U' Pozzu
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U' Pozzu

di Antonino Alessandro, 32100 cc

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  1. Alessanto
     
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    Ecco a voi:

    U' POZZU




    [...Ci sono storie, quindi, che appartengono a tutti. Le si archivia tra le “storielle per bambini” o “stranezze”, certe volte per convenienza, altre per non porsi domande. Accade allora che i protagonisti di quelle storie chiamate “leggende” affidate alla tradizione orale e ai “si dice”, ogni tanto ricompaiano. [...] È quando ci si accorge che la memoria langue, quando la scoperta di antichi eventi diventa una sorpresa, che le storie si fanno folklore, meritevoli di qualcosa in più di un refolo di scirocco, di un limoncello, dell’odore di zagara e della voglia di trascorrere un po’ di tempo raccontandole.]
    Folklore di Sicilia, Armando Silvestri, Introduzione, p. 5.

    Giorno 27



    «Per questi posso darti cento euro» disse Miceli squadrando le cassette di pesce.
    Maurizio scrutò l’uomo. «Cento? Guardi queste orate, signor Miceli, sono uno spettacolo!»
    «Senti, il prezzo è questo. Se non ti conviene ti prendi le tue quattro cassette e te ne vai. Non ho tempo da perdere…»
    L’uomo si guardò intorno, il borbottio dei pescherecci che si avvicinavano rimbombava tra le lastre di eternit e la ruggine della struttura di metallo; sottoposta all’attacco della salsedine, circoscriveva solo uno spiazzo di cemento, l’odore di alghe rancide e le vite di quattro disgraziati che, come automi, preparavano il pesce per le scatolette e i barattoli.
    «Per favore, so che di questi tempi non ho portato roba buona ma le garantisco che…»
    «Maurizio, non voglio sentire niente: cento euro!» lo interruppe l’altro. Aveva un grembiule di plastica che riparava la camicia e i pantaloni dagli schizzi e stampato in viso, come una figurina dei calciatori, un cipiglio severo e un sorriso sbilenco: sapeva che Maurizio avrebbe ceduto.
    Il pescatore sbuffò, una smorfia di disappunto sotto i capelli brizzolati e le rughe sulla pelle scura, bruciata dal mare.
    «Che dice? Facciamo centotrenta?»
    «Adesso mi sto incazzando: se non la finisci non mi prendo una minchia!» disse Miceli. Aveva lo sguardo già oltre la spalla di Maurizio a soppesare i bottini che gli altri avevano strappato al mare.
    «Okay, signor Miceli» rispose Maurizio scambiando un’occhiata quasi liquida con uno dei lavoratori , anche lui, forse, condivideva la tristezza di una vita amara.
    «Bene, ecco i soldi…»
    Due banconote rossicce; Miceli gliele appoggiò sul palmo della mano ruvida. Maurizio si vergognò di sé stesso: “proprio come un povero che riceve l'elemosina” pensò. Mentre cacciava il guadagno della nottata dentro la tasca dei jeans sbiaditi vide Miceli gesticolare in direzione degli altri pescatori.
    «Vedi gli altri? Guarda quanta bella roba!»
    Maurizio squadrò i suoi colleghi che preparavano le decine di cassette ammonticchiate, alcuni svuotando le reti sospese ai ganci degli argani direttamente sul fondo delle barche.
    Grugnì un assenso distratto: lui non poteva pescare in certe zone. Doveva accontentarsi di quello che trovava e questo Miceli lo sapeva.
    «Quelli sono gli amici, vero?» disse Maurizio a mezza bocca mentre tonneggiava una cima con un gesti fluidi.
    Miceli annuì. «Certo! Non lo sai? Nella vita ci sono gli amici e i nemici. C'è chi è fortunato ed è uno dei primi, c'è chi è sfortunato e resta indietro. Poi ci sono quelli che non sono né carne né pesce.»
    «Lo so. La vita è così», rispose gettando la bitta sul fondo della barca. Quando atterrò sul legno, gli schizzi d'acqua gli ricordarono i lavori al fasciame.
    Dopo tre tentativi dell’avviamento, tra borbottii sommessi e scoppi, il motore decise di mettersi in movimento, così come la pompa di sentina.
    Maurizio invertì l'elica e, scambiando qualche saluto con i colleghi, fece allontanare il peschereccio dallo stabilimento in una nuvola di fumo azzurrino.
    Poco prima di virare a dritta Maurizio si godette l’orizzonte che sottile come un filo divideva il mare e il cielo.
    Pensando a sua moglie si calcò il berretto di lana e tirò su la lampo del maglione di lana doppia – alla sua età occorreva preservarsi, specie dal freddo umido dell’alba.

    ***



    «E allora? Cosa hai fatto?»
    Il movimento destra-sinistra del Mocio si fece più ampio e un po’ più veloce; abbracciava con un passaggio l’intera larghezza del corridoio.
    «Cosa potevo far…»
    «Hai accettato» fece la donna strizzando lo straccio; non aveva nemmeno alzato lo sguardo, solo il tono di voce tradiva la sua rassegnazione.
    «Sì», riuscì a dire Maurizio osservando le tracce d’acqua e di detersivo che si asciugavano.
    «Lo sai che oggi è il ventisette?» chiese l'altra, i capelli grigi tenuti da un elastico e da un cerchietto, il grembiule rosso a fiori blu e l’andatura sbilenca sotto il peso del secchio. Immersa nella corrente d'aria che si insinuava tra i mobili stile barocco del corridoio, si diresse in cucina. Maurizio la seguì.
    «Lo so, Lucia. Giorno trenta scade la rata del mutuo», fece una pausa. «La terza dopo la lettera dalla banca.»
    La moglie sollevò il secchio oltre il bordo della pila nella veranda e vi rovesciò un fiume d’acqua e schiuma scura. Maurizio rimase a fissare il turbine di sporcizia che fuggiva dallo scarico.
    «Vedrai che…»
    «Ha telefonato Nicola. Oggi non torna a pranzo. Deve fare le consegne al posto di Vincenzo», lo interruppe lei.
    «Non è andato a scuola?»
    «No. Quello si è ammalato e deve fare il suo lavoro.»
    «Ho capito.»
    L’uomo con la manica della camicia si asciugò le perline di sudore che gli ungevano la fronte e rientrò in casa.
    Lucia, invece, rimase a fissare il rubinetto. Con un movimento meccanico, aprì l’acqua. Mentre i residui di schiuma che ornavano il fondo della pila annegavano, la donna osservò il suo riflesso nell’acciaio lucido delle manopole: una grassa facciona rugosa solcata dalle lacrime.

