TESTA DI MORTO
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TESTA DI MORTO

HORROR - STORICO

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  1. rehel
     
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    Testa di morto




    Quando il sole picchia forte e riscalda la terra, allora si sentono quei gorgoglii sordi, come di tubature vecchie che perdono acqua quanta ne trasportano. Un rullare continuo che proviene dai ventri gonfi dei cadaveri, mostruosi tamburi di una tribù di morti sparsi tutti attorno.
    In nessun posto come in Ucraina la Wehrmacht è avanzata così velocemente. Il grosso dell’Armata Rossa si è disintegrato, lasciando sul campo quasi un milione di soldati disseminati nelle enormi distese della steppa, sui fossati, sui pendii e alle estremità dei ponti. Intere compagnie, battaglioni, reggimenti e divisioni annientati sul posto, spesso formando siepi alte più di un metro, là dove una mitragliatrice li ha falciati mentre venivano avanti ondata dopo ondata.
    Ma l’esercito è già andato oltre a inseguire i rossi fino a Mosca, oppure a caccia di petrolio giù verso il Caucaso occidentale; noi invece siamo qui a ripulire le retrovie dalla feccia del mondo.
    Guardo tutto intorno e fisso i corpi maciullati, le carni ferite, le ossa frantumate; stringo forte il braccio con le dita che fremono come se si fossero intrecciate tutte assieme in un grosso laccio emostatico. Chiudo gli occhi e sorrido, quanta strada ho fatto per cercarla. Poi mi vengono alla mente le immagini del passato.

    ***

    La prima che mi assale è la visione di Darmstadt, la città nella quale sono nato in un giorno insignificante nel 1920, da genitori protestanti. Ed ecco che rivedo mio padre, quell’uomo alto e magrissimo, capace solo di ordine e disciplina, sergente maggiore delle guardie di sua altezza il duca di Hesse. Anche la mia famiglia era un riflesso della caserma, e il dovere mi è stato inculcato con la frusta, ancora adesso ne porto i segni sulla schiena.
    Comunque fosse, la mia vita era piacevole, allora, o almeno prima che mio padre si rendesse conto dei miei limiti, come affettuosamente invece li definiva mia madre, mentre lui, da buon militare di caserma, si riservava l’utilizzo di termini più crudi. E se nei primi tempi si limitava a chiamarmi stupido, oppure idiota, dopo, sempre più esasperato da cose per lui incomprensibili, prese a battermi ripetutamente a sangue.
    Io non mi rendevo ben conto di cosa non andasse in me. Lo capii quando i compagni cominciarono a prendermi in giro ogni volta che mi ferivo. Erano risate sguaiate che tagliavano più delle lame, e compresi che quelle cose le dovevo fare di nascosto, da solo. Ma si vedevano comunque i segni e non scampavo all’ira di mio padre. Anche se ben presto si rassegnò all’insolito figlio che la sorte gli aveva posto davanti e smise del tutto di considerarmi.
    Per lui fu come se io non esistessi più e iniziò un periodo di solitudine. Non uscivo dal giardino di casa, dove mi aggiravo senza un particolare scopo, affinando la mia tecnica per catturare incauti animaletti, uccellini che s’avventuravano sui rami bassi degli alberi o lucertole stese indolenti al sole, e ucciderli, senza per questo provare particolare piacere od orrore. Era una sorta di terapia, perché ogni volta che lo facevo non sentivo più il bisogno devastante di incidere la mia carne.
    Fu in quel tempo che conobbi Leah.
    Una ragazzetta alta, sparuta, il cui collo assurdamente lungo un giorno spuntò da sopra la siepe. I suoi occhi mi apparvero enormi mentre li ruotava chiedendomi cosa stessi facendo. Non rammento quale risposta le diedi, quello che so è che lei s’intrufolò dentro e cominciò a giocare con me. E in un certo senso non se ne andò più.
    Era ebrea e se al principio quella cosa non mi diceva nulla, capii in seguito che era meglio tacere sulla natura della mia giovane amica. Hitler era da poco salito al potere e le cose già stavano prendendo una piega del tutto nuova e diversa.
    Io non mi fidavo troppo di lei, cosa che del resto facevo anche con le altre persone, così, con aria di sfida, ben presto la misi alla prova. Quando mi vide affondare la punta di un coltellino in un polpastrello non disse niente. Mi guardò e si mise in bocca il dito succhiandolo fino a che non smise di sanguinare. Io provai una sensazione stranissima, un sollievo enorme come se all’improvviso avessi trovato la soluzione di tutti i miei mali. So che era assurdo, ma era così che mi sentivo quando Leah stava vicino a me.
    Diceva sempre che un giorno sarebbe andata via. E quando entrò nel giardino con la faccia di chi ha un morto in casa capii che quel giorno era venuto. Facemmo un giuramento di sangue. Lei mi fece promettere di andare a cercarla quando sarei stato più grande, ovunque fosse andata.
    Io non le credevo, ma poi accadde: un giorno scomparve per davvero. Mi azzardai a interrogare gente che conosceva la famiglia e così seppi che erano andati da certi loro parenti verso est, in cerca di tempi e di luoghi migliori. E mi venne alla mente che lei parlava sempre di suo nonno, raccontava che era un Rabbi e che voleva tornarsene da dove le loro famiglie un tempo erano venute, e cioè da est. Io non sapevo cosa fosse un Rabbi, ma sapevo bene che l’est è dove nasce il sole, immaginai un posto caldo, luminoso, soprattutto tranquillo.
    Adesso il mio cortile mi appariva per quello che era in realtà: una prigione, un limbo oscuro e frondoso di piante e alberi da frutto nel quale io mi esercitavo a evitare il mondo.
    Avvertii una vertigine allo stomaco e mi sentii cadere nel vuoto. Era come affogare senza penetrare di un solo centimetro nell’acqua, in un limbo fatto di niente, nel profondo nulla che occupava il centro del mio corpo. Con un gesto meccanico impugnai il coltellino che portavo sempre in tasca e lo conficcai nell’altro braccio. Feci uno sforzo per non gridare, ma il sollievo fu immediato, anche se non totale come altre volte. Poi la mia attenzione venne calamitata dalla completa assenza di movimento di una lucertola che prendeva il sole sul muretto. Sentii la consueta sensazione di calore che mi scaldava le viscere annullando tutto il resto, e mi avvicinai.
    Esercitai le mie attitudini ancora per alcuni anni, fino a quando un mattino d’estate mio padre lanciò un grido e stramazzò al suolo. Corsi dal giardino e riuscii a vedere parte del suo volto diventare bluastra, fino a che mia madre non ne coprì la vista con un fazzoletto.
    Fu in seguito a quella morte che mi venne dato un lavoro adatto alle mie possibilità, grazie a uno zio che aveva scalato in fretta importanti posizioni nel partito.

