Io parlo con i morti
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Io parlo con i morti

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  1. Magister Ludus
     
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    Io parlo con i morti

    Ciao.
    La voce apparve di nuovo nella mente di Ludovico, quella mattina. Accelerò il passo lungo il marciapiede e, raggiunta la scuola elementare, salì velocemente le scale e s'infilò nell'edificio, nel tentativo disperato di sfuggirle.
    Il portone si chiuse alle sue spalle, isolandolo dal traffico cittadino, ma non dalle voci. Quelle erano dentro di lui, nella sua testa, nate chissà come circa un anno prima. Lo seguivano ovunque, pronte a chiamarlo a qualsiasi ora della giornata. Ricordava ancora la prima volta che le aveva sentite. Era notte e si era svegliato urlando, convinto che fosse un incubo. Sua madre era accorsa da lui, consolandolo, sussurrandogli che era stato soltanto un sogno, che nulla avrebbe potuto fargli del male se nasceva nella sua testa. Ludovico aveva pianto, poi si era calmato, addormentandosi fra le sue braccia.
    Imboccò il corridoio e salì al secondo piano. I suoi compagni erano già quasi tutti in classe, chi urlando, chi ridendo, mentre la signora Gravani, la maestra, tentava di farli sedere, riportando l'ordine in aula.
    «Entra, Valli» lo salutò la donna. «Va' a sederti.» Ludovico prese posto al suo banco, aprì lo zaino e tirò fuori il libro di lettura.
    Dopo aver fatto l'appello, la maestra cominciò la lezione. Assegnò un riassunto su una lettura fatta a casa e i bambini presero a scrivere sui loro quaderni.
    Ciao, Ludovico.
    Nel silenzio dell'aula la voce risuonò chiara e distinta. Il bambino alzò di scatto la testa dal proprio quaderno, guardandosi attorno, convinto che tutti l'avessero sentita. Ma gli altri compagni erano chini a scrivere e la maestra sfogliava un libro. No, era ancora nella sua mente, era una delle voci che gli parlava, che non lo lasciava mai solo.
    Non parli con noi, oggi?
    Ludovico si tappò le orecchie con le mani e rimase così, i gomiti appoggiati sul banco, il capo chino, gli occhi chiusi. Cercava di non pensare, ma era impossibile. Aveva provato varie volte a non pensare a niente, ma finiva sempre col pensare a qualcosa.
    «Valli?» la voce della maestra era lontana, gli giungeva quasi remota in quella sorta di suono cupo che sentiva sempre quando si premeva le orecchie con le mani. «Valli, ti senti male?»
    Adesso gli altri bambini avevano smesso di scrivere e osservavano Ludovico, che sembrava perso in un sogno senza fine. La maestra gli si avvicinò, scuotendolo appena, e Ludovico aprì gli occhi. «Valli, che cos'hai?» gli chiese la donna. «Stai male?»
    «Mi fa male la testa» mentì Ludovico. Non aveva voglia di fare quel compito, non riusciva a concentrarsi, non con quelle voci che lo chiamavano, che volevano parlare con lui. Voleva andare a casa, anche se sapeva benissimo che le voci gli avrebbero parlato anche là. Ma almeno a casa avrebbe potuto stare solo, chiudersi in camera, mettere la testa sotto il cuscino, piangere.
    «Chiamo tua madre e ti faccio portare a casa» lo tranquillizzò la maestra. La sua mano si poggiò sulla fronte del bambino. «Eppure non scotti, non hai la febbre. Forse è un po' di stanchezza. Vedrai che passerà presto.»
    Meno di mezz'ora dopo Ludovico era a casa. Sua madre si era precipitata a scuola, appena ricevuta la telefonata dalla maestra, e l'aveva portato via. Aveva poi chiamato il medico, che sarebbe venuto a visitare il bambino nel pomeriggio. E adesso Ludovico se ne stava a letto, in camera sua, a cercare di dormire.
    Come stai, Ludovico?
    «Lasciatemi stare!» urlò Ludovico, tirandosi le coperte fin sopra la testa.
    Vogliamo solo parlare con te. Come altre volte. Parla con noi, Ludovico.
    «Non voglio più parlare con voi. Ho paura. Non voglio più sentire le voci dentro la mia testa.»
    Poi la porta della sua stanza si aprì e sua madre apparve sulla soglia. «Tutto bene, Ludovico? Con chi stavi parlando?»
    «Ho detto a papà che non sto a scuola, oggi. Che sto un po' male» mentì nuovamente il bambino. Negli ultimi tempi gli riusciva sempre più facilmente dire bugie. Da quando erano arrivate le voci. Suo padre gli aveva insegnato a dire sempre la verità, a meno di non trovarsi in una brutta situazione. Allora, una piccola menzogna gli sarebbe stata perdonata. Secondo Ludovico le voci rientravano in quelle brutte situazioni. E così si era ritrovato a mentire ogni volta che quelle gli risuonavano nella testa.
    «Hai fatto bene» gli sorrise la donna. «Ma adesso cerca di riposare.»
    «Va bene, mamma.»
    La donna richiuse la porta e andò in cucina. Poi si lasciò cadere su una sedia e scoppiò a piangere. Suo marito era morto due anni prima. Stava tornando a casa dal lavoro, quando un'auto lo aveva travolto sulle strisce pedonali, ammazzandolo sul colpo. Da quel momento, per far soffrire di meno suo figlio, la donna aveva detto a Ludovico che avrebbe potuto parlare a suo padre quando voleva, che lui l'avrebbe sentito, anche se non avrebbe potuto rispondergli.
    Quando erano arrivate le voci, Ludovico aveva chiesto loro di suo padre. Ma le voci non lo conoscevano. Era tornato più volte a chiedere del genitore, ma nessuna voce gli aveva saputo dare una risposta.
    Ludovico.
    La voce aveva sempre lo stesso suono, come se provenisse dalla medesima persona, ma il bambino sapeva che erano di più. Non sapeva distinguere se chi parlava fosse maschio o femmina, se fosse un bambino come lui oppure un adulto. Era sempre uguale eppure differente, anche se il bambino non sapeva spiegarsene il motivo.
    Ludovico. Noi siamo tuoi amici.
    «E allora perché non mi fate parlare con mio padre?» sbottò Ludovico.
    Perché qui con noi non c'è. Te lo abbiamo già detto. Non sappiamo dove si trovi, Ludovico, mi dispiace. Qui è tanto grande, che è praticamente impossibile arrivare dovunque.
    «Come si chiama quel posto? Come si chiama dove state?»
    Non ha un nome, Ludovico.
    «Ma ci sono le città come qui da noi? E gli alberi? E ci sono anche le macchine e i parchi e le scuole?»
    No, Ludovico. Non c'è niente di tutto questo. Qui non c'è nulla.
