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La primavera di Roma – (Versione 2)
CITAZIONE Avvertenza: nonostante questo racconto parli di luoghi veri e fatti verisimili, è da intendersi come opera di fantasia. Ogni riferimento, diretto o indiretto, a fatti e persone realmente esistiti o esistenti è da ritenersi del tutto casuale. 1
L'auletta autogestita della Facoltà di Scienze Politiche della Sapienza era una stanza poco più grande di quelle in cui venivano svolte le lezioni, ed era stata concessa dal rettore agli studenti affinché la usassero in completa autonomia. Quel bel pomeriggio di aprile Daniele e Marco furono tra i primi a tornare in Facoltà dopo aver partecipato al sit-in contro i tagli alla spesa pubblica che si era tenuto in Piazza San Giovanni. I due amici erano tanto diversi quanto inseparabili: sanguigno e spontaneo il primo, intellettuale e razionale il secondo. Daniele era un ragazzone alto, robusto e coi capelli corti, nato e cresciuto a Roma, mentre Marco era un ragazzo magro e dai tratti mediterranei che si era trasferito nella capitale da un paesino della Calabria.
Appena entrati nell'auletta i due si tolsero gli zaini, salutando Stefania e Lucio che stavano mettendo via alcune bandiere e un grosso striscione: loro erano andati alla manifestazione di Piazza Venezia, quella contro le privatizzazioni. «Ciao ragazzi, com'è andata?», chiese Daniele. «Bene, c'era gente da tutta Italia, sono intervenuti i rappresentanti dei sindacati e i lavoratori ci hanno applaudito entusiasti. Abbiamo riempito tutta Via Del Corso: fino a Piazza del Popolo era un fiume di persone che cantava e sventolava bandiere. Invece a San Giovanni?» «Bene anche da noi, io e Marco siamo stati sempre vicino al palco e oltre ai discorsi dei politici hanno messo un sacco di musica figa. Alla fine hanno annunciato che in tutta Roma eravamo più di un milione». «Che dici, stavolta riusciremo a farci sentire davvero?» «Beh, di sicuro una bella botta al Governo l'abbiamo data, è impossibile ignorare una protesta così vasta in tutto il Paese... sembra che anche nelle altre città l'affluenza sia stata altissima». Mentre i quattro discutevano, a poco a poco arrivavano gli altri ragazzi che si erano sparsi per il centro di Roma. Per ultimi giunsero quelli che erano andati a Piazza del Popolo, dove si era svolta la protesta contro i tagli all'istruzione pubblica e alla ricerca. «Ragazzi, non potete capire che casino che è successo: a un certo punto degli stronzi hanno iniziato a provocare la polizia e ci sono state delle cariche... c'erano anche dei coglioni con i fumogeni e ci sono stati degli scontri... noi siamo scappati verso Villa Borghese, altri sono tornati verso Via del Corso e altri ancora verso il Lungotevere...» «Sì, l'avevamo sentito, ci aveva avvertito Mirko al telefono...» «Speriamo non sia successo nulla di grave... chi c'era con voi?» «C'erano Stefano e Chiara di sicuro, poi credo anche Valeria e Marcello... adesso li chiamo e vediamo cosa ci dicono». Mentre una ragazza cercava il cellulare nello zaino, gli altri si sistemavano in attesa dell'arrivo di Stefano, il loro leader dal look alla John Lennon, che avrebbe fatto un bilancio della giornata prima del rompete le righe ufficiale. Alcuni si misero alla finestra per fumare, altri ascoltavano la musica con le cuffie e altri ancora parlavano del più e del meno addentando un panino. Daniele e Marco sembravano intenti a continuare un discorso iniziato in precedenza, con Daniele che rimproverava al suo amico uno scarso coinvolgimento al sit-in cui avevano assistito: «E non è neanche tanto per oggi, è proprio un periodo che ti comporti in modo