    Giorno 28



    L’ondeggiare dalla barca faceva apparire l’orizzonte storto come in un gioco di prestigio. Il motore dell’argano stava tirando su la rete. Maurizio osservava la collana di galleggianti rossi che si snodava sulla superficie increspata. Aveva calato già tre volte e i risultati, come rivelava il fondo del peschereccio, erano pessimi: qualche cassetta di sgombri, una di saraghi e una caterva di pesci da brodo. Aveva preso, anche, degli ‘nfanfari ma ne aveva rimessi molti in acqua: troppo piccoli.
    Prima di restituirli al mare Maurizio si era chiesto se avesse senso farlo.
    “Rispetto per il mare” gli aveva risposto la voce di suo padre.
    “Noi veniamo da lì!” aveva detto suo padre in un’epifania figlia di un documentario di Piero Angela. Maurizio aveva ascoltato il giornalista brizzolato spiegare con voce suadente cose che lui riusciva appena a capire. Quando il servizio era terminato suo padre, con un sorriso trionfale, gli aveva detto: “Hai sentito cosa ha detto? Dice che veniamo da lì!”
    Rispetto e timore. Ogni pescatore sa cosa vuol dire.
    Prima che la memoria gli restituisse la visione del padre sul letto che si lamentava per la troppa luce di una stanza al buio, uno schiaffo della onde sulla chiglia lo riportò alla realtà.
    Quando la rete gli fu sopra svincolò il gancio e il pesce piombò sulla barca. Passeggiò tra i corpi dei pesci che si contorcevano implorando un po’ d’acqua: altri sgombri, una spatola, qualche merluzzo e una quantità inutilmente abbondante di altro pesce azzurro.
    Maurizio imprecò a denti stretti, il cappello sulla testa e le mani umide e fredde. Il cielo grigio tradiva il sole che sorgeva; era tempo di ritornare.
    Raccolse il pesce nelle cassette e si portò sul ponte di comando inerpicandosi sulla scaletta traballante. Pigiò il pulsante di accensione due volte prima di convincere il motore ad avviarsi, ruotò il timone e invertì la rotta. Con uno sguardo al sole e a Monte Pellegrino, intuì la rotta giusta. Sarebbe arrivato da Miceli in poco meno di tre ore: ancora una volta doveva sperare nella magnanimità di quel bastardo.

    ***



    Quel pomeriggio sua moglie non aveva detto una parola.
    Lui aveva appoggiato il denaro – settantacinque euro – sul tavolo della cucina e aveva aperto il forno raccogliendo il piatto nel quale gli spaghetti erano gonfiati diventando il doppio del normale. Mangiò in piedi, godendosi quel tripudio di pasta molle e salsa di pomodoro incrostata. Lucia gli era passata vicino due volte: prima con un piumino in mano, poi col Vetril pronto a far fuoco sulle tracce di pioggia che avevano aggredito i vetri del salone.
    Nemmeno uno sguardo: solo un sospiro triste rivolto al calendario del Panificio “La Spiga d’oro” di Ettore Messina, appeso al muro.
    Entrando in casa aveva visto lo zaino di Nicola sul pavimento: la sua prima domanda aveva ottenuto una risposta ancor prima di essere formulata.
    Maurizio si sedette sul divano e vide la moglie affaccendarsi; provò a chiederle qualcosa ma lei rispose con una manciata di sussurri noncuranti. Non le aveva ancora raccontato del suo incontro con l' impiegata del Banco della Trinacria, ma sembrava non essercene bisogno.
    L’avevano fatto accomodare. “Mi scusi, ma posso concederle poco tempo” aveva esordito la ragazza che si era trovato davanti. Poi alle poche frasi sussurrate e supplicanti di Maurizio aveva risposto con una smorfia di circostanza : “le rate scadute dovranno essere versate in conto giorno trenta. Mi dispiace ma…” e lì era partita una sventagliata di parole di finta comprensione incartate da “…deve capire che…” e “…le direttive mi impongono di…” e cose del genere. Avrebbe voluto chiederle come mai prima, quando le reti si riempivano, quando ogni mese sul conto affluivano anche quattromila euro, il direttore chiamava il bar per i caffè, ancora prima di sapere cosa era venuto a fare in agenzia.
    Mentre Lucia spruzzava il Pronto sulla credenza in cui stavano i piatti del servizio di nozze, Maurizio si mise la testa tra le mani. Quando se ne accorse, la donna gli si sedette accanto affondando nel copridivano che nascondeva le tracce del tempo e dell' usura.
    «Vedrai, troveremo una soluzione…» disse, circondandolo con un braccio, il grembiule e rivoli di sudore che le correvano dai capelli scuri giù, lungo il collo.
    «Sì», rispose Maurizio appoggiandosi alla sua spalla.
    Nessuno dei due ci credeva ma avevano bisogno di dirselo l’un l’altra.