    «Allora non mi piace. Non ci voglio andare là. Non mi piace quel posto.»
    Purtroppo devono venire tutti qui, prima o poi. Anche tu, Ludovico. Ma non è un brutto posto. Non ti saprei dire nemmeno se è bello, certo. È un posto come un altro. Quando sei come noi, non ci fai caso. Non ha più importanza. Forse, quando verrai, capiterai assieme a tuo padre, chi può dirlo?
    «E tu sei capitato con tuo padre?» aveva chiesto il bambino. «E anche tutti gli altri sono con i loro genitori? E con gli amici? E con i nonni e gli zii?»
    La voce era rimasta in silenzio, come se le domande del bambino l'avessero messa in difficoltà. Più volte Ludovico si era domandato perché suo padre non gli avesse mai parlato, perché lui ascoltasse soltanto le voci di altra gente. E perché poteva sentire quelle voci, soprattutto, quando sua madre gli aveva detto che il padre non avrebbe mai potuto parlare con lui. A scuola dicevano che chi moriva andava in Paradiso, ma non descrivevano questo Paradiso come un posto senza niente. La sua maestra, una volta, aveva detto in classe che “paradiso” derivava da una parola greca che significa “parco”. E Ludovico aveva subito pensato a un posto stupendo, dove suo padre passeggiava tutto il giorno senza più lavorare.
    Non lo so. Qui non ha più importanza essere figli o genitori. Avere un nome o dei gusti personali. Qui non è come da te. Non è come prima.
    La voce era tornata a parlare e quello che aveva detto non era piaciuto a Ludovico, che si era avvolto ancor più nelle coperte, mettendo la testa sotto il cuscino nella speranza di non sentire più nulla.
    Nel pomeriggio venne il medico di famiglia a visitare il bambino. Gli misurò la febbre, gli controllò la pressione, ma trovò tutto normale. Disse che un altro giorno di riposo non gli avrebbe fatto male e così Ludovico tornò a scuola due giorni dopo.
    I compagni di classe si informarono sulla sua salute, così come la giovane maestra. «Sei guarito, Valli? Stai bene, adesso?» gli chiese sorridendo.
    «Sì, maestra, grazie.»
    Ma aveva mentito ancora. Ludovico sentiva ogni giorno quelle voci nella sua testa, e questo non lo faceva stare bene. Non poteva parlarne con nessuno. Chi l'avrebbe creduto? Restava da solo con quel suo problema, imponendosi un silenzio quando le voci arrivavano mentre era a scuola o in compagnia di sua madre o di altre persone. Le voci parevano non farsi problemi se attorno a lui ci fosse altra gente. Gli parlavano comunque. Forse perché sapevano che nessun altro poteva sentirle, all'infuori del bambino.
    Una volta Ludovico aveva chiesto loro se parlassero anche ad altri. Ma la voce gli aveva risposto che c'era soltanto lui con cui parlare. Non vedevano altri. Sì, c'era la mamma, aveva detto allora il bambino. E c'erano i suoi compagni di classe. E la maestra. No, gli aveva risposto la voce. Non c'era nessun altro.
    Ludovico non aveva capito, ma aveva preferito non insistere. Alle volte le voci dicevano cose che lui non riusciva a comprendere.
    Nei giorni seguenti si sentì sempre più estraniato dalle attività scolastiche. Le voci lo raggiungevano più spesso del solito, gli pareva. Si mettevano in contatto con lui con una frequenza maggiore. La notte riusciva a riposare sempre meno, le voci volevano parlare con lui e sembravano non capire che fosse notte, che un tempo anche loro dormivano.
    La maestra lo aveva interrogato più volte nell'ultimo mese, ma Ludovico non aveva risposto bene. Eppure era sempre stato uno dei più bravi della classe, aveva sempre studiato, fatto tutti i compiti. Ora, invece, balbettava frasi senza capo né coda e brutti voti erano apparsi per la prima volta nel suo diario.
    «Devi studiare, Valli» aveva detto la maestra dopo l'ennesima interrogazione andata male. «Che cosa ti succede? Sei sempre stato attento e diligente.»
    Ma Ludovico non poteva raccontarle delle voci. Quelle erano nella sua testa, dentro di lui. Erano qualcosa che si portava dietro e che nessuno poteva sentire. Perché non c'era nessun altro, oltre lui, gli avevano detto le voci.
    Quando la condotta scolastica di Ludovico peggiorò, la maestra capì che c'era qualcosa che non andava e decise di chiamare la madre del bambino. «Ludovico non studia più come prima, signora Valli» aveva detto alla donna nella sala di ricevimento. «Le confesso che sono preoccupata, è sempre stato un bambino modello. Inizialmente ho pensato fosse una conseguenza di quel piccolo malore, ma poi non è mai riuscito a rimettersi in paro.»
    «Dunque lo ha interrogato?» chiese la donna, sorpresa. «A me ha detto di no, eppure gli ho domandato più volte delle interrogazioni.»
    «Io credo che non si sia mai ripreso del tutto dalla morte...» cominciò la maestra, interrompendosi troppo tardi. «Oh, mi scusi, signora. Non volevo essere così indelicata. È che penso...»
    «Non importa. E le do ragione.» Sospirò. «Talvolta lo vedo come assente, immerso in qualche pensiero a me irraggiungibile. Ogni tanto parla con il padre, lo fa sentire meno solo.» La donna sorrise. «Sono stata io a spronarlo a parlare con suo padre, per fargli sentire la mancanza più sopportabile.»
    «E ha fatto benissimo, signora Valli» la confortò la maestra. «Ma ora credo che bisognerebbe parlare a Ludovico a quattrocchi, o magari farlo vedere da uno psichiatra.»
    «Sì, gli parlerò e, se non ci saranno giovamenti, lo porterò da uno specialista.»
    «Bene, signora. È tutto. Volevo soltanto metterla a parte del rendimento di Ludovico.»
    «La ringrazio molto. Mio figlio è molto affezionato a lei, sa?»
    «E anche io a lui, mi creda. A presto, signora.»
    A casa la donna decise di parlare subito al bambino. «Che cos'hai, Ludovico? Perché non studi più come prima?» Erano nella sua stanza e Ludovico se ne stava seduto sul letto, imbronciato, il capo chino. Giocherellava con un peluche, l'orsacchiotto di Mr. Bean che gli aveva regalato il padre qualche anno prima e che lui conservava gelosamente. La donna gli si sedette accanto, prendendogli una mano. «Con me puoi parlare, Ludovico. Non vorrai dire i tuoi segreti soltanto a papà?»
