Acqua sporca
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Acqua sporca

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  1. Snow2
     
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    SPOILER (click to view)
    9 dicembre, nuova versione

    Acqua sporca




    I - 20 novembre

    ― Li ho trovati, ― gridò Mirko al cellulare, ingranando la terza.
    ― Chi? ― chiese Angelo con un filo di voce.
    ― Come chi? Porca troia, loro, Angelo. Loro!
    Angelo ammutolì.
    ― Vivono al piano terra di una palazzina sul lungarno Cellini. Proprio sul lungarno. Hai capito questi stronzi come si trattano? Dobbiamo fargliela pagare, fratello.
    ― Non voglio averci nulla a che fare, ― disse Angelo, la voce rimpicciolita dal telefono. ― Non capisci? Ho ancora paura di uscire di casa.
    ― Dài, ― urlò Mirko pestando sull’acceleratore.
    ― Non ci riesco. Mi tremano le mani neanche avessi l’Alzheimer, e non vedo Luca da quel giorno. Ci ho litigato di brutto.
    ― Neanche io e te ci siamo più rivisti, dopo la sera al Red Garter. Dobbiamo fare i conti con loro, Angelo, altrimenti non riusciremo più ad andare avanti.
    ― Mirko, Luca mi ha mollato.

    Mirko rallentò.
    Indugiò con lo sguardo su alcuni turisti seduti sul parapetto del lungarno con delle Heineken in mano.
    ― Angelo mi dispiace, ― disse. ― Raccogli le forze. Passo a prenderti a mezzanotte.
    ― Scordatelo. E non provare a richiamarmi.
    ― Merda. ― Mirko chiuse la chiamata e lanciò il Nokia sul sedile del passeggero.
    Si passò una mano fra i capelli.
    Ci mancava solo questa, pensò. Povero Angelo.
    Dieci minuti dopo infilò il vicolo dei Cechi e aprì il cancello di casa con il telecomando.

    Sbatté la portiera rischiando di abbattere la sua Opel Corsa blu tutta ammaccata, poi scalciò in terra, alzando un minuscolo fungo atomico di polvere.
    ― Che c’è? ― chiese sua madre dall’uscio di casa, con indosso la solita vestaglia a fiori.
    ― Niente ma’, ― rispose lui. ― Entra in casa o prenderai freddo.

    Quando fu rientrata Mirko si diresse verso il capanno degli attrezzi.
    Sventagliò lo sguardo sugli utensili, infine afferrò la vanga. Il manico aveva il diametro del suo avambraccio.
    Appoggiò la lama della vanga per terra e calciò con forza contro lo staffale, finché non riuscì a estrarre il bastone.
    Troppo ingombrante, pensò agitando l’asta per aria.
    Afferrò il saracco dal capanno, poi si accovacciò per terra. Appoggiò un’estremità del bastone per terra e l’altra sulla sua coscia destra.
    Poi cominciò a segare.



    II - 4 novembre

    Fuori dal Red Garter capannelli di turisti, amici e ragazze più o meno in tiro intasavano via de’ Benci chiamandosi, fumando sigarette, ondeggiando al ritmo della musica che giungeva dall'interno.
    Angelo si stiracchiò con espressione sognante, come un gatto appena risvegliato da una mano giocosa. Aveva gli occhi brilli.
    ― Che ne pensa Luca dei baffi che ti sei fatto crescere? ― gli chiese Mirko.
    ― Cos’è, un altro test?
    ― Puoi dirlo forte.
    ― Gli piacciono. In verità è stata una sua idea.
    Mirko si accese una Camel e sbuffò il fumo. ― Lo sapevo, i baffi sottili sono fighi. Il tuo ragazzo continua ad andarmi a genio...
    ― Ti dispiace?
    ― Mi divertivo di più con quelli di prima. Luca non riesco a prenderlo in giro.
    ― Sta’ tranquillo, gli ho già fatto sapere che lo ammiri, ― disse Angelo.
    Mirko lo incenerì con lo sguardo. ― Questa la pagherai cara...
    Angelo rise. ― Già immagino la faccia imbarazzata che farai quando verremo a mangiare da te.