    ***

    Già dal 1935 l’iniziale e caotica struttura di certi speciali campi venne riorganizzata da Himmler. Ne vennero fatti di nuovi, più efficienti e affidati a specifiche compagnie di sorveglianza: le SS–Wachtruppe. I tempi erano cambiati e non c’erano più solo avversari politici, comunisti e socialdemocratici da internare, ma anche zingari, dementi, ebrei, elementi infelici che non potevano più trovare posto nella nostra ordinata società.
    Nel marzo del 1936 i battaglioni vennero rinominati SS-Totenkopfverbände. Io ero entrato da un paio di mesi a farne parte e così, un po’ compiaciuto, mi ritrovai a osservare il simbolo del teschio che brillava sulle mostrine della mia divisa. Il ghigno mi piaceva in modo particolare e lucidavo spesso con ossessione maniacale quello sfavillante simbolo di morte.
    Il mio sergente era un tipo istruito e sapeva tutto. Un giorno mi disse che l’Ordine della testa di Morto era stato fondato nel lontano 1652 dal duca Silvio I di Wurttemberg-Oels. L’insegna, portata dai cavalieri, prima su un anello poi su una medaglia, era una testa di morto che, ricordando loro il fine ultimo, doveva incitarli alla virtù. E noi dovevamo essere particolarmente orgogliosi di fare parte di una formazione così eroica.
    Il sergente completò la sua dotta spiegazione bastonando di santa ragione un handicappato semidemente che, dopo essere inciampato proprio davanti a lui, gli aveva sbavato sugli stivali appena lucidati. Una gran fortuna per quell’idiota che il sergente, oltre che istruito, fosse anche una gran brava persona. Probabilmente al suo posto io l’avrei ucciso a calci, nel tentativo di rettificare quella faccia ebete.
    Il primo settembre 1939 la Germania attaccò la Polonia, fu la seconda guerra mondiale. Heydrich, ex ufficiale di marina, alto e con la faccia da cavallo sogghignante, tanto che i suoi subalterni lo chiamavano la “bestia bionda”, aveva organizzato cinque Einsatzgruppen, ognuno diviso a sua volta in quattro Einsatzkommandos. A rafforzare queste poche unità mandarono battaglioni della Ordnungpolizei, i nostri reggimenti Totenkopf e Waffen-ss. In tutto circa ventimila uomini.
    Io ero raggiante. Andavo a est, dove nasceva il sole e dove, da qualche parte, doveva esserci Leah; sentivo che ovunque lei fosse io l’avrei ritrovata.
    Assieme ai Russi facemmo un solo boccone della Polonia e una volta liquidato quell’inutile paese rimanemmo inattivi. Ebbi tutto il tempo di fare le mie ricerche, ma di Leah nessuna traccia. Non c’era azione, il sole era pallido e malaticcio. Ricominciai di nascosto a ferirmi e i segni di conseguenza a moltiplicarsi. Poi con l’invasione della Russia tornammo in movimento. Fui inquadrato nell’Einsatzgruppe C, al comando del Brigaderfürer Otto Rasch, aggregato al gruppo di armate del sud e destinato ad agire nell’Ucraina settentrionale e centrale. I quattro Einsatzgruppen erano suddivisi in unità minori e io finii nel Sonderkommando 4a, comandato da Blobel.
    All’inizio fu tutto molto facile. Quando entravamo nei villaggi venivamo spesso accolti come la loro tradizione imponeva: le tavole imbandite, ricoperte da tovaglie bianche e con l’offerta del sale e del pane ai nostri comandanti. In un paese, di cui non ricordo il nome, trovammo addirittura la banda che suonava per noi. Era solo un piccolo gruppo di musicisti, ma ci davano dentro come pazzi. Non avevano capito niente.
    Iniziavamo a controllare la composizione della popolazione, quanti ucraini, quanti bielorussi o altri, e quanti ebrei. Di questi ultimi lasciavamo solo quelli necessari al lavoro nelle officine per i nostri automezzi, gli altri venivano fucilati. Donne e bambini furono spinti nelle paludi nella speranza che affogassero, ma le acque non erano profonde abbastanza. Così, anche se il massacro era iniziato alla grande, poterono sopravvivere per quasi un altro anno.
    Per mesi le foreste dei villaggi furono impregnate del lezzo della morte che proveniva dalle fosse comuni scavate nel fitto degli alberi. E durante queste operazioni non ci mancavano i volontari. Spesso si trattava di ex poliziotti che svolgevano questo ingrato compito senza odio né vergogna, consapevoli che avrebbe giovato a tutta la civiltà cristiana.
    Un giorno trovammo quattrocento bambini in un orfanotrofio, li uccidemmo tutti. Parecchi furono lanciati in aria come fossero dei bambolotti di gomma e poi colpiti al volo. Era una necessità, i proiettili avrebbero attraversato corpi così piccoli e colpendoli a terra ci sarebbero stati dei pericolosissimi rimbalzi.
    Il 1° agosto del 1941 il capo della Gestapo, Hermann Müller, telegrafò ai nostri comandanti che il Führer voleva essere costantemente informato sul lavoro degli Einsatzgruppen a est. Himmler, poi, intendeva situare il proprio quartier generale a Žitomir, non appena la zona fosse stata pacificata. A nord di Vinnitsa, invece, era prevista la costruzione di un bunker avanzato per Hitler, il Werwolf. Così tutta la zona per un raggio di sessanta chilometri fu resa Judenfrei.
    I nostri capi diedero le più ampie assicurazioni, ma i problemi c’erano ed erano problemi seri.
    Fucilare migliaia e migliaia di individui non era semplice. Qualcuno si divertiva, ma parecchi venivano presi da crisi di pianto e crollavano fisicamente. Molti dei componenti i plotoni di esecuzioni diventavano temporaneamente impotenti, alcuni, colti da raptus improvvisi, si alzavano la notte e cominciavano a sparare all’impazzata tutto attorno a sé senza potersi frenare. C’era chi si dava al bere più sfrenato, altri si suicidavano. Tutto questo succedeva anche se prima delle esecuzioni gli uomini venivano riforniti in abbondanza di liquori e sigarette.
    In guerra ogni soldato deve eseguire gli ordini. Se ogni soldato lo facesse solo dopo avere valutato se gli piaccia oppure no, non ci sarebbero più soldati.
    Io non provo rimorsi. I sensi di colpa e i rimorsi posso provarli soltanto per crimini commessi di persona. Dovrei sentirmi in colpa e avere rimorsi se avessi compiuto uccisioni e atti di crudeltà per mia iniziativa. Me se ho eseguito un ordine, allora non ho nessuna colpa, e perciò non posso provare rimorso per una colpa inesistente.
    Ho trovato una sorta di equilibrio e non devo più affliggere le mie membra col dolore. Sono altri, adesso, i corpi che devono sopportare il sollievo dato dalla punizione.
    Per uscire dal vicolo cieco causato dalle problematiche delle fucilazioni di massa provammo con la dinamite, e fu un tripudio di membra slabbrate lanciate ovunque attorno, anche sui rami più alti degli alberi. Un utilizzo sul campo era impensabile, così iniziammo a pensare ai gas.