    Ma Ludovico non rispondeva. Nella sua mente ancora in crescita si affollavano immagini e pensieri in contrasto fra loro. Sapeva di avere un problema, quelle voci che gli parlavano da un anno e che non riusciva a mandare via. Quelle voci sempre più insistenti, assillanti, che in alcuni giorni non lo lasciavano in pace quasi per niente.
    La donna gli accarezzò i capelli. «La maestra è preoccupata per te, lo sai? E anche io lo sono. Ti vedo sempre pensieroso, Ludovico. A cosa pensi? Ti manca molto papà, vero? Manca anche a me, Ludovico, ma dobbiamo andare avanti.» Sospirò. «Devi dirmi che cos'hai, altrimenti non potrò aiutarti.»
    Il bambino alzò lo sguardo verso sua madre. Chissà, si chiese per un attimo nella confusione che aveva in testa, chissà se la mamma avrebbe potuto mandare via le voci? Gli stava sorridendo, non era arrabbiata con lui, dunque, per i brutti voti presi a scuola. Inghiottì e strinse più forte l'orsacchiotto. Poi abbassò di nuovo lo sguardo, altrimenti non sarebbe riuscito a confessare a sua madre quel problema.
    «Io parlo con i morti» disse in un soffio.
    «Cosa? Vuoi dire con papà? Come fai spesso quando ti senti solo?»
    Ludovico scosse la testa. «No. Con papà ci ho parlato, ma non mi ha mai risposto, come mi avevi detto tu. Parlo con gli altri.»
    «Quali altri, Ludovico? Di che cosa stai parlando?» La voce della donna tremò leggermente.
    «Non lo so come si chiamano. Mi parlano dall'anno scorso.»
    «Oddio Ludovico, mi stai spaventando. Che cosa ti dicono? Perché non me l'hai mai detto?»
    «Perché poi tu non ci credevi. Loro vogliono solo parlare con me. Ma non conoscono papà, dicono che non sta lì con loro.»
    La donna abbracciò il bambino, stringendolo a sé come per confortarlo, ma in realtà quell'abbraccio serviva a confortare lei. Che cosa stava accadendo a suo figlio? Stava diventando pazzo? Cominciava a sentire voci nella sua testa, come se stesse perdendo la ragione? Il suo cuore aumentò i battiti e lei si costrinse a inspirare profondamente per calmarsi.
    «Papà sta in Paradiso, vero?»
    «Sì, Ludovico, credo di sì. Era un uomo buono.» Continuava a tenerlo stretto a sé, forse temendo che le sfuggisse.
    «E come è fatto il Paradiso?»
    «Non lo so. È un bellissimo posto, però. Così dicono.»
    «I morti che parlano con me non stanno in Paradiso. Dicono che là non c'è proprio niente.»
    La donna si sciolse dolcemente dall'abbraccio e guardò il bambino negli occhi. «Ludovico, sei proprio sicuro di avere sentito quei... di aver sentito delle voci? Forse sono stati brutti sogni, ogni tanto ne fai.»
    «Io li sento per davvero. Sento le voci, tutti i giorni. Mi parlano e io gli rispondo. Se non lo faccio, loro mi chiamano fino a quando non gli rispondo.»
    «Oh, Ludovico» la donna lo strinse a sé di nuovo. A stento trattenne le lacrime, per non spaventare il bambino. «Vedrai che la mamma li farà smettere. Parlerà col dottore, che ci dirà come non farli più parlare. Va bene?»
    «Sì, mamma. Io non voglio più parlare con loro.»
    Nei giorni seguenti Ludovico continuò ad andare a scuola. La madre chiamò il medico quel giorno stesso, che le consigliò uno psichiatra infantile. La mattina seguente chiamò lo specialista, che le fissò un appuntamento di lì a una settimana. Madre e figlio non tornarono più sull'argomento, ma la donna, la sera, faticava a prender sonno. Con una scusa trovava sempre il modo di entrare nella camera del bambino e la paura di sorprenderlo a parlare da solo la terrorizzava ogni volta.
    Furono giorni lunghi e pieni di angoscia per la donna. Vedeva il sorriso svanire pian piano dal volto del figlio. Percepiva il suo allontanamento dallo studio e dai divertimenti dei bambini della sua età. Ludovico trascorreva il tempo libero in camera sua, buttato sul letto come un cencio abbandonato. Fissava il soffitto, le braccia sotto la testa, in silenzio. Talvolta lo sentiva parlare sommessamente, dalla cucina, quando preparava il pranzo o la cena. Allora la donna piangeva, perché sapeva che suo figlio stava parlando con quelle voci che sentiva nella sua testa.
    «Mamma non devi piangere» le aveva detto un giorno il bambino, quando l'aveva sorpresa sbucando dal nulla in cucina. «Loro sono miei amici. Me l'hanno detto.»
    La donna si era asciugata il volto e gli aveva sorriso. «Però non vuoi più parlare con loro.»
    «No, non mi hanno mai fatto parlare con papà e poi adesso mi chiamano sempre di più e io non ne ho voglia.»
    La visita dallo specialista sortì un duplice effetto nella donna. Da un lato si sentiva sollevata, perché un medico avrebbe fatto qualcosa per far sparire quelle voci, per far guarire il suo bambino. Dall'altro era preoccupata all'inverosimile per il responso che avrebbe potuto ricevere.
    Ludovico era tranquillo, mentre lo psichiatra chiacchierava con lui. Soltanto la donna appariva tesa, mentre attendeva la fine della visita. Il medico aveva insistito per stare qualche minuto da solo col bambino. Alla fine, quando l'aveva chiamata, le aveva parlato con molta franchezza. Suo figlio soffriva di allucinazioni uditive complesse. Necessitava di un encefalogramma urgente e di analisi del sangue per valutare meglio la situazione. Quando la donna le aveva chiesto che cosa avesse suo figlio, l'uomo le aveva risposto che era troppo presto per stabilirlo, senza prima aver fatto quegli esami. Le cause potevano essere la schizofrenia, lo stress, la depressione, o altri disturbi. Nel frattempo, il bambino avrebbe potuto continuare ad andare a scuola. Anzi, sarebbe stato meglio, poiché l'avrebbe distratto in parte da quella situazione.
    La donna già dal giorno stesso si attivò per prenotare gli esami prescritti dallo specialista. Cercò di tranquillizzare il bambino, dicendogli che quegli esami sarebbero serviti per trovare un modo per mandare via le voci. Ludovico sembrava aver capito e accettato, poiché non contestò quegli esami.
    Continuò ad andare a scuola, anche se appariva più svogliato del solito. Anche i compagni di classe si accorsero che Ludovico era cambiato. Non partecipava più ai loro giochi, non rideva e scherzava come un tempo. Se ne stava per conto suo, a passare il tempo finché la campanella non annunciava la fine delle lezioni.
