Il taxi
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Il taxi

di Cristiana Morroni - circa 21.000 car

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  1. nescitgalatea
     
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    Il taxi

    Lo scoppio era stato improvviso, nessuno aveva avuto il tempo di rendersi conto di quello che stava accadendo. La strada si era trasformata in un inferno e la palazzina di Via Sestriere, in pieno centro di Roma, rasa al suolo. Al suo posto più niente.
    La perdita di gas era poi stata individuata al terzo piano.


    °*°*°

    − Sì, buongiorno, è la 207! Mi chiama un taxi per favore?
    − Certo signore, subito.

    − Mi scusi, c’è traffico, Alabama23 in quindici minuti. Provo un altro?
    − No, va bene, grazie. Piuttosto, mi prepara il conto?
    − Certo signore.

    Avrebbe dovuto raccogliere le sue cose e andare. C’era da consegnare il progetto definitivo a Raggi, preparare il discorso per la conferenza stampa e fissare gli appuntamenti con gli avvocati e il commercialista, senza dimenticare Sergio, che aspettava una risposta da più di un mese.

    La valigetta ventiquattrore era accanto alla poltrona, dove l’aveva appoggiata la sera prima. Si maledisse pensando di non aver messo mano al lavoro che doveva finire quella notte. Almeno la relazione. Cazzo!

    Nel bagno la luce illuminava una mensola color verde penicillina, un bicchiere di plastica trasparente ben sigillato nel cellophane e una boccetta di sapone per tutti gli usi. Lo specchio metteva in risalto le rughe sulla sua faccia, due borse gonfie sotto gli occhi e gli occhi, spenti e tumefatti. Era invecchiato! Il getto d’acqua dal rubinetto arrivò di colpo, preceduto da uno sbuffo d’aria che sapeva di muffa. Come la sua bocca, aveva pensato sputando qualcosa di giallo. Alzò ancora gli occhi nello specchio e vide, riflesso nella stanza accanto, il groviglio delle lenzuola ai piedi del letto.

    Un sibilo gli aveva traforato l’orecchio sinistro. Un fiotto inarrestabile di sangue gli riempiva la bocca costringendolo a sputare fuori quella cascata rossa che gli stava affogando la cravatta. Le orecchie non contenevano più quel liquido bollente che gli rigava il collo in un andamento lento ma regolare che si era arrivato a ficcare sotto le ascelle, scivolava sul braccio, fino al polso, lungo la mano, tra le unghie, sulle ginocchia e giù, di schianto tra i piedi. Tutto quel sangue lo stava sommergendo e Paolo non riusciva a respirare. Boccheggiava.

    Ancora un boato, poi rumori. I suoi pensieri, quella mattina, si ostinavano a registrare solo particolari: il muro incrostato di sporco, la moquette logora, il sobrio squallore di quella stanza, occupata, per di più, da odori e voci che provenivano dal corridoio.

    Un piede di Laura penzolava fuori dal letto. La pelle chiara, quasi azzurra, ne metteva in risalto la forma. Sinuoso, lungo e pallido, sembrava di sale, come quello di una statua. Avrebbe dovuto fotografarlo. Aggiungere poi quel tassello al puzzle che la sua testa stava tentando di ricomporre, nel silenzio, nel panico. Erano i particolari che lo devastavano, ombre lunghe e lampeggianti che gli si ficcavano nella testa, passi, suoni, voci, grida; si sentiva spaventato senza capire da cosa. Lo smalto scuro sulle unghie del piede di Laura ora colava sulla moquette, ogni goccia, densa e pesante, incontrando il pavimento, sbatteva, provocando una specie di terremoto che apriva crepe sul muro distruggendo quelle fragili pareti di cartongesso, come fossero state di fumo. Doveva andare via, prendere Laura e andare via, prima che colasse troppo, prima che fosse davvero tardi.

    S’infilò la camicia sgualcita.
    Era ancora impregnata dell’odore di fumo e di cucina della sera prima. Certamente aveva bevuto troppo perché, all’improvviso, non ricordava quando aveva ricordato l’ultima volta. Solo ricordava che fosse un’ora indefinita di quella notte. Ma quando, in quale preciso istante, aveva smesso di ricordare, non riusciva proprio a fissarlo nella testa.
    Sulla cravatta una macchia d’olio che non voleva andare via.
    Tardi. Era tardissimo!

