LA SCHIAVA E L'IMPERATORE
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LA SCHIAVA E L'IMPERATORE

di Diego Di Dio - Mainstream- (10.800 caratteri)

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  1. Dieguito_85
     
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    IN SPOILER CI SONO LE VERSIONI 1.0 E 1.1 DEL RACCONTO "LA SCHIAVA E L'IMPERATORE".
    LA VERSIONE 1.2, NELLA QUALE HO INSERITO QUALCHE AGGIUNTA SPARSA E QUA E LA' PER SFRUTTARE MAGGIORNEMTNE IL POTENZIALE EMOTIVO DELLA PROTAGONISTA, L'HO MESSA IN UN NUOVO POST, PAG. 2



    SPOILER (click to view)
    I suoi occhi immobili attraversano le grate che affacciano sul mare. In lontananza, il sole che muore e che affoga è uno spettacolo che si dipinge nel suo sguardo. Un refolo di vento gli passa attraverso il pelo, lasciandolo indifferente. Si volta verso di me.
    Non ha paura.
    Ho un canovaccio legato attorno alla vita, una scopa in mano, sono sporca e sudata. Mi fissa. E il suo sguardo è un libro che non si fa leggere. Faccio un verso con la bocca ma lui resta immobile.
    Augusto non ha mai paura.

    Rientro in casa.
    Il rituale è sempre lo stesso, ogni volta che varco la soglia. Mi guardo allo specchio: ho un livido blu che mi cerchia l’occhio e un puntino di sangue rappreso sul labbro superiore. Il mio viso è quello di Pierrot.
    Dopo lo specchio, la foto, appesa alla parete, incastonata in un coriandolo di tempo. Il matrimonio, classico, tradizionale, bellissimo. La guardo e mi commuovo, ogni volta. Sembrano passati tanti anni, sembra un’altra vita, eppure non è così.
    Giorgio non era così.
    Ieri mi ha picchiata un’altra volta.

    I gatti, di solito, non si muovono in branco. Non sono animali solidali: sono individualisti, egoisti, ognuno per sé. Fuori casa nostra, fino a qualche anno fa, c’era una marmaglia di mici randagi, di tutti i tipi, di tutte le razze. Li ho sempre adorati, ho sempre dato loro da mangiare, guardandoli mentre litigavano l’uno contro l’altro per accaparrarsi la scodella di cibo.
    Poi è arrivato Augusto.
    L’ho chiamato così perché sembra un imperatore. È un certosino meraviglioso, pelo grigio corto, occhi che sembrano due soli nella notte. Giorgio dice che sono stupida a dare i nomi agli animali. Ma Augusto è diverso, lo è sempre stato.
    È giunto qui, venendo da chissà dove. Ha compiuto il miracolo: si è messo a capo di un branco che, prima, non esisteva. Ha la stoffa del leader, ha la calma e il portamento di un re, la postura eretta e fiera di chi non ha paura.
    Non è mai stato un gatto come gli altri. Questo lo sapevo io, lo sapeva lui, lo sapevano gli altri animali. Sono due anni che accade la stessa cosa: quando metto le ciotole in strada, sul marciapiede, gli altri gatti non mangiano.
    Si mettono lì, attorno al cibo, in paziente attesa.
    Augusto arriva, li guarda, si dirige verso il suo pasto. Solo dopo che ha cominciato lui, gli altri possono fare lo stesso. Non ho mai visto una cosa del genere.
    Lo rispettano, lo temono.
    Ma poi è arrivato lui, il Rosso.

    In fondo, Giorgio posso pure capirlo.
    È ancora un ragazzo, ha una furia quasi adolescenziale, un’energia che non scende a patti con gli anni. Io non volevo il matrimonio, lui non voleva il figlio.
    Ed eccoci qui.
    Sposati, genitori, già separati in casa.
    Non pensavo che andasse a finire in questo modo.
    Non pensavo che il piacere effimero di un momento, bello perché transitorio, potesse catapultarmi in questa vita che non mi appartiene.
    Seppi di essere incinta subito dopo il diploma. Rimandati i miei progetti universitari, saltati i sogni di Giorgio di andare a lavorare fuori. Un dilemma non detto, silenzioso eppure palese: aborto o matrimonio. Il perché dell’alternativa, ancora non lo capisco.
    Forse perché la gente crede che le famiglie tradizionaliste non esistono più. Invece non è così: la mia e quella di Giorgio ne sono un esempio.
    In ogni caso, scelsi la seconda possibilità. E non c’è giorno in cui io non me ne sia pentita.
    Sì, non me ne vergogno, lo ammetto: avrei fatto meglio ad abortire. A togliere la luce a quella vita, a soffocare nel silenzio quel fiocco d'anima. Anche adesso lo penso, anche adesso che lo sento piangere, dal soggiorno, nel suo lettino.
    Mi sento sporca a pensarlo, ma non so se una vita che sboccia valga davvero il prezzo di un inferno. Eppure dovevo capirlo che sarebbe stata così, la mia vita di coppia.
    Fu immediatamente dopo il parto, che Giorgio iniziò a essere violento.
    I suoi schiaffi e i suoi pugni sono un modo per dirmi che è infelice.