strano. Vorrei solo sapere che ti succede, mica ti sto rimproverando qualcosa». «Che vuoi che mi succeda, niente... forse sono un po' stanco, ma a me tutte queste manifestazioni, queste proteste, tutti questi discorsi mi sembrano sempre più inutili». «Che cazzo dici, non lo vedi che fine di merda che sta facendo questo Paese? Se non ci diamo una mossa noi che siamo giovani e abbiamo delle idee, facciamo una brutta fine!» «Mah, che ti devo dire: parliamo, parliamo... e alla fine non cambia mai niente». «Come non cambia niente! Non hai visto quanta gente stufa c'era in piazza? Non hai sentito i discorsi? Siamo in un momento storico in cui possiamo dar vita a un nuovo Risorgimento, liberarci dalle catene che ci hanno messo e prendere in mano il nostro futuro! Io non voglio passare la vita con un lavoro da precario e stare otto ore al giorno al call center a rompermi i coglioni, io voglio lottare per conquistarmi un futuro decente!» «E chi ti dice di no... ma sei sicuro che sia questo il modo?» «Che intendi dire?» «Non lo so, forse mi sto solo perdendo un po', ma inizio a pensare che tutte queste storie siano soltanto pagliacciate. È come se ci stessero tutti quanti prendendo per il culo, come se fossimo dei burattini guidati da gente interessata soltanto a prendere il potere e arricchirsi alle nostre spalle, senza far nulla per migliorare davvero il Paese. Qua facciamo tante parole e pochi fatti, non sappiamo altro che parlare e...» Marco si interruppe vedendo che la ragazza col cellulare si era messa a piangere: molti le si stavano avvicinando stupiti, e così fecero anche loro due. «Lo hanno ammazzato...» sussurrò tra le lacrime la ragazza, «hanno ammazzato Luca». Quelle parole fecero piombare nel silenzio tutti i presenti. Sguardi fino a poco prima allegri e spensierati si fecero seri e increduli. «Che stai dicendo Sara? Sei sicura? Chi ha ammazzato Luca?» chiese qualcuno. «I poliziotti... c'è stato uno scontro... bastardi!» rispose a stento la ragazza, esplodendo in un pianto disperato. Due amiche la abbracciarono e provarono a calmarla, accarezzandola e dicendole che chi le aveva riferito la notizia doveva essersi sbagliato. Gli altri erano rimasti quasi immobili: nessuno sapeva cosa dire o fare, e qualcuno accennava delle frasi confuse. «Non è possibile... Luca... non avrebbe mai fatto male a una mosca...» «Chiamate Stefano, presto, ditegli di tornare subito qui!»
2
Il funerale di Luca fu un vero strazio, reso più amaro dalla presenza dei rappresentanti delle istituzioni, insultati e fischiati all'uscita dalla chiesa fin quasi a sfiorare la rissa con le forze dell'ordine. L'arroganza del potere li aveva travolti in pieno durante quella funzione, facendoli sentire impotenti come pedine di un gioco a cui non erano stati invitati a partecipare. Luca venne dipinto dai media quasi come un delinquente; a quanti cercavano di far notare come avesse soltanto voluto difendersi da una carica della polizia, i più rispondevano che una persona civile non si sarebbe neanche dovuta trovare in quel luogo. E vaffanculo a quel briciolo di democrazia che si illudevano essere ancora rimasta nel loro Paese.
Il giorno dopo il funerale, i membri storici del collettivo si riunirono nel soggiorno del piccolo appartamento di Stefano. L'atmosfera era tesa e colma di rancore; gli accadimenti di quei giorni erano percepiti da molti, a livello inconscio, come un chiaro segnale che sanciva la fine dell'età dell'innocenza. Stavano iniziando a subire le prime sconfitte e le delusioni dell'età adulta, e questo non piaceva affatto: lo si vedeva negli sguardi bassi, nei silenzi, perfino nei movimenti di ciascuno di loro.