    Fu un mercoledì mattina che le cose precipitarono. La maestra stava dettando un brano, quando un grido tremendo spezzò il silenzio dell'aula. Ludovico urlava come in preda a un dolore insopportabile, tappandosi le orecchie. La maestra si precipitò verso di lui, ma Ludovico si alzò e cadde a terra. Gli altri bambini erano terrificati, guardavano il loro compagno dibattersi sul pavimento come se una forza sconosciuta stesse lottando con lui. Una bambina pianse. La maestra lo chiamava, tentando di calmarlo, ma non sapeva cosa fare per far cessare quelle urla. Dopo un minuto Ludovico svenne. Allora la donna corse fuori dall'aula e telefonò al 118.
    Neanche dieci minuti dopo il suono di una sirena, attutito dai vetri, diede un minimo di sollievo alla donna. Nel frattempo aveva anche telefonato alla signora Valli, ma nessuno aveva risposto. La classe fu affidata a un bidello e la maestra entrò nell'ambulanza assieme a Ludovico.
    In ospedale provò a chiamare nuovamente la madre del bambino, e questa volta la donna rispose. La signora Gravani non riuscì a trattenersi e le parlò piangendo, quasi balbettando. Quando le due donne si incontrarono, qualche minuto più tardi, nella sala d'aspetto, si abbracciarono, sfogando la loro ansia in lacrime liberatorie.
    Mezz'ora dopo la signora Valli riuscì a parlare con un medico. Gli raccontò dei problemi che aveva avuto suo figlio e della visita dallo psichiatra. «Che cos'ha avete scoperto?» chiese. «Che cosa sta succedendo al mio bambino?»
    «Stiamo facendo degli esami, signora. È prematuro fare una diagnosi. Faremo noi, qui in ospedale, sia l'encefalogramma che le analisi del sangue. Resterà ricoverato per alcuni giorni, finché non avremo i risultati. Stia tranquilla, signora, faremo il possibile per capire quale sia il problema e curare suo figlio.»
    Ma una madre non può certo essere tranquillizzata da parole di rito costruite e divulgate nel momento del bisogno. Come quelle frasi di circostanza che ancora tutti si ostinano a pronunciare, pur di non restarsene in un più conveniente silenzio.
    Ed ecco ora Ludovico sdraiato nel lettino d'ospedale, a osservare il via vai degli infermieri in contrasto con l'immobilità degli altri bambini, sdraiati anch'essi sui loro letti, silenziosi, costretti all'inazione da un destino troppo complicato per le loro menti semplici e pure da poter essere compreso.
    Eccolo stringere a sé l'orsacchiotto di Mr. Bean che sua madre aveva avuto la premura di portargli la sera stessa. Eccolo infilato nel suo pigiama preferito, quello coi personaggi di un cartone animato che la donna non sapeva neanche pronunciare.
    Era il suo mondo, ora, un mondo fatto di stanze tutte uguali e di lunghe corsie, che odorava di alcol ed era abitato da gente vestita di bianco. Un mondo in cui gli ospiti come lui dovevano starsene tutto il tempo in pigiama, a letto, come fossero in vacanza. A Ludovico non dispiaceva più di tanto, poteva giocare, qualche volta, vedere la televisione, chiacchierare con altri bambini. La mamma, poi, gli aveva detto che i dottori stavano trovando un modo per far zittire le voci che lo chiamavano.
    Le voci che non l'avevano abbandonato.
    Che ti è successo, Ludovico? Perché sei in ospedale?
    Era sera e i bambini avevano cenato da alcune ore. In ospedale, aveva imparato Ludovico, si mangia molto presto. I suoi compagni di stanza dormivano già, ma lui era sveglio, la mente piena di piccoli pensieri che nascevano e si disfacevano come fiocchi di neve caduti sul bagnato.
    «Sto male» aveva risposto sussurrando le parole. «A scuola sono svenuto e mi hanno portato all'ospedale. E poi non voglio più parlare con voi.»
    Perché Ludovico? Noi vogliamo solo parlare. Qui c'è tanto silenzio...
    Ma Ludovico non aveva risposto. Aveva infilato la testa sotto il cuscino e si era addormentato in pochi minuti.
    Una settimana più tardi i medici chiamarono la signora Valli. Avevano le risposte ai vari esami effettuati al bambino. «Signora, purtroppo non abbiamo buone notizie» esordirono. «Abbiamo riscontrato una forma tumorale al cervello.»
    «Oh, mio Dio! Ma mio figlio non aveva niente fino a qualche tempo fa. È operabile, vero? Mi dica che Ludovico guarirà!»
    «Purtroppo non è operabile, signora. È in uno stadio molto avanzato. Soltanto negli ultimi tempi si è sviluppato al punto da dare problemi evidenti.»
    «Quanto... quanto...» ma le parole morirono sul nascere. Come poteva chiedere quanto tempo rimanesse a suo figlio? Come poteva pensare che un bambino di sette anni dovesse morire in breve tempo?
    «Poco, purtroppo. Mi dispiace molto, signora, ma non possiamo davvero fare nulla. Porti pure a casa suo figlio e gli stia vicino. Le ho preparato una ricetta per dei farmaci che lo terranno tranquillo quando... quando potrà avere dei dolori, come è successo a scuola.»
    «Potrebbe svenire di nuovo?»
    «Sì, può succedere, se i dolori saranno molto forti. È per questo che gli ho prescritto dei farmaci adatti.»
    Meccanicamente la donna aveva preparato Ludovico, riponendo il pigiama e le altre cose nel borsone. «Andiamo a casa» aveva detto al bambino, soffocando il pianto che minacciava di esplodere da un momento all'altro. «I dottori mi hanno detto di comprare delle medicine, così le voci andranno via.»
    Ludovico si era lasciato vestire, aveva salutato gli altri bambini della stanza e, per mano alla mamma, era uscito dall'ospedale. Era felice di non dover più stare in quel posto così strano, dove si cenava all'ora della merenda e la gente che ci lavorava era vestita tutta uguale. Era felice perché finalmente c'erano delle medicine che avrebbero fatto stare zitte le voci che aveva nella testa.
    Passarono in una farmacia e sua madre comprò i medicinali. Prima di andare a casa la donna lo portò nel bar dove facevano la cioccolata calda più buona che avesse assaggiato. A quella aggiunse anche un cornetto per lei e una ciambella per il bambino. Mangiarono seduti a un tavolo, in disparte, facendo progetti per il futuro. La donna propose al bambino di andare in vacanza, qualche giorno fuori per festeggiare l'uscita dall'ospedale.
    «E la scuola, mamma? Che dirà la maestra se non ci vado?»