    Il Rosso è un gatto giovane, pelo corto fulvo, occhi spalancati che si muovono a destra e a sinistra. È un animale agile, scattante, violento. La prima volta che hanno combattuto, lui e Augusto, è stata uno spettacolo.
    Si sono fronteggiati, immobili, occhi negli occhi. Hanno iniziato a cambiare voce, emettendo miagolii baritonali. Poi si sono attaccati. Pelo arruffato, code gonfie e ricce, artigli sguainati. Nessuno ha vinto.
    Finita la battaglia, ho portato la ciotola ad Augusto. Ha mangiato, dopo essersi leccato le ferite. Mi ha guardata negli occhi.
    L’aveva capito. Aveva difeso il suo territorio, c’era riuscito, ma non contava. La cosa importante era che un altro gatto, un estraneo, avesse deciso di attaccarlo. I gatti non lanciano la sfida contro chi sanno essere più forte. Non sono coraggiosi, sono furbi: non combattono contro un capo giovane.
    Il Rosso aveva capito che Augusto stava invecchiando.
    Aveva perso, ma sarebbe tornato.
    E il regno di Augusto, vecchio imperatore, non sarebbe durato per sempre.

    Giorgio torna dal lavoro con mezz’ora di ritardo.
    Persa nei miei pensieri, intenta a pulire casa, ho dimenticato di fare da mangiare.
    Scoppia il finimondo.
    Nostro figlio si sveglia, inizia a piangere, si dimena. Sono costretta a prenderlo in braccio e cullarlo, cercando di farlo calmare. Poi lo rimetto nel lettino e gli canto una ninna-nanna, la stessa che mi cantava mia madre, mentre con un fazzoletto mi pulisco il sangue dal labbro.
    Giorgio è uscito di nuovo, sbattendo la porta e sbraitando che avrebbe mangiato fuori, con i suoi amici. Stanotte, già lo so, tornerà ubriaco, s'infilerà nel letto accanto a me, e cercherà di fare la pace possedendo un corpo che non gli appartiene più.
    I miei non sanno niente di tutta questa storia.

    Non so se sia un bene o un male. A volte mi dico che dovrei sputargli in faccia ogni cosa, facendoli pentire di aver insistito tanto perché ci sposassimo. Ma poi ci ripenso e il silenzio cala su di me. In fondo sono bravi genitori, mi si spezzerebbe il cuore a dar loro un dispiacere.
    Andrea scivola nel sonno.
    È meraviglioso quando dorme, sembra rimettere ogni cosa a posto. E quando si sveglia, poi, riapre i suoi occhi nocciola e mi fissa per ore. Dal primo momento ho pensato che avesse uno sguardo unico. Riflessivo, meditabondo, immerso nei suoi pensieri. Quando mi guarda mi mette quasi in soggezione, perché penso che forse capisce ogni cosa.
    Forse il suo silenzio è una voce che chiede “Mamma, quando lo lasci? Quando scappi?”.
    Probabilmente sono solo i deliri di una madre.
    Rimpiango di non aver abortito, è vero. Ma questo non c’entra niente con Andrea, lui è l’unica cosa buona di tutta questa storia. Il mio rimpianto è legato alle conseguenze che ne sono derivate, alle botte che mi prendo ogni sera, non all’esistenza di questo bambino.
    Ogni parola che impara è un miracolo.
    La prima che ha imparato è stata “azie”, per “Grazie”. È un bambino educato. Poi “mamma”, e dopo “gio-gio”, che sta per “Giorgio”. Non lo chiama papà, non se lo merita.

    Il Rosso torna.
    Gli altri gatti sono gli spettatori di una faida territoriale senza precedenti. Augusto adesso è vecchio. Cammina con lentezza, con attenzione, compie movimenti circospetti e misurati. Nel piatto lascia un po’ di cibo in più ogni giorno. Brutto segno.
    Li guardo dalla finestra di casa mia.
    Unghiate, miagolii che sembrano ruggiti, un groviglio inestricabile di pelo e zanne. La loro lotta è un ginepraio di colpi veloci, fulminei, di feritine sul pelo che si aprono.
    Il tutto dura qualche minuto.
    Poi Augusto si allontana, zoppicante. Si mette in un angolo, si nasconde nell’ombra, si lecca le zampe. Il Rosso, di fronte a lui, è immobile, ghiacciato nel tempo. Non dà segni di dolore, non si smuove. Va verso la ciotola poco distante, si guarda in giro e inizia a mangiare. Gli altri gatti lo lasciano fare.
    Augusto ha perso.

    La notte succede quello che ho previsto.
    Non so che ore sono, ma sento le mani che mi toccano sotto le lenzuola. Il suo fiato puzza di alcool, il suo corpo è turgido e famelico nell’attesa dell’amplesso. Mi giro dall’altro lato, mandandolo a quel paese. Lui accende la luce, rabbioso.
    «Perché non vuoi fare più l’amore con me?»
    «Perché sei un animale» gli rispondo. «E non chiamarlo amore. Non sai nemmeno cosa sia.»
    «Ti ho chiesto scusa per…per…» mi indica il viso tumefatto, quasi impacciato.
    «Non m’interessa.»
    «Fa’ l’amore con me.»
    «No.»
    «Sì.»
    Un altro no. E lui che perde la pazienza.
    Dovevo aspettarmelo. Mi dà uno schiaffo e la ferita si riapre per la seconda volta. Mi sbatte sul letto, mi prende con la violenza, blocca le mie reazioni con la sua fisicità. Gode, geme, arriva.
    Si getta su letto, esausto. Scivola quasi subito nel sonno.
    Io mi rigiro tra le lenzuola. La luna che passa tra le feritoie della finestra illumina Andrea, nel lettino. Ha visto tutto ed è sveglio. Mi fissa, come fa sempre.
    Piango in silenzio.