    Giorno 29



    Sul molo di cemento, sprofondato nell’odore di nafta e alghe morte, Maurizio sedeva sullo sgabello a pochi metri dalla barca che tamponava le vicine in uno scricchiolare di bitte.
    Stava rammendando le reti. Come un sarto d’annata, faceva muovere la zaccurala rapidamente provando a chiudere gli squarci dei ferri del mestiere.
    «Non ne vogliono più…» disse osservando gli strappi simili a morsi che si susseguivano uno dopo l’altro. Quella mattina aveva perso non meno di venti galleggianti, anche le cime di testa erano logore e sottili come spaghi troppo usati; cercare di rattoppare ciò che l’usura aveva causato era ogni giorno più difficile.
    «Oh, Maurizio!»
    L’uomo alzò gli occhi dal rammendo. Robertino gli veniva incontro, sorridente come al solito, la canna da pesca sotto l’ascella e un cestino per il pranzo che oscillava attaccato alla cintura dei jeans frangiati. Inverno ed estate, li teneva così: scoloriti, lerci, tagliati al ginocchio con colpi di forbici poco gentili. Il berretto rosso e i piedi che trascinavano due sandali di cuoio resi duri dall'acqua salata.
    «Ehi!» disse ricambiando il saluto e il sorriso.
    Lo incrociava ogni mattina quando anche lui tornava dalla pesca notturna. Se lo ricordava sempre uguale, sempre a compiere gli stessi gesti, sempre a godere di ciò che la vita gli offriva senza chiedere altro.
    «Anche oggi è andata uno schifo, vero?» gli chiese osservando l’acqua dentro la barca.
    «Sì.»
    Robertino sbuffò.
    «E Miceli? Che dice?»
    «Niente, il solito! Si ingrassa come un porco; quanto mi piacerebbe che qualcuno gli desse ciò che merita!» esclamò Maurizio, forzando la zaccurala a entrare in uno strappo.
    L’altro non aggiunse nulla, in cuor suo era certo che Miceli con l' attività che svolgeva prima o poi sarebbe finito in orizzontale. Tutto il pescato di quelle zone era suo. Lui assegnava i posti e le quantità oltre che fissare i prezzi; chi non si uniformava doveva cercarsi il pesce da solo. E poi, anche se si aveva fortuna nella pesca, non c’erano altri a cui venderlo.
    «Ma perché non...» provò a dire Robertino che era uomo di mondo.
    Maurizio gli lanciò un occhiata storta.
    «Va bene, va bene... testa dura. Fai finta che non ho parlato...»
    «Ecco. È meglio...» fece Maurizio nervoso, ritornando con vigore a rammendare la rete.
    Robertino fece spallucce; l' amico era fatto così. Passava forse più tempo in mare che a terra, certi meccanismi, figli malati della realtà proprio non li comprendeva. Quanti palermitani avrebbero fatto quello che faceva lui? Rischiare di finire gambe all’aria per un principio?
    Sicuramente pochi.
    Robertino lo osservò affannarsi sotto il sole di mezza mattina: se lo ricordava meno curvo, le righe sul viso scuro meno profonde.
    Poi raccolse le sue cose.
    «Ascolta, Maurizio, io sono qui... Se posso, in qualche modo...»
    «Grazie» ribatté l’altro, ancora seccato.
    «Vabbé, ti saluto...» aggiunse Robertino incamminandosi lungo il pontile. Non era arrabbiato: conosceva Maurizio, l’indomani sarebbe stato tutto dimenticato.
    «Robertino?»
    Aveva percorso non più di quindici metri, si voltò.
    Gli sguardi si incrociarono.
    «Grazie, davvero», disse Maurizio.
    Robertino agitò la mano e sorrise.
    «Tranquillo.»
    Fece qualche altro passo, poi girò su sé stesso, lasciò cadere cesto, canna da pesca e sacchetti e si mosse con fare minaccioso verso l’amico.
    «Fallo arrieri e ti va’ ghiecco rintra u’ Pozzu, u’ capisti?»
    «Talia a chistu’! Cia’ pruvare; arricampati! Ca' ti scasso!» rispose Maurizio mettendosi in piedi e gonfiando il petto.
    Un gruppetto di persone che aspettava l’imbarco per Ustica si voltò: nulla richiamava l’attenzione più di una bella litigata.
    I due fecero finta di nulla: giocavano in quel modo da anni. Robertino si avvicinò di altri tre passi, lo stesso fece Maurizio. Si misero testa contro testa, quindi scoppiarono a ridere.
    «Niente. Non c’è niente!» gridò Robertino al pubblico: qualcuno rideva, qualcun’altro li mandava a quel paese.
    Lo strillo di un gabbiano affamato impattò sulle barche attraccate e sulla superficie increspata del mare oleoso del porto turistico.
    Quando Robertino se ne andò davvero, Maurizio rimase da solo a riflettere.

    Giorno 30



    Il motore girava al massimo formando due baffi di schiuma chiara che ornavano i fianchi della barca. Con il vento che gli schiaffeggiava il viso contratto, Maurizio stringeva il timone come il capitano di una nave pirata, mentre sul braccio un capello di sangue colava da dove un amo lo aveva ferito, fin sulla mano.
    Il sole era già sorto e, stagliando su Monte Pellegrino l’ombra del Castello Utvegio, illuminava impietoso il bottino della notte che giaceva sulla barca tra reti sfondate, galleggianti e lenze aggrovigliate come trecce. Era troppo poco. Sempre troppo poco.
    U’ Pozzu.
    Il solito scherzo di Robertino gli aveva, a un tratto, fatto ricordare qualcosa: una speranza ammantata di orrore e paura.
    Virò di dritta, in direzione delle pareti di roccia che si innestavano sulla superficie delle onde.
    Maurizio si passò il braccio sulla fronte scacciando il sudore, poi si tolse il cappello e lo fece di nuovo.
    L’indicatore della temperatura si illuminò di rosso.
    Suo padre, in una sera di luglio in cui non era uscito perché lo scirocco rendeva il mare infido come una trappola, gli aveva raccontato la storia ru' Pozzu.

    ***



    «Ecco perché nessuno va a pescare lì!» aveva concluso facendosi colare il limoncello sulle labbra.
    «E tu li hai mai visti?» chiese Maurizio con tanto d’occhi. Era tardi, ben oltre l'orario per andare a dormire. Sarebbe stato eccitato anche solo per questo, ma una storia di fantasmi, poi, era il massimo.
    «Certo!»
    «E come è stato?»
    L’uomo gli porse il braccio. Maurizio lo fissò non trovando nulla di più della solita pelle rugosa color biscotto e dei peli radi.
    «Toccalo!»
    Il ragazzino allungò una mano e lo accarezzò.
    «Hai sentito? Mi viene la pelle d’oca quando ci penso.»
    Maurizio annuì, a dire il vero non aveva sentito nulla a parte il ruvido della pelle secca.
    «Hai avuto paura?»
    «Sì, Maurizio, tanta.»
    «E poi? Cosa è successo?» chiese.
    «Mi hanno parlato. La loro voce sembrava il mare tra le fessure degli scoglio. C'era odore di alghe morte e gamberi da buttare.»
    Maurizio strabuzzò gli occhi.
    «E com’erano?»
    L’uomo gesticolò con una mano.
    «Io ne ho visto uno solo. Era alto sull’acqua. Ci camminava sopra come Gesù Cristo! Aveva i capelli spettinati e la bocca enorme piena di ami. Era buio, ma aveva una luce nel petto che lo illuminava da dentro. Vedevo il cuore che batteva e le budella che si contorcevano! Ha fatto dieci passi e ha parlato! Era uno ma la voce era immischiata. C'erano vecchi, bambini, donne che piangevano, uomini. Tutti insieme parlavano.»
    Maurizio respirava appena.
    «E cosa ti hanno detto?»
    Con un gesto secco l’uomo svuotò il bicchiere e lo sbatté sulla tovaglia di plastica a fiori. Lo sguardo si fece liquido; scosse la testa mentre lacrime sottili gli colavano dagli occhi.
    Fissò il figlio.
    «Allora? Cosa hanno detto?»
    «Cosa?» disse il padre confuso.
    «Cosa ti hanno detto?» ripeté Maurizio.
    L’uomo si fece silenzioso, poi un’occhiata furtiva alla moglie che, in terrazza, lavava i piatti della cena.
    Il pomo d’Adamo fece su e giù due volte, poi aggiunse: «Non credo che la mamma vorrebbe...»
    «Dàiiii...»
    L’uomo deglutì di nuovo.
    «Non me lo ricordo più; vai a letto»
    «Ma, papà!»
    «Vai a letto, Maurizio!»
    L’uomo condì l’ultima frase con la durezza degli occhi chiari; per Maurizio fu evidente che non c’era più nulla da ascoltare. Si diresse verso la sua stanza mentre suo padre si accarezzava la cicatrice pallida che gli solcava, come un tratto di biro troppo violento, la tempia. Un tempo in quel punto c’era il suo orecchio destro.