    Mirko inquadrò una ragazza sui venticinque, gonna corta e calze scure, grandi occhi sotto una frangetta nera come l’inchiostro.
    Le sorrise.
    ― Ma quand’è che ti decidi a fare sul serio con qualcuna? ― gli chiese Angelo.
    Mirko lo guardò. ― Vorrei, ― mentì, ― ma sono troppo impegnato per pensarci.
    ― Troppo impegnato?
    ― Col lavoro, intendo.
    Angelo arricciò le labbra. ― Tu lavori di pomeriggio. Quello non è lavorare.
    ― Lo dici tu, ― rispose Mirko.
    L’aria fredda di novembre gli formicolava nei polmoni; i lampioni attorno a lui tingevano d’arancione gli edifici in pietraforte facendoli sembrare ancora più vecchi.
    La serata gli era piaciuta; si sentiva bene.
    ― Dài, ― lo incitò Angelo. ― Torniamo alla macchina. È lontana.
    Mirko alzò il mento per indicare la ragazza con la frangetta. ― E quella?
    ― Ma smettila… ― lo troncò Angelo. ― È una tipa di un certo livello. Non fa per te.


    ***




    Mirko sbatté le palpebre. Davanti a lui c’era la faccia di un uomo con i capelli rasta e le pupille dilatate. Molto dilatate.
    Si trovava in una macchina, sui sedili posteriori.
    ― Oh, s’è svegliato, ― disse l’uomo con i rasta, seduto sul sedile anteriore ma voltato verso di lui.
    Mirko venne assalito da una fitta alla tempia, come se avesse mangiato un gelato troppo in fretta. La testa cominciò a dolergli al punto da farlo piegare.
    Quando si ritirò su si accorse che c’era qualcuno al suo fianco. Era un uomo dalla faccia larga e schiacciata, con la testa rasata e una bocca enorme. Sembrava un mastino.
    Si sporse e oltre la sua pelata vide Angelo.
    Era svenuto.
    Aveva la testa abbandonata all’indietro, il volto dipinto di nero. Mirko capì che era pieno di sangue.

    Sbarrò gli occhi, cominciando a ricordare.
    Lui e Angelo che camminavano per i vicoli di Firenze sud. Tre tipi sui trenta, strafatti di coca o altra roba che li avvicinavano e li provocavano.
    Poi il dolore, la sua guancia incollata a una mattonella del manto stradale e i calci, tutti quei calci.
    Il rasta in giacca e cravatta che tirava su Angelo tenendolo per i capelli, e diceva: ora venite a fare un giro con noi.
    La macchia di piscio che si allargava sui jeans chiari di Angelo.

    ― No, ― urlò Mirko, ― Fateci scendere, diocane
    Dopo aver parlato, sentì i tagli sulle sue labbra allargarsi. Si portò una mano al volto e il sangue gli si appiccicò sulle dita.
    ― Non bestemmiare! ― strillò il rasta.
    La sua cravatta ondeggiò. Dal nulla gli comparì in mano una pistola con un cilindretto scuro sulla canna.
    ― Okay, ― balbettò Mirko. ― Okay...
    Guardò fuori dal finestrino e vide che erano ancora in centro, dalle parti di San Frediano. Cercò la maniglia ma era un’auto a tre porte.
    ― Chi siete? ― chiese al mastino.
    Quello non rispose, e nemmeno si voltò per guardarlo.
    L’uomo coi rasta rise. ― A me puoi chiamarmi Pistola, se vuoi… e tu? ― chiese il rasta al guidatore, che fino allora era rimasto zitto. ― Come ti chiami?
    Mirko cercò il volto riflesso nello specchietto e vide una faccia belloccia con sopra un cappello nero di lana.
    ― Taxi Driver, ― disse quello.
    ― Dove ci state portando?
    ― Nessun posto in particolare, ― disse Pistola, ― ma posso darti un’anticipazione. Sentirete freddo, molto freddo.