    Augusto lo sa che sta per morire.
    La morte, per i gatti, ha un odore particolare. Sanno riconoscerla nei loro padroni, negli altri animali, in se stessi. Non sono come noi. Non rimangono attaccati alla vita. Sono dignitosi, orgogliosi, alteri. Non lo fanno vedere agli altri. Si ritirano in un posto isolato e muoiono. Augusto deve essere fiero di se stesso, perché ha mantenuto il comando quasi fino alla fine.
    Adesso il capo è il Rosso. Prima di iniziare a mangiare, gli altri gatti aspettano lui.
    Augusto, in un angolo, li guarda. Non mangia nemmeno più.
    Penso che non arriverà a domani.

    Io invece all’indomani ci arrivo.
    Stamattina Giorgio è partito per il Festival del Fitness. S’è portato appresso una mandria di amici. Starà via tre giorni.
    Scendo in cucina, mi lavo, mi vesto, mi faccio bella.
    Inizio a scrivere una lettera con l’intestazione “Per Giorgio”. Poi ci ripenso, accartoccio il foglio e lo getto nella pattumiera. Non se la merita lui, una lettera. In un paio d’ore faccio le valigie e cambio il pannolino ad Andrea.
    Non lo dico a nessuno, nemmeno a mia madre. So che sto facendo la cosa giusta, e nessuno potrà farmi cambiare idea. Esco di casa, mio figlio nel passeggino, la valigia trainata a mano e la foto dentro la tasca. In casa, una cornice vuota fa bella mostra sulla parete.
    Andrea, dal passeggino, mi guarda in silenzio e sorride.
    Secondo me davvero capisce ogni cosa.

    Augusto se ne sta andando a morire.
    Da solo, in silenzio. È vecchio e stanco, ma ancora si struscia alla mia gamba per farsi accarezzare. Gli strapazzo un po’ la testa, con delicatezza. Alcuni tagli ancora non si sono rimarginati. Io devo raggiungere la macchina, lui deve andare chissà dove.
    Facciamo un tratto di strada assieme.
    Immersi nel sole, i nostri passi sono il ticchettio del tempo che non si ferma.
    Per lui è finita.
    Per me è appena cominciata.
    VERSIONE 1.0

    SPOILER (click to view)

    LA SCHIAVA E L'IMPERATORE_ VERSIONE 1.1



    Mattina.
    I suoi occhi immobili attraversano le grate che affacciano sul mare. In lontananza, il sole rosso che affoga nel tramonto è uno spettacolo che si dipinge nel suo sguardo. Un refolo di vento gli passa attraverso il pelo, lasciandolo indifferente. Si volta verso di me.
    È vecchio, ma non ha paura.
    Io gli sono di fronte, appoggiata al cancelletto verde che dà sulla strada. Ho un canovaccio legato attorno alla vita, una scopa in mano, sono sporca e sudata. Mi fissa. E il suo sguardo è un libro che non si fa leggere. Faccio un verso con la bocca ma lui resta immobile.
    Augusto non ha mai paura.

    Rientro in casa.
    Il rituale è sempre lo stesso, ogni volta che varco la soglia. Mi guardo allo specchio: ho un livido blu che mi cerchia l’occhio e un puntino di sangue rappreso sul labbro superiore. Il mio viso è quello di Pierrot.
    Dopo lo specchio, la foto appesa alla parete è un coriandolo di tempo incastonato. Il matrimonio: classico, tradizionale, bellissimo. La guardo e mi commuovo, ogni volta. Sembrano passati tanti anni, sembra un’altra vita, eppure non è così.
    Giorgio non era così.
    Ieri mi ha picchiata un’altra volta.

    I gatti, di solito, non si muovono in branco. Non sono animali solidali: sono individualisti, egoisti, ognuno per sé. Fuori casa nostra, fino a qualche anno fa, c’era una marmaglia di mici randagi, di tutti i tipi, di tutte le razze. Li ho sempre adorati, ho sempre dato loro da mangiare, guardandoli mentre litigavano l’uno contro l’altro per accaparrarsi la scodella di cibo.
    Poi, circa due anni fa, arrivò Augusto.
    Lo chiamai così perché sembrava un imperatore. Un certosino meraviglioso: pelo grigio corto, occhi che sembravano due soli nella notte. Giorgio ha sempre detto che sono stupida a dare i nomi agli animali. Ma Augusto era diverso e lo sarà sempre.
    Giunse qui, venendo da chissà dove. Compì il miracolo: si mise a capo di un branco che, prima, non esisteva. Aveva la stoffa del leader, la calma e il portamento di un re, la postura eretta e fiera di chi è senza paura.
    Non era mai stato un gatto come gli altri. Questo lo sapevo io, lo sapeva lui, lo sapevano gli altri animali. È dal momento in cui giunse qui, che accadde: quando mettevo le ciotole in strada, sul marciapiede, gli altri gatti non mangiavano.
    Si mettevano lì, attorno al cibo, in paziente attesa.
    Augusto arrivava, li guardava, si dirigeva verso il pasto. Solo dopo che aveva cominciato lui, gli altri potevano fare lo stesso. Non avevo mai visto una cosa del genere. Lo rispettavano, lo temevano.
    Ma poi, il mese scorso, è arrivato lui.
    Il Rosso.

    In fondo, Giorgio posso pure capirlo.
    È un ragazzo, ha una furia quasi adolescenziale, un’energia che non scende a patti con gli anni. Io non volevo il matrimonio, lui non voleva il figlio.
    Lo conobbi nell’unica palestra di Procida, in una delle rare occasioni in cui avevo deciso di prendermi cura del mio corpo. Lui era l’aiutante dell’istruttore. Ma non mi innamorai né dei suoi occhi, né del suo fisico atletico. Le cose che si notano all’inizio, sono quelle che poi si scordano. Mi innamorai del suo tatuaggio. Un drago addormentato che faceva capolino dalla striscia di pettorale sotto la canottiera.

