Una valigia vuota, piena di cianfrusaglie
di Alessandro Basile.
Nascosta e seduta al bancone di un bar della stazione, Jenny aspettava impaziente il proprio cappuccino per una veloce colazione prima di prendere la coincidenza. Si accese una sigaretta, cercò con lo sguardo un posacenere a portata di mano – trovato – e a lunghi respiri provò a dimenticare tutti i chilometri che si era lasciata alle spalle. Come tante piccole fotografie stracciate, decine di stazioni dai nomi familiari - ma giusto per sentito dire - si erano susseguite nella loro inutilità gettando il passato nel nistagmo assopito. Poi qualche bisbiglio, occhi bigotti la stavano giudicando e si incupì, nella triste consapevolezza di un acerbo cinismo, scivolando nel mare dell’insofferenza: pensieri come navi di vichinghi impazziti. Jenny impazzì in un grido e il bar si ammutolì. “Va tutto bene, ragazzina?” una voce. E chi sarà stato mai? Non importa… I gabbiani scomparirono nella nebbia lasciando alla salmastra battigia le loro lontane grida. Il freddo dell’anonimato sembrava coprirla per bene, così tanto che le sembrò persino di vedere tra i clienti delle facce conosciute. Chi fossero lo ignorava, ma chi fossero dentro, nel loro indurito cuore, Jenny aveva la presunzione di dedurlo con infallibile perizia. Nella nera soddisfazione del cercare e trovare gente peggiore di sé, Jenny sbadigliava e negava altri pensieri, tanto lei, svogliata e noncurante, se ne fregava del dito accusatore del mondo che l’avrebbe giudicata. Silenziosa nel suo angolino personale, rimaneva lì. Nessuno che le si avvicinasse e neanche di questo gliene fregava qualcosa. Una risata di qualcuno, quanti occhi e quante voci sparpagliate nei ricordi, Jenny che si sentiva già adulta, tanto adulta da voler mollare tutto e forse scappare, scappare da quella tremenda morsa. Madre e padre, tutta la famiglia compreso il cane, perché non li avrebbe sopportati nemmeno disegnati. Quante gomme avrebbe dovuto consumare per riuscire a cancellare quel tratto che avrebbe voluto essere fatto a matita? Nella testa l’eco di quello psicologo incompetente. Scappare è come rinunciare a sé stessi per poter sopravvivere senza voler affrontare la vita. Sei solo una vigliacca, piccola Jenny! Scompariva il pensiero dei buoni sentimenti al rumore della lampo, e il mondo sembra più buono nello scartare il chewing gum monouso sul divano dell’Io. “Perché cazzo non arriva più il mio cappuccino” un calcio al bancone per Jenny, l’inesperta di sensazioni. La neve cadeva a fiocchi grandi così, così come nei suoi ricordi: un giardino decorato a festa, Natale, quanti regali. Jenny indaffarata nello scartare i pacchi e chi se ne frega da dove arrivano, l’importante è riceverli, scartarli, possederli, un milione di doni. Babbo Natale se la sarebbe meritata la letterina. Una lettera. Jenny pensò che, a dirla proprio tutta, non aveva lasciato neanche una lettera d’addio. Si era unicamente degnata di accettare l'appuntamento al quale non sarebbe andata. Un bel pacco gli aveva fatto. Buon per lui, che capisse una buona volta il fatto che tanto lei sarebbe sempre scappata e che era inutile inseguirla. Fuggire ha un sapore così dolce al palato che sembra l’ambrosia degli dei, tiepida e leggera. Dimenticare e farsi dimenticare. Il riflesso dello specchio dietro al bancone ti dice troppe verità. Non è forse vero, Jenny dai bellissimi occhi blu che si perdono nel cielo?
Anche se quel cielo Jenny non lo aveva mai visto. Qualche nuvola lassù si stagliava e Jenny non se ne sarebbe nemmeno accorta. Sguardo in alto, preoccuparsi solo che quel ventilatore girasse perché faceva un gran caldo, mentre le invidiose commentavano di quanto sembrasse mezza nuda. Una finestra troppo grande, e Jenny si nascondeva, mentre fuori la neve testimoniava l’inverno. Jenny sbuffava che nessuno la sentiva più, meglio così. Smettila! A che serve mettersi in ordine quei capelli di un falso biondo? Quante volte le avevano detto che stava benissimo. Puttanelle che non voleva nemmeno vedere, ma le capatine in centro doveva pur farle con qualcuno. Jenny che non sapeva stare con gli altri sorrideva alla democratica ipocrisia, perché tenere il broncio non sarebbe servito proprio a niente. Nessuno ti capisce, vero? Che stronzi che sono gli altri, tu che ti senti tanto sola e tanto stronza. Quanto sei megalomane? Forse troppo poco! Ci sputi sopra a quello che sei, tu sei più in alto di tutti, perfino di te stessa.