    Mirko cercò Angelo con gli occhi. Sembrava ancora svenuto.
    ― Angelo, ― chiamò.
    Nulla.
    Allora Mirko prese fiato e urlò: ― Ferma questa cazzo di macchina, ― lanciando le braccia oltre il sedile davanti, sul volto di Taxi Driver.
    Un colpo di maglio si abbatté sulla sua tempia sinistra, mandandogli la destra a sbattere contro il finestrino.
    Poi mentre scivolava sotto il sedile vide una grossa mano avvicinarsi.
    Il mastino gliela piantò sulla bocca, e al contempo tirò indietro l’altro braccio, chiuse il pugno.
    Lo colpì ancora.

    ***



    Mirko riaprì gli occhi. Era steso nell’erba.
    Angelo lo stava scuotendo.
    Un secondo dopo il volto di Angelo svanì, cancellato dallo stivale dell’uomo coi rasta.
    Una mano si posò sul petto di Mirko e lo tirò su stringendolo per la giacca. Era il mastino.
    Mirko vide l’Arno ai suoi piedi e la struttura in cemento del Ponte San Niccolò, il penultimo a Est di Firenze, sopra le loro teste. Il fiume borbottava e sputava, gonfio di fango, carpe e residui chimici.
    L’auto dei tre assalitori era a pochi metri da loro: una Mazda nera come il catrame ancora caldo; l'avevano parcheggiata a pochi metri dall’acqua, sfruttando una delle rampe di terra battuta che si usano per portare giù le canoe.

    D'un tratto Taxi Driver toccò la spalla di Pistola per richiamarne l’attenzione.
    ― Se Lui non li vuole come cazzo facciamo? ― gli chiese.
    ― Li vuole.
    ― Hai visto quanta polvere si è sparato oggi. Potrebbe non volerli.
    Mirko vide Pistola lanciarsi un dred dietro una spalla, poi allentarsi la cravatta. ― Be’ ormai siamo qui, ― disse. ― Buttiamoli dentro. Che altro vuoi fare? Tanto se Lui non li vuole, crepano lo stesso. Poi Lui li trova e li mangia dopo.
    Taxi Driver si strinse nelle spalle e fece un cenno al mastino, che lasciò cadere Mirko e afferrò Angelo. Indicò il suo petto guardando Pistola, che disse: ― Non li voglio i suoi vestiti.
    Allora il mastino mise una mano sui coglioni di Angelo e l’altra sul suo petto. Lo sollevò sulle braccia, e portò le braccia sopra la testa.
    Fece due passi avanti e lo lanciò nel fiume.

    Mirko vide Angelo volare per un metro e mezzo e sparire nell’acqua scura come petrolio.
    ― Bel volo, ― disse Pistola. Poi si voltò verso Mirko. ― Diamogliene un altro po’, a questo qua. Poi buttiamo dentro anche lui.



    III - 21 novembre

    Mirko spingeva la sua Opel al massimo, lasciando che il vento lo percuotesse attraverso il finestrino aperto, facendogli turbinare i capelli.
    Firenze era semideserta, all’una di notte di un mercoledì qualunque; i due bastoni ricavati dal manico della vanga rotolavano sui tappetini posteriori.
    Mirko si fermò al semaforo sotto piazzale Michelangiolo, osservando l'Arno che scorreva pigro alla sua sinistra. Si accese una Camel, il semaforo si fece verde e lui sgasò sorpassando l’auto che aveva davanti.
    Corse verso est, poi si immise sul Lungarno Cellini rallentando.
    Passò davanti alla casa degli aggressori a venti all’ora.