    E adesso eccoci qui.
    Sposati, genitori, già separati in casa.
    Non pensavo che andasse a finire in questo modo.
    Non pensavo che il piacere effimero di un momento, bello perché transitorio, potesse catapultarmi in questa vita che non mi appartiene.
    Seppi di essere incinta subito dopo il diploma. Rimandati i miei progetti universitari, saltati i sogni di Giorgio di fare il personal trainer in una palestra di città.
    Un dilemma non detto, silenzioso eppure palese: aborto o matrimonio. Il perché dell’alternativa, ancora non lo capisco.
    Forse perché la gente crede che le famiglie tradizionaliste non esistono più. Invece non è così: la mia e quella di Giorgio ne sono un esempio.
    In ogni caso, scelsi la seconda possibilità. E non c’è giorno in cui io non me ne sia pentita.
    Sì, lo ammetto: avrei fatto meglio ad abortire. A togliere la luce a quella vita, a soffocare nel silenzio quel fiocco d'anima. Anche adesso lo penso, anche adesso che lo sento piangere, dal soggiorno, nel suo lettino.
    Mi sento sporca a pensarlo, ma non so se una vita che sboccia valga davvero il prezzo di un inferno. Eppure dovevo capirlo che sarebbe stata così, la mia vita di coppia.
    Fu immediatamente dopo il parto, che Giorgio iniziò a essere violento.
    I suoi schiaffi e i suoi pugni sono un modo per dirmi che è infelice.

    Il Rosso è un gatto giovane, pelo corto fulvo, occhi spalancati che si muovono in maniera nervosa. È un animale agile, scattante, violento. La prima volta che lui e Augusto hanno combattuto è stata uno spettacolo.
    Il mese scorso. Si sono fronteggiati, immobili, occhi negli occhi. Hanno iniziato a cambiare voce, emettendo miagolii baritonali. Poi hanno spiccato un balzo rapidissimo, l’uno contro l’altro. Pelo arruffato, code gonfie e ricce, artigli sguainati.
    Nessuno aveva vinto.
    Finita la battaglia, ho portato la ciotola ad Augusto. Ha mangiato, dopo essersi leccato le ferite. Mi ha guardata negli occhi.
    L’aveva capito. Aveva difeso il suo territorio, c’era riuscito, ma non contava. La cosa importante era che un altro gatto, un estraneo, avesse deciso di attaccarlo.
    I gatti non lanciano la sfida contro chi sanno essere più forte. Non sono coraggiosi, sono furbi: non combattono contro un capo giovane.
    Il Rosso aveva capito che Augusto stava invecchiando.
    Aveva perso, ma sarebbe tornato.
    E il regno di Augusto, vecchio imperatore, non sarebbe durato per sempre.

    Sera. Giorgio torna dal lavoro con mezz’ora di ritardo.
    Da un po’ di tempo si accontenta di fare il turno pomeridiano al Capriccio, un bar del porto. E la mattina, quando capita, dà una mano in palestra.
    Persa nei miei pensieri, intenta a pulire casa, ho dimenticato di fare da mangiare.
    Scoppia il finimondo.
    Nostro figlio si sveglia, inizia a piangere, si dimena. Sono costretta a prenderlo in braccio e cullarlo, cercando di farlo calmare. Poi lo rimetto nel lettino e gli canto una ninna-nanna, la stessa che mi cantava mia madre, mentre con un fazzoletto mi pulisco il sangue dal labbro.
    Giorgio è uscito di nuovo, sbattendo la porta e sbraitando che avrebbe mangiato fuori, con i suoi amici. Stanotte, già lo so, tornerà ubriaco, s'infilerà nel letto accanto a me, e cercherà di fare la pace possedendo un corpo che non gli appartiene più.

    I miei non sanno niente di tutta questa storia.
    Non so se sia un bene o un male. A volte mi dico che dovrei sputargli in faccia ogni cosa, facendoli pentire di aver insistito tanto perché ci sposassimo. Ma poi ci ripenso e il silenzio cala su di me. In fondo sono bravi genitori, mi si spezzerebbe il cuore a dar loro un dispiacere.
    Andrea scivola nel sonno.
    È meraviglioso quando dorme, sembra rimettere ogni cosa a posto. E quando si sveglia, poi, riapre i suoi occhi nocciola e mi fissa per ore. Dal primo momento ho pensato che avesse uno sguardo unico. Riflessivo, meditabondo, immerso nei suoi pensieri. Quando mi guarda mi mette quasi in soggezione, perché penso che forse capisce ogni cosa.
    Forse il suo silenzio è una voce che chiede “Mamma, quando lo lasci? Quando scappi?”.
    Probabilmente sono solo i deliri di una madre.
    Rimpiango di non aver abortito, è vero. Ma questo non c’entra niente con Andrea, lui è l’unica cosa buona di tutta questa storia. Il mio rimpianto è legato alle conseguenze che ne sono derivate, alle botte che mi prendo ogni sera, non all’esistenza di questo bambino.
    Ogni parola che impara è un miracolo.
    La prima che ha imparato è stata “azie”, per “Grazie”. È un bambino educato. Poi “mamma”, e dopo “gio-gio”, che sta per “Giorgio”. Non lo chiama papà, non se lo merita.

