Orsetto
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Orsetto

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  1. Mastronxo
     
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    C'è un posto... Ne metto uno, vediamo che succede.

    Orsetto

    Luca corre. Non a caso, no. Ha un obiettivo, e il suo obiettivo ha un volto, una fisionomia. Un nome.
    Luca ha una meta.
    Luca corre verso la sua meta.

    Fingeva di dormire, Giulia, se lui entrava nella cameretta e la guardava nascosta nelle ombre della sera. «Vado a letto, mamma!» urlava Giulia dall’alto delle scale quando erano ancora le nove e la televisione non la voleva accendere più. Urlava perché voleva che entrambi la sentissero.
    La mamma guardava Luca da sotto il bagliore d’un sorriso, e lui ricambiava prima di salire dalla piccola, qualche minuto dopo. Tutte le preoccupazioni venivano accecate da quel momento.
    Luca apriva la porta. Non troppo piano, però: anche lui voleva farsi sentire. Ogni tanto fingeva anche di inciampare su uno scalino, o faceva cadere qualcosa sulla moquette. E lei era lì a respirare forte, coccolata dalla penombra e dal calore profumato del piumotto. Luca le si avvicinava e le scostava la frangia dalle palpebre, che si schiudevano piano a scoprire due stelle; col sole, quelle stelle diventavano un tramonto sul mare. Giulia non riusciva più a fingere e gli sorrideva, come la mamma poco prima. «Papà… Ma io ho sonno…» gli diceva in un complice sussurro.
    «Solo un minuto, piccola. Non vuoi sapere cosa succede a Orsetto, stasera?».
    Lei sospirava forte, si stirava. «Va bene, però poi mi lasci dormire un po’» gli rispondeva dietro uno sbadiglio esagerato. Aveva perso un dentino.
    Era una meraviglia, Giulia.


    L’obiettivo di Luca è lontano. Ma sa che se riesce ad arrivare in tempo, tutto si sistemerà. Il marciapiede scricchiola sotto le sue scarpe di cuoio lucidato, certo non adatte a correre. L’asfalto è sconnesso e pieno di buche: ha piovuto da poco. L’aria di dicembre è gelida e appuntita come un bisturi, gli punge la faccia e gli infuoca i polmoni. Ma Luca corre, perché la sua meta si avvicina.
    Perché la sua meta ha un nome.
    E il suo nome è Giulia.

    Allora Luca, col volto coperto dalla sicurezza della notte, iniziava a raccontare. Ed erano storie sciocche, senza significati, lo sapevano tutti e due. Ma tutti e due sapevano che il vero senso non erano i contenuti delle storie in sé. Quando, a un certo punto, ridevano insieme nel buio, il senso di tutto si palesava caldo e lucente come un fuoco nella neve. Arrivava presto il momento in cui Luca doveva lasciarla dormire sul serio. Era anche il momento in cui doveva accendere la lampada lì accanto per guardare quelle due stelline sul volto della piccola mentre le dava la buonanotte. L’abatjour si metteva ad ammiccare, come faceva sempre poco prima di accendersi, e i vispi occhietti di Giulia si socchiudevano, ridenti, mentre aspettava che il papà si avvicinasse.
    «Buonanotte, piccola» le diceva invece lui voltandole le spalle e facendo per afferrare la maniglia.
    «Papà… ma ti sei dimenticato di farmi Orsetto!» esclamava la bambina. Come sempre.
    Luca allora si irrigidiva e la guardava da sopra la spalla con espressione dubbiosa.
    «Orsetto? Quale Orsetto?».


    Giulia è sdraiata in un prato. Questo prato è ancora pieno di neve satura d’acqua piovana e costeggia la strada che Luca sta percorrendo. Non deve prendere freddo, se no poi si ammala, pensa Luca, ma sono pensieri senza senso, come le storie che si raccontano lui e Giulia. Non preoccuparti, non ti faccio ammalare, non ti faccio ammalare, non ti faccio ammalare, pensa o forse grida.