    Quando riportò lo sguardo sulla strada vide una figura seduta sul muretto alla sua sinistra.
    Il voltò gli si illuminò.
    Tirò la testa fuori dal finestrino e Angelo lo guardò senza battere ciglio. Sembrava incazzato.
    Mirko fermò la macchina. ― Salta su, ― gli disse.
    Angelo scese dal muretto, fece il giro e salì.
    Ripartendo Mirko si voltò verso l'amico e notò che aveva il naso storto e le labbra ingrossate dal tessuto cicatriziale, proprio come lui.
    ― Grazie per essere venuto, ― gli disse.
    ― Sono venuto per convincerti a lasciar perdere.
    ― Cazzate… Se avessi voluto impedirmelo saresti venuto a trovarmi a casa.
    Angelo restò in silenzio.
    ― Ti conosco troppo bene. Non che sia un vanto, ma è vero.
    ― Non scherzare, porca troia. Cosa sarebbero quei bastoni lì dietro?
    ― Armi.
    ― Quelli hanno una pistola, ― disse Angelo. ― Almeno una.
    ― Noi abbiamo la sorpresa, ― rispose Mirko.
    Angelo storse il naso. ― Merda, ― disse.
    ― Ti spiegherò il piano nei dettagli, ― continuò Mirko.
    ― E se qualcosa va storto?
    ― Una volta dentro facciamo roteare le mazze, ma se ci dice male infiliamo di nuovo la porta, raggiungiamo il ponte e lo attraversiamo di corsa.
    ― Dall’altro lato del fiume la zona è videosorvegliata…
    ― Esatto.
    Angelo si passò una mano fra i capelli. ― Lo sai che dovremmo chiamare la polizia, vero?
    ― Certo che lo so.
    Scese il silenzio.

    ― Mirko, ― chiese Angelo dopo un po’, ― tu lo senti il freddo?
    ― Tutto il giorno, ― sussurrò lui. ― A cominciare da quando mi sveglio. Mi è entrato nei polmoni. Mi è entrato dentro da ogni ferita, come se il fiume avesse puntato a congelarmi l’anima. Ero sicuro che sarei morto.
    ― Anche io. E non è stata solo la paura della morte, è stata la loro... cattiveria ad aver rotto qualcosa dentro di me.
    ― Il freddo non se ne andrà mai. Forse fra vent’anni; non prima. Non chiedermi perché, ma lo so.
    Angelo disse: ― Parcheggia.
    E Mirko fermò la macchina.
    ― Se ne usciamo vivi andrò a trovare Luca e torneremo insieme, ― continuò Angelo.
    ― Te lo auguro, fratello. Io mi cercherò un lavoro vero e mi fidanzerò con Katia.
    ― Quella dell’enoteca?
    ― Proprio lei. Sono otto anni che ci conosciamo e di tanto in tanto andiamo a letto. Con lei mi sento bene.

    Uscirono dall’auto. Mirko schiacciò il telecomando e la Opel lampeggiò per un attimo. Poi lui e Angelo si incamminarono verso la Casa.
    ― Siamo impazziti secondo te? ― chiese Angelo.
    ― Non lo so, ― disse Mirko. ― Non sono in molti ad aver passato quello che abbiamo passato noi.
    ― Forse siamo impazziti, ― disse Angelo.
    ― Forse sì.

    ***



    ― Ammetto che non è un piano molto sofisticato.
    ― Meglio, abbiamo più chance di cavarcela.
    I due si erano nascosti dietro un’auto in una stradina interna, a venti metri dalla Casa.
    ― Occhio, uno di loro sta uscendo, ― disse Angelo.
    ― È Taxi Driver, ― rispose Mirko dandogli di gomito.
    Nel vicolo che separava la palazzina degli assalitori da quella a fianco, spuntò un uomo alto, con un giubbotto di pelle e un cappello di lana calcato in testa.
    Mirko e Angelo lo osservarono passare oltre la Mazda nera e allontanarsi a piedi.
    ― Non ci resta che aspettare.
    ― Occhio, però. Potrebbe tornare fra pochi minuti. Magari sta andando al distributore di sigarette, ― disse Mirko. ― O a lasciare una busta di coca in mano a qualcuno.

    Dopo qualche minuto Angelo disse: ― Ehi, hai presente il giorno dopo, quando eravamo in ospedale e ci siamo raccontati quello che ricordavamo?
    ― Sì.
    ― Ti ricordi quando in riva all'Arno quei due hanno cominciato a parlare di Lui?
    ― Sì, ma non c’ho capito un cazzo, sinceramente. E poi erano fattissimi, magari straparlavano.
    ― Sarà.
    Mirko strattonò Angelo. ― Sta tornando, ― gli disse, ― prendi la mazza.