Stefano si assicurò che ci fossero tutti e iniziò il suo discorso, in piedi davanti ai suoi amici, a tratti leggendo degli appunti scritti alla meglio sul foglio di un bloc notes. «Compagni, oggi non ci riuniamo soltanto per rendere omaggio a un nostro caro amico assassinato dallo Stato. Oggi ci riuniamo per capire se il sangue scorre davvero nelle nostre vene. Siamo qui gonfi di indignazione e disprezzo per un governo che non solo non ci ascolta, ma che reprime e soffoca la nostra lotta nel sangue!» La sua voce, da bassa e spenta, aumentava di potenza man mano che il discorso andava avanti, suscitando una forte commozione tra i presenti. «Com'è possibile uccidere a sangue freddo un ragazzo di ventidue anni, colpevole solo di manifestare pacificamente il suo dissenso e di essersi trovato nel posto sbagliato? Chi pagherà per questa vita spezzata senza motivo? Ve lo dico io chi: nessuno!» Fece una breve pausa, cercando lo sguardo dei compagni; si sistemò gli occhiali e riprese con maggiore enfasi: «Non possiamo permettere che le cose vadano avanti così, viviamo in un regime mascherato da democrazia che privilegia i potenti e spazza via a suo piacimento tutti i liberi pensatori, li toglie di mezzo come formiche, senza rimorsi né scuse: io dico che è arrivato il momento di dire basta, per Luca e per tutti noi che rimaniamo e che vogliamo continuare a combattere per i nostri ideali!» «È vero! Bisogna finirla!» esclamò Daniele, che tra tutti era uno dei più sconvolti, «Questi bastardi la devono pagare!» Al suono di quelle parole l'emozione ebbe il sopravvento, e molti esclamarono con foga tutto il loro astio verso lo Stato. «Bastardi!» «Maledetti assassini!» Stefano ascoltò l'umore del gruppo e fece un cenno per richiamare l'attenzione. «Compagni, ascoltate: è giunto il momento di farci sentire, di far tremare le fondamenta stesse del sistema. È questo il motivo per cui oggi ci troviamo tutti qui e non all'università: è il momento di oltrepassare una soglia da cui non potremo tornare indietro, e che farà capire ai potenti che il momento della sottomissione è finito». Abbassò quindi il tono della voce, rendendolo quasi cospiratorio. «Ieri ho partecipato a un'assemblea con gli altri leader dei collettivi romani, e abbiamo deciso di passare ai fatti: uno dei membri del gruppo Quadraro ha un aggancio che può procurarci dell'esplosivo, e pensiamo di compiere un atto dimostrativo di grande portata per attirare l'attenzione in maniera inequivocabile. Per l'esecuzione materiale siamo stati scelti noi: ci viene concessa la possibilità di vendicare la morte di Luca». Smise di parlare, e il silenzio avvolse la stanza per diversi secondi: nessuno sembrava saper bene dove guardare, cosa fare, cosa dire. «Stefano, ma sei impazzito? Cosa cazzo stai dicendo?» Marco si era alzato in piedi e aveva interrotto l'esitazione del momento; le sue parole risuonarono potenti nell'aria e tutti puntarono gli occhi su di lui come per ringraziarlo di averli liberati da quell'atmosfera grave. «Ti rendi conto di quello che hai appena detto? Vuoi trasformarci in assassini?» Stefano rispose con calma glaciale: «No, voglio trasformarvi in combattenti per la libertà. Voglio darvi la possibilità di lavorare attivamente per i cambiamenti per cui ci battiamo insieme da anni». «No, tu vuoi farci diventare terroristi! Proprio tu, che sei l'intellettuale più pacifico che ho visto in vita mia... Ma ti sei sentito?» «È il momento di voltare pagina. Se non otteniamo nulla con la pace, credo