    La settimana scorsa, il Rosso è tornato di nuovo.
    Gli altri gatti sono stati spettatori di una faida territoriale senza precedenti. Augusto sembrava più vecchio di quanto non fosse: camminava con lentezza, con attenzione, compiva movimenti circospetti e misurati. Nel piatto lasciava un po’ di cibo in più ogni giorno.
    Li ho guardati dalla finestra di casa mia.
    Unghiate, miagolii che sembravano ruggiti, un groviglio inestricabile di pelo e zanne. La lotta è stata un ginepraio di colpi veloci, fulminei, di feritine sul pelo che si aprivano.
    Il tutto è durato qualche minuto.
    Poi Augusto si è allontanato, zoppicante. Si è messo in un angolo, si è nascosto nell’ombra, si è leccato le zampe. Il Rosso, di fronte a lui, è rimasto immobile, ghiacciato nel tempo. Non ha dato segni di dolore, non si è smosso. È andato verso la ciotola poco distante, si è guardato in giro e ha iniziato a mangiare.
    Gli altri gatti gli hanno lasciato fare tutto quello che voleva.
    Augusto aveva perso.

    Notte.
    Succede quello che ho previsto.
    Non so che ore sono, ma sento le mani che mi toccano sotto le lenzuola. Il suo fiato puzza di alcool, il suo corpo è turgido e famelico nell’attesa dell’amplesso. Mi giro dall’altro lato, mandandolo a quel paese. Lui accende la luce, rabbioso.
    «Perché non vuoi fare più l’amore con me?»
    «Perché sei un animale» gli rispondo. «E non chiamarlo amore. Non sai nemmeno cosa sia.»
    «Ti ho chiesto scusa per…per…» mi indica il viso tumefatto, quasi impacciato.
    «Non m’interessa.»
    «Fa’ l’amore con me.»
    «No.»
    «Sì.»
    Un altro no. E lui che perde la pazienza.
    Dovevo aspettarmelo. Mi dà uno schiaffo e la ferita si riapre per la seconda volta. Mi sbatte sul letto, mi prende con la violenza, blocca le mie reazioni con la sua fisicità. Spinge, mentre io fisso in lacrime il drago dormiente dipinto sul suo petto.
    Gode, geme, arriva.
    Si getta sul letto, esausto. Scivola quasi subito nel sonno.
    Io mi rigiro tra le lenzuola. La luna che passa tra le feritoie della finestra illumina Andrea, nel lettino. Ha visto tutto ed è sveglio. Mi fissa, come fa sempre.

    Augusto lo sa che sta per morire.
    La morte, per i gatti, ha un odore particolare. Sanno riconoscerla nei loro padroni, negli altri animali, in se stessi. Non sono come noi. Non rimangono attaccati alla vita. Sono dignitosi, orgogliosi, alteri. Non lo fanno vedere agli altri. Si ritirano in un posto isolato e muoiono. Augusto deve essere fiero di se stesso, perché ha mantenuto il comando quasi fino alla fine.
    Adesso il capo è il Rosso. Ieri, prima di iniziare a mangiare, gli altri gatti hanno aspettato lui.
    Augusto, in un angolo, li ha guardati.
    Da quando ha perso, non mangia nemmeno più.

    Mattina.
    Giorgio è partito per il Festival del Fitness. S’è portato appresso una mandria di amici. Starà via tre giorni.
    Scendo in cucina, mi lavo, mi vesto, mi faccio bella.
    Inizio a scrivere una lettera con l’intestazione “Per Giorgio”. Poi ci ripenso, accartoccio il foglio e lo getto nella pattumiera. Non se la merita lui, una lettera. In un paio d’ore faccio le valigie e cambio il pannolino ad Andrea.
    Non lo dico a nessuno, nemmeno a mia madre. So che sto facendo la cosa giusta, e nessuno potrà farmi cambiare idea. Esco di casa, mio figlio nel passeggino, la valigia trainata a mano e la foto dentro la tasca. In casa, una cornice vuota fa bella mostra sulla parete.
    Andrea, dal passeggino, mi guarda in silenzio e sorride.
    Secondo me davvero capisce ogni cosa.

    Augusto se ne sta andando a morire.
    Da solo, in silenzio. È vecchio e stanco, ma ancora si struscia alla mia gamba per farsi accarezzare. Gli strapazzo un po’ la testa, con delicatezza. Alcuni tagli ancora non si sono rimarginati. Io devo raggiungere la macchina, lui deve andare chissà dove.
    Facciamo un tratto di strada assieme.
    Immersi nel sole, i nostri passi sono il ticchettio del tempo che non si ferma.
    Per lui è finita.
    Per me è appena cominciata.
    VERSIONE 1.1

    Edited by Dieguito_85 - 10/2/2011, 23:31
     
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  2. Olorin
     
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    Prima che io esprima qualsiasi commento o voto

    CITAZIONE
    Poi Arturo si allontana, zoppicante

    chi è mai codesto 'Arturo'? :blink:
     
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  3. princ3ss
     
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    SPOILER (click to view)
    Bello il parallelismo tra ciò che accade al gatto Augusto e a lei. Rendi evidente quanto la morte (di Augusto) e la nascita (di Rosso come capo del clan gatti ) corrisponda a un accadimento naturale degli eventi. Diverso è per lei, costretta dalle circostanze a una scelta obbligata, la fuga per la sopravvivenza. Hai trattato bene un argomento di tragica attualità. Per chi è amante degli animali, come lo è lei, risulta coerente questa sua osservazione del mondo dei gatti, e nel testo ci sta bene, confrontandola nel contempo alla sua situazione. Un'incoerenza forse sul fatto che il piccolo Andrea abbia già la capacità di capire ogni cosa; nella realtà non è possibile se, come si intuisce, ha pochi mesi (non dici però l'età del bambino e questo salva ciò che hai scritto). Vien da pensare che sia piuttosto la madre a credere che il bimbo comprenda ogni cosa.