Smaliziata Jenny, sola al bancone, era proprio da sé stessa che voleva essere abbandonata. Fuggire? A che serve? Forse a aspettare quel cappuccino che non arriva mai, mentre l’inebriante profumo dei saccottini al cioccolato ti rende piacevole l’attesa.
Inutile che stai lì a ridere nell’imbarazzo di scegliere cosa che ti fa ingrassare di meno. Magra come un chiodo, Jenny la modella mancata. Ma almeno hai qualche spicciolo per pagarti la colazione? Cerca nelle tasche quanto vuoi, i vecchi guardoni al tavolo dietro di te apprezzano e i ragazzi pensano a cosa ti farebbero. Due euro e cinquanta, magari ti ci paghi anche la merenda. E anche se così non fosse, basta impegnarsi un pochino e fare gli occhi dolci al barista, così le patatine alle macchinette non te le toglie proprio nessuno. Fritti e dolci, ma quanto vuoi ingrassare, Jenny?
Al pensiero di tutto quel cibo nello stomaco si sentiva già male. Ma fuggire vuol dire anche soffrire, perché di certo non ci pensava proprio a voler vomitare tutto quel ben di Dio. Dove finisce poi Dio quando nemmeno ti ricordi dove sei? Jenny, mi senti? La valigia è sempre al suo posto? Sì, grazie al cielo. Una valigia vuota, piena di cianfrusaglie. Certo che un ladro, adesso, sarebbe proprio un gran bel casino. Che palle preoccuparsi per tutto.
Jenny guardava incuriosita quell’adesivo che sembrava staccarsi dalla valigia. Un vecchio check-in, il codici di un aeroporto e quella vacanza in Francia non se la ricordava nemmeno così bene. Sorrideva sulla Tour Eiffel, nemmeno voleva salirci fino a lassù, ma poi perché non farlo. L’ascensore l’aveva proiettata verso il cielo e, una volta arrivata al paradiso del cuore, aveva fatto pace con il mondo-formica ai tuoi piedi. Urlare. Quando era scesa aveva comprato un souvenir, l’aveva pagato Mark. Mark. E chi se lo ricordava più. Ma allora la tua valigia ha veramente dei ricordi. Piena di sorprese persino per te stessa, Jenny.
Mark era solo un piccolo tassello del cuore dalla sua complicata vita sentimentale. Un puzzle che piano piano aveva perso tutto il colore e, in uno sbiadito bianco e nero, piangeva quei vuoti che ne negavano la figura. Immagini sbiadite: Parigi e quell’albergo. Notte di curve e lingerie sul pavimento, nemmeno fosse un film. Jenny, che nella bambagia aspettava quell’esplosione a colori. Nessuno sapeva cosa fosse l’amore. Ma che importava ormai? Tanto Mark era tornato al suo paese e se lo poteva proprio scordare di rivederlo.
Altro calcio al bancone. “Signorina, la smetta!” barista rompipalle. “Arriva questo cappuccino?” Jenny odiava la sua voce. Niente di strano, al registratore ci sentiamo tutti ridicoli. “Glielo porto subito” Ma l’aveva ordinato oppure no quel cappuccino? Jenny, che non si ricordava neanche il giorno del proprio compleanno. Compleanni e ricorrenze, tutte stronzate.
Rivoluzionaria Jenny, che i parenti se li voleva proprio scordare. Quante torte che nemmeno toccava e un po’ le dispiaceva. Nonni e zie, diecimila occhi puntati su di lei che facevano a gara a chi sparare più a zero sulla sua vita. Quella vita che avrebbe dovuto fare, ma che era obbligata a eseguire nel migliore dei modi. Senza alternative, in gabbia si può anche morire. Dubbi e altri dubbi. Ci mancava solo quel barista e il ricordo di Mark. “Ahia” squillò Jenny, un tizio l’aveva urtata nell’avvicinarsi al bancone. Poverino, del resto doveva pur farsi spazio, aveva una valigia immensa, non come quella di Jenny, piccola e vuota. “Mi scusi, non l’ho vista” le parole di convenienza, poi quel tipo si rivolse al barman. “Senta, prendo un toast e un succo di frutta.” Che colazione orrenda, e poi tutta questa fretta nello scusarsi, sembra che la gente passi il tempo a chiedere scusa per la propria esistenza. Jenny, smettila di dare fastidio agli altri e cerca di combinarne una giusta ogni tanto, come dare uno sguardo al tabellone delle partenze. È troppo lontano, lo so, ma qualche sforzo lo si deve pur fare.