    I due tirarono fuori i bastoni da sotto l’auto, li tennero dietro la schiena e avanzarono verso la palazzina.
    Taxi Driver non sembrava averli notati. Camminava tranquillo in direzione dell’entrata. Quando tirò fuori le chiavi di casa Angelo e Mirko attraversarono la strada e gli balzarono addosso come leoni.
    Mirko lo colpì sulla testa: si udì un tunf attutito.
    Livido.
    Aprì la porta per permettere ad Angelo di depositare il corpo oltre la soglia, poi avanzò registrando la situazione in un secondo: un corridoio di due metri seguito da un soggiorno con un grosso tavolo in mezzo.
    Pistola in camicia e cravatta su una poltrona, con espressione lercia e sognante; il Mastino steso su un divano a guardare un programma a base di culi e tette sulla TV in fondo alla sala.
    Mirko corse col bastone levato verso Pistola, che spalancò gli occhi e alzò un avambraccio per parare il colpo destinato alla sua testa; ma Mirko interruppe il fendente, impugnò il bastone come una lancia e gliene sbatté un’estremità contro i denti.
    La testa di Pistola rinculò facendo vorticare i dred. Il sangue schizzò sulla sua camicia bianca.

    Mirko si voltò e vide il mastino avvicinarsi con le braccia protese. Cercò di colpirlo ma lui parò con un gomito; allora Angelo scattò avanti e riuscì a centrarlo sulla fronte.
    Il mastino barcollò, ma non cadde.
    Ma che cazzo hanno dentro, questi? pensò Mirko.
    Con lo slancio di un rugbista sparò un calcio dritto sui suoi coglioni; il mastino si piegò e Angelo lo bastonò ancora sulla testa, mandandolo al tappeto.

    Un gorgoglio li fece voltare verso il corridoio in fondo alla sala. Era un rumore strano, che a Mirko ricordò il brontolio di un tuono.
    Quando si voltarono di nuovo Pistola colpì di striscio Mirko con un pugno al volto; Angelo d’istinto gli mollò un calcio nello stomaco e il rasta ricadde sulla poltrona.
    Poi una porta si aprì nel corridoio lontano, e ne uscì una figura camminando china.
    Quando fu nel mezzo del corridoio si tirò su, ed era alta due metri.
    La sagoma si avvicinò strascicando i piedi per terra. Quando la luce la investì rivelò scaglie verdi lucenti, baffi lunghi e ritti come antenne, una grossa bocca a cerchio. Puzzava di pesce vecchio, di giornali bagnati e foglie secche intrise di pioggia.

    Mirko riuscì a distogliere lo sguardo solo quando Angelo gli si afflosciò accanto.
    Dietro di lui apparve Pistola, con l’automatica in pugno.
    ― Prostrati, stronzo, ― gli disse.
    Mirko lasciò cadere il bastone e alzò le mani. Pistola allungò il braccio e lo colpì in testa con il calcio dell’arma.


    ***




    Mirko e Angelo ripresero coscienza sul divano.
    Davanti a loro sedeva il mastino, con la testa lorda di sangue e gli occhi che lanciavano granate. Sembrava non vedere l'ora di potergli staccare le teste.
    A capotavola si ergeva Lui. Solenne.
    Sembrava una via di mezzo tra il mostro della laguna nera e una grossa carpa antropomorfa.
    Al suo fianco sedeva Taxi Driver, con il volto pallido e uno straccio tenuto premuto contro la nuca.
    Pistola intanto si muoveva intorno al tavolo col fare meticoloso di un chierichetto: aveva fra le mani un pacco rettangolare; lo posò sul tavolo e lo incise con un coltello.
    Davanti all'Essere c’era una vaschetta di plastica rotonda, del tipo che si usa per servire l’insalata. Pistola ci riversò dentro il contenuto del pacco. Polvere bianca. Coca, pensò Mirko. Oppure mescalina. Poi Pistola riempì la vaschetta d’acqua, fino all'orlo.
    L’Essere pareva osservare quei gesti compiaciuto con i suoi grossi occhi neri, mentre nella TV alle sue spalle una tettona ce la metteva tutta per mettersi in mostra, come se fosse conscia di non essere più al centro dell'attenzione.