sia giusto prepararci alla guerra. Nessuno ti obbliga a partecipare alla nostra azione: io sono qui per sentire il vostro parere e sapere su chi posso contare». «Io davvero non riesco a crederci. Che vi siete detti nella riunione di ieri? Cosa è successo per farti cambiare così all'improvviso? Chi c'è dietro a tutto questo?» «Non c'è nulla. C'è solo la voglia di fare la rivoluzione». «No, Stefano, ti sbagli. Non possiamo diventare assassini anche noi. Daniele, tu non dici nulla?» «Io... io credo che abbia ragione. Mi spiace, ma penso che sia l'unico modo per fare qualcosa». «E voialtri? Cosa dite?» Nessuno rispose alla domanda: molti abbassarono lo sguardo, altri sembrarono sul punto di parlare, ma restarono muti. «Non posso crederci, ci state anche a pensare! Ok, fate come vi pare, io non voglio entrarci e me ne vado», disse Marco, voltandosi e dirigendosi verso la porta. Dalle sue spalle giunse la voce sarcastica di Stefano: «Vai pure, non abbiamo bisogno di vigliacchi». Marco ebbe un moto di stizza e si girò, rivolgendosi a Stefano in tono di sfida: «Sarei io il vigliacco? Tu vuoi uccidere degli innocenti con una bomba e io sarei vigliacco?» «La libertà costa sempre dei sacrifici». «Certo, fino a che i sacrifici li fanno gli altri a noi che cazzo ce ne frega! A te farebbe piacere dover morire perché un coglione con delle idee con cui magari non sei neanche d'accordo ti piazza una bomba sotto al culo solo per dimostrare quanto è deciso e che bravo combattente che è? Oppure saresti contento se facessero saltare per aria la tua famiglia in nome della libertà? A me roderebbe parecchio il culo, sai?» «Vedo che cinque anni di politica non ti hanno insegnato nulla» accennò Stefano con rassegnazione. «Mi hanno insegnato a coltivare le mie idee e a portarle avanti con convinzione, non a diventare un infame! Perché invece non facciamo una bella cosa: occupiamo una stazione della metro, ci facciamo saltare per aria e mandiamo qualcuno dai giornali a rivendicare il nostro sacrificio. Così abbiamo difeso i nostri principi e abbiamo richiamato l'attenzione. Che ne dite? Non sarebbe più giusto così? Chi di voi vuole morire per la propria causa? Nessuno? Bravi, nemmeno io voglio farlo. Ma almeno non sono un ipocrita che si nasconde dietro agli ideali». «Forse dovresti andartene», tagliò corto Stefano, «sei troppo emotivo per valutare la strada da percorrere». «Cazzate! Me ne vado, sì, ma sono molto più uomo io di quanto tu lo sarai in tutta la tua vita da miserabile. E voi non dategli retta, non mandate a puttane la vostra vita solo per fargli fare bella figura con gli altri stronzi come lui». L'ultimo sguardo fu per Daniele, che gli restituiva un volto fiero e determinato. «Almeno tu, Daniele...», disse Marco, senza riuscire a terminare la frase. Stefano disse con freddezza: «Possiamo contare sul tuo silenzio, vero?» «Sai benissimo che non sono un traditore. Mi fai schifo, ma non sarò io a mandarti in galera, anche se lo meriteresti». «Bene, allora possiamo dirci addio». «Va bene. Ma voi pensateci bene prima di andar dietro a questo folle» concluse Marco, cercando per un'ultima volta gli occhi del suo caro amico. Uscì quindi dall'appartamento, deluso e incredulo. Alla fine capiranno la cazzata che vogliono fare e lasceranno perdere, e tutti amici come prima, pensò mentre scendeva le scale che portavano in strada, o forse sono impazziti e uccideranno chissà quanti innocenti... però almeno Daniele lo devo convincere, non posso permettere che si rovini così.