    Già nell’autunno del 1939 la cancelleria del Reich aveva cominciato a sopprimere adulti disabili. Il programma si chiamava in codice operazione T4, dal nome della villa dove si svolgevano queste cose, a Berlino, al n. 4 di Tiertgarten Strasse. Lì fu utilizzato per la prima volta il monossido di carbonio. Verso la fine di agosto del 1941 la T4 fu sospesa e tutto quel materiale venne messo a disposizione delle nostre operazioni. C’erano dei Krematorien (crematori mobili alimentati a gasolio) e Knochenmühle (macine per polverizzare le ossa). Eravamo in grado di fare sparire ogni traccia di quello che facevamo, ma il monossido di carbonio puro era troppo costoso e fummo costretti a ripiegare sul più economico gas di scarico dei veicoli.
    L’idea fu dell’SS-Gruppenfürer Artur Nebe, ex commissario della polizia a Berlino negli anni 20, poi capo della Kripo (polizia criminale) e adesso Comandante dell’Einsatzgruppe B. Nel manicomio di Mogilev fece murare le finestre di una corsia lasciando solo due fori per il tubo del gas. Collegò lo scappamento di alcuni veicoli e il gioco fu fatto. Bisognava in ogni modo cercare di alleviare lo stress psicologico degli uomini coinvolti nelle fucilazioni. Ma gli automezzi erano indispensabili al fronte e le fucilazioni continuarono. Così si pensò di ricorrere a un altro metodo ancora.
    Un giorno ci portarono coi camion in un luogo isolato. Trovammo sul posto uomini della Gestapo che già dirigevano l’operazione. C’era un’enorme fossa, intorno tantissimi ebrei. Gli uomini della Gestapo ingiunsero a tutta quella gente di spogliarsi e di buttarsi nella fossa. Ci furono pianti e lamenti, gente che doveva essere buttata dentro a calci e botte. Altri che baciavano gli stivali degli uomini della Gestapo, ma anche tantissime altre persone che si svestivano e si gettavano dentro come se fossero state dei manichini dotati di vita propria. Non ho mai visto nessuno andare incontro alla morte con così tanta folle rassegnazione, ma del resto non è forse vero che gli ebrei hanno colpe enormi da scontare? E sarà sufficiente tutto questo a cancellare per sempre i loro delitti? No, io non credo; quel giorno, comunque, ne scontarono parecchie.
    Avevamo l'ordine di stare sull’orlo della fossa e raccogliere indumenti e scarpe. Vidi quelli della Gestapo avvicinarsi al posto dove ammucchiavamo il materiale e raccogliere orologi, gioielli, anelli e riempirsi le tasche. All’improvviso ordinarono agli ebrei di smettere di spogliarsi perché la fossa era piena. Si vedevano spuntare solo le teste, pigiate in modo inverosimile le une alle altre.
    Allora dalla strada sbucò un camion. Fecero venire avanti un lungo tubo che incominciò a riversare calce sui corpi nella fossa, e poi acqua. La calce bagnandosi bruciava vive le persone. Le urla furono così forti che dovemmo tapparci le orecchie con dei pezzi di stoffa strappati dai vestiti ammucchiati lì intorno.
    La cosa durò per un paio d’ore. Dopo ci diedero pane e caffè. A differenza degli altri riuscii a mangiare. Io sono indifferente a tutto. Ho imparato a soffrire in silenzio, e se occorre anche a punire la mia stessa carne. A volte il dolore è un dono, anche se risulta molto difficile da apprezzare.
    Il giorno dopo la massa umana dentro la fossa sembrava collassata su se stessa. I corpi erano così pressati da dare l’impressione di stare tutti ritti in piedi, solo le teste ciondolavano in tutte le direzioni.
    Per quel che ne so quel metodo non fu mai più usato. L’atrocità era insostenibile anche per gente come noi incallita da mesi di fucilazioni di massa, e tornammo ai consueti sistemi.
    Tutto questo non mi distraeva dalla mia direttiva principale: la ricerca di Leah. Ovunque andassi chiedevo con discrezione notizie della sua famiglia e spesso dovevo ricorrere alle minacce. Molto sommariamente ero riuscito a ricostruirne i movimenti e con sgomento avevo saputo che era troppo lontana da dove adesso mi trovavo.
    La soluzione era semplice: il Sonderkommando Dirlewanger, la creatura di Hitler e Himmler. Un’unità paramilitare di una crudeltà mai vista che venne inviata in Bielorussia, proprio dove avevo avuto notizie della presenza di Leah.
    Alto, magro, la faccia simile a un teschio, rigata da cicatrici e da due baffetti alla Hitler, Dirlewanger vantava tutta una serie di ferite da costituire quasi un primato vivente. Nella prima guerra mondiale una pallottola lo aveva colpito a un piede, una baionetta al torace, una scheggia in testa, una fucilata alla mano, un’altra pallottola alla spalla sinistra e c’era stato ancora un ulteriore colpo di baionetta alla gamba. Nonostante questo aveva continuato a combattere in quattro diversi Freikorps. Poi aveva guidato un treno blindato, aveva completato gli studi e fatto carriera nelle SA. Aveva però alcuni difetti: beveva come un elefante alcolizzato e gli piacevano le minorenni implumi. Era stato arrestato e per riabilitarsi si era arruolato nella legione Condor che combatteva in Spagna coi nazionalisti di Franco.
    Al suo ritorno gli fu assegnato il comando dei “bracconieri” e subito divenne Obersturmfürer delle Waffen SS.
    L’idea era stata di Himmler. Non erano i bracconieri i cacciatori più esperti, eccellenti nell’arte di inseguire la selvaggina? Così d’accordo con Hitler mise in piedi un’unità composta da tiratori scelti scovati nelle prigioni del Reich, il fine era quello di braccare i partigiani polacchi della foresta vicina a L’vov.
    Ben presto il reggimento si era tramutato in un’accozzaglia di criminali, ex detenuti e sadici picchiatori come mai prima avevo visto. Vi regnava un’atmosfera da medioevo, perché Dirlewanger teneva la disciplina con punizioni corporali eseguite con delle mazze, mentre nei casi più gravi era frequente la fucilazione sul posto.
    I metodi di quest’unità erano assai efficaci. Rastrellavano donne e bambini rimasti nei villaggi dei partigiani e li costringevano a camminare in mezzo ai campi minati che proteggevano le unità ribelli. Oppure Dirlewanger sorvolava con un ricognitore i villaggi sospetti. Se qualcuno gli sparava contro, tracciava una croce sulla mappa e quel villaggio veniva distrutto e incendiato senza tanti complimenti.
    Erano torturatori così spietati e brutali da disgustare persino uno come Globocnik, il quale nel febbraio del 1942 li spedì in Bielorussia, così come avevo saputo per vie confidenziali. Per questo mi ero unito a loro.
    Forse era il destino. Anche in quelle terre Leah mi sfuggiva come nebbia fra le dita. Suo padre era un Rabbi, come ho detto, e il suo peregrinare non passava inosservato nelle comunità ebraiche, tuttavia non riuscivo mai a raggiungerla.