    ***



    O’ cristiano, accura u’ Pozzu!
    Dentro gli spiriti ci sunnu!
    Quannu i viri u’ nnai nulla i che vantariti!
    Picchi chiddi sanno commo struppiariti!
    A’ tua vogghia chiù granni,
    Iddi un’hanno a sapiri!
    Picchi chiddo ca vuoi, iddi tu ranno
    Ma un cancio hanno a fari:
    U’ tu ruluri pu desio!
    Ca tu’ un sai si è megghio morìri!
    Picchi u’ male tuo è u’ piacere riddi!
    Scappa, frate mio, ca’ forse sì in tempo!
    O’ cristiano, accura u’ Pozzu!
    Dentro gli spiriti ci sunnu!



    O Cristiano, attento al Pozzo!
    Perché dentro gli spiriti ci sono!
    Quando li vedi non devi vantarti!
    Perché loro sanno come farti male!
    La tua voglia più grande,
    Loro non devono saperla!
    Perché quello che vuoi, loro te lo danno
    Ma devono fare un cambio:
    Il tuo dolore per il desiderio!
    A te conviene morire!
    Perché il tuo male e il loro piacere!
    Scappa, finché puoi!
    O Cristiano, attento al Pozzo!
    Perché dentro gli spiriti ci sono!



    La filastrocca gli risuonava dentro.
    Appena un chilometro lo separava dall’ombra rotonda che si disegnava sull’acqua oleosa.
    Un vento leggero fece sbandare un po’ la barca; con pochi gesti sul timone Maurizio la riportò nella direzione giusta.
    Circoscritto dalle pareti a strapiombo sugli abissi, ricoperto da alghe che ondeggiavano nella corrente, il Pozzo sprofondava nel nulla.
    Si diceva che arrivasse fino all'Inferno e che lì, proprio al centro, andavano gettate le reti
    “Che vengano pure tutti i diavoli!” pensò spegnendo il motore e lasciando la barca a beccheggiare sulla superficie molle. Osservò la roccia che incombeva su di lui; solo cespugli aggrappati alla pietra, nemmeno gli uccelli avevano il coraggio di costruire lì il nido.
    Maurizio distese la rete lungo il diametro della fossa.
    Quando stava per invertire la marcia, udì il borbottio.
    Profondo e pauroso come aveva detto suo padre, proveniva dal mare sotto di lui.

    ***



    Era ritornato a casa verso le otto.
    Lucia non aveva detto nulla: come un burattino, aveva sistemato i piatti per la cena, aveva acceso la televisione sul canale del quiz prima del telegiornale e aveva disposto i piatti sulla tovaglia. Anche quella sera erano soli: Nicola era uscito a lavorare.
    Si erano sorbiti la pasta con i fagioli in silenzio, osservando di tanto in tanto il conduttore televisivo che si scalmanava cercando di rendere interessante il “Mercante in Fiera”.
    Le aveva fatto trovare la ricevuta del mutuo sotto il tovagliolo;
    Aveva impiegato qualche secondo a capire cosa fosse. Poi aveva letto “PAGATO” sul timbro sbavato sul foglio bianco.
    «Come...» aveva detto fissandolo, mentre il tovagliolo volteggiava sul pavimento.
    Maurizio fece spallucce e sorrise.
    «Stanotte è andata bene; di pomeriggio sono andato in banca e ho pagato.»
    La donna mosse gli occhi increduli dalla carta al viso del marito.
    «Allora? Non me lo merito un bacio? Magari piccolo piccolo?» chiese Maurizio.
    «Eh... Certo...» fece alzandosi. Appoggiò le labbra sul viso ruvido del marito e gli diede un bacio leggero.
    «Scusa... Ma... io... Come hai fatto?»
    Lucia non era mai stata una donna espansiva; i problemi degli ultimi mesi, poi, li avevano allontanati.
    «Sai com’è: certi giorni va male, altri va bene.»
    La donna fissò ancora una volta il foglio di carta.
    «Allora? Cosa dici?» la sollecitò Maurizio.
    «Sono contenta.»
    Maurizio allargò il sorriso; per quella volta era il massimo che poteva ottenere da lei. Aveva anche ripreso con i tranquillanti – roba leggera aveva detto il medico, ma pur sempre una medicina, pensava lui.
    La guardò ancora osservare il foglio. Sì: doveva accontentarsi.
    L’uomo inclinò il piatto e si compose un cucchiaio colmo di pasta e fagioli, spalancò la bocca e se lo tirò dentro, masticando con gusto i pezzetti di caciocavallo stagionato quasi sciolti.
    «Maurizio?»
    «Sì?»
    «Sei andato dove dice Miceli?»
    Maurizio si asciugò col tovagliolo.
    «No.»
    Lucia annuì.
    «Non voglio che tu...»
    «Stai tranquilla! Ho trovato un buon posto», rispose Maurizio. Aveva la fronte sudata, l’antidolorifico cominciava a non fare più effetto.
    Si alzò e si stiracchiò. Solo allora Lucia notò la mano fasciata.
    «Cosa hai fatto ?» disse allarmata per la benda.
    Maurizio si scrutò la mano come se la vedesse per la prima volta in vita sua.
    «Ah! Sai l’argano? Mi è rimasto un dito incastrato nella manovella mentre tiravo su la rete; era troppo pesante!» Le fece l’occhiolino e le accarezzò i capelli, poi riprese: «Ho sonno, mi sistemo e me ne vado a letto.»
    Sulla soglia del bagno Lucia lo chiamò:
    «Sì, cosa c’è?»
    «Sono contenta.»
    Maurizio sorrise ancora; smise di farlo solo quando si richiuse la porta alle spalle.
    Si toccò la ferita attraverso la fasciatura e rabbrividì: Lucia non si era accorta che quel “PAGATO” si riferiva a una sola rata.
    “Le cose non sono così semplici. Vede abbiamo conferito incarico all’avvocato per il recupero delle somme” aveva detto il responsabile del contenzioso. “Forse il precetto è già stato passato per la notifica. Certo ha dieci giorni di tempo. Poi parte la procedura.”
    “Ma come? Ho pagato!” aveva detto. L'uomo gli aveva risposto con un laconico “ha pagato una rata sola. Mi dispiace”.
    Era uscito dall’ufficio sconsolato e, come una corda zuppa d’acqua, si era buttato su una poltroncina della sala d’aspetto: tra avvocati, interessi e cose del genere il debito sarebbe diventato insanabile.
    Chiuse la porta e si tolse la benda per ispezionare la ferita: netta come la linea dell’orizzonte. Mise il moncherino del dito mignolo sotto il flusso del rubinetto. Strinse il bordo del lavandino digrignando i denti per il bruciore. Poi si fasciò di nuovo e ingoiò due bustine di OKI. Resistendo al nauseante sapore di menta, scrutò la figura grigia allo specchio: l’indomani sarebbe stata una brutta giornata.
    Con mille precauzioni si infilò pigiama.
    Rimase ostaggio degli incubi quasi subito.