    «La maestra capirà» rispose la donna. E avrebbe capito, quando avrebbe saputo la verità. «Che ne dici di andare anche all'estero? A te non piaceva vedere lo Yellowstone?»
    «Lo Yellowstone? Ma sta in America, mamma! Come facciamo ad andare così lontano?»
    «Ci sono gli aerei, sciocchino! Non lo sai?» Cercò di sorridere e le riuscì. Giurò a se stessa che avrebbe vissuto gli ultimi giorni di suo figlio come se fosse tutto normale, che nulla avrebbe dovuto turbare il bambino, nulla avrebbe dovuto far capire quella straziante verità che la stava consumando dentro come un fuoco devastante.
    Quella notte pianse, nel silenzio della sua stanza, avvolta dal buio e dall'inevitabilità del destino. Ludovico, invece, dormì profondamente, anche se un leggero mal di testa era apparso dal nulla. La stanchezza di quella lunga giornata, pensò, e sognò dell'ospedale e dei bambini che aveva conosciuto e di tanta gente vestita di bianco, con la stessa faccia e la stessa voce.
    Buongiorno, Ludovico. Sei uscito dall'ospedale. Stai bene, allora? Sei guarito?
    «Ancora no, ma tanto la mamma ha comprato le medicine, così poi non sento più le vostre voci.»
    Ne sei sicuro, Ludovico? Che cosa c'entrano le medicine?
    «Vi faranno andare via.»
    Ma noi siamo qui con te, Ludovico. Non possiamo andare via.
    «Sì, con le medicine che ha comprato la mamma.»
    Non ci sono medicine per questo. Noi ti abbiano trovato perché ti abbiamo visto, anche se all'inizio eri un po' lontano. E così ti abbiamo chiamato. Adesso, invece, sei vicino, possiamo vederti bene.
    «E perché io non vi vedo? Perché non vi fate vedere?»
    Non lo so, Ludovico. Quando verrai qui, potrai vederci, ne sono sicuro.
    «Io non voglio venire da voi! E adesso lasciatemi in pace, mi fa male la testa!»
    Ludovico non si alzò quella mattina e le voci lo lasciarono stare. Il leggero mal di testa della sera prima era aumentato e quel giorno il bambino non si alzò dal letto. La madre lo andava a controllare spesso, in preda all'ansia.
    Aveva chiamato la maestra, raccontandogli tutto. Si era raccomandata di non far sapere nulla ai compagni, non voleva che casa sua diventasse un via vai di facce smorte e tristi, che si trasformasse in una sorta di camera ardente.
    I progetti di viaggiare sfumarono ben presto. Ludovico aveva così spesso il mal di testa, e sempre più forte, che la donna, su consiglio del medico, aveva cominciato a somministrargli i farmaci e gli antidolorifici.
    Trascorreva il tempo a letto, sonnecchiando, e talvolta, quando il dolore diminuiva, a vedere i suoi cartoni animati preferiti, quelli che sua madre non aveva mai imparato a pronunciare. Così il bambino trovava la forza di prenderla in giro. La donna gli sorrideva, dimentica, per un attimo, della realtà che stava vivendo. Trovava, in quegli sprazzi di rara felicità, una via di fuga dai pensieri oscuri che annientavano le sue forze.
    Ludovico se ne andò in silenzio, qualche giorno più tardi. Era notte e, grazie ai farmaci, dormiva profondamente. Non si accorse di nulla, non sentì dolore. Sentì soltanto una di quelle voci, stranamente più vicina delle altre volte.
    Ciao, Ludovico. Sei finalmente con noi.
    Ludovico non capì immediatamente. Pensava di sognare e aprì gli occhi. Attorno a lui non c'era nulla. Non sapeva descrivere quel nulla, era una sensazione che poteva percepire dentro di lui, dentro la sua coscienza. Non c'era la scuola, né le strade, le macchine, la gente. Non c'era casa sua, né sua madre. E nemmeno suo padre, anche se aveva sperato di trovarlo.
    Ciao, rispose Ludovico, e non sembrò arrabbiato di parlare alle voci, perché adesso, si rendeva conto d'un tratto, era una voce anche lui.
    Sua madre trovò il corpo immobile di Ludovico la mattina presto. Non urlò, non disse nulla. Si inginocchiò accanto al letto e abbracciò quel corpicino ancora caldo, accarezzandogli i capelli, bagnando con le sue lacrime il cuscino. I sogni, i desideri, i pensieri fluirono dalla sua mente, scivolando via, svuotandola. Il suo corpo fu percorso da brividi di freddo e lo stomaco sembrò restringersi. Tutto perse di significato attorno a lei. I ricordi dei tempi passati vorticarono fino a fondersi con la buia realtà che teneva stretta a sé, finché cadde in uno stato d'incoscienza senza sogni.
    Due giorni dopo, quando suo figlio riposava in una tomba piena di fiori, se ne stava buttata sul letto, cercando di dormire. Era sera tardi e preferiva la solitudine della sua casa alla compagnia di amiche e parenti che le avrebbero rivolto sguardi di compassione.
    Impiegava molto tempo ad addormentarsi, ma non se la sentiva di assumere sonniferi. Avrebbe superato anche quella disgrazia, come era successo due anni prima. Ce l'avrebbe fatta, per amore di suo figlio.
    Ciao, mamma.
    La voce arrivò dal nulla e la donna aprì gli occhi, svegliandosi. Stava sognando suo figlio, come spesso le capitava negli ultimi tempi.
    Mamma, sono Ludovico.
    La donna si alzò di scatto. Adesso era sveglia del tutto. Eppure quel sogno le pareva ancora vivido nella sua mente.
    Ciao, mamma. Mi senti?
    Si guardò attorno, spaventata. Non era più un sogno. Era una voce. Una voce che la chiamava, la voce di suo figlio.
    «Ludovico?» chiamò, mentre le lacrime cominciarono a scenderle giù per le guance.
    Sono io, mamma. Sono venuto a salutarti. Non sto male, sai? Non mi fa più male la testa. Qui non c'è niente. Non sto in Paradiso, mi sa.
    «Oh, Ludovico...» Le lacrime uscirono ancora, calde, a liberare il suo dolore. «Ludovico...»
    Non siamo più andati allo Yellowstone. Mi prometti che andrai a vederlo, mamma? Me lo prometti? Così poi mi racconti com'è.
    «Certo, Ludovico. Te lo prometto.»
    Grazie, mamma. Posso chiamarti qualche volta? Non ti arrabbi? Io mi arrabbiavo sempre quando le voci mi chiamavano.
    «Non mi arrabbierò, Ludovico» disse. Poi ricadde sul letto, piangendo a dirotto. Strinse con le mani il lenzuolo, mentre il dolore che aveva dentro diventava una morsa che le stritolava il cuore e lo stomaco.
    Tutto divenne silenzio, nei giorni a venire. Non sentiva più nulla, né i suoni né i rumori della città, né la gente che la chiamava. Nella sua testa c'era posto per una voce soltanto.
    La voce di Ludovico.
     