    ***

    Cerco Leah nel volto di ogni ragazza ebrea che vedo. Adesso sarà più grande, una donna fatta e spesso provo a immaginare i percorsi che il tempo deve avere disegnato sul suo volto. Le curve che gli ormoni devono avere gonfiato sulle sue membra. Eppure io non la voglio per avere un corpo mercenario. Se così fosse potrei prendermi qualsiasi ebrea avviata alla morte e ricavarne sesso e piacere facile, no. Io so che Leah è qui, da qualche parte nascosta, così come so che prima o poi finirò per trovarla. Ma cosa accadrà allora? Sempre che accada. Cerco di non abbandonarmi a questo pensiero devastante. Un pensiero semplice e terribile allo stesso tempo: Leah è un’ebrea… io sono una “testa di morto”, pazzesco solo pensarci. Eppure non riesco a evitarlo, ci penso, troppo spesso e troppo forte, così forte da farmi sanguinare il naso. Perché credo che solo lei possa darmi quella serenità che mi aveva fatto provare un tempo? La mia è una speranza? L’ipotesi di un futuro migliore o solo un’illusione?

    ***

    Chi aveva parlato con gli uomini al fronte li aveva visti pallidi e malati, gli occhi gialli e le divise bagnate per la pioggia di settimane intere. Un giorno la temperatura precipitò a 52° sotto zero, e molti soldati morirono per il congelamento dell’ano, mentre erano impegnati a concimare la steppa. Una morte di merda, è proprio il caso di dirlo.
    Adesso il vento è girato, soffia forte da est, dalle steppe sconfinate della Siberia e finirà per travolgerci tutti. A Berlino devono avere sentito puzza di bruciato perché ci hanno ordinato di occultare tutto, cancellare ogni traccia di quello che si è fatto qui.
    Era il giugno del 1942 quando il Gruppenführer Heinrich Müller, l’impassibile capo della Gestapo, affidò ai miei superiori l’incarico di cancellare le tracce delle esecuzioni compiute dagli Einsatzgruppen. L’ordine era segretissimo e non c’era stata nessuna corrispondenza scritta.
    Io ero appena ritornato fra i ranghi dopo avere abbandonando il folcloristico battaglione di Dirlewanger. Ancora una volta le notizie che disperatamente cercavo di Leah mi avevano costretto a un’inversione di rotta.
    Trascorremmo tutta l’estate facendo ricerche sui migliori sistemi per distruggere le montagne di cadaveri sepolti nelle fosse comuni. Costruimmo forni sperimentali usando legna e gasolio come carburante. Provammo anche a distruggere i cadaveri con la dinamite, ma il risultato di nuovo fu pessimo: ancora brandelli di carne purulenta che volavano dappertutto. L’unico parziale successo fu l’avere trovato una certa disposizione aerodinamica delle pire. L’alternanza di cadaveri e traversine ferroviarie inzuppati di benzina si rivelò efficace. Ma poi la scarsità di carburante e il terreno gelato nell’inverno seguente ci fermarono.
    Nel 1943, col ritorno della buona stagione, riprendemmo il lavoro. In agosto, vicino a Kiev, riaprimmo una fossa lunga cinquanta metri e larga tre. Irrorammo i cadaveri di combustibile e demmo loro fuoco. Ci vollero due giorni perché bruciassero completamente e nel frattempo la fossa era diventata incandescente. Dopo ricoprimmo tutto di terra. Mi ci potrei giocare tutti e due i coglioni che nessuno ne saprà mai nulla. Ma avevamo sprecato troppa benzina
    Più spesso utilizzavamo il nostro metodo delle pire e allora il lavoro sporco era affidato a prigionieri, partigiani, disertori ed ebrei. Le scavatrici rimuovevano lo strato superficiale di terra, i prigionieri estraevano i corpi con gli uncini e li depositavano sulle pire, sempre a strati alterni, uno di legno e uno di cadaveri, e poi benzina, sempre tanta maledetta benzina.
    L’odore era orribile. Nelle fosse comuni di maggiori dimensioni il terreno si gonfiava sotto la spinta delle bolle di gas che esalavano dai cadaveri. Ma se l’odore era atroce, la vista che si svelava ai nostri occhi era peggio. Alcuni corpi erano nudi, altri vestiti, c’erano madri coi bambini in braccio, teste e ossa fracassate, strato dopo strato, per tutta la profondità della trincea. Dalle espressioni dei visi si poteva capire chi era stato ucciso dalle pallottole e chi per soffocamento, per coloro che avevano la testa spaccata non c’era bisogno di particolari spiegazioni.
    All’inizio i prigionieri si ribellavano, ma noi li massacravamo di botte fino a che non iniziavano a lavorare coi loro uncini. E comunque il compito era immenso. Quante fosse comuni gli Einsatzgruppen avevano scavato? Onestamente era impossibile dirlo. In ogni caso nessuno poteva dubitare dell’impegno che avevamo messo nel nostro lavoro.

    ***

    Oggi ci hanno chiamato in un villaggio sperduto nella foresta. Sembra incredibile, ma hanno trovato ancora degli ebrei.
    Lo scenario è quello al quale sono oramai abituato. Una fossa non tanto grande. Gendarmi che con le buone o le cattive scaraventano dentro donne e bambini, gli uomini sono pochi e quasi tutti feriti. Poi l’immagine che mi colpisce come un bastone. Leah fra di loro, avviata alla morte nella fossa. È diversa da come la ricordo, ma non ho nessun dubbio che sia lei, la riconoscerei ovunque. Quel suo collo da cigno triste, e quegli occhi che buttano ovunque uno sguardo tormentato. È rimasta fra le ultime, ma cosa posso fare io adesso?
    Ho pensato tante volte al momento in cui l’avrei potuta rivedere e adesso che finalmente l’ho ritrovata dovrò subito perderla?
    Non posso agire, non posso fare nulla. Posso solo stare a guardare mentre lei si getta dentro e dopo quando i fucili mitragliatori annaffiano di piombo quelle teste e quei corpi. La mia mano si muove da sola. Afferra il coltello, quello stesso di allora, e lo pianta nel mio fianco, di nascosto da dentro la tasca della divisa. Il dolore è fortissimo, ma il sollievo lo è ancora di più. Adesso le armi tacciono; in controcanto, nella buca, le flebili grida di quelle carni in agonia. La lama si agita mossa di vita propria. Mi incide ancora, questa volta nella coscia, perché il bisogno è irresistibile. Ora è buio, nessuno può vedermi piangere.
    La compagnia smobilita, sale sul camion. Io divento un’ombra fra le altre e rimango a terra. Quando tutti sono andati via faccio ritorno alla buca.
    Leah è saltata dentro quasi per ultima, deve essere in superficie. Hanno gettato solo un leggerissimo strato di terra per coprire tutto. Mi scuoto e vado verso la fossa. Qualcuno geme e si lamenta.
    La chiamo: — Leah!
    Ancora un gemito, questa volta debolissimo.
    Mi butto nella buca e comincio a spostare i cadaveri. Chiamo ancora e mi sembra di sentire una risposta poco più sotto.
    La mia forza è sovrumana. Afferrò quelle carni fredde e le getto da una parte, alla luce della luna scavo fra i corpi come un indemoniato. Ora la vedo, laggiù. I suoi occhi hanno un bagliore quando mi riconoscono, poi di colpo si spengono e sfumano nel colore della nebbia.
    Riesco a raggiungerla e la prendo per la mano, quella mano dove ancora vedo inciso il segno indelebile del nostro patto. Stringo forte. La scuoto inutilmente. Io ho mantenuto la mia promessa. Sono venuto a cercarla per mezza Europa e adesso che l'ho ritrovata lei sembra ancora sfuggirmi in un mondo nel quale non potrei raggiungerla. Vedo i teschi nelle mie mostrine. Brillano come se stessero ridendo e il suono della risata si fosse trasformato in luce riflessa amplificata tutta attorno.
    Afferro la lama, questa volta il pugnale d’ordinanza, e lo spingo con violenza dentro il mio corpo. Finalmente l’ho ritrovata, non la lascerò andare un’altra vola. E penso che se lo faremo assieme questo viaggio verso l’ignoto, forse non sarà troppo lungo e buio.