    La lancetta dell’orologio attaccato al muro era esplosa alle ore otto e trenta.
    Cazzo!
    La conferenza stampa, il progetto, gli avvocati.
    Però lo smalto sulle unghie del piede di Laura continuava a colare dandogli la sensazione di un colpo di rimando. Chiuse gli occhi un momento e gli sembrò di cadere, annaspò nell’aria viziata tentando di raggiungere Laura ancora sul letto per pregarla di sbrigarsi, alzarsi. Era tardi, dovevano andare via. Via da li!

    Eccolo!
    Ancora un bagliore, forse qualcosa che si stava materializzando nella sua testa. Un’immagine nitida e allo stesso tempo confusa. Ma era solo sua faccia: un tondo, gli occhi, i capelli brizzolati e corti, l’espressione allucinata, la voglia di scappare. Barcollava, doveva essere ancora ubriaco. Un albergo? Ma perché in albergo? Come era finito lì? Poi un flash, una lettiga, no, ecco, un quadro. Un innevato paesaggio svizzero, sì, risaltava sul muro spoglio sopra al letto.

    Indossò le calze e i pantaloni.
    Negli ultimi tempi era dimagrito. Meglio così. Avrebbe evitato la dieta di primavera già programmata da Laura e, magari, anche le sue continue insinuazioni sull’importanza del tenersi in forma, in primis, per se stessi, una questione di stile, di filosofia di vita.

    − Laura! – Aveva sospirato avvicinandosi.
    − Laura! – Insisteva.

    I capelli nero corvino erano sparsi a raggiera sul materasso, una mano infilata sotto il cuscino e la bocca rossa, come in una pubblicità del Martini, appena socchiusa, pareva pronunciare le sillabe del suo nome.

    Corse in bagno.
    Un conato profondo gli svuotò lo stomaco dei succhi gastrici ancora trattenuti all’interno. La pelle della faccia, nello specchio, si stava staccando dalle sue guance, secca e appassita. Forse era vero! Laura aveva ragione, doveva necessariamente cambiare vita. Se solo fosse bastato a sistemare le cose fra loro, l’avrebbe fatto, per Dio se l’avrebbe fatto! Invece sapeva benissimo che nulla sarebbe servito a far sì che quel rapporto, ormai logoro e stanco, trovasse un nuovo senso di esistere. Anche Laura era sfinita, lo aveva capito da come si guardavano, dal modo in cui lei, isterica, lo rimproverava ormai per qualsiasi cosa.

    Tentando di sciacquarsi la bocca per togliere il saporaccio cercò ancora il piede azzurro nello specchio, non si era mossa, questo gli diede un attimo di tregua. Ficcò le dita fra i capelli, poi ancora sotto l’acqua, si riempì la faccia e la strofinò, prima con le mani e poi con l’asciugamano. Stai lì!
    Mormorò al piede sospeso nell’aria.


    Il telefono sul comodino squillava.
    − Signore… il taxi è arrivato.
    − Lo faccia attendere. Grazie!
    Paolo aveva riattaccato.

    °*°*°

    − Buonasera. Un taxi in Via Calabiana 28, grazie.
    Dopo qualche istante.
    − Sì, grazie!

    La casa era fredda quella sera. La cucina pulita, nessun odore, nessun suono.