    La forma espositiva è scorrevole, non ho trovato errori, tranne valige che va valigie.
    Voto 3
     
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  4. Dieguito_85
     
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    CITAZIONE (Olorin @ 1/2/2011, 14:54) 
    Prima che io esprima qualsiasi commento o voto

    CITAZIONE
    Poi Arturo si allontana, zoppicante

    chi è mai codesto 'Arturo'? :blink:

    Accidenti, e va bene che vengo dall'isola di arturo, ma questo nome mi tormenta.
    Correggo subito: Augusto.
    Wait a moment, please... ecco fatto!

    CITAZIONE (princ3ss @ 1/2/2011, 15:13) 
    SPOILER (click to view)
    Bello il parallelismo tra ciò che accade al gatto Augusto e a lei. Rendi evidente quanto la morte (di Augusto) e la nascita (di Rosso come capo del clan gatti ) corrisponda a un accadimento naturale degli eventi. Diverso è per lei, costretta dalle circostanze a una scelta obbligata, la fuga per la sopravvivenza. Hai trattato bene un argomento di tragica attualità. Per chi è amante degli animali, come lo è lei, risulta coerente questa sua osservazione del mondo dei gatti, e nel testo ci sta bene, confrontandola nel contempo alla sua situazione. Un'incoerenza forse sul fatto che il piccolo Andrea abbia già la capacità di capire ogni cosa; nella realtà non è possibile se, come si intuisce, ha pochi mesi (non dici però l'età del bambino e questo salva ciò che hai scritto). Vien da pensare che sia piuttosto la madre a credere che il bimbo comprenda ogni cosa.

    La forma espositiva è scorrevole, non ho trovato errori, tranne valige che va valigie.
    Voto 3

    ovviamente sono solo i "deliri" (in senso buono) di una madre. Il piccolo non può capire, ma sembrerebbe quasi di sì. Hai mai guardato gli occhi di un bambino che sembra guardarti nell'anima? Anche se piccolissimo? A volte fanno impressione...

    PS Grazie per il commento positivo.
     
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  5. Selene B.
     
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    User deleted


    SPOILER (click to view)
    E' un racconto che scorre bene, carino l'accostamento tra il destino della protagonista e quello del gatto. Però non sono riuscita a entusiasmarmi per due motivi: ci sono alcune immagini un pò scontate (vedi la descrizione del tramonto proprio all'inizio
    CITAZIONE
    In lontananza, il sole che muore e che affoga è uno spettacolo che si dipinge nel suo sguardo.

    ) e in generale la storia della donna abusata con bambinello innocente al seguito è parecchio sfruttata, dal cinema e dalla letteratura, per cui avresti forse dovuto provare a cucinarcela in modo inedito, a sorprenderci con qualche effettaccio. In definitiva il voto è 2
     
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  6. Dieguito_85
     
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    Grazie mille, Selene B.

    Uffa, ma perché mi manca un voto? @Princess: mi hai giocato lo scherzetto del voto finto, vero? Perfida!
     
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  7. ~ValeriaNitto~
     
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    SPOILER (click to view)
    testo scorrevole tranne in qualche punto, che puoi con tranquillità sistemare. Bravo!!
    voto: 3


    Edited by ~ValeriaNitto~ - 2/2/2011, 09:12
     
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  8. Alessanto
     
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    Comincio da te.

    SPOILER (click to view)
    Racconto medio. Nel complesso i personaggi sono discreti, più il bambino a dire il vero che agisce e non parla, che gli altri. In particolare l'uomo mi sembra piatto un po' stereotipato, anche i trascorsi della donna sanno di già visto.
    La scrittura non è male ma la sensazione è quella di voler strafare cercando a tutti i costi di inserire frasi a effetto più che stati d'animo.

    Ho notato un problema strutturale nel racconto dal punto di vista dei piani temporali: l'evoluzione del rapporto dei coniugi sembra consumarsi in non più di un paio di giorni, o almeno questa è la sensazione che da la mancanza di scadenze temporali, mentre l'evoluzione delle vicenda dei gatti sembra troppo accelerata. Per star dietro agli eventi e proseguire il parallelo tra le storie, si passa dal gatto in forma al gatto morto in troppo poco tempo.

    Se invece il tempo debba intendersi dilatato, allora il problema è narrativo: dovevi trasmettere la sensazione di tempo che passa e non l'hai fatto.


    Voto 2 (ma non pieno).
     
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  9. Dieguito_85
     
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    CITAZIONE (Alessanto @ 2/2/2011, 08:57) 
    Comincio da te.

    SPOILER (click to view)
    Racconto medio. Nel complesso i personaggi sono discreti, più il bambino a dire il vero che agisce e non parla, che gli altri. In particolare l'uomo mi sembra piatto un po' stereotipato, anche i trascorsi della donna sanno di già visto.
    La scrittura non è male ma la sensazione è quella di voler strafare cercando a tutti i costi di inserire frasi a effetto più che stati d'animo.

    Ho notato un problema strutturale nel racconto dal punto di vista dei piani temporali: l'evoluzione del rapporto dei coniugi sembra consumarsi in non più di un paio di giorni, o almeno questa è la sensazione che da la mancanza di scadenze temporali, mentre l'evoluzione delle vicenda dei gatti sembra troppo accelerata. Per star dietro agli eventi e proseguire il parallelo tra le storie, si passa dal gatto in forma al gatto morto in troppo poco tempo.

    Se invece il tempo debba intendersi dilatato, allora il problema è narrativo: dovevi trasmettere la sensazione di tempo che passa e non l'hai fatto.


    Voto 2 (ma non pieno).