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  2. Fini Tocchi Alati
     
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    Bello.
    Mi ha commosso.

    SPOILER (click to view)
    La storia di sicuro non è molto originale, però è raccontata molto bene tanto che l'ho letta d'un fiato.
    Tuttavia, ho come avuto la sensazione che potesse essere ancora più efficace. A un certo punto mi è venuto in mente che la storia poteva essere raccontata con il tempo presente e forse, in questo modo, riuscirebbe a coinvolgere ancora di più.
    Alcuni punti li ho trovati ridondanti, specie all'inizio, altri troppo descrittivi. Ci sono anche un paio di riflessioni che stonano perché smorzano la tensione (tipo quella sui dottori che devono per forza dire qualcosa anziché stare zitti). Questo perché paiono più intromissioni dell'autore che pensieri del personaggio.
    Credo che dovresti rivedere la gestione dei punti di vista che talvolta è squilibrata, passando repentinamente dal bambino alla mamma e viceversa.
    Infine, il PDV di Ludovico una volta morto m'è parso forzato e strano. Forse perché il cambiamento è stato troppo repentino.

    Comunque, ripeto che mi è piaciuto e, alla luce delle considerazioni fatte, ti do un 3.
     
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  3. Magister Ludus
     
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    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 2/12/2010, 18:30) 
    Bello.
    Mi ha commosso.

    Cavolo, grazie :)

    In spoiler le risposte:

    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    Tuttavia, ho come avuto la sensazione che potesse essere ancora più efficace. A un certo punto mi è venuto in mente che la storia poteva essere raccontata con il tempo presente e forse, in questo modo, riuscirebbe a coinvolgere ancora di più.
    Alcuni punti li ho trovati ridondanti, specie all'inizio, altri troppo descrittivi. Ci sono anche un paio di riflessioni che stonano perché smorzano la tensione (tipo quella sui dottori che devono per forza dire qualcosa anziché stare zitti). Questo perché paiono più intromissioni dell'autore che pensieri del personaggio.

    Sì, in effetti quel punto non mi convinceva... lo toglierò nella revisione.
    Sul tempo presente non so dirti. A me personalmente non piace molto, però posso sempre provare a cambiare il tempo e poi rileggerlo e vederne l'effetto.
    CITAZIONE
    Credo che dovresti rivedere la gestione dei punti di vista che talvolta è squilibrata, passando repentinamente dal bambino alla mamma e viceversa.

    ok

    In
    CITAZIONE
    Infine, il PDV di Ludovico una volta morto m'è parso forzato e strano. Forse perché il cambiamento è stato troppo repentino.

    Altro punto che non mi convinceva, infatti. Inizialmente quel pezzo non doveva esserci, poi l'ispirazione... :woot:
    Ma tu intendi la sua consapevolezza- e accettazione- di essere morto?
    Volevo quasi interrompere il racconto col "Ciao, mamma" di Ludovico.


    CITAZIONE
    Comunque, ripeto che mi è piaciuto e, alla luce delle considerazioni fatte, ti do un 3.

    Grazie ancora :)

     
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  4. rehel
     
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    Accidenti a te, maestro dei giochi, mi hai fatto venire le lacrime agli occhi... bastardo! :rolleyes:
    Quando si tratta di bambini divento sensibile. :unsure:
    Il mio voto è quattro, un altro candidato alla finale. :)
    Come appunti rilevo solo queste cosucce:
    all'inizio, c'è una assonanza: nella MENTE di Ludovico e poi subito dopo, salì veloCEMENTE le scale.
    Inoltre, nella stessa frase, trovo che quando inizi il periodo con: Accelerò il passo, ecco, il soggetto della precedente è La voce, non puoi scrivere dopo il punto, che accelerò il passo, se non cambi soggetto sembra che sia la voce a...
    Verso la fine io troncherei il racconto a:
    SPOILER (click to view)
    [/SPOILER]-...si rendeva conto a un tratto, era una voce anche lui. [SPOILER]
    Quello che segue, una cartella abbondante, mi sembra superfluo, incapace di aggiungere cose importanti. Mio parere personalissimo, chiaro.
    Alla prossima.
    :)
     
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  5. Magister Ludus
     
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    CITAZIONE (rehel @ 3/12/2010, 21:01) 
    Accidenti a te, maestro dei giochi, mi hai fatto venire le lacrime agli occhi... bastardo! :rolleyes:

    Beh, mi fa piacere, in senso letterario ovvio :D

    CITAZIONE
    Il mio voto è quattro, un altro candidato alla finale. :)

    Il mio primo 4 :) (a parte quelli presi a scuola...)

    CITAZIONE
    all'inizio, c'è una assonanza: nella MENTE di Ludovico e poi subito dopo, salì veloCEMENTE le scale.
    Inoltre, nella stessa frase, trovo che quando inizi il periodo con: Accelerò il passo, ecco, il soggetto della precedente è La voce, non puoi scrivere dopo il punto, che accelerò il passo, se non cambi soggetto sembra che sia la voce a...

    Hai ragione, grazie, è un errore che faccio spesso.

    CITAZIONE
    Verso la fine io troncherei il racconto a:
    SPOILER (click to view)
    [/SPOILER]-...si rendeva conto a un tratto, era una voce anche lui. [SPOILER]
    Quello che segue, una cartella abbondante, mi sembra superfluo, incapace di aggiungere cose importanti. Mio parere personalissimo, chiaro.