    ― Porca… troia, ― disse Mirko, spezzando il silenzio. ― Che state facendo?
    ― Sta’ zitto, ― disse Pistola. ― Stai per assistere a un miracolo.
    Angelo indicò la creatura: ― Cos’è quella cosa?
    ― Lui è il Dio del Fango, testa di cazzo. Il Signore dell’acqua sporca. È arrivato qualche mese fa, insieme a tutto quel fango e a quei tronchi, quando l’Arno si era gonfiato fino al livello d’allerta.
    Taxi Driver disse: ― Ammazziamoli.
    ― Prima il rito, ― disse Pistola.

    Il Dio del Fango immerse la testa nella vaschetta e la prosciugò producendo un gorgoglio sordo, come quello di un lavandino che tira giù una grande massa d’acqua.
    Quando si ritirò su rivoli d'acqua gli scivolarono giù per le scaglie.
    Pistola mise in tavola tre boccali vuoti. ― La mescalina accelera i processi riproduttivi del Signore del Fango, e lui ogni giorno la trasmuta per noi, ― spiegò.
    Il Dio si voltò verso Mirko e Angelo, come per godere della loro espressione inebetita, poi tornò a guardare dritto davanti a sé; si chinò in avanti e vomitò nella vaschetta.
    Un tanfo irrespirabile invase la stanza.

    Pistola riempì i boccali con il vomito del Dio; ne passò uno a Taxi Driver e avvicinò l’altro al mastino.
    I tre bevvero, con lo sguardo perso nel vuoto come se volessero concentrarsi meglio sull'effetto della sostanza.
    Le loro pupille si dilatarono fino a occupare quasi del tutto i globi oculari. Impossibile non notarlo.
    Angelo e Mirko si scambiarono uno sguardo.
    Poi Mirko vide Angelo fremere, come se non reggesse più il silenzio. Lo vide indicare ancora la creatura: ― Come può essere qui? Com'è possibile?
    Pistola si passò la lingua sulle labbra: ― Ce l'ha spiegato lui come fa, ― rispose con voce roca e sognante. ― Esce dall'acqua e attraversa la strada. In una giornata c'è sempre un momento in cui nessuno guarda, così ha detto.

    Quando i tre ebbero riappoggiato i boccali sul tavolo, il Dio del fango emanò una specie di ansito, facendo vibrare le antenne.
    Pistola chinò il capo. ― Sì, ― disse.
    Tirò fuori la pistola da sotto la camicia e la lanciò al mastino, che la prese al volo.
    ― Falli fuori, ― ordinò.
    Il mastino controllò che il silenziatore fosse ben avvitato, poi, senza dire grazie né vaffanculo, stese il braccio verso la faccia di Mirko.

    Mirko sentì le palle rattrappirsi di colpo. Chiuse gli occhi. Addio, fece in tempo a pensare.


    ***




    Udì Angelo muoversi, e quando riaprì le palpebre vide il mastino con un coltello piantato nella gola. Il sangue cominciò a sprizzare come lanciato da un annaffiatoio rotante, inzuppando il suo viso, quello di Angelo, tutto il divano.

    Il tempo di realizzare che neanche il suo amico era venuto disarmato e Mirko vide la pistola per terra.
    L’afferrò e la puntò davanti a sé. Taxi Driver e Pistola lo osservavano stupefatti.
    Mirko fissò negli occhi Taxi Driver e tirò il grilletto. Il colpo passò sopra la sua testa.
    Sparò ancora e lo mancò di nuovo; infine lo centrò su un lato della fronte.
    Taxi Driver roteò e piombò a terra, mentre per aria restava una nuvoletta di sangue.