    Luca ricorda. Luca rivive.
    Un pacchetto regalo. Fra le braccia di Giulia.
    «La mamma sarà contenta!» saltellava nella neve fuori dal negozio. Si era voltata e gli aveva sorriso.
    Sembrava un fagotto rosa e bianco. I suoi stivaletti di gomma affondavano nelle pozzanghere gelate, il naso sepolto nella sciarpa.
    «E tu?» le aveva detto il papà. «Sei contenta?».
    Che bisogno c’era di chiederglielo? Bastava guardarla. Luca aveva allungato il braccio per chiamarla a sé, le dita aperte ad accogliere il guantino nel palmo.
    Andiamo a casa, le stava dicendo.
    Non aveva fatto in tempo. Qualcosa era spuntato da dietro l’angolo. Qualcosa di veloce, di troppo veloce. Il qualcosa urlava e strideva.
    L’aveva colpita. Giulia, con la manina ancora protesa verso l’alto a cercar quella di Luca. Giulia portata lontano. Giulia travolta con forza mostruosa.
    Il pacchetto che teneva stretto aveva descritto un arco crudele, ricadendo con un tonfo. Uno stivale con la faccia ridente di Pippo era rotolato in mezzo alla strada, scivolava ancora sull’asfalto. Rumore. Grida. Luci che danzavano ad accogliere il Natale.
    Luca aveva iniziato a correre. Non a caso, no. Luca aveva un obiettivo, e il suo obiettivo un volto, una fisionomia. Un nome.
    Andiamo a casa.
    Non avrebbe mai detto.


    Un vecchio si sta avvicinando alla bambina. Il vecchio si appoggia al suo bastone e allunga il collo per guardarla meglio, ma si vede che è incerto e non sa bene cosa fare. Lasciala stare o si ammala! pensa Luca. O forse grida.
    Il vecchio si volta verso di lui, non sa cosa dire oltre a non saper cosa fare. Allora Luca si chiede cosa cazzo ci faccia lì, quel vecchio maledetto. Inginocchiata di fronte alla piccola, di spalle rispetto a Luca, c’è una giovane donna o un ragazzo magro coi capelli lunghi, neri come la notte. Luca lo raggiunge e lo butta in là con forza, forse si sloga una spalla, ma non sente niente. Una voce femminea proviene dal ragazzo coi capelli lunghi, che in realtà è una ragazza. Luca non sente cosa gli dice: ha raggiunto Giulia e affonda le ginocchia nella neve nel gettarsi di fronte a lei, le mani che tremano, i polmoni che urlano. Le passa due dita sulla guancia gelata e le toglie il sangue che le esce dalla bocca. Giulia ha gli occhi socchiusi che non vedono. Sembrano due pianeti lontani, tremanti, come la fiamma di una candela consumata.
    «Giulia» le dice il papà. «Giulia» le ripete il papà.
    La bambina respira piano, il sangue che ha in gola la fa tossire. Puntini rossi si spargono sul bianco ghiacciato attorno al suo viso. Guarda Luca.
    «Papà…» sussurra, ma non c’è nessun tono complice in quella parola, questa volta. C’è solo paura, c’è solo freddo. «Papà…» ripete.
    Luca le stringe forte il viso tra le mani e piange, in silenzio. Non vuole che lei senta per non spaventarla di più.
    «Dicono che è meglio non toccarla, quando c’è un incidente», gli dice una voce di vecchio che lui non ascolta. Lontano, si sente il lamento di un’ambulanza, debole come la vita di Giulia.
    «Orsetto…» dice la bimba nell’orecchio di suo padre, e allora lui poggia piano una mano sotto al mento della bimba e comincia a grattarla sul collo, dove non ci sono ferite, dove non c’è sangue. È molto delicato. Lei gli prende la mano e se la porta sulla pancia.
    «Orsetto» ripete.
    Dove Luca ha la mano c’è uno squarcio che vomita sangue.
    «Ho preso la targa» dice la voce femminea. Luca guarda la ragazza ma non la vede. Di fronte ha solo un qualcosa di pallido che somiglia a un viso. «Il guidatore è scappato, ma ho preso la targa».
    «Mio Dio, l’ha fatta volare trenta metri» dice il vecchio, che forse esagera. O forse no. Si è avvicinato e guarda la scena dall’alto. È bianco in faccia pure lui. «L’ambulanza arriva tra poco. Andrà tutto bene».
    «Orsetto…» dice Giulia.
    Le dita di Luca, appoggiate sulla pancia scorticata della piccola, sfiorano la pelle lasciata scoperta per l’attrito con l’asfalto. Non può farle il solletico che conclude tutte le avventure di Orsetto, quel solletico che lei attende con impazienza ogni sera e che la fa ridere al primo contatto; le farebbe male.
    Allora il papà la accarezza, la mano che scivola sul sangue che non smette di uscire. Giulia sbuffa e gli angoli della sua bocca si incurvano in alto. Per un attimo, i suoi occhi tornano lucenti e incendiano il freddo che circonda il corpo e il cuore di Luca. Poi, le sue pupille diventano vetro e la mano stretta in quella di Luca si fa pesante come piombo. L’ambulanza si ferma di fronte al prato.
    Luca guarda in alto. I fiocchi di neve hanno ripreso a cadere nel silenzio e si sciolgono in lacrime di ghiaccio sulle sue guance.

    Edited by Mastronxo - 3/12/2010, 13:07
     
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