    − Non capisco! – Il pugno si era schiantato sul ripiano di marmo, vicino ai fornelli.
    − Lo so che non capisci, è questo il problema, non credi? – Laura era in piedi, con l’impermeabile e un borsone di pelle chiara, da viaggio.
    − Ti prego, ragioniamo.
    − Non c’è niente da dire, è finita. Paolo, sto andando via!
    − Per l’amor di Dio, Laura, non puoi lasciarmi!
    − Ma Cristo! Possibile che non ti rendi conto? Io non ce la faccio più! Non posso più.
    − Ti sei innamorata di un altro?
    − E che c’entra questo? Mi sono rovinata la vita e tu pensi che io stia cercando un altro? Non è questo il punto!
    − Ma fra noi, lo sai, tu hai sempre gestito tutto come hai voluto. Cazzo… io non capisco!
    − Fra noi, fra noi… non è tutto nella nostra disponibilità, Paolo, ci sono cose che non possiamo controllare. É tutto finito.
    − Ma che vuoi dire?
    − Lo sai benissimo. Ora vado, tornerò a prendere le mie cose.
    − Laura…
    − È finita, Paolo, e non l’ho deciso io.
    − Ma cazzo! Cosa ti ho fatto mai di così terribile per andartene ora, nel mezzo della notte!
    − Ecco che ricominci. Non hai ancora capito. Devo! È arrivato il mio Taxi.
    − No, aspetta, ora ti siedi e parliamo. Ne ho bisogno, lo capisci? E tu hai il dovere di spiegarmi il perché di tutto questo. Abbiamo condiviso dieci anni della nostra vita, dormito insieme, fatto l’amore.
    − Paolo, è stato e nessuno lo potrà mai cancellare. Vado, perché ora qualsiasi risposta sarebbe inutile, tutto è inutile.
    − Inutile? In questi anni io ho vissuto solo per te. Per te. Lo capisci?
    − Lo so, Paolo, è vero e tu continua, continua a vivere, anche per me.

    Il taxi aspettava fuori. Paolo aveva visto Laura entrare e poi solo il fumo del tubo di scappamento sull’asfalto lucido nella notte.


    °*°*°

    − Centralino? Un taxi a Via del Corso 127.

    − Dottor Gentili? Parigi51 fra tre minuti.
    − Grazie Carla, scendo.


    Dunque, dunque, dunque. Calma. Avrebbe dovuto preparare tutto per bene, quella era l’occasione che aspettava da una vita, la svolta. Invece, aveva trascorso la serata a litigare, invece di fare quello che avrebbe dovuto fare, invece di pensare all’occasione che stava rischiando di perdere, al suo lavoro. Ora. Nel taxi. Quanto avrebbero impiegato ad arrivare! Da Via del Corso all’Eur. Poteva essere mezz’ora, ma anche di più.

    Il budget era sproporzionato, lo aveva valutato con attenzione due giorni prima e poi mollato così, certo che sarebbe tornato a metterci le mani per dare una sistemata. Ecco, poteva togliere centomila euro dal fondo dei rischi, rischi? Non ce ne sarebbero dovuti essere con quel gruppo di aziende alle spalle! Rischi uguali a zero. Il villaggio sarebbe sorto in una delle più belle spiagge dei Mari del Sud. Cazzo, gli ecologisti! Il discorso. La conferenza stampa. Gli scoppiava la testa. Un turbinio di colori lo stava soffocando, suoni, clacson, voci, frenate. Era caldo, poi era freddo. Un caffè.
    Ecco, avrebbe dovuto prendere un caffè.

    − Scusi, si può fermare al primo bar che incontra? Ho bisogno di prendere un caffè, non mi sento bene!
    − Certo, signore. – Era rossa, con gli occhi verdi. E non ci aveva fatto caso. Veramente gli era sembrata una voce da uomo quando era entrato nel taxi.
    − Ma…
    − Prego?
    − Lei è una donna?
    − Sì, già! – la rossa aveva sorriso e continuato a guidare, poi, dopo qualche secondo – Laura come sta?
    − Cosa?
    − Dicevo… − altro sorriso – Laura come sta?

    Paolo aveva sbarrato gli occhi, deglutito, ma quella chi era? Una amica di Laura? No, impossibile. Come non averci fatto caso entrando nel taxi? La giornata iniziava davvero male. Meglio cercare di ricordare un particolare, qualcosa che gli facesse tornare la calma. Ecco sì, le mani sul volante. No, era di sicuro un uomo. L’anello pesante sbatteva sul manubrio. Sulla sua faccia? Cristo, ma che stava succedendo?

    − Ecco il bar. Io che faccio, aspetto qui? – Altro tono di voce, Paolo aveva tirato su la testa di scatto, la rossa non c’era più. La mano con l’anello pesante era al suo posto.
    − Sì, grazie, faccio subito.

    Ordinò il caffè e chiese del bagno. L’acqua sulla faccia gli diede ancora ristoro ma la puzza, in quel luogo immondo, lo fece uscire subito. Lo bevve bollente, pagò e tornò nel taxi. Il tizio lo aspettava appoggiato allo sportello fumando una sigaretta.

