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«Prendi questo» gli dice, porgendogli una coppa colma di una crema candida, dove spuntano dei frammenti di cioccolato. È agitato e non sa dove muovere gli occhi, così li tiene inchiodati sul tavolo, mentre si trastulla le dita in un atteggiamento d’attesa e d’incertezza. Quando si decide, infila il cucchiaio, facendo affogare il cioccolato. Lentamente s’immerge, dividendo la crema e scomponendola in più parti. Un flash e si ritrova indietro nel tempo. Il sapore del metallo è la prima cosa che avverte, proprio come da bambino, quando la domenica mattina la mamma gli faceva trovare sul tavolo un dolce simile e lui e suo padre inauguravano il giorno festivo con la bocca addolcita dalla crema. Lei gli siede accanto: sta aspettando. Ci sono tante cose da dire, adesso. Prima di entrare in casa a lui era sembrato che si sarebbero esaurite tutte nello spazio che separa l’ingresso dalla cucina. Invece erano stati zitti. Lui infila nuovamente il cucchiaio nella parte bianca della farcitura e assaggia il dolce. Quando toglie il cucchiaio dalla bocca, osserva che la parte convessa del metallo è straordinariamente lucida, uno specchio. La notte in albergo era sfumata tra pensieri contrastanti, allungandogli le ore in un modo che non avrebbe creduto possibile. Così la luce dell’alba si era proiettata a strisce tra le fessure delle persiane semichiuse, annunciandogli che la notte era finita. Ora rigira il cucchiaio nella panna morbida, indugia, poi lo riempie ancora e se lo porta alla bocca. Da settimane ormai occupava una stanza d’albergo, dove si era rifugiato dopo l’ultimo litigio con Emma. A lei aveva lasciato la casa, finché non avessero deciso sul da farsi e stabilire se la loro vita avesse o no un futuro condivisibile. «Cos’è?» le chiede, mentre toglie il cucchiaio dalla bocca. Lei non risponde. Aveva lasciato ancora quasi tutto a casa e questo fatto era un altro motivo per cui si sarebbero incontrati oggi. Quando aveva infilato la chiave nella toppa, si era ritrovato a ripetere un gesto consueto, compiuto migliaia di volte, ma soltanto in quel momento ne aveva percepita l’importanza: aprire la porta di casa! Lei si alza, allontanandosi dal tavolo. Poco prima, passando per il corridoio, non aveva saputo trattenersi dallo sbirciare attraverso la porta della stanza da letto che aveva occupato assieme a lei. Il letto era disfatto solamente a metà, quello dalla parte di Emma, mentre la sua appariva intatta nella sua immobilità. Una cristallizzazione del sentimento. Il pensiero delle notti d’amore lo aveva colto all’improvviso, ma senza fargli provare alcuna eccitazione, solamente uno struggimento profondo. Sapeva che quel mattino avrebbero avuto molte cose da dire, per chiarirsi e scegliere, finalmente, la strada attraverso la quale sarebbe passata la felicità o l’infelicità dell’altro e dell’altra. Il dolce ha un sapore strano, un gusto un po’ agrodolce che rimane impigliato alla lingua. Rigira il cucchiaio fra le dita e si accorge che si riflette la luce su entrambe le facce e le immagini che vi si proiettano si deformano, stirandosi. E la vede di spalle, accanto al piano di lavoro, dove prepara di solito la colazione. Indossa la sua vestaglia a grandi fiori tenui e i capelli lunghi e spettinati formano una nuvola leggera sulla schiena. Nel riflesso del cucchiaio la vede avvicinarsi. La sua immagine è deforme e non si distingue se sia un sorriso ciò che appare sul suo volto. I riflessi di luce sprigionati dai fili dorati dei suoi capelli gli colpiscono il cuore, come tante volte era accaduto in passato. Si sente turbato e indifeso, come se lembi invisibili di pelle si stessero strappando. «Lo so perché sei venuto» dice lei nello stesso momento in cui lui si toglie il cucchiaio dalla bocca, e si gira chiedendosi cosa sia quella lunga striscia d’acciaio affilato che lei tiene in mano e che vibra sopra il suo capo. Fuori i rumori della città sembrano vagare all’interno di un’immobilità crescente, che arriva fin dentro la casa.
Edited by princ3ss - 26/2/2011, 00:05
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