    Giorno 5



    Il precetto era arrivato: dieci giorni di tempo, poi “avrebbero proceduto al recupero giudiziale del credito”
    E le reti erano ancora rimaste vuote.
    Il coltello da esche gli morse la base dell’indice. La mano aveva tremato un po’, ma poi Maurizio aveva vinto la battaglia con sé stesso. Urlò il suo dolore a Monte Pellegrino e al mare. Raccolse la sua carne e, mentre il sangue gocciolava in acqua sparendo in uno sbuffo rosso, la gettò fuori bordo.
    La vide sparire roteando senza peso.
    Maurizio si sedette sul fondo della barca. Si fasciò alla meglio. Il braccio, su fino alla spalla, ridotto a un ammasso pulsante.
    Si portò la mano ferita vicino la faccia e strinse gli occhi. Fece fatica a metterla a fuoco, ma poi ci riuscì: come le finestre che si aprono nella bocca di un bambino quando cadono i denti da latte, vide i vuoti creati dal metallo.
    Sospirò e, mentre le ossa sussurravano al sole, cercò di godersi l’alba aspettando che le reti gli svelassero ciò che u' Pozzu gli aveva concesso.
    Dopo mezz'ora cominciò a ritirare la rete.
    Serrando i denti a ogni mossa, mentre l'argano ronzava, riuscì a tonneggiare la cima principale raccogliendola in una matassa ordinata.
    La rete rimase sospesa sul ponte oscillando per un po’, quindi Maurizio tirò una drizza e fece piombare un fiume argenteo sul fondo della barca.
    Bastò uno sguardo critico alla massa brulicante per intuire che a un prezzo più alto era corrisposto un risultato migliore: un indice della mano sinistra per due rate di mutuo.
    Forse, se il suo corpo avrebbe retto, il tempo l'avrebbe aiutato.
    Si strinse la cinghia del pantaloni sul polso poi, a un passo dal perdere i sensi, riuscì a dare due strappi della cordicella e ad avviare il motore.
    Orientò la prua verso casa e reclinò la testa sulla spalla; si sarebbe affidato al mare per tornare.
    Quando la risata, gorgogliante d’acqua e alghe putride, distorta da mille voci si schiantò tra le pareti del pozzo, alzò la testa, confuso. Si guardò intorno due volte: il cervello archiviò il suono come uno sciabolio delle onde che, impotenti, si sovrapponevano l’una all’altra sugli scogli di Monte Pellegrino.
    Appoggiò la testa.
    Le labbra tremavano e la sua mente si fece leggera.
    Maurizio piombò nel sonno dei sofferenti, quello che fa vaneggiare.

    Un nuovo giorno 29.



    «Sono preoccupata, Maurizio. Voglio che vai dal dottore.»
    «Dal dottore? E perché?» rispose l’uomo mentre stringeva la fasciatura.
    «La tua mano non guarisce.»
    Maurizio sorrise pensando a come era sotto le bende.
    «Guarisce, guarisce. Oggi va proprio meglio» mentì, anche infilarsi le scarpe era diventato un supplizio.
    «E poi buono il medico! Al massimo riesce a scrivere le ricette per telefono, quando non sbaglia pure quelle!» riprese
    Lucia fece spallucce; anche lei sapeva che tipo fosse il dottor Zangara.
    «Tu non me la vuoi nemmeno fare vedere.»
    Il marito si mise in piedi e appoggiando il braccio sulla fascia attorno al collo si pettinò poi, guardando la moglie dallo specchio, disse:
    «Sì! Proprio tu la devi vedere! Quella che sviene appena si taglia! E poi che cosa ne capiresti? Il farmacista mi ha detto che è questione di tempo, di pillole e bende pulite. Ne vuoi sapere più di lui?»
    «No. Ma magari...» provò a dire la donna.
    «Ecco, allora finiamola. Sono in ritardo.»
    «Quando torni?»
    «Boh? Dipende il pesce che troviamo. Robertino mi ha detto che conosce un posto buono. È lontano.»
    «Devi dormire fuori per forza?» chiese lei, stava tormentando il lembo di un cuscino. Maurizio la vide stringerlo per poi mollarlo di scatto, incrociando il suo sguardo. Entrambi guardarono i fogli sul comò. Il verde dei cartoncini non lasciava alcun dubbio. Era questione di tempo: due, tre mesi, poi la banca avrebbe voluto la casa.
    Avevano cercato di tamponare: carte di credito, prestiti di parenti, amici.
    Tutto inutile: aveva fallito.
    Eppure aveva trovato un modo per risolvere tutto.
    «La ricevuta dell'anello che ti ho regalato quando eravamo fidanzati dov'è?» le chiese.
    «Nel cassetto.»
    «Ci sono anche quelle di tutto il resto?» domandò Maurizio, una carezza gentile sulle guance della moglie mentre lei annuiva
    «Domani mattina vai in Via Calvi e fatti dare tutto. Non importa se non sono tornato»
    «Ma come faccio?»
    «Vai in banca. I soldi ci saranno.»
    Maurizio fissò la donna, gli occhi le si erano fatti liquidi anche la voce era cantilenante.
    Si calò su di lei e le scoccò un bacio profumato di colonia. Quando le labbra umide di lacrime si allontanarono dal suo viso, Maurizio glielo prese con la mano ancora funzionante e le appoggiò la punta del naso sul suo.
    «Non mi credi? Fai come dico io. Hai capito, pezzo di locca?»
    Lucia sorrise. Era seduta sul letto quando udì la porta di ingresso chiudersi. Si passò una mano sulla guancia mentre una sensazione nera come l’asfalto e altrettanto consistente la costrinse a piangere.