    − Già fatto?
    − Sì, ho fretta.
    − Fretta è una brutta parola. – Aveva detto rientrando in macchina.
    − A chi lo dice! – Nessun miglioramento nella testa, sembrava che una pressa gli stesse devastando le tempie. Chiuse gli occhi per un momento, mentre il taxi cercava spazio nella lunga fila formata sulla Cristoforo Colombo.

    La relazione, il budget, cosa avrebbe detto? La video-conferenza era fissata per le undici, ma prima avrebbero dovuto definire le strategie. Il progetto c’era, di certo non aveva nulla da inventare, ma era confuso, come avesse dimenticato, non stava bene, poteva dirlo, rimandare. No! Non poteva rimandare, era troppo importante, gli investitori dovevano firmare i contratti, c’era da preparare gli appalti, le gare, il tutto doveva essere pronto per il mese successivo. Il respiro non gli dava tregua. Slacciò la cravatta. Aprì il finestrino. La musica di una stazione radio gli diede un pugno nell’orecchio. Si fermò con la testa schiantata contro il sedile.

    − Ah! La fretta. Lo sa come diceva Augusto?
    − Augusto? – La voce era uscita come un rantolo, Paolo aveva riaperto gli occhi.
    − Sì, Augusto, l’Imperatore, no? Diceva: Festina lente. Affrettati piano. Un avvertimento per chi doveva affrontare imprese importanti, perché avessero successo. C’è da rifletterci su, vero?

    Forse quello era davvero solo un incubo. Probabilmente era ancora sdraiato nel suo letto, addormentato e stava sognando. Poteva tentare con un pizzicotto, lo fece, ma da quel gesto non ebbe nessun effetto di realtà. Cercò di concentrarsi sulla respirazione.

    − Allora? Laura come sta?
    − Fermati!

    Gli aveva tirato cinquanta euro ed era sceso dal taxi nel mezzo della fila al semaforo.

    La rossa doveva averlo seguito, perché arrivato all’angolo della strada, era spuntata come dal nulla con una Mercedes blu e poi lo aveva accompagnato al suo inderogabile appuntamento.

    La riunione era andata benissimo. Un figurone! Paolo era stato perfetto, lucido, rapido, ineccepibile per tutto il discorso di apertura, la relazione e persino durante la conferenza stampa. La camicia bianca, i gemelli ai polsi e gli occhi limpidi, ficcanti, diretti. Nessuna obiezione, nessuna replica. Solo complimenti. Una vera svolta. Quando era uscito dal centro Congressi, lei, la rossa, lo stava aspettando. Era rientrato nella Mercedes senza parlare aveva allentato la cravatta, e si era addormentato. Non ricordava più niente. Solo di essersi svegliato in quella stanza strana, nel letto, in pigiama, lavato e profumato. La sveglia sul comodino suonava.

    Un biglietto: Al Montcallier alle ventuno.

    − Praga72 , sette minuti!
    − Grazie!

    Giornata strana. Ma ora andava decisamente meglio. Solo un formicolio fastidioso gli assillava entrambe le mani, costringendolo, per bere un bourbon, ad ancorare l’avambraccio al tavolino.

    Il suo taxi era arrivato.

    La sensazione, nell’entrarci dentro ancora una volta, era stata terribile, ma solo per il ricordo del brutto incubo di quella mattina. Fanculo Laura! Gli aveva incasinato la testa. La notte insonne, la tensione, lo stress. Ma ora, finalmente, si sentiva decisamente meglio! Quel ristorante non lo conosceva, però gli piacevano le sorprese, le donne intraprendenti, che pianificavano per lui, sorprese e coccole. Ecco, sì. Così sarebbe stata la sua futura nuova vita. Altrimenti nisba.

    Mentre il taxi scivolava nella notte, Paolo, perso nei suoi pensieri, cercava di dare un senso a quanto accaduto dalla sera prima. Anche la cronologia dei fatti gli si confondeva nella testa. Se fosse stato spettatore di quelle immagini, avrebbe pensato a un complotto, una droga pesante, qualcosa di chimico in grado di cancellare intere parti di ricordi e sensazioni. Con precisione. Una potatura neurologica per riprogrammare qualcosa che non andava come sarebbe dovuto andare. Forse troppi gialli tra le sue letture. Ma no! Davvero era solo stanco, ci si metteva anche Laura per concludere la giornata. Perché con lei c’era qualcosa di malato, Paolo lo aveva capito fin dall’inizio, era l’unica capace di mandarlo fuori di testa. Eppure ne era innamorato e forse, ammetterlo, gli avrebbe dato un po’ di sollievo in quelle ore difficili. Sì, non poteva nemmeno immaginare di vivere senza di lei. Il suo pieno, il suo tutto. Ovvio, nel ménage di un rapporto lungo, le crisi ci stavano, potevano essere persino necessarie e corroboranti. Sì, qualche giorno di litigi, poi sarebbero finiti a fare l’amore e tutto si sarebbe risolto. Come sempre.