    Edited by rehel - 11/3/2011, 16:56
     
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    Losco Figuro

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    Buon racconto, non posso dire bello perché è buono proprio nel non essere bello.
    Ho qualche appunto e in generale c'è qualche passaggio forse un po' troppo ricco di spiegazioni sull'organizzazione delle truppe, anche se comprendo che abbia senso per la collocazione storica.

    Voto 4.

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    ben presto la misi presto alla prova.

    C'è un "presto" di troppo

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Quando mi vide affondare la punta di un coltellino su un polpastrello

    direi "in" un polpastrello

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    ma era così che mi sentivo quando Elah stava vicino a me.

    Non era "Leah"?

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Lei mi fece promettere di venire a cercarla quando sarei stato più grande.

    "andare a cercarla". Detto sul momento e nel luogo ha senso "venire", ma in un resoconto a posteriori no.

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Silvio I° di Wurttemberg-Oels.

    "I" è già "primo" di suo, non si deve mettere il °

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Era una necessità, i proiettili avrebbero attraversato corpi così piccoli e colpendoli a terra si avrebbero avuto dei pericolosissimi rimbalzi.

    "si sarebbero avuti"

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Così si pensò di ricorrere ad un altro metodo ancora.

    "a un"

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Altri che baciavano i piedi degli stivali

    Ehm... i piedi degli stivali? :rolleyes:

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    tantissime altre persone che si svestivano e si gettavano dentro come se fossero dei manichini

    "fossero state"

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    pigiate in modo inverosimile le une con le altre.

    direi "le une alle altre"

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Allora dalla strada sbucò un camion. Fecero venire avanti un lungo tubo che incominciò a riversare del liquido sui corpi nella fossa. Era calce, che bagnandosi

    Bagnandosi? Ma non era già un liquido in partenza?

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    pezzi di stoffa strappati dai vestiti ammucchiato lì intorno.

    Refuso: "ammucchiati"

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Alto, magro, la faccia simile a un teschio, rigata da cicatrici e da due baffetti alla Hitler. Dirlewanger vantava tutta una serie di ferite da costituire quasi un primato vivente.

    Dovrebbe esserci una virgola al posto del punto dopo "Hitler"

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Anche in quelle terre Elah

    Ogni tanto cambia nome :-)

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    L’ipotesi di un futuro xzxz o solo un’illusione?

    "xzxz"? :huh:

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    precipitò a -52° sotto zero,

    o "-52°" o "52° sotto zero"

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Ancora una volta le notizie che disperatamente cercavo di Elah

    :fischio:

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    É rimasta

    È, non É

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Brillano come se stessero ridendo e il suono della risata si fosse trasformato in luce riflessa amplificata tutta attorno a sé.

    A chi si riferisce il "sé"?

    CITAZIONE (rehel @ 1/3/2011, 13:00) 
    Afferro la lama, questa volta il pugnale d’ordinanza, e lo spingo con violenza

    "la" spingo, è "lama" il soggetto
     
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  3. rehel
     
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    Fantastico CMT, come sempre. :imploro:
    Ho sistemato. :)
     
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  4. Mastronxo
     
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    Ciao Rehel ^_^

    SPOILER (click to view)
    A parte i complimenti sul pezzo, sintetizzo quel che mi ha convinto di meno. Tanto, documentazione e resa stilistica sono ottime.
    Ho notato alcuni alti-bassi, in cui i bassi sono rappresentati da pezzi molto 'raccontati' e poco vissuti, ma credo che questo sia l'obiettivo della ricostruzione storica; ti dico solo che in quei pezzi, per quanto interessanti, sono uscito dalla vicenda, mi è parso a tratti dispersivo accennare a troppi nomi, sia di posti che di persone; comunque è una scelta del narratore.

    Un altro tratto che mi ha lasciato perplesso è quando vedo te autore che ti palesi troppo con le tue considerazioni, considerazioni che, da parte del personaggio fino a quel momento tratteggiato, mi sembrano fuori luogo. Ecco un esempio:

    CITAZIONE
    Erano torturatori così spietati e brutali

    in questo, ma di più in un altro che non trovo più :lol: , viene a mancare quel grado di 'indifferenza' che caratterizzava il protagonista fino a quel momento; preferirei fosse detto in maniera più indiretta, o non fosse detto affatto, lasciando al lettore il giudizio sulla brutalità di certi metodi (non credo non ci si accorga...).

    Comunque mi è piaciuto, rileggerlo è risultato un po' pesante ma è di certo un possibile finalista.
    Ti do 4 anche se è un po' di meno.
     
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  5. VanderBan
     
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    Voto 4
    SPOILER (click to view)
    Riesci a dire tanto, sia da un punto di vista del contesto storico che del personaggio, stavolta ben marcato e vincente. Bene. Dovresti però rivedere alcune cose, a mio avviso. Con te posso permettermi di andare un po’ più a fondo con l’analisi, valuterai tu ciò che ti può essere utile per eventuali migliorie.
    Nel primo “capitolo” della storia, nell’incipit e nel finale, il narratore parla al presente, staccherei di una riga in questi punti:
    CITAZIONE
    Chiudo gli occhi e sorrido, quanta strada ho fatto per cercarla. Poi, mi vengono alla mente le immagini del passato.