    ***



    Aveva spento il motore e lasciato la barca in balia delle onde.
    A’ tua vogghia chiù granni,
    Iddi un’hanno a sapiri!
    Picchi chiddo ca vuoi, iddi tu ranno

    Aveva gridato ciò che voleva, adesso era arrivato il momento.
    Con rabbia feroce si spogliò: il maglione, la camicia, la benda, tutti gettati in mare come stracci. Osservò ciò che rimaneva della sua mano sinistra. Solo un ammasso di sangue rappreso e dolore tamponato dagli antidolorifici.
    Cosa aveva sperato? Cinque viaggi non erano stati sufficienti. Perché aspettare che se lo prendesse pezzo per pezzo?
    La brezza gli solleticò il petto mentre il mare sotto di lui si scuriva.
    Suo padre aveva avuto fortuna: era bastato un orecchio per riparare la barca quella volta che gli scogli l'avevano addentata.
    Rabbrividì quando emerse dal Pozzo. Una figura storta si trascinava sull’acqua: forse uguale a ciò che aveva visto suo padre oppure solo un nuovo aspetto del bisogno.
    Gli Spiriti di Monte Pellegrino erano dunque questo? Un vecchio canuto e deforme che, a piedi nudi, si fa strada contro ogni legge della natura?
    Stava venendo a prenderlo e lui voleva che accadesse.
    L’essere traslucido si fermò a pochi metri dalla barca. L’odore di marcio che emanava costrinse Maurizio a proteggersi il naso.
    Puntarono gli occhi l’uno in quelli dell’altro; fu allora che Maurizio li vide.
    In un turbinio di grida percepì centinaia di donne, uomini, ognuno con la sua storia, tutti con gli stessi dubbi. Una massa indistinta di volti che si ritrovò dentro e che accolse come fratelli. Urlanti, sofferenti come lui sarebbe stato; alcuni dannati ma felici di ciò che avevano fatto, altri, molti, a biasimarsi per la loro curiosità e la loro avidità. Decine di dialetti, centinaia di frasi spezzate, migliaia di parole tra il rumore dell’acqua e il vento: la sua nuova famiglia.
    Si preparò.
    L’essere tese il braccio e lo indicò con un dito magro e grigiastro.
    «Sì!» disse Maurizio. La voce, nonostante il freddo che gli attanagliava il cuore, non cedette.
    La mano dello spirito si aprì, con un movimento deciso descrisse un cerchio nell’acqua. La zona intorno la barca iniziò a ribollire.
    L’uomo si legò la bitta alla caviglia appena sopra il piede nudo, il nodo tenace, da pescatore, non avrebbe fallito. Fissando l’essere gettò l'ancora fuori bordo, la corda si mosse in singulti nervosi come un serpente decapitato, poi si esaurì schizzando fuori bordo, e lasciandolo equilibrio su un piede solo.
    Maurizio concesse un ultimo istante per guardarsi intorno.
    Prima di gettarsi tra la schiuma che vorticava pensò a Lucia e a Nicola.
    L'impatto con l'acqua gelata gli tolse il fiato. Percorse i primi dieci metri mulinando le braccia, vedendo la sagoma dell’imbarcazione diventare irraggiungibile mentre treni di bollicine emergevano dal naso e dalla bocca. Dopo poco due sibili dolorosi gli annunciarono che i timpani l’avevano abbandonato.
    I secondi divennero minuti. La discesa proseguì inesorabile. Fino a quando poté, trattenne il fiato, poi si arrese e inspirò.
    L’acqua gli si insinuò in ogni orifizio che le permettesse di schiacciargli la vita. Inghiottendola in sorsate amare Maurizio chiuse gli occhi: l’ultima cosa che vide furono delle scintille bianche.
    Morì senza aver toccato il fondo.
    Picchi u’ male tuo è u’ piacere riddi!

    Dopo.



    Lucia gettò la busta e l'estratto conto della banca sul tavolo. Si mise le mani tra i capelli.
    “Ti dico che l'ho sentito! Mi ha anche salutato con la mano! La sua voce saliva dall'acqua: gorgogliava nel vento. E non ero ubriaco! Era Maurizio!” aveva detto una sera Robertino. Era venuto a convincerla che suo marito c'era ancora.
    Lei lo aveva ascoltato davanti a un piatto di minestrone.
    “Lo so. Non mi ha abbandonato”, gli aveva detto annuendo.
    Lucia si alzò e andò alla finestra.
    Avrebbe desiderato che non accadesse più, eppure ogni mese, quel maledetto foglio gli diceva che non era cambiato nulla.
    Il respiro pesante appannò il vetro, la donna lo pulì con la manica del maglione. Il mare in lontananza era liscio come una colata di cemento.
    Non glielo avrebbe restituito mai più.
    «Mamma! Sono tornato» disse Nicola, poi il tonfo dello zaino della scuola che piombava sul pavimento e la televisione che si accendeva.
    Tirando su col naso Lucia guardò di nuovo il foglio di carta: il ventisette di ogni mese, puntuale come una promessa da rispettare, la somma “+ 3.500,00” campeggiava sotto la scritta “Accrediti”.
    La donna infilò l'estratto conto nella busta e, ciabattando come se le gambe gli pesassero tonnellate, andò da Nicola.


    Edited by Alessanto - 13/12/2010, 20:51
     
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  2. federica68
     
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    eccomi Antonio!

    SPOILER (click to view)
    un racconto dei tuoi, con il tuo stile ormai inconfondibile, mi piace come riesci a descrivere i personaggi e gli ambienti con pochi tratti vividi, e anche questa volta ci sei riuscito, anche se la scena della morte di maurizio mi ha lasciata un tantino spiazzata... il fantasma lo chiama? o è lui che si offre? non ho capito bene...

    ti segnalo qualche svista


    CITAZIONE
    con uno dei lavoratori , anche lui

    spazio in più


    CITAZIONE
    tonneggiava una bitta con un gesti fluidi

    .
    svista
    CITAZIONE
    rispose gettando la bitta sul fondo della barca.

    forse getta la gassa, o come si chiama... se gettasse la bitta credo che andrebbe a fondo...
    http://it.wikipedia.org/wiki/Bitta








    CITAZIONE
    l' impiegata del Banco della Trinacria

    spazio in più dopo l'apostrofoahaha

    CITAZIONE
    , e dell' usura.

    spazio dopo l'apostrofo... andando avanti ne ho trovati altri, mi sa che dovresti fare una ricerca e eliminarli


    CITAZIONE
    «Ehi!» disse ricambiando il saluto e il sorriso.

    metteri il soggetto, nella riga sopra stai parlando di robertino...










    CITAZIONE
    tra le fessure degli scoglio.

    svista





    CITAZIONE
    se il suo corpo avrebbe retto,

    avesse?