    − Siamo arrivati, dotto’! – aveva detto il tassista poco prima di fermarsi − Che c’è? Ma sta bene?
    − No, volevo dire, sì, sì, sto bene, quanto le devo?
    − Niente dotto’, a posto così!

    Il ristorante era poco illuminato, si affacciava su Via Giulia, in una parte della strada in ombra, forse per quello non ci aveva mai fatto caso prima. Dalle porte a vetri, aveva visto la sala ghermita di gente, stranamente silenziosa. Entrando, una folata di aria calda gli si era riversata sulla faccia, dandogli il disgusto, un odore di broccoli, forse una zuppa, qualcosa che gli aveva fatto venire il voltastomaco. Un profumo di morte.

    Ormai era sicuro, gli avevano fatto fuori il cervello. Non c’era altra spiegazione e Laura non c’entrava niente, era stato il controspionaggio dell’appaltatore, poteva giurarci, un complotto a tutti gli effetti, gli avevano iniettato qualcosa che gli stava corrodendo le sinapsi. Un medico avrebbe risolto il problema. Fece per uscire quando la rossa, seduta all’angolo in fondo alla sala, gli fece cenno. Gli era andata incontro, lo aveva avvolto in uno scialle e gli si stava strusciando addosso. Tra i tavoli del ristorante nessuno pareva fare caso a loro. C’erano due coppie che chiacchieravano tranquillamente, gli sembrava di conoscerli, ma non riusciva a capire dove li aveva visti, poi in un altro tavolo i suoi vicini di appartamento, gli fece un cenno di saluto, e in fondo, dove non riusciva a vedere bene, un tavolo tondo con tre persone sedute a mangiare qualcosa che sembrava appetitoso.

    Fra loro. Laura.


    °*°*°


    − Sì, buongiorno, è la 207! Mi chiama un taxi per favore?
    − Certo signore, subito.

    − Mi scusi, c’è un po’ di traffico, Alabama23 in quindici minuti. Provo un altro?
    − No, va bene, grazie. Piuttosto, mi prepara il conto?
    − Certo signore.

    La sala del ristorante, quella sera prima, era avvolta da una nebbia fitta, in effetti tutto il locale era impregnato da un odore strano, Galenos, oppiacei, forse morfina, ma che odore ha la morfina? E poi, cosa ci faceva Laura lì?

    Era seduta al tavolo con altre due donne che Paolo non conosceva, appariscenti, con scollature da infarto e vestiti colorati e pomposi. L’espressione dei loro visi, non dissimulava oscenità. Laura rideva e beveva, parlava, succhiava, sputava, ascoltava. Sembrava fare l’amore con tutto quanto le capitasse di toccare, era affamata, disperata.

    Paolo rannicchiato in quell’angolo, con la rossa che lo guardava fisso come sapesse leggergli il pensiero, stava cercando di attirare la sua attenzione, doveva portarla via! Alzò con energia una coppa di champagne, lei lo guardò tra le bollicine del vino francese e poi scomparve. Nell’attimo preciso in cui Paolo aveva pensato di avercela fatta, ne aveva invece perso le tracce.

    Si scostò nervoso dal tavolo, raccolse le sue cose e corse in strada per cercarla. Fuori non c’era anima viva. La strada silenziosa e umida, qualche voce che proveniva da un festino in un palazzo lì vicino. La luna era circondata da una ampia sciarpa bianca che la stava strangolando.