    Guarda, secondo me no. Sai perchè? Perché alcune scene sono all'imperfetto, altre al presente: non c'è un problema di distanza temporale.

    Paragrafo 1: (il gatto che guarda le grate): oggi
    Paragrafo 2: (Ricordi di famiglia): qualche anno prima
    Paragrafo 3: (l'impero di Augusto): mesi prima
    Paragrafo 4(drammi familiari): qualche mese prima
    Paragrafo 5: (Sfida Augusto vs Rosso): qualche settimana prima
    Paragrafo 6: (L'arrabbiatura di Giorgio): oggi, sera
    Paragrafo 7: (La sconfitta di Augusto): oggi, sera
    Paragrafo 8: (Lo stupro): oggi, notte
    Paragrafo 9: (L'unione delle due strade): nuovo giorno, mattina

    Dov'è il problema? Sono due linee temporali che convergono...
     
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  10. Alessanto
     
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    CITAZIONE (Dieguito_85 @ 2/2/2011, 09:35) 
    CITAZIONE (Alessanto @ 2/2/2011, 08:57) 
    Comincio da te.

    SPOILER (click to view)
    Racconto medio. Nel complesso i personaggi sono discreti, più il bambino a dire il vero che agisce e non parla, che gli altri. In particolare l'uomo mi sembra piatto un po' stereotipato, anche i trascorsi della donna sanno di già visto.
    La scrittura non è male ma la sensazione è quella di voler strafare cercando a tutti i costi di inserire frasi a effetto più che stati d'animo.

    Ho notato un problema strutturale nel racconto dal punto di vista dei piani temporali: l'evoluzione del rapporto dei coniugi sembra consumarsi in non più di un paio di giorni, o almeno questa è la sensazione che da la mancanza di scadenze temporali, mentre l'evoluzione delle vicenda dei gatti sembra troppo accelerata. Per star dietro agli eventi e proseguire il parallelo tra le storie, si passa dal gatto in forma al gatto morto in troppo poco tempo.

    Se invece il tempo debba intendersi dilatato, allora il problema è narrativo: dovevi trasmettere la sensazione di tempo che passa e non l'hai fatto.


    Voto 2 (ma non pieno).

    Guarda, secondo me no. Sai perchè? Perché alcune scene sono all'imperfetto, altre al presente: non c'è un problema di distanza temporale.

    Paragrafo 1: (il gatto che guarda le grate): oggi
    Paragrafo 2: (Ricordi di famiglia): qualche anno prima
    Paragrafo 3: (l'impero di Augusto): mesi prima
    Paragrafo 4(drammi familiari): qualche mese prima
    Paragrafo 5: (Sfida Augusto vs Rosso): qualche settimana prima
    Paragrafo 6: (L'arrabbiatura di Giorgio): oggi, sera
    Paragrafo 7: (La sconfitta di Augusto): oggi, sera
    Paragrafo 8: (Lo stupro): oggi, notte
    Paragrafo 9: (L'unione delle due strade): nuovo giorno, mattina

    Dov'è il problema? Sono due linee temporali che convergono...

    Paragrafo 1
    I suoi occhi immobili attraversano le grate che affacciano sul mare.
    ...
    Augusto non ha mai paura.

    Presente.

    Paragrafo 2
    Rientro in casa.
    Ieri mi ha picchiata un’altra volta.

    Presente con un flash all'imperfetto.

    Paragrafo 3
    I gatti, di solito, non si muovono in branco.

    Lo rispettano, lo temono.
    Ma poi è arrivato lui, il Rosso.
    Presente.

    Paragrafo 4
    In fondo, Giorgio posso pure capirlo.
    ...
    Ed eccoci qui.
    Sposati, genitori, già separati in casa.
    ...
    I suoi schiaffi e i suoi pugni sono un modo per dirmi che è infelice.

    Presente

    Paragrafo 5

    Trapassati vari.

    Paragrafo 6
    Giorgio torna dal lavoro con mezz’ora di ritardo.

    Presente

    Paragrafo 7

    Presente

    Paragrafo 8
    Il Rosso torna.

    Augusto ha perso.

    Parti al presente e arrivi al passato prossimo

    Paragrafo 9
    Gode, geme, arriva.

    Piango in silenzio.

    Presente.

    Augusto lo sa che sta per morire.
    ...
    Penso che non arriverà a domani.

    Presente: quanto è passato da quando ha perso?

    Paragrafo 10

    Io invece all’indomani ci arrivo.

    Secondo me davvero capisce ogni cosa.

    é passato del tempo e lei narra al presente.

    Paragrafo 11
    Augusto se ne sta andando a morire.

    Quanto dura l'agonia?
    Notare che sei al presente.

    Non noti un po' di confusione anche nella cadenza dei paragrafi?
    Ammesso che la sequenza si quella giusta, devi creare al lettore un ordine a cui appoggiarsi. Cambia i tempi per bene e metti dei corsivi o qualcosa del genere.

     
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  11. Olorin
     
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    CITAZIONE
    il sole che muore e che affoga

    Questa ridondanza logica salta all’occhio.

    CITAZIONE
    Ho un canovaccio legato attorno alla vita, una scopa in mano, sono sporca e sudata

    Questa frase senza alcun riferimento al gatto, in mezzo a un intero capoverso in cui è il gatto il protagonista, mi ha un po’ disorientato. Forse esordendo con ‘Sto di fronte/fianco a lui con un canovaccio ecc…’

    CITAZIONE
    Dopo lo specchio, la foto, appesa alla parete, incastonata in un coriandolo di tempo.

    Secondo me la virgola dopo ‘foto’ si può omettere. E poi: una foto È un coriandolo di tempo.