    CITAZIONE
    , quando non sbaglia pure quelle!» riprese

    manca punto



    metto un 4, in realtà sarebbe un 3 e 1/2 ma arrotondo volentieri :-)

    un bacio
     
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  3. Virgart
     
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    Ciao,
    Indibbiamente ha del talento, la storia è molto ben costruita e l'inserimento del dialetto, siculo, giusto? Ne aumenta il fascino.
    La tristezza di Maurizio è palpabile, fino al sacrificio estremo.
    Non aggiungo note, perché Federica l'ha già fatto.
    Un horror particolare.
    Arrotondo a quattro.

    Virgilio
     
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  4. Alessanto
     
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    CITAZIONE (Virgart @ 1/12/2010, 21:36) 
    Ciao,
    Indibbiamente ha del talento, la storia è molto ben costruita e l'inserimento del dialetto, siculo, giusto? Ne aumenta il fascino.
    La tristezza di Maurizio è palpabile, fino al sacrificio estremo.
    Non aggiungo note, perché Federica l'ha già fatto.
    Un horror particolare.
    Arrotondo a quattro.

    Virgilio

    Grazie!
     
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  5. bravecharlie
     
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    ciao, per secondo ho letto questo e anche qui ne ho ricavato minuti piacevoli. Un racconto molto ben scritto, un bello stile maturo, una sensazione di tristezza molto "vera" che permea le pagine. ci sono dei refusi, non molti, nulla di che comunque.
    Ho apprezzato soprattutto il modo in cui sei riuscito a calare la vicenda in un contesto credibile, quotidiano, dove l'elemento soprannaturale irrompe senza attriti, si incastra bene. Riguardo la storia in sé direi che è un po' troppo lineare, insomma si capisce come andrà a finire, non è certo un male assoluto e anzi è tipico di molte storie horror. Non ci sono molti sussulti, ma in cambio si gode di un'atmosfera evocativa e di molte belle descrizioni (su tutte, nel racconto del padre, il fantasma con gli ami in bocca), che alla fine valgono il voto massimo. ciao, complimenti e alla prossima :)
     
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  6. rehel
     
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    Il racconto è scritto bene, inserito ottimamente nell’ambientazione caratterizzante una realtà particolare. Tuttavia avverto l’eccessiva linearità di questa storia e penso che in piccolo aggrovigliamento della trama le avrebbe giovato.
    SPOILER (click to view)
    [/SPOILER]Fino alla fine ho sperato che il pescatore si salvasse, ma invano…
    [SPOILER]
    Sarò sincero. L’ho letto dopo il bar dei perdenti e l’efficacia di quel racconto mi ha fatto rimarcare fino in fondo questo difetto che avverto nel tuo.
    Il voto sarebbe tre e mezzo, ma arrotondo a tre per dare una maggior rilevanza a un testo che, come lettore, avverto più coinvolgente.
    :)
     
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  7. Alessanto
     
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    CITAZIONE (rehel @ 3/12/2010, 08:17) 
    Il racconto è scritto bene, inserito ottimamente nell’ambientazione caratterizzante una realtà particolare. Tuttavia avverto l’eccessiva linearità di questa storia e penso che in piccolo aggrovigliamento della trama le avrebbe giovato.
    SPOILER (click to view)
    [/SPOILER]Fino alla fine ho sperato che il pescatore si salvasse, ma invano…
    [SPOILER]
    Sarò sincero. L’ho letto dopo il bar dei perdenti e l’efficacia di quel racconto mi ha fatto rimarcare fino in fondo questo difetto che avverto nel tuo.
    Il voto sarebbe tre e mezzo, ma arrotondo a tre per dare una maggior rilevanza a un testo che, come lettore, avverto più coinvolgente.
    :)

    Grazie!

    SPOILER (click to view)
    Il fatto che sperassi che si salvasse mi dice che di lui te ne importava. Per me è okay anche così! :)
    D'altra parte, per come è costruita la vicenda, non credo potesse farcela.


    Un saluto!
     
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  8. Magister Ludus
     
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    Ciao,

    metto in spoiler le considerazioni.

    SPOILER (click to view)
    Bella storia, scritta bene, anche se secondo me nel finale perde un po', nel senso che da come era partita si intuisce che dando tutto se stesso il pescatore risolva la situazione, mentre poi non risolve nulla.


    Ti segnalo alcuni errori/refusi:

    con uno dei lavoratori , anche lui: spazio in più
    con un gesti fluidi: refuso
    L’uomo con la manica della camicia si asciugò le perline di sudore che gli ungevano la fronte e rientrò in casa: qui sembra che tu stia parlando de "l'uomo con la manica della camicia", avrei messo una virgola dopo l'uomo e una dopo camicia.
    Con un movimento meccanico, aprì l’acqua: qui la virgola è di troppo
    Aveva preso, anche, degli ‘nfanfari ma ne aveva rimessi molti in acqua: qui andrebbero tolte attorno ad anche e messa una prima di ma.
    Quando il servizio era terminato suo padre, con un sorriso trionfale: la virgola abdrebbe dopo terminato
    uno schiaffo della onde: spazio in più
    con l' impiegata del Banco: spazio in più
    con una smorfia di circostanza : : spazio in più
    …deve capire che + …le direttive mi impongono di: spazi in meno
    dell' usura: spazio in più
    con l' attività: spazio in più
    l' amico era: spazio in più
    certi meccanismi, figli malati della realtà proprio non li comprendeva: qui magari la virgola dopo malati.
    le righe sul viso: o le rughe?
    Vabbé: forma corretta vabbè
    qualcun’altro: qui non ci va l'apostrofo
    stagliando: di solito si usa dire stagliandosi, se lo usi come verbo transitivo, significa però tagliare grossolanamente.
    fessure degli scoglio: refuso
    Dàiiii: l'accento non ci va :)
    Cosa hai fatto ?» disse allarmata per la benda: spazio in più
    sciabolio: non esiste, forse intendi lo sciabordio?
    Dipende il pesce che troviamo: dipende dal pesce
    gli occhi le si erano fatti liquidi anche la voce era cantilenante: qui ci va una virgola dopo liquidi
    e lasciandolo equilibrio: refuso

    Voto 3.
     
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  9. Alessanto
     
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    Mi scuso per gli spazi in più. La mia scova-refusi, alias mia moglie, ha l'abitudine di metterne due. Sul forum non riesco a trovarli...
     
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  10. Fini Tocchi Alati
     
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    Bel racconto.
    SPOILER (click to view)
    Forse un po' prevedibile ma molto piacevole da leggere.
    Personaggi molto ben delineati (magari Lucia è un po' troppo "passiva") e dialoghi efficaci.
    Oltre alla prevedibilità, altro appunto che posso fare riguarda il ritmo che, in alcuni passi (specie in quelli descrittivi. Ce ne sono diversi) rallenta, mentre scorre molto nei dialoghi e nelle scene d'azione.
    Forse puoi sfoltirlo un po' in modo da renderlo più agile, ma rimane comunque un buon racconto.