    In fondo alla strada i fari di una macchina. Avanzava lentamente. La luce rifletteva sull’asfalto creando disegni tetri, come quella di vecchi fari a carburo, sul tettino la scritta Taxi era accesa. Libero. Forse Laura lo aveva chiamato per tornare a casa.
    Quando quello si fermò davanti al Montcallier, ci si infilò dentro.
    Al volante non c’era nessuno. Probabilmente l’autista era entrato nel ristorante.
    Meglio così!
    Aveva pensato. L’avrebbe aspettata lì, seminascosto, nella penombra. Doveva parlare con lei. Dirle che era tutto sbagliato, che si sentiva un uomo finito senza di lei, che avrebbero ricominciato da zero. La riunione era andata bene, senz’altro quella era stata la causa che in quei mesi li aveva allontanati. Dovevano andare via insieme, iniziare tutto da capo.

    L’aria dentro l’abitacolo era pesante, di muffe, di sciroppo alla mela. Cercò di abbassare il finestrino ma era bloccato. Si girò all’improvviso e si vide riflesso nello specchietto retrovisore.
    Una cera da far spavento.
    Dovrebbero mettere degli specchi migliori! Lo pensava davvero.
    Si faceva un po’ schifo.

    °*°*°

    − Ingegnere, ecco il foglio di dimissione, la cartella la potrà ritirare verso fine mese. Buon ritorno a casa! E auguri!
    − Grazie! – Paolo prese il trolley e fece per uscire.
    − Ah! Le chiamo un taxi? Per quanto, fuori dall’ospedale ne trova quanti ne vuole.
    − No, grazie. No!
    − Ok, bene. Ci vediamo per un controllo tra una decina di giorni. E mi raccomando, riposo assoluto.

    Avevano detto che lo scoppio era stato improvviso e agghiacciante. In un istante aveva trasformato la strada in un inferno, il palazzo era crollato come fosse fatto di aria.

    Paolo, lo avevano trovato incastrato nello sportello del taxi. La perdita di gas era stata individuata al terzo piano, proprio sotto le finestre della sua camera al quarto, Laura doveva essere ancora sul letto quando tutto era accaduto, lì l’aveva lasciata qualche istante prima di scendere per andare alla sua importante riunione.

    Non c’era stato niente da fare, impossibile persino fare il riconoscimento del cadavere.
    Non ha sofferto, non ha sentito niente! Aveva detto qualcuno, forse lo aveva letto sui giornali, dopo, sì, quando era riuscito a ricollegare il tragico puzzle che aveva nella testa.

    Nella disgrazia erano rimaste uccise in tutto nove persone, i suoi vicini di casa, due donne che erano sotto, sul marciapiede, e la famiglia che viveva al primo piano. Li conosceva solo di vista. Lui, venti giorni di coma, poi la lenta ripresa, e, quella mattina, finalmente fuori.
    La palazzina era stata rasa al suolo, al suo posto c’era una montagna di niente.
    Uno spazio vuoto, ambiguo, denso e scuro.

    Edited by nescitgalatea - 1/12/2010, 23:06
     
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  2. princ3ss
     
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    User deleted


    E' un racconto scritto molto bene (Solo raggiera che credo si scriva così) però il ritmo è... direi angosciante e a me toglie un po' la concentrazione. Forse mancano alcune connessioni logico-temporali per una comprensione migliore del testo. Resta un racconto originale e interessante.
    Un saluto a te
     
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  3. nescitgalatea
     
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    User deleted


    Princ3ss, credo tu abbia centrato il problema di questo racconto, intendo le connessioni
    logico-temporali che lasciano anche a me qualche dubbio. Per questo è qui!

    SPOILER (click to view)
    In effetti non accade nulla, sono solo le sue visioni mentre è in coma, per
    cui di connessioni, in teoria, non ce ne dovrebbero essere, però se questa assenza dovesse
    minare la chiarezza espositiva sarebbe penalizzante


    grazie della lettura.
     
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  4. princ3ss
     
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    User deleted


    Sì è così. Ma ha molti spunti positivi davvero, però dovresti rivederlo e "semplificarlo" ma non in senso riduttivo, soltanto in senso chiarificatorio. Sai io penso che uno dei metri di valutazione di un racconto per me sia proprio collegato al fatto che un racconto per essere buono, a prescindere al genere, debba avere un impatto di immediata comprensione, altrimenti ci si stanca e si può anche rinunciare alla lettura.
    Questi scambi sono belli e ci aiutano
    Un saluto a te

    Ho letto ora lo spoiler e in effetti solo alla fine ho ipotizzato (poichè non ero certa) che Tutto l'accaduto nel racconto o quasi fosse ciò che "viveva o aveva vissuto " durante il coma. ma non ne ero sicura! Questo è un limite nel racconto. Forse avresti dovuto parallelamente inserire delle parti che facessero capire o almeno intuire al lettore che il protagonista si trovava in ospedale per dargli degli agganci comprensivi.
     