    CITAZIONE
    È un certosino meraviglioso, pelo grigio corto…

    Prima hai usato i due punti al posto della virgola in una situazione simile (Mi guardo allo specchio: ecc) e li usi nuovamente dopo (Sono due anni che accade la stessa cosa: quando metto le ciotole…), perché qui no?

    CITAZIONE
    occhi spalancati che si muovono a destra e a sinistra

    .
    È normale che gli occhi si muovano a destra e a sinistra. Secondo me per esprimere ciò che volevi, dovresti connotare con un avverbio l’azione: continuamente, nervosamente ecc

    CITAZIONE
    La prima volta che hanno combattuto, lui e Augusto, è stata uno spettacolo

    La frase mi pare che giri meglio così ‘la prima volta che lui e Augusto hanno combattuto, è stata uno spettacolo’. C’è qualche motivo particolare per cui l’hai strutturata in quel modo?

    CITAZIONE
    Poi si sono attaccati.

    Forse potresti caricare un po’ di più questo concetto chiaro ma estremamente sintetico, tipo ‘sono balzati all’unisono l’uno addosso l’altro’ o ‘come due molle, sono scattati l’uno verso l’altro avvigghiandosi’

    CITAZIONE
    Augusto adesso è vecchio

    .
    Ma quanto tempo è passato dallo scontro precedente?

    CITAZIONE
    Per lui è finita.
    Per me è appena cominciata.

    Questa frase con cui certifichi l’ovvio verso cui mi hai condotto col racconto, l’ho percepita come ‘di troppo’.

    A parte le osservazioni/domande che ho riportato sopra, il tuo racconto si legge davvero con piacere. Anche dove la punteggiatura mi lascia qualche dubbio (e qui ci sta serenamente che sia in torto io), il ritmo è sempre ben calcolato e le scelte tecniche, coinvolgenti.

    Veniamo alle (per me) dolenti note: le due vicende sono per così dire, ‘quotidiane’ e questo di per sé non è un difetto, anzi a ben vedere, è uno degli elementi che ti permette di raggiungere con efficacia e rapidità un buon livello di empatia col lettore, che però in questa maniera attende dal tuo modo di leggere e interpretare quello che anche lui conosce, lo spunto di originalità.
    Questo aspetto a mio parere manca.
    Sarò gnucco, ma io non ho compreso l’interazione della vicenda felina con quella umana. C’è una metafora, una similitudine?
    Lasciate così a sé stesse rimangono in quel quotidiano che dicevo prima e che dal punto di vista narrativo, a me come lettore non basta.

    Ribadendo le impressioni positive che da lettore ho avuto dal punto di vista dello stile, devo però anticiparti un 2 come voto complessivo.
    Ovviamente prima di esprimerlo nel sondaggio, aspetto tue eventuali considerazioni.
     
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  12. Magister Ludus
     
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    Il racconto è ben scritto, tanto che ho trovato solo un refuso (valige m'era sfuggito :P ), ma quel tempo presente, secondo me, rende difficoltosa la lettura e fa calare l'attenzione. A me almeno è sucesso questo.

    Il fatto è che se il racconto è in prima persona e usi il presente, sembra che il protagonista-narratore stia scrivendo un diario in quel preciso momento. Sembra quindi inverosimile.

    La storia in sé ha poco, un matrimonio andato a monte, violenza sulla donna e fuga. Buono invece l'alternarsi della vicenda personale con quella dei gatti.

    Voto un due pieno.

    Si getta su letto: refuso.
     
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  13. Dieguito_85
     
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    GRAZIE A TUTTI PER LE CORREZIONI



    Dunque, vediamo:
    1) Aggiustare tempi (presente, imperfetto, ecc...)
    2) Dipingere meglio Giorgio: personaggio troppo piatto.
    3) Descrivere meglio lo scontro felino;
    4) Aggiustare refusi;
    5) Aggiustare l'inizio e la fine

    Detto questo, illuminatemi: esiste una procedura per "rinnovare" il racconto? E' sufficiente postarlo di nuovo o devo cambiare la versione originale?
     
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  14. Alessanto
     
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    CITAZIONE (Dieguito_85 @ 2/2/2011, 11:25) 

    GRAZIE A TUTTI PER LE CORREZIONI



    Dunque, vediamo:
    1) Aggiustare tempi (presente, imperfetto, ecc...)
    2) Dipingere meglio Giorgio: personaggio troppo piatto.
    3) Descrivere meglio lo scontro felino;
    4) Aggiustare refusi;
    5) Aggiustare l'inizio e la fine

    Detto questo, illuminatemi: esiste una procedura per "rinnovare" il racconto? E' sufficiente postarlo di nuovo o devo cambiare la versione originale?

    Se le correzioni sono troppo consistenti meglio mettere due versioni, altrimenti correggi solo il post iniziale.
     
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  15. Jakken
     
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    CITAZIONE (Dieguito_85 @ 2/2/2011, 11:25) 
    Detto questo, illuminatemi: esiste una procedura per "rinnovare" il racconto? E' sufficiente postarlo di nuovo o devo cambiare la versione originale?

    Avrai una versione tua su cui lavori, no? Un file txt, doc o altro. Correggilo, poi fai un edit al primo post di questa discussione, selezioni tutto il racconto o le parti del racconto da modificare e le cancelli. Incolli le parti nuove - quelle del tuo file esterno - qui, e sei a posto.
    Meglio non creare altri post, così i commenti e i voti dati al tuo racconto non si sparpagliano.
    Grazie.
     
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28 replies since 1/2/2011, 09:44   434 views
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