    Per cui dico 3.
     
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  11. princ3ss
     
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    (forse ti sono già stati segnalati)

    27
    se non la finisci non mi prendo una minchia!» - se non la finisci non prendo una minchia
    scambiando un’occhiata quasi liquida con uno dei lavoratori - scambiando una veloce occhiata con uno dei lavoratori
    sé stesso - se stesso
    Mentre cacciava il guadagno della nottata dentro la tasca dei jeans sbiaditi vide Miceli gesticolare in direzione degli altri pescatori.- metterei virgola dopo sbiaditi
    alcuni svuotando le reti sospese - svuotavano
    con un gesti fluidi. - con gesti fluidi
    Dopo tre tentativi dell’avviamento - dopo tre tentativi d'avviamento
    fece allontanare il peschereccio dallo stabilimento in una nuvola di fumo azzurrino.- si allontanò col peschereccio dallo stabilimento, lasciandosi dietro una nuvola azzurrina
    SPOILER (click to view)
    Maurizio si godette l’orizzonte che sottile come un filo divideva il mare e il cielo. - Maurizio si godette l'orizzonte: un filo sottile che divideva il mare dal cielo
    «Lo sai che oggi è il ventisette?» chiese l'altra, i capelli grigi tenuti da un elastico e da un cerchietto, il grembiule rosso a fiori blu e l’andatura sbilenca sotto il peso del secchio. - Per il peso del secchio si muoveva a tratti, con un'andatura sbilenca; i capelli grigi tenuti a malapena da un elastico e un grembiule rosso a fiori le copriva l'abito. (descrizione donna)


    ho letto la prima parte, mi sembra ci siano parecchie cosa che potresti migliorare, perchè la storia c'è!
     
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  12. Ryan79
     
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    Ciao,
    SPOILER (click to view)
    malgrado il racconto sia scritto molto bene e tanto i personaggi quando le scene siano ben caratterizzato, ho trovato il tutto un po' "allungato", con un ritmo un po' troppo lento.
    Ci vuole troppo prima di arrivare a scoprire questo "pozzu", si intuisce subito quale sarà il finale (non necessariamente un male), e l'ultimo capitoletto mi ha lasciato un po' deluso: ok il "demone" o chi per lui che ricompensa il tuo sacrificio facendoti fare un'ottima pesca, ma che come per miracolo ti accrediti 3.500 euro al mese sul conto mi pare troppo...
    In controtendenza rispetto agli altri, devo purtroppo fermarmi a due.

    ti segnalo:


    con un gesti fluidi.
    c'è un "un" di troppo?


    lavoratori , anche lui, forse
    spazi prima delle virgole

    uno schiaffo della onde
    delle? alle?

    con l' impiegata
    no spazio dopo apostrofo

    circostanza : “le
    spazio prima dei due punti

    in conto giorno trenta
    manca "il" oppure "entro il"


    e lasciandolo equilibrio
    manca "in"

     
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  13. Alessanto
     
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    CITAZIONE (Ryan79 @ 7/12/2010, 22:32) 
    Ciao,
    SPOILER (click to view)
    Ci vuole troppo prima di arrivare a scoprire questo "pozzu", si intuisce subito quale sarà il finale (non necessariamente un male), e l'ultimo capitoletto mi ha lasciato un po' deluso: ok il "demone" o chi per lui che ricompensa il tuo sacrificio facendoti fare un'ottima pesca, ma che come per miracolo ti accrediti 3.500 euro al mese sul conto mi pare troppo...
    In controtendenza rispetto agli altri, devo purtroppo fermarmi a due.

    Grazie per la lettura.

    SPOILER (click to view)
    Cosa intendi per "troppo"?
     
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  14. Ryan79
     
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    CITAZIONE (Alessanto @ 7/12/2010, 22:36) 
    SPOILER (click to view)
    Cosa intendi per "troppo"?

    SPOILER (click to view)
    Si, scusa mi sono espresso male e troppo frettolosamente: intendevo dire che ho avvertito molta sproporzione tra la fase introduttiva e lo svolgimento della parte saliente, cioè da quando lui ripensa al pozzu e decide di "usufruirne". Rispetto quindi alla "preparazione", lo "svolgimento" e ancora di più la "conclusione" mi sono sembrati troppo veloci, ma la colpa secondo me è appunto di una introduzione troppo lunga.

    Asciugando un po' di più la parte fino a che il protagonista si trova stretto al cappio del mutuo, a mi avviso il racconto migliorerebbe molto. Magari anche un minimo di approfondimento della figura di miceli non sarebbe male, è bello il detto/non detto ma approfondire un po' di più il personaggio darebbe più spunti di riflessione..

    nota: io sono di origini meridionali e ho capito anche le parti in dialetto... quando scrivo frasi in dialetto, nel mio caso calabrese, mi chiedo spesso però quanto lo capiscano quelli che non hanno la mia fortuna... :)
     
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  15. Alessanto
     
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    User deleted


    CITAZIONE (Ryan79 @ 7/12/2010, 22:48) 
    CITAZIONE (Alessanto @ 7/12/2010, 22:36) 
    SPOILER (click to view)
    Cosa intendi per "troppo"?

    SPOILER (click to view)
    Si, scusa mi sono espresso male e troppo frettolosamente: intendevo dire che ho avvertito molta sproporzione tra la fase introduttiva e lo svolgimento della parte saliente, cioè da quando lui ripensa al pozzu e decide di "usufruirne". Rispetto quindi alla "preparazione", lo "svolgimento" e ancora di più la "conclusione" mi sono sembrati troppo veloci, ma la colpa secondo me è appunto di una introduzione troppo lunga.

    Asciugando un po' di più la parte fino a che il protagonista si trova stretto al cappio del mutuo, a mi avviso il racconto migliorerebbe molto. Magari anche un minimo di approfondimento della figura di miceli non sarebbe male, è bello il detto/non detto ma approfondire un po' di più il personaggio darebbe più spunti di riflessione..

    nota: io sono di origini meridionali e ho capito anche le parti in dialetto... quando scrivo frasi in dialetto, nel mio caso calabrese, mi chiedo spesso però quanto lo capiscano quelli che non hanno la mia fortuna... :)

    Okay.

    SPOILER (click to view)
    Per Miceli di segnalo questo:
    https://xii.forumfree.it/?t=49112606


    Per quanto riguarda il dialetto. Prima lo inserivo molto di più nel dialogato ma mi sono reso conto che faccio perdere al lettore l'empatica. Qui l'ho inserito in una filastrocca e nelle parti dove non potevo farne a meno.
    In ogni caso, è vero: l'equilibrio è difficile.
     
    .
23 replies since 1/12/2010, 07:24   300 views
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