Un’occhiatina di sfuggita le riuscì di farla, ovviamente non senza essere occupata da mille altri pensieri. Parole e altre parole sembravano rincorrersi che, neanche a farlo apposta, non aveva ancora deciso dove andare. Aveva pensato che forse la breve pausa al bar le avrebbe portato consiglio ma, a quanto sembrava, le idee ce le aveva ancora belle che confuse. Bastava aspettare ancora un pochino, seppur nell’infinita attesa di quel cappuccino che avrebbe dovuto arrivare subito. Almeno te lo sei ricordato il walkman? Sai che palle sul treno.
“Ho dimenticato i cd da Jim” e certo Jim sarà stato ben felice di ascoltarsi tutta quella musica. Jim non lo sa che sei scappata. Dirglielo sarebbe stata una buona idea, ma le idee buone Jenny ce le aveva solo quando era troppo tardi. Lo verrà a sapere lo stesso. Almeno era quello che Jenny sperava, e sperava che Jim la venisse anche a cercare. Anche tu, Jim. Magari accorgerti che Jenny te lo voleva dire. Quanta fatica nel volerla abbracciare forte a te perché non fuggisse e poi avvicinarsi dolce al suo orecchio e dirle: non scappare anche se ti senti di merda. Non andare via e stai qui perché io non voglio. Io ti voglio qui.
Jenny si picchiò sulla testa con quell’anello che porca puttana se faceva male. Tastarsi in testa pensando se ci fossero bernoccoli. Adesso basta! A cosa serve il passato? Sei scappata di casa e nessuno ti vuole.
Jenny scivolava via dagli altri e quello sgabello del bar le andava proprio stretto. Muoversi, scappare, fuggire da sé stessa. “Cosa fare?” mentre si faceva strada quell’idea tutta strana: alzarsi da quella scomodissima posizione e, dimenticandosi di valigia e cappotto, uscire di tutta fretta da quel vociare indistinto per poi, magari e perché no, attraversare distrattamente la strada schivando qualche auto e dirigendosi di corsa verso il fiume col fiatone, fermarsi concitata sul parapetto del ponte scolpito e perdersi nel guardare l’acqua che scrosciava il silenzio. Bastano due secondi per non pensare al fatto che magari qualcuno l’avrebbe vista; quei gabbiani sapranno pur nuotare, vero? Sorridere di follia, cadere in acqua, chiudere gli occhi e abbandonarsi alla corrente desiderando di scomparire. Stanca di tutto, avrebbe riposato la mente dileguandosi tra le onde. Cosa ci sarà stato sul fondo? Sarebbe arrivata fino al mare?
[…]
“Il suo cappuccino, signorina” e le apparve davanti agli occhi il cappuccino che aveva ordinato, quasi fosse una magia. Jenny, ma cosa fai? Sogni a occhi aperti? So che vuoi tornare a casa. Per quei cd Jim è corso subito da te. Quando hai preso l’autobus per la stazione non hai voluto vederlo ma ti rincorreva, ti chiamava, ti diceva: “Fermati, Jenni.” Quella valigia è vuota apposta, fai ancora in tempo per quell’appuntamento.
Jenny scrollò la testa come per risvegliarsi da un brutto sogno e fermò d’un tratto tutti i pensieri. Fece un profondo respiro a occhi chiusi e, espirando in un sorriso, ringraziò il barista con un bisbiglio. Prese due bustine di zucchero e, con certosina attenzione, distribuì sulla schiuma quei leggeri cristalli d’avorio. Era come se il tempo si fosse gonfiato come un palloncino e fosse diventato eterno. Tutti avevano messo di correre. Jenny aveva tutto il tempo che voleva e voleva fare tutto. Forse fuggire vuol dire aspettare quel cappuccino che sembra non arrivare mai.
Edited by jimmijax - 2/3/2011, 20:38
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