    E prima di questo
    CITAZIONE
    Cerco Leah nel volto di ogni ragazza ebrea che vedo.

    per far risaltare il lungo flash B, altrimenti si fa fatica a comprendere (io direi pure in quale punto dell’Ucraina esattamente che si trova che si trova, o in quale momento del suo pellegrinare, e rendere maggior pathos alla storia)

    CITAZIONE
    Già dal 1935 l’iniziale... Probabilmente al suo posto io l’avrei ucciso a calci, nel tentativo di rettificare quella faccia ebete.
    Il primo settembre 1939 la Germania

    Qui il salto, fra episodio del pestaggio e l’inizio della guerra, è molto netto, perché non spendere una riga per dire qualcosa in più? Renderebbe più coerente lo svolgimento degli eventi.
    CITAZIONE
    Nel marzo del 1936 i battaglioni venero rinominati SS-Totenkopfverbände. Io ero entrato da un paio di mesi a farne parte

    davvero si entrava così giovani?
    CITAZIONE
    Già nell’autunno del 1939 la cancelleria del Reich...

    L’inserimento storico, da questo punto in poi, lo alleggerirei, lasciando l’essenziale, torverei più coerente che il personaggio ne parlasse con vaghezza, a mio avviso. A meno che non fosse presente, allora lo narrerei in modo totalmente diverso.
    Segnalazioni minori
    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    come di tubature vecchie che perdono acqua più di quanta ne trasportano

    un tubo trasporta acqua, quindi non può perdere più acqua di quanta ne porta, semmai perde più acqua di quanta ne riesca a portate al serbatoio. Il senso dovrebbe essere
    come di tubature vecchie che perdono acqua più di quanta ne riescano a trasportare (quindi a far arrivare a destinazione) ma qui stiamo sul puntiglioso, un po’ spacca palle
    CITAZIONE
    spesso formando siepi alte più di un metro là dove una mitragliatrice li ha falciati mentre venivano avanti ondata dopo ondata

    una virgola la metterei, dove meglio credi, ma mettila
    CITAZIONE
    La prima che mi assale è la visione della città nella quale sono nato, Darmstadt, in un giorno insignificante nel 1920, da genitori protestanti

    Si immagina la città in un giorno insignificante o è insignificante il giorno in cui è nato (è così, credo) "La prima che mi assale è la visione di Darmstadt, la città nella quale sono nato in un giorno insignificante del 1920, da genitori protestanti."
    CITAZIONE
    Ed ecco che adesso rivedo mio

    Toglierei adesso, dato che c’è l’ecco
    CITAZIONE
    e il (senso del) dovere mi è stato insegnato con la frusta

    userei un termine più forte che insegnato (inculcato, addirittura forgiato addosso, cose così insomma)
    CITAZIONE
    che tagliavano più delle lame e compresi

    metterei una virgola dopo lame
    CITAZIONE
    Anche se ben presto si rassegnò all’insolito figlio che il destino gli aveva posto davanti e smise

    il destino no, ti prego ^__^
    CITAZIONE
    Lo capii quando i compagni cominciarono a prendermi in giro ogni volta che mi ferivo.

    Perché lo prendono in giro? Sarà implicito per te, autore, ma io non lo capisco. Dovresti rendere più chiaro il suo modo di ferirsi (per es: ogni volta che arrivavo a scuola con qualche nuova ferita addosso, sulle gambe o sulle braccia...).
    CITAZIONE
    Non uscivo dal giardino di casa, dove mi aggiravo senza una particolare meta

    Più che meta, scopo
    CITAZIONE
    lucertole indolenti di sole

    non sarebbe meglio indolenti lucertole al sole?
    CITAZIONE
    il cui collo assurdamente lungo un giorno spuntò da sopra la siepe

    E la testa?? ^__^
    CITAZIONE
    Era ebrea e se sulle prime quella cosa non mi diceva nulla, capii presto

    suona male, non sarebbe preferibile "Era ebrea, e se al principio quella cosa non mi diceva nulla, capii in seguito"
    CITAZIONE
    Lei mi fece promettere di andare a cercarla quando sarei stato più grande. Ovunque fosse andata.
    Io non le credevo, ma poi accadde.

    Qualcosa non fila
    CITAZIONE
    e così seppi che erano andati da certi loro parenti verso est in cerca di tempi e di luoghi migliori. E mi venne alla mente che lei parlava sempre di suo nonno, raccontava che era un Rabbi e che voleva tornarsene da dove le loro famiglie erano venute un tempo: da est

    come sopra
    CITAZIONE
    Con un gesto meccanico presi il coltellino

    Impugnai, suona meglio
    CITAZIONE
    lo infilai nell’altro braccio

    conficcai, idem
    CITAZIONE
    Feci uno sforzo per non gridare, ma come sempre il sollievo fu immediato

    A parte che sempre l’avevi appena utilizzato, non è più diretto mettendo: Feci uno sforzo per non gridare, il sollievo fu immediato
    CITAZIONE
    Sentii la consueta sensazione di calore che mi scaldava le viscere annullando tutto il resto, e mi avvicinai.
    Esercitai le mie attitudini ancora per alcuni anni,

    stacco troppo netto
    CITAZIONE
    C’era chi si dava al bere più sfrenato, altri si suicidavano. Tutto questo succedeva anche se prima delle esecuzioni gli uomini venivano riforniti in abbondanza di liquori

    A me sembra che sia il contrario, se glieli danno i liquori...
    CITAZIONE
    Se ogni soldato lo facesse solo dopo avere valutato se gli piace oppure no

    piaccia è meglio
    CITAZIONE
    allora non ho nessuna colpa, e perciò non posso provare rimorso per una colpa
    Io non provo rimorsi. I sensi di colpa e i rimorsi posso provarli
    Dovrei sentirmi in colpa e avere rimorsi se avessi compiuto uccisioni

    Passaggio da sfoltire
    CITAZIONE
    Ho trovato una sorta di equilibrio e non devo più affliggere le mie membra col dolore. Sono altri, adesso, i corpi che devono sopportare il sollievo dato dalla punizione.
    Per uscire dal vicolo cieco causato dalle problematiche delle fucilazioni di massa

    Stacco troppo netto
    CITAZIONE
    Donne e bambini furono spinti nelle paludi nella speranza che affogassero, ma le acque non erano profonde abbastanza. Così, anche se il massacro era iniziato alla grande, poterono sopravvivere per quasi un altro anno.

    Rivedila perché messa così non ha il senso che vorrebbe
    CITAZIONE
    e tantissimi ebrei lì intorno

    meglio togliere il “lì”
    CITAZIONE
    gli ebrei hanno colpe enormi da scontare? E sarà sufficiente tutto questo a cancellare per sempre i loro delitti? No, io non credo; quel giorno, comunque, ne scontarono parecchi.

    Scontano le colpe, non i delitti, quindi “parecchie”
    CITAZIONE
    A noi era stato ordinato di stare sull’orlo

    Bruttina era stato/stare forse è meglio ci fu ordinato di stare, la coerenza nei tempi vedila tu ^__^
    CITAZIONE
    Io sono indifferente a tutto. Ho imparato a soffrire in silenzio, e se occorre anche a punire la mia stessa carne. A volte il dolore è un dono,

    La frase nel mezzo la trovo davvero superflua a questo punto del racconto.
    CITAZIONE
    quel villaggio veniva distrutto e incendiato senza tanti complimenti e senza fare prigionieri.