    Sì, avevo pensato di troncare lì, fra le varie ipotesi. In revisione si tronca :)

    Grazie mille per i commenti :)

     
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  6. princ3ss
     
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    SPOILER (click to view)
    La donna richiuse la porta e andò in cucina. Poi si lasciò cadere su una sedia e scoppiò a piangere. Suo marito era morto due anni prima. Io metterei il nome del marito, poichè è lei che sta pensando alla sua morte.

    a rimettersi in paro-pari

    «Io li sento per davvero. Sento le voci, tutti i giorni. - Io le sento per davvero tutti i giorni


    E' un racconto fluido ed esteso, come lo scorrere di un grande fiume dell'Asia. E' perfetto dal punto di vista espressivo, sequenziale, logico, ortografico e sintattico. Il lettore vi si adagia e si lascia trasportare dal fluire di quest'acqua in un crescendo acclimatato di emotività. Però... è un racconto ideale per bambini e ragazzi, eccellente direi. Non volermene ti prego, l'ho apprezzato molto e mi ha commossa.
    Voto 3 e mezzo.
     
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  7. Magister Ludus
     
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    CITAZIONE (princ3ss @ 4/12/2010, 16:15) 
    SPOILER (click to view)
    La donna richiuse la porta e andò in cucina. Poi si lasciò cadere su una sedia e scoppiò a piangere. Suo marito era morto due anni prima. Io metterei il nome del marito, poichè è lei che sta pensando alla sua morte.

    a rimettersi in paro-pari

    CITAZIONE
    «Io li sento per davvero. Sento le voci, tutti i giorni. - Io le sento per davvero tutti i giorni

    Mi riferivo ai morti... però in effetti poi c'è un cambio di soggetto...


    E' un racconto fluido ed esteso, come lo scorrere di un grande fiume dell'Asia. E' perfetto dal punto di vista espressivo, sequenziale, logico, ortografico e sintattico. Il lettore vi si adagia e si lascia trasportare dal fluire di quest'acqua in un crescendo acclimatato di emotività. Però... è un racconto ideale per bambini e ragazzi, eccellente direi. Non volermene ti prego, l'ho apprezzato molto e mi ha commossa.
    Voto 3 e mezzo.

    Grazie mille della lettura e dei bei commenti :)

    Perché dici che è un racconto per bambini e ragazzi?
     
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  8. princ3ss
     
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    Per i motivi che ti ho scritto nel commento. La facilità della lettura, la ricchezza e fluidità descrittiva e narrativa, l'aderenza alla realtà (un figlio orfano, la malattia, la madre sola). Io lo immagino sui banchi di una scuola media, dove i ragazzi lo stanno leggendo ed hanno la possibilità di interpretarlo e sviscerarlo, direi di viverlo, commentandolo fra loro e con gli insegnanti.
    Per un adulto invece manca forse di sorpresa, poichè tutto è ben spiegato così, non si vivono tensioni, perchè ci accompagni dolcemente attraverso tutta la storia, preparandoci anche all'epilogo tragico, ma accettabili. Quelle stesse voci mi paiono buone. (e ti suggerirei di non modificarlo perchè è nato così e così è eccellente)
     
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  9. Virgart
     
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    La storia è indubbiamente struggente.
    Un destino terribile che si accanisce sulla madre. Però non mi ha convinto.

    SPOILER (click to view)
    Ti segnalo il punto che mi è piaciuto meno.
    ...
    Ed ecco ora Ludovico sdraiato nel lettino d'ospedale, a osservare il via vai degli infermieri in contrasto con l'immobilità degli altri bambini, sdraiati anch'essi sui loro letti, silenziosi, costretti all'inazione da un destino troppo complicato per le loro menti semplici e pure da poter essere compreso.
    Eccolo stringere ...

    Mi è sorto anche il dubbio: lui sente le voci perché è malato, o le sente e basta?
    Se poi le sente anche la madre, è un indizio di malattia anche per lei?

    Il mio voto è due

    ciao

     
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  10. Fini Tocchi Alati
     
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    CITAZIONE (Magister Ludus @ 2/12/2010, 19:10) 
    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    Infine, il PDV di Ludovico una volta morto m'è parso forzato e strano. Forse perché il cambiamento è stato troppo repentino.

    Altro punto che non mi convinceva, infatti. Inizialmente quel pezzo non doveva esserci, poi l'ispirazione... :woot:
    Ma tu intendi la sua consapevolezza- e accettazione- di essere morto?
    Volevo quasi interrompere il racconto col "Ciao, mamma" di Ludovico.

    SPOILER (click to view)
    Scusa se ti rispondo dopo tanto!
    Allora, mi è parso strano passare da Ludovico vivo a Ludovico morto in modo così... naturale. E' come se, in realtà, niente fosse cambiato. Forse è solo una mia sensazione, ma magari dovresti inventarti qualcosa per evidenziare il cambiamento. Forse, basterebbe un doppio a capo.
    Però, ti ripeto: magari è solo una mia sensazione. Vedi anche che ne pensano gli altri.
     
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  11. Magister Ludus
     
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    CITAZIONE (Virgart @ 6/12/2010, 12:00)
    SPOILER (click to view)
    Ti segnalo il punto che mi è piaciuto meno.
    CITAZIONE
    ...
    Ed ecco ora Ludovico sdraiato nel lettino d'ospedale, a osservare il via vai degli infermieri in contrasto con l'immobilità degli altri bambini, sdraiati anch'essi sui loro letti, silenziosi, costretti all'inazione da un destino troppo complicato per le loro menti semplici e pure da poter essere compreso.
    Eccolo stringere ...

    La ripetizione qui è voluta.
    CITAZIONE
    Mi è sorto anche il dubbio: lui sente le voci perché è malato, o le sente e basta?

    Il dubbio anche è voluto. E' solo una storia drammatica o ha anche un certo sapore horror? :)

    CITAZIONE
    Se poi le sente anche la madre, è un indizio di malattia anche per lei?

    Su questo ti do ragione, la cosa potrebbe non esser chiara.

    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 6/12/2010, 12:13) 
    SPOILER (click to view)
    Allora, mi è parso strano passare da Ludovico vivo a Ludovico morto in modo così... naturale. E' come se, in realtà, niente fosse cambiato. Forse è solo una mia sensazione, ma magari dovresti inventarti qualcosa per evidenziare il cambiamento. Forse, basterebbe un doppio a capo.
    Però, ti ripeto: magari è solo una mia sensazione. Vedi anche che ne pensano gli altri.

    Proverò a rileggere quel pezzo.
     
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  12. Ryan79
     
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    Ciao Daniele, ecco il mio commento:

    SPOILER (click to view)
    il racconto è ben scritto, c'è un bell'atteggiamento tenero e commosso nei confronti del bambino, lo stile non è pesante e si legge scorrevole senza problemi.

    Concordo anche io nel togliere l'ultima parte e fermarmi a:

    Ciao, rispose Ludovico, e non sembrò arrabbiato di parlare alle voci, perché adesso, si rendeva conto d'un tratto, era una voce anche lui.