    Pistola afferrò il bordo del tavolo e lo rovesciò producendo un fragore.
    Il cuore di Mirko batteva talmente forte da fargli sussultare il petto, ma la sua mente era fredda.
    Balzò in piedi sul divano e disse: ― Brutti coglioni, ― poi puntò l’arma contro Pistola, che intanto era scattato verso il corridoio buio.
    Tirò il grilletto: il primo e il secondo colpo si piantarono nel muro, il terzo si conficcò nella schiena di Pistola mandandolo giù nel corridoio, steso a pelle di leone.

    Mirko affiancò Angelo al centro della sala. Il braccio gli tremava come quand'era appena uscito dal fiume, la notte dopo il Red Garter.
    Lui era ancora seduto con la bocca aperta: immobile, ma con le antenne che vibravano.
    Mirko lo fissò per alcuni secondi, poi disse: ― È stupido. Non capisce... Secondo te dovrei sparargli? Cosa devo fare?
    Angelo lo scosse per la spalla: ― Ammazzalo perdio! Ammazzalo!
    Mirko tornò a fissare il Dio, chiuse gli occhi e sparò due colpi in rapida successione. Lui ansimò e cadde a terra. Poi Mirko sparò alla televisione, facendola esplodere.
    ― Continua a sparargli, ― strillò Angelo.
    Mirko si avvicinò al Signore del Fango.
    Era disteso sul pavimento; la pelle sulla sua schiena era verde, dura e traslucida: dentro si intravedevano delle sfere bianche luminescenti, grosse come palline da ping pong.
    La mescalina accelera la sua riproduzione, ricordò Mirko, e continuò a tirare il grilletto schizzandosi di un liquido che diveniva latteo quando una pallottola perforava delle uova.
    Poi la pistola cominciò a fare click.

    Angelo tornò di fianco a lui con in mano due bottiglie di vodka, trovate chissà dove.
    Le vuotò sul corpo del Dio.
    Tirò fuori l’accendino, lo accostò all’Essere e balzò indietro per sfuggire alle lingue di fuoco.
    Disse a voce bassissima: ― La polizia sarà già per strada, abbiamo fatto parecchio casino.
    ― Troviamo qualcosa per coprirci il viso quando usciamo, ― rispose Mirko in un filo di voce.
    ― Poi corriamo su per il fianco di collina: scende giù fino alla strada accanto. Da lì ci dileguiamo risalendo il parco, quello là…
    ― Il Boschetto.
    ― Sì. E arriviamo a casa tua dall’alto della collina.
    I due si guardarono intorno un’ultima volta. Sottili schizzi di sangue si inseguivano sul pavimento e lungo le pareti, mentre dal piccolo fuoco in mezzo alla stanza veniva un densissimo puzzo di fogna.
    l Dio del fango si stava sciogliendo.
    ― Andiamo, ― disse Mirko.

    Uscirono per strada con degli asciugamani avvolti sulla testa e corsero come se avessero alle spalle un branco di segugi.


    ***




    Per dieci minuti si inerpicarono nel buio, fra i lecci e gli abeti, con le foglie secchie che crepitavano sotto le loro scarpe.
    D'un tratto Angelo rallentò il passo fino a fermarsi. Aveva lo sguardo perso nel vuoto.
    ― Lì dentro non abbiamo visto niente, vero Mirko? ― gli chiese. ― C’erano solo tre spacciatori.
    Mirko parve risvegliarsi da una trance.
    Aprì la bocca senza riuscire a parlare. Si schiarì la gola.
    ― No. Non c’era niente lì dentro, ― disse.
    Osservò Angelo: sbatteva le ciglia a un ritmo innaturale, le sue guance si contraevano frenetiche.
    ― Solo tre spacciatori e una TV che trasmetteva un film con i mostri e le donne nude, ― continuò avvicinandosi all'amico.
    Lo abbracciò stretto, cercando di calmare i suoi brividi. ― Non è successo niente, fratello, ― gli sussurrò all’orecchio.
    ― Siamo impazziti, ― disse Angelo.
    ― Forse sì, ― rispose Mirko, ― ma sarà meglio riprendere a camminare.

    Edited by Snow2 - 9/12/2010, 13:18
     
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