    Toglierei “e senza tanti prigionieri”, implicito.
    CITAZIONE
    Posso solo stare a guardare mentre lei si getta dentro e poi quando i fucili mitragliatori annaffiano di piombo quelle teste e quei corpi.

    Incoerenza nei tempi descritti, ci vorrebbe lo stacco con un punto - "Posso solo stare a guardare mentre lei si getta dentro. Poi, il momento in cui i fucili mitragliatori annaffiano di piombo quelle teste e quei corpi."
    CITAZIONE
    La lama si muove mossa di vita propria

    Muove/mossa - meglio "la lama si solleva, mossa da vita propria"
    CITAZIONE
    Mi incide ancora, questa volta nella coscia, perché il bisogno è irresistibile. Ora è buio

    Altro stacco troppo netto
    CITAZIONE
    La mia forza adesso è sovrumana

    Adesso non serve
    CITAZIONE
    Sono venuto a cercarla per mezza europa e adesso che l'ho ritrovata lei sembra ancora sfuggirmi in un mondo nel quale non potrei raggiungerla. Vedo i teschi nelle mie mostrine. Brillano come se stessero ridendo e il suono della risata si fosse trasformato in luce riflessa amplificata tutta attorno.

    Vabbè che sei alla fine, ma qualche virgola la metterei, anzi semplificherei le frasi.
    CITAZIONE
    tempierano
    mezza europa

    refusetti
    Ciao rehel, a rileggerti con vero piacere.

    Edited by VanderBan - 4/3/2011, 15:45
     
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  6. rehel
     
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    Altri preziosissimi suggerimenti. Ringrazio anche voi due, appena possibile continuerò il giro dei miei commenti, magari grazie al fine settimana.
    Tre quattro su quattro, davvero non me lo aspettavo, ma sono sicuro che verranno anche voti peggiori perché ognuno di noi ha il proprio gusto e di sicuro ci sarà anche chi non lo apprezzerà... :) In ogni caso quello che conta è ricevere consigli per crescere e ottimizzare il "prodotto".
    By. :D
     
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  7. Alessanto
     
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    Non partecipo ma ti commento lo stesso!
    SPOILER (click to view)
    Ottimo scritto.
    Me lo ricordavo bene (primo turno della RR del 2008, vero?). In questa sede non posso che confermare le sensazioni positive. Unico neo le troppe informazioni storiche che passi al lettore un po' indigeste (anche se a dire il vero me le ricordavo più invasive: hai tolto qualcosa?).

    Il pezzo perde anche un po' non sapendo il tema della RR e lo sforzo che avevi fatto per interpretarlo a tuo modo.


    Voto 3.
     
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  8. rehel
     
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    Eilà, grazie per la RI-lettura.
    Tu hai una memoria di ferro, io, davvero, non ricordo se fosse quella che tu dici,ma lo ritengo probabile.
    Alla pxma. :)
     
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  9. Ryan79
     
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    Ciao,

    SPOILER (click to view)
    NON sarò breve :D

    Ho apprezzato tantissimo "fermate rommel" ,e mi sono affacciato a questo racconto con un ottimismo che non è stato deluso.
    Mi piace il modo in cui scrivi, e pur non piacendomi affatto il romanzo storico debbo dire che le tue trame mi prendono molto.
    Qui in particolare la ricostruzione storica è un vero pugno allo stomaco, il racconto ti colpisce in pieno e dopo la lettura non puoi non esser felice di vivere in tutt'altra epoca.

    Ma veniamo ai però.

    I problemi nascono quando mi chiedo quale fosse l'obiettivo del racconto. Documentazione storica o storia di un uomo alla ricerca di una donna? A mio avviso l'intento è il primo, ma viene messo troppo in secondo piano rispetto al secondo, tanto da sembrare una mera scusa per descrivere un periodo storico particolare.
    Lo fa pure Manzoni coi promessi sposi, ma la storia deve sempre essere funzionale allo sfondo, e non un semplice spunto...

    Altri problemi li vedo nei tepi verbali: a volte mi sembra che il proptagonista stia ricordando, altre che stia vivevndo la vicenda sul momento. Ma qui può darsi che sia un mio errore di concentrazione nella lettura (che tra l'altro trovo scorra via molto liscia)

    Infine, il problema più grosso è il senso etico del protagonista, che a volte è totalmente a posto con la sua coscienza visto che sta eseguendo soltanto ordini, altre sembra siceramente commosso e turbato dalle atrocità che vede.


    Alcuni appunti sulla forma:

    "Fu in seguito a quella morte che mi venne dato un lavoro adatto alle mie possibilità. Grazie a uno zio che aveva scalato in fretta importanti posizioni nel partito."
    dopo possibilità forse meglio una virgola, altrimenti i due periodi sono troppo scolastici ed elementari...

    "Già dal 1935 l’iniziale e caotica struttura di certi speciali campi venne riorganizzata da Himler".
    Refuso, himmler con due m... avevi sbagliato il nome di rommel tempo addietro.. ti stanno proprio sulle balle i nazisti eh? LOL

    "tempierano cambiati" refuso
    "i battaglioni venero rinominati" refuso
    "il fine ero quello di braccare" refuso
    "Ma avevamo sprecato troppa benzina" refuso manca il punto finale

    Ultimo appunto che ti faccio è l'uso delle virgole, che sinceramente non mi convince. Ti segnalo alcuni periodi e il modo in cui li avrei orgaizzati io (non sono errori questi, ma pareri personali :) )

    "L’insegna, portata dai cavalieri, prima su un anello poi su una medaglia, era una testa di morto che, ricordando loro il fine ultimo, doveva incitarli alla virtù."

    Io avrei messo: "L'insegna portata dai cavalieri, prima su anelli e poi su medaglie, era una testa di morto che dveva incitarli alla virtù, ricordando loro il fine ultimo..."

    "Heydrich, ex ufficiale di marina, alto e con la faccia da cavallo sogghignante, tanto che i suoi subalterni lo chiamavano la “bestia bionda”, aveva organizzato cinque Einsatzgruppen, ognuno diviso a sua volta in quattro Einsatzkommandos."

    Io avrei messo: "L'ex ufficiale di marina Heydrich, un uomo alto e con la faccia da cavallo sogghignante che gli fece meritare il soprannome di “bestia bionda” presso i suoi subalterni, aveva organizzato cinque Einsatzgruppen divisi in quattro Einsatzkommandos ciascuno."

    "Andavo a est, dove nasceva il sole e dove, da qualche parte, doveva esserci Leah"
    Io avrei messo: "Andavo a est, lì dove nasceva il sole e dove doveva esserci Leah"

    "In un paese, di cui non ricordo il nome, trovammo addirittura la banda che suonava per noi."
    Io avrei messo: "In un paese di cui non ricordo il nome trovammo addirittura la banda che suonava per noi."