    Sia perché il resto non serve a molto, sia perché anzi insinua il dubbio che il tumore venga anche alla madre.

    Ti segnalo:

    “gli riusciva sempre più facilmente dire bugie”
    facile meglio di facilmente

    “Chi l'avrebbe creduto”
    gli

    “imponendosi un silenzio quando le voci arrivavano”
    il invece di un

    “bisognerebbe parlare a Ludovico a quattrocchi”
    mi pare si dica “a quattr'occhi”

    “non ci saranno giovamenti”
    un po' arcaico... meglio miglioramenti?

    Volevo soltanto metterla a parte
    idem... è abbastanza raro sentire qualcuno parlare così: volevo soltanto informarla, dirle che.... ecc

    “che in alcuni giorni non lo lasciavano in pace quasi per niente”
    quel quasi per niente non è bellissimo, forse dovresti togliere il quasi

    “non era arrabbiata con lui, dunque, per i brutti voti presi a scuola”
    via il dunque, che non aggiunge nulla alla frase

    “La madre chiamò il medico quel giorno stesso, che le consigliò uno psichiatra infantile”
    messa così sembra che sia il giorno a consigliare: meglio “il giorno stesso la madre chiamò il medico di famiglia, il quale le consigliò...

    “costretti all'inazione da un destino troppo complicato per le loro menti semplici e pure da poter essere compreso.”
    Periodo poco chiaro.. io avrei messo: “costretti all'inazione da un destino troppo complicato per essere compreso dalle loro menti semplici e pure”

    Il mio voto è 3 perché malgrado sia scritto bene non mi ha emozionato quanto mi sarei aspettato da un tema del genere, forse a causa di una struttura un po' troppo lineare e priva di scossoni, come ti hanno segnalato anche gli altri...


    ADD: mi permetto di aggiungere una considerazione sul titolo:
    SPOILER (click to view)
    IO PARLO CON I MORTI è un po' debole e fa capire subito tutto, io avrei usato un titolo tipo CIAO LUDOVICO che da una parte riprende quello che dicono le voci, dall'altra è anche un saluto al bambino che muore.. che ne pensi? :)


    ciao!
     
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  13. Magister Ludus
     
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    CITAZIONE (Ryan79 @ 8/12/2010, 18:35) 
    SPOILER (click to view)
    Il mio voto è 3 perché malgrado sia scritto bene non mi ha emozionato quanto mi sarei aspettato da un tema del genere, forse a causa di una struttura un po' troppo lineare e priva di scossoni, come ti hanno segnalato anche gli altri...


    ADD: mi permetto di aggiungere una considerazione sul titolo:
    SPOILER (click to view)
    IO PARLO CON I MORTI è un po' debole e fa capire subito tutto, io avrei usato un titolo tipo CIAO LUDOVICO che da una parte riprende quello che dicono le voci, dall'altra è anche un saluto al bambino che muore.. che ne pensi? :)


    ciao!

    Ciao e grazie per lettura e commenti. Concordo in toto sulle segnalazioni, eccetto quattrocchi che, ho appena controllato, lo Zingarelli lo dà per buono :)

    Sul titolo, invece, non sono d'accordo. Fa capire che parla con i morti, ma non certo la storia. Concordo che non sia il titolo del secolo, però :P
     
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  14. Mastronxo
     
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    Ciao!

    SPOILER (click to view)
    Allora, quel che mi è piaciuto è il tuo modo di scrivere fluido. Tutto chiaro.
    Il problema per me è: tutto è stato troppo chiaro. Ogni volta che c'era un avvenimento abbastanza forte, smorzavi tutta l'emotività che avrei preferito rimanesse dentro di me, piuttosto che spiegata attraverso le parole del narratore.
    Per esempio quando spieghi della morte del padre... per me, molto meglio dire 'quando era morto' e basta, togliere il come.
    Oppure alla fine, quando muore Ludovico: non mi è piaciuto come hai diluito tutto con le sue sensazioni dopo morto. Preferisco lo show don't tell.
    All'inizio ho pure notato un forte ripetersi degli stessi concetti, anche se in situazioni differenti (le voci, le sensazioni del bimbo ecc.) che ha reso tutto per me poco immediato, difficile empatizzare con i personaggi, anche se immagino sia un problema mio.
    Insomma, ho notato che c'è poco spazio per i pensieri di chi legge. Come consiglio? Abbiamo due stili del tutto diversi, io e te, quindi non posso dartene. Personally preferirei dei tagli, soprattutto di ciò che non è necessario, ma sottolineo quel personally.
    p.s. in questo senso, ho adorato la tua conclusione. Eviterei di cambiarla: è l'unico momento in cui si ha un dubbio, ovvero se le voci le sentono solo i malati o meno. La madre è malata pure lei? Non si sa... questo è buono. Non è da spiegare.


    Per me, voto 2 bello pieno.
     
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  15. Magister Ludus
     
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    CITAZIONE (Mastronxo @ 9/12/2010, 19:39) 
    Ciao!

    SPOILER (click to view)
    Allora, quel che mi è piaciuto è il tuo modo di scrivere fluido. Tutto chiaro.
    Il problema per me è: tutto è stato troppo chiaro. Ogni volta che c'era un avvenimento abbastanza forte, smorzavi tutta l'emotività che avrei preferito rimanesse dentro di me, piuttosto che spiegata attraverso le parole del narratore.
    Per esempio quando spieghi della morte del padre... per me, molto meglio dire 'quando era morto' e basta, togliere il come.
    Oppure alla fine, quando muore Ludovico: non mi è piaciuto come hai diluito tutto con le sue sensazioni dopo morto. Preferisco lo show don't tell.
    All'inizio ho pure notato un forte ripetersi degli stessi concetti, anche se in situazioni differenti (le voci, le sensazioni del bimbo ecc.) che ha reso tutto per me poco immediato, difficile empatizzare con i personaggi, anche se immagino sia un problema mio.
    Insomma, ho notato che c'è poco spazio per i pensieri di chi legge. Come consiglio? Abbiamo due stili del tutto diversi, io e te, quindi non posso dartene. Personally preferirei dei tagli, soprattutto di ciò che non è necessario, ma sottolineo quel personally.
    p.s. in questo senso, ho adorato la tua conclusione. Eviterei di cambiarla: è l'unico momento in cui si ha un dubbio, ovvero se le voci le sentono solo i malati o meno. La madre è malata pure lei? Non si sa... questo è buono. Non è da spiegare.


    Per me, voto 2 bello pieno.

    Grazie anche a te della lettura e dei commenti. Sulla fine ci sono pareri discordanti :)
     
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26 replies since 1/12/2010, 08:56   273 views
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