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  5. nescitgalatea
     
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    User deleted


    Grazie ancora,

    ci lavorerò su, preziosi consigli i tuoi.

    Un caro saluto.
     
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  6. rehel
     
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    User deleted


    Un buon racconto e una buona scrittura.
    Per esempio ho apprezzato molto la frase: La luna era circondata da una ampia sciarpa bianca che la stava strangolando. Ottima immagine che potrebbe mgiolrare ancora evitando il suono ripetititvo di quelle 6 A finali. Per esempio togliendo ampia e sostituendola con grande, o altro aggettivo.
    Certo lo hai ingarbugliato parecchio e si fa una certa fatica a seguirlo. Importantissimo è il primo paragrafo che fa da guida al lettore e gli permette, almeno a noi scribacchini, che di queste cose siamo un po' avvezzi, di rimanere abbastanza in sintonia. Certo che un lavoro di semplificazione in questo senso non guasterebbe proprio. Spratutto verso il lettore medio che è meno "scafato" e porebbe avere delle grosse difficoltà.
    Fino alla fine sono stato in dubbio se
    SPOILER (click to view)
    lui fosse morto, oppure si sarebbe salvato
    e questo è positivo perché lascia il lettore nell'incertezza fino alla fine.
    Mi sono anche chiesto se
    SPOILER (click to view)
    lui abbia per caso lasciato aperto il rubinetto del gas? potrebbe essere stato. Non male come idea...

    Il mio voto è tre.
    :)
     
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  7. nescitgalatea
     
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    User deleted


    Grazie Rehel, non avevo fatto caso alle "a".
    Vero, è difficile, cercherò di lavorarci su.
    Per i tuoi dubbi sono contenta!
    Sul tubo del gas... ci penso!

    Ciaooooooo... image
     
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  8. Ryan79
     
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    User deleted


    Ho trovato questo racconto molto complesso nella fase iniziale, un po' troppo ostico da capire e seguire, ma probabilmente il tuo intento era anche questo.

    Alcuni punti mi sono rimasti oscuri anche dopo aver terminato la lettura, come la scena del sangue dall'orecchio. In più, subito dopo lui sente dei boati, allora io li ricollego alla prima frase dove si parla dell'esplosione, ma poi alla fine scopro che al momento dell'esplosione lui si trovava in taxi.

    Forse è da rivedere e migliorare la definizione dei luoghi. La palazzina è a Via sestriere, La casa dove abitano e litigano in via calabiana (o è il suo ufficio a stare là?), il montcalier? Presumo in via sestriere dato che lui rimane vittima dell'esplosione... Poi c'è il fatto della 207, che presumo essere una stanza d'albergo... ma quando ci va in albergo, prima o dopo l'esplosione? O durante, come lascerebbe supporre l'episodio del sangue dall'orecchio? Ma in tal caso non sarebbe potuto essere in auto... anche sulla misteriosa figura della rossa non ne sono riuscito a venire a capo...

    poi ripeti due volte questo passaggio:

    − Sì, buongiorno, è la 207! Mi chiama un taxi per favore?
    − Certo signore, subito.

    − Mi scusi, c’è traffico, Alabama23 in quindici minuti. Provo un altro?
    − No, va bene, grazie. Piuttosto, mi prepara il conto?
    − Certo signore.

    Quindi significa che quei due “capitoli” si riferiscono allo stesso momento?

    Ultima cosa: la frase iniziale forse rovina troppo la storia, forse sarebbe stato meglio scoprirlo alla fine altrimenti uno un po' se lo aspetta...

    Mi spiace darti un 1 perché hai una scrittura valida e scorrevole, ma neanche leggendolo una seconda volta sono riuscito a farmi un'idea precisa di cosa succeda in questo racconto.... :(


    ADD: ho letto ora lo spoiler dove dichiari che sono tutte sue visioni mentre era in coma.... a questo punto allora forse basterebbe che il medico glielo dicesse in qualche modo, da come esce dall'ospedale sembra che vi fosse stato portato per ferite di poco conto....
     
