
    Ci sbatterebbero dentro davvero, a me e a Grenza, e se per quanto mi riguarda non ci sarebbe un cane a piangere il mio destino non ho cuore di condannare un padre di famiglia a trent'anni di sole a scacchi.

    Anche a inizio racconto ho trovato una leggerezza, è quando Mimmo si accende una sigaretta nel buio più totale: come fa a capire cosa pensa la sorella con un'occhiata? Ho inteso che siano appunto al buio totale...

    Detto questo, sono minutaglie in un racconto che ho letto con gusto e appagamento dall'inizio alla fine, vedendo quelle pagine e quella prosa densa scorrere come se niente fosse. Sei un narratore di razza, signor Mogavero, preciso, ammaliatore, pur usando uno stile consono (tranne quando il cane pensa che il padroncino sia è stato "rubato" dalla cosa).


    Voto: 4

    Edited by Gargaros - 13/12/2010, 20:41
     
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  9. bravecharlie
     
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    grazie Gargaros, sapere che ti ha divertito mi fa molto piacere. effettivamente forse non ho fatto molta chiarezza sulla situazione nella soffitta, io me la sono immaginata buia ma non del tutto, con una certa penombra che fa comunque intuire i contorni. però forse non l'ho detto :up:
     
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  10. Ryan79
     
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    Vi piacciono i vecchi B-Movies? Yeah
    Amate i polizieschi? Avoja
    Non avete nulla di meglio da fare? Come al solito!

    Racconto meraviglioso. Sembra planet terror fatto bene, e se ti ho inquadrato a dovere questo è un complimento più che sufficiente :)
    SPOILER (click to view)
    Uniche due pecche:

    l'intervento dei servizi sposta troppo l'attenzione dal fatto principale, però in effetti è necessario per spiegare che cavolo è successo. Magari avrei evitato la sparatoria e ci avrei messo una robusta e veloce scazzottata, poi alla fine invece di comprare il loro silenzio con l'impunità gli offrono un sacco di soldi così Manardi si tromba tutte le centraliniste del mondo... ma è una mia personale divagazione.

    mettere il punto di vista del cane mi pare una forzatura, come non era necessario spiegare la morte della madre: chi se ne frega perché è morta, l'importante é che ora si é trasformata in una dannata quercia tentacolare di otto metri!


    Tecnicamente dovrebbe essere un 3, ma me ne frego bellamente perché é un racconto che ricorderò ed é quello che mi ha colpito di più sinora, quindi ti do un bel 4 :)

     
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    CITAZIONE (bravecharlie @ 6/12/2010, 22:02) 
    grazie Gargaros, sapere che ti ha divertito mi fa molto piacere. effettivamente forse non ho fatto molta chiarezza sulla situazione nella soffitta, io me la sono immaginata buia ma non del tutto, con una certa penombra che fa comunque intuire i contorni. però forse non l'ho detto :up:

    Ora che ci ripenso, Alfredo, anche nel finale c'è una piccola mancanza: quel braccio (o è una spalla) del commissario, che per magia guarisce senza infermieri o medici, tanto che accetta l'invito a cena senza problemi. Pur puzzando un po'.

    Sono però piccole inezie che in una revisione avresti trovato senza dubbio. Anche così, però, il racconto merita 4, per me. Dopo l'editing sarà perfetto.

    CITAZIONE (Ryan79 @ 6/12/2010, 22:34) 
    poi alla fine invece di comprare il loro silenzio con l'impunità gli offrono un sacco di soldi così Manardi si tromba tutte le centraliniste del mondo...

    :asd:
     
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  12. Virgart
     
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    Eccomi a leggere l'ultimo racconto di questo USAM natalizio.
    Beh, devo dire che a dispetto della lunghezza è filato via liscio, simpatico il tono con cui è stato condotto. Mi ha regalato qualche minuto di relax.

    Non mi sono soffermato su possibili refusi o altro, valuto solo la trama e lo stile: quattro.

    ciao
    Virgilio
     
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  13. federica68
     
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    Alfrè, attento che a un certo punto Mimmo diventa Matteo e poi ritorna Mimmo...

    per ora non voto perchè sono stanchissima e non sono troppo in quadro, l'ho letto di corsa, voglio rileggerlo con calma in questi giorni

    un bacio
     
    .
  14. Daniele_QM
     
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    Rilassante leggere i tuoi scritti, Alfredo. :P Fantastico.
    Ti faccio un unico appunto ed è sul linguaggio che usi un po' in tutti i pdv. Trovo ci sia poca differenza nel modo di esporre eventi e stati d'animo da parte di Manardi e di Mimmo. Un po' meglio il cane, Mariuccia e Grenza, ma di poco. Parlo proprio di stile di pensiero. Ognuno di noi ragina in un modo, parla in un modo, scrive in un modo diverso. Ecco, dovresti tentare di personalizzare meglio i diversi capitoli entrando nella testa di chi parla, cercando di farli parlare in maniera tra loro differente.
    Metto tre, ovviamente abbondante.
    ;)
     
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  15. Snow2
     
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    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    ”Servizi Segreti”

    refuso: virgolette d'apertura alla rovescia
    CITAZIONE
    “Manardi scopre il vaso di Pandora e rivela l'intrigo del secolo”: a sei colonne su tutte le prime pagine. Figa come se piovesse. Interviste ai talk show.

    :asd:
    CITAZIONE
    Mariuccia urla, Matteo balza in piedi e sento

    Il Matteo/Mimmo già segnalato da Federica
    CITAZIONE
    ci ha salvato lui il culo

    toglierei "lui"

    Racconto molto godibile, a tratti decisamente spassoso e sorprendente (vedi il passaggio in cui i due poliziotti incontrano i servizi segreti), sorretto da una scrittura solida che dà il meglio nelle sezioni dedicate a Manardi (la sua personalità forte fa sì che le sezioni viste nella sua prospettiva spacchino).
    Mi sembra possa migliorare in qualche punto, comunque. Anzitutto la soluzione della vicenda: questa Cosa Enorme brucia troppo alla svelta, facci vedere le fiamme un po' di più, in modo da darci il tempo di metabolizzare la sua sconfitta.
    Sempre in chiusura, non mi ha convinto del tutto la facilità con cui Manardi accetta di non ricevere ricompense (se non l'impunità). Mi aspettavo un minimo di resistenza; che provasse a chiedere qualcosa, prima di desistere.

    I personaggi sono tutti tratteggiati bene, Manardi, Saro e Grenza soprattutto; c'è però il fatto che si perdono un po' di vista, nella seconda parte della storia, Mimmo e Mariuccia. Anche se dal punto di vista di qualcun altro, potresti pensare di dedicar loro un paio di righe in più nell'ultima parte. Credo sarebbe utile, aiuterebbe a dare a lettura ultimata quella sensazione di rotondità, di incastro riuscito.


    Migliorabile, ma per me è comunque un 4.
     
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20 replies since 1/12/2010, 00:15   435 views
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