    "Iniziavamo a controllare la composizione della popolazione, quanti ucraini, quanti bielorussi o altri, e quanti ebrei."
    Io avrei messo: "Iniziavamo a controllare la composizione della popolazione: quanti ucraini, quanti bielorussi o altri, quanti ebrei."

    "Un giorno trovammo quattrocento bambini in un orfanotrofio, li uccidemmo tutti."
    Io avrei messo: "Un giorno trovammo quattrocento bambini in un orfanotrofio e li uccidemmo tutti." oppure "Un giorno trovammo quattrocento bambini in un orfanotrofio: li uccidemmo tutti."

    In definitiva, purtroppo non sento di andare oltre il 2 benché credo che approfondendo la ricerca di leah e bilanciandola col background storico, sarebbe un 4 sicuro..
     
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  10. rehel
     
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    Grazie anche a te. Tu uccidi un uomo morto... :P volevo dire che cogli il mio difetto principale: quando scrivo racconti storici mi faccio prendere la mano dall'ambientazione e dal materiale che ho trovato. Soffoco la storia oppure la tengo troppo in sordina.
    Difetto grave... moooolto grave! :argh:
     
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  11. Ryan79
     
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    beh potresti provare a scrivere prima la storia, poi arricchirla col background, o comunque cercare di portare avanti due binari paralleli.... sono troppo belle le ambientazioni che riesci a creare per sacrificarle... meglio lasciarle intatte e lavorare solo sull'incremento della trama :)
     
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  12. =swetty=
     
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    rehel, come dire, sarò parecchio dura e mi tocca darti 1.

    Come sai, il tema mi è affine, sia per l'ambientazione di guerra, sia per l'aver scelto l'ottica degli invasori o comunque dei cattivi. Si può apprezzare, anzi bisogna apprezzare, la ricerca e la documentazione, e qui ce n'è e si vede. Ed è proprio questo il problema: non è più un racconto, ma un insieme di date, nomi, fatti storici. Lo scopo di un racconto è raccontare una storia, non la Storia.

    La tua era anche buona, soprattutto il finale è commovente, come sanno essere commoventi i cattivi che alla fine manifestano quel loro angolo di umanità ingenua e naïf.

    Ma qui tutto rimane sepolto in una successione di eventi, raccontati per sommi capi, per giunta in un modo piatto e noioso, senza alcuna verve o analisi arguta come si ritrovano nei migliori testi di storia.

    La ricerca deve servire per i dettagli, non per il quadro generale: torna alla storia, svuotala delle date, visualizza i momenti salienti della Storia con episodi accaduti al protagonista (un esempio può essere la strage nell'orfanotrofio, che ora è poco più di un dettaglio, una noticina, e invece avrebbe potuto essere un modo per fotografare l'orrore). Ma soprattutto lascia le tue ricerche e la tua fatica fuori di qui: deve apparire naturale, come se tu neanche le avessi fatte quelle ricerche e conoscessi le cose per scienza infusa (o meglio, per averle vissute di persona).
     
    .
  13. rehel
     
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    Grazie anche a te.
    Sto precipitando, dalle stelle alle stalle, ma lo avevo messo nelle previsioni.
    Certo che mi hai messo un bel paletto da vampiro... :) tuttavia il tuo è uno di quei commenti che può farmi meglio rispetto a tutti gli altri; insomma una medicina. Amara, ma necessaria. <_<
    Sono masochista? :D
     
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  14. =swetty=
     
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    QUOTE (rehel @ 8/3/2011, 16:55) 
    Grazie anche a te.
    Sto precipitando, dalle stelle alle stalle, ma lo avevo messo nelle previsioni.
    Certo che mi hai messo un bel paletto da vampiro... :) tuttavia il tuo è uno di quei commenti che può farmi meglio rispetto a tutti gli altri; insomma una medicina. Amara, ma necessaria. <_<
    Sono masochista? :D

    Il tuo lavoro fin qui è buono, molto buono, ma il racconto non lo è: riscrivilo senza guardare il libro di storia e vedrai che migliorerà da sé. :rolleyes:
     
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  15. Dieguito_85
     
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    Qualche annotazione: Cerco (cercavo) Leah nel volto di ogni ragazza ebrea che vedevo, oppure "cerco Leah nel volto di ogni ragazza che vedo."
    <<eppure non riesco a evitarlo, ci penso, troppo spesso e troppo forte, così forte da farmi sanguinare il naso.>> (Mmm... frase fatta. Questa leggenda del naso è un po' una banalità).

    Poi, scusa, un'altra cosa: la narrazione in prima persona. Focalizzaizone interna. Alla fine il protagonista muore: qui sfioriamo il problema black box. Se fosse narrato tutto in terza persona, allora il problema sarebbe superato, ma così secondo me non va bene.
    Guarda, leggi tutta la discussione: https://xii.forumfree.it/?t=17383657&st=45

    E' vero, forse non è black box in senso stretto, ma ci siamo quasi: in pratica l'io narrante smette di scrivere e raccontare (al presente) un istante prima di morire. Non va bene, secondo me.

    Adesso veniamo alle note positive. Bravissimo.
    Bella ambientazione, bella idea, ottima descrizione e scelta lessicale davvero invidiabile. Mi è piaciuto molto, questo racconto. Curato e dettagliato (forse ridurrei qualche eccessiva specifiazione storica, perché fa calare l'empatia), e ben strutturato - magari da limare qua e là, senz'altro.
    Io direi un 3 pieno.

    SPOILER (click to view)
    PS Per il problema black box ti riporto questo (di Cadoglio): Ciao Diego.

    a) Non ho letto il libro che citi, ma in quel caso è impeccabile: se è uno spirito che parla, può tranquillamente raccontare la propria morte. E' proprio ciò che descrivevo: uno stratagemma, una motivazione valida perché un morto parli.

    b) Se si tratta di un diario, sì, puoi scrivere fino a qualche secondo prima della morte. Forzato che uno scriva proprio nel momento esatto della morte. Ma puoi benissimo chiudere un racconto - in forma di diario - con un: "E' finita. Loro sono là fuori. Ora prendo la pistola e mi sparo".
    Attenzione però perché parliamo appunto di diario, e un diario uno non lo scrive mentre agisce. I tuoi "faccio, dico, prendo, bacio" sono tutte azioni, e uno non le compie nello stesso istante in cui compila il diario. Ovviamente può invece raccontare nel suo diario le sue azioni di quel giorno (al passato, o anche al presente scenico - ma senza spacciarlo un monologo interiore inverosimile), e chiudere con la decisione di uccidersi. Perché la decisione di uccidersi non è un'azione, ma un pensiero, è introspezione, e l'introspezione può essere perfettamente contemporanea all'atto della scrittura del diario (e quindi sì, diventare un monologo interiore).




     
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