    .
  9. nescitgalatea
     
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    User deleted


    Grazie Ryan, dubbi che non lasciano dubbio sulla eccessiva complessità del brano!


    SPOILER (click to view)
    Il fatto che lui sia stato in coma lo dico nelle ultime tre righe del racconto... ma evidentemente scivola via.
    La stanza d'albergo in effetti, nella mia idea, era la camera dell'ospedale. Il taxi i suoi vari stadi tra la vita e la morte,
    il ristorante è l'ultimo passaggio prima del risveglio, la scena del sangue dall'orecchio è lui sotto le macerie, le esplosioni
    continuano per qualche minuto (questo immaginavo). Insomma, è tutto vissuto in un luogo non luogo della coscienza ma
    evidentemente non sono riferimenti chiari. Ci lavorerò, nel frattempo, grazie davvero per il grande aiuto che mi state dando.


     
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  10. Alessanto
     
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    Letto e...
    SPOILER (click to view)
    non capito. ;)

    Ci sono delle belle immagini, ma la divisione in paragrafi così piccoli lo rende spezzattato e indigesto. Dopo averlo letto due volte ho guardato i commenti e ho ricostruito. A mio avviso un lettore medio non può intuire la realtà. Passi per il non detto, di cui io sono un grande fautore, ma in questo caso incrociando il PDV con una realtà di "altrove" occorre dare al lettore qualcosa altrimenti perdi tutto.
    Gli strumenti ci sono: brevi flash di consapevolezza, corsivi, descrizioni simili tali da creare nel lettore lo sensazione di posti simili e cose del genere.
    E poi fai attenzione all'odiato "è tutto un sogno" ;)


    Voto 1.
     
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  11. Virgart
     
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    Non mi addentro in segnalazioni, già fatte dagli altri lettori.
    Motivo il mio voto dicendo che ho fatto fatica a finire il racconto, fatica a seguire il filo logico della trama.
    Le varie parti prese a se stante sono scritte con un buon stile ma legano poco.
    Il risultato è che spesso mi sono trovato costretto a rileggere brani precedenti, un po' di confusione insomma.

    il mio voto è due

    ciao
    Virgilio

    Edited by Virgart - 6/12/2010, 13:33
     
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  12. nescitgalatea
     
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    @allessanto: grazie del consiglio! Ci sto davvero pensando e grazie della lettura
    @virgilio: grazie anche a te

     
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  13. Mastronxo
     
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    Ciao!

    SPOILER (click to view)
    Mi piace come scrivi, però questo racconto mi è stato un po' indigesto. Anche leggendolo due volte ho avuto difficoltà a capirlo (anzi non l'ho proprio capito). Non avessi letto la tua spiegazione non ci sarei mai arrivato. Nel senso, si capisce cosa è successo, si capisce cosa succede, quel che non si comprende è il legame tra i fatti: ovvero come avbrei potuto collegare l'esplosione a tutto il resto. Non avrei mai detto che fossero i pensieri di lui durante il coma... sembravano una sequenza di eventi spezzati raccontati tramite flashback (per quanto assurdi alcuni potessero rivelarsi).
    è una segnalazione già ripetuta, quindi non ci sto dietro troppo. Dico solo che è questo il problema principale del pezzo.
    Magari se lo fai risvegliare nel letto anzichè farlo uscire già guarito, potrebbe risultare meno criptico, però in questo caso toglieresti il "le chiamo un taxi?" "No, grazie! No!" che a me è piaciuto.
    Tra l'altro eliminerei tutte quelle spaziature tra paragrafi, lasciandole solo per spezzare un evento da uno diverso, un passaggio da un altro: ho invece notato che spesso li hai lasciati anche quando bastava un semplice punto e a capo.


    Margine di miglioramento notevole, rosichi un 2 ^_^
     
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  14. Ryan79
     
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    Aggiungo un paio di cose:

    - è vero, del coma c'è scritto, ma leggendolo davvero non sono riuscito a farci caso neanche la seconda volta... :s

    - se può servire far capire meglio l'idea che ne ho avuto: i vari capitoli sembravano costruiti come il famoso film "memento"...
     
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  15. rehel
     
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    Ho messo il mio voto, sorry. :)
     
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32 replies since 1/12/2010, 00:17   311 views
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