3
Nei giorni seguenti Marco si rintanò in casa, evitando di andare all'università; era molto turbato per quella storia dell'attentato e non voleva correre il rischio di incontrare i ragazzi del collettivo per i corridoi dell'ateneo. Tentò più volte di sentire Daniele, ma nonostante lo avesse tempestato di chiamate e SMS non ricevette mai alcuna risposta, segno evidente che nella loro amicizia si era ormai rotto qualcosa. Troppo orgoglioso per recarsi a casa dell'amico, Marco decise di far passare del tempo prima di tornare alla carica. Mentre gli altri potevano andarsene all'inferno, ci teneva davvero molto a dissuadere Daniele dal seguire la sconsiderata proposta di Stefano. Quest'ultimo sembrava essere impazzito: da convinto assertore della non violenza e del dialogo, se ne era uscito con quell'idea dell'attentato mutando così profondamente linea di pensiero che non poteva non esserci qualcosa sotto. Marco comprendeva lo shock per la morte di Luca, che lui stesso aveva accolto come un pugno nello stomaco, ma Stefano doveva essere manovrato da qualcuno a cui faceva comodo un atto così estremo. La poca esperienza politica che aveva accumulato negli ultimi anni gli bastava per comprendere come i begli ideali e gli alti pensieri fossero sempre alla fine strumentalizzati da squallidi personaggi corrotti che ci lucravano sopra.
Alla fine, stanco di tutte quelle chiamate a vuoto, Marco decise di lavarsene le mani; in fin dei conti Daniele era maggiorenne e responsabile delle proprie azioni, e lui non poteva far altro che rispettarne le scelte. Sentendo nell'aria l'odore dei guai, decise quindi di tornarsene in Calabria per qualche giorno a riflettere. Al ritorno avrebbe valutato la situazione e deciso cosa fare.
Negli stessi giorni, nell'animo di Daniele il rancore verso l'ordine costituito aumentava a dismisura, rendendolo nervoso e facendogli passare terribili notti insonni. Ma come, pensava, non solo la nostra voce non viene ascoltata e non si fa mai nulla per il Paese: adesso ci ammazzano come cani solo perché crediamo in un futuro migliore? Questi pensieri lo tormentavano, ma era soprattutto il dolore per la scomparsa di Luca, con cui era stato amico sincero sin dall'infanzia, a fargli abbracciare con entusiasmo la linea di pensiero di Stefano. L'unico cruccio che lo rattristava era la rottura dell'amicizia con Marco: sapeva benissimo che tutte le chiamate che questi gli aveva fatto erano dettate dal buon senso, e più di una volta era stato sul punto di rispondere alle sue telefonate o scrivergli un messaggio se non di scuse, almeno di rappacificazione. Ma poi aveva pensato che se davvero Marco avesse voluto fare qualche tentativo di riavvicinamento, avrebbe dovuto presentarsi a casa sua e affrontare la questione di persona. E poi il suo comportamento da qualche tempo era molto strano: sembrava non essere più interessato alla politica né sicuro delle proprie idee.
Nell'arco di tre giorni Daniele partecipò ad altri due incontri del collettivo, entrambi a casa di Stefano: al primo erano presenti tutti tranne Marco, mentre al secondo parteciparono soltanto lui, lo stesso Stefano e alcuni leader di altri movimenti studenteschi della Capitale. In questo secondo incontro gli venne spiegato che, se pensava di farcela, il compito di piazzare la bomba sarebbe toccato a lui. Daniele accettò di buon grado, e gli vennero forniti tutti i dettagli: il giorno, l'ora e il luogo, nonché le modalità per attivare il timer dell'esplosivo.
4
Nonostante la calda giornata primaverile, la stazione Tiburtina era un posto davvero brutto: la confusione e la radicata microcriminalità, con l'aiuto delle strutture vecchie e fatiscenti, avevano trasformato quel quartiere in una delle zone più squallide di Roma. Varcando l'ingresso della stazione, Daniele diede una rapida occhiata attorno a sé. La confusione generale gli trasmetteva la sicurezza che sarebbe stato semplice non farsi notare. Si diresse verso la sala d'aspetto e vi entrò senza esitazione; non vedeva alcuna telecamera ma sapeva che dovevano essercene, da qualche parte. Per maggior sicurezza aveva studiato un look che mostrasse il suo corpo il meno possibile, col cappello, gli occhiali da sole e una kefia che gli copriva collo e mento. Inoltre, indossava una maglia a maniche lunghe che gli nascondeva il tatuaggio sul polso destro e aveva lasciato a casa il bracciale e l'orecchino che portava di solito. Conciato a quel modo, non l'avrebbe riconosciuto neppure sua madre.
Nella sala erano presenti una trentina di persone, perlopiù intente a leggere riviste e giornali, ad ascoltare musica o a sonnecchiare. Il suo ingresso passò del tutto inosservato, nonostante il passo incerto e il curioso abbigliamento. Aveva paura, Daniele. Una paura che gli faceva tremare le gambe e temere di fare qualche cazzata. Esplorando la stanza con lo sguardo non poté fare a meno di provare pietà per quelle persone innocenti, ma la ferma convinzione dei suoi ideali e il sentimento di vendetta per la morte di Luca gli diedero la forza di ignorare qualsiasi remora. Individuò un posto libero in un angolo e andò a sedervisi, sistemando con cura lo zaino sotto il sedile che aveva occupato. Passata una decina di minuti, si alzò dal suo posto e posò la rivista sul sedile; si sgranchì braccia e gambe e iniziò a camminare prima attraverso la stanza e poi uscendone a passo lento.
Entro dieci minuti sarebbe tutto finito, e lui poteva soltanto augurarsi che le persone viste nella sala d'attesa avessero il tempo di salvarsi. Si girò un'ultima volta verso la sala d'aspetto, e quello che vide gli fece quasi perdere i sensi: negli anni a seguire avrebbe ringraziato il cielo ogni giorno per essersi voltato quell'ultima volta ed essere riuscito a evitare di compiere un delitto la cui colpa non avrebbe mai potuto sopportare.
5
Marco arrivò alla stazione in anticipo come al solito, ma stavolta aveva forse esagerato. Mancava infatti più di un'ora alla partenza; il biglietto lo aveva già fatto su Internet il giorno prima e adesso l'unica cosa che poteva fare era aspettare l'annuncio del suo treno. Per passare il tempo acquistò un panino in un bar e un fumetto in edicola. Si recò quindi nella sala passeggeri, sistemò zaino e valigia e si accomodò su un sedile. Dopo un paio di minuti il suo cellulare emise il suono del messaggio in arrivo: estrasse il telefono dalla tasca dei jeans e lesse con stupore l'SMS. Esci subito dala stayione, c'era scritto, e il mittente era Daniele. «Ma che cazzo...» pensò Marco, guardandosi attorno per vedere se il suo amico si trovasse nella stanza. Il suo sguardo interrogativo percorse tutta la sala un paio di volte, squadrando i volti dei presenti per poi fermarsi con un brivido su uno zaino abbandonato in un angolo. Entrando non lo aveva notato, ma osservandolo bene lo riconobbe subito come lo zaino di Daniele. Non poteva sbagliarsi, c'era ancora una scritta che aveva disegnato lui stesso con l'Uniposca qualche anno prima. Di colpo gli fu tutto chiaro. L'ha scritto di fretta, per questo ci sono gli errori. Marco si alzò terrorizzato e uscì di corsa dalla sala d'aspetto, chiedendosi se davvero in quello zaino ci fosse una bomba. Un paio di persone lo guardarono, stupite dallo strano comportamento, ma poi tornarono ai propri pensieri. Si diresse verso l'uscita della stazione in preda ai dubbi. Dovrei avvertire la polizia... ma se poi mi sbaglio? E come fa Daniele a sapere che mi trovo qui? Quello è il suo zaino, non ci sono cazzi... potrebbe esplodere da un momento all'altro, devo scappare da qui... deve avermi visto entrare mentre andava via... diosanto, li ho visti in faccia quei poveracci, come faccio a star zitto... c'erano dei bambini porca puttana... ma se parlo, a Daniele gli danno l'ergastolo... e anche a me.. come facevo a sapere? E se ci stanno le telecamere di sicurezza? Mi hanno visto alzarmi così all'improvviso e andar via... ho lasciato lì anche i miei bagagli... ma allora avranno visto pure Daniele... sì, ma non sarà stato così idiota da non coprirsi la faccia.... cazzo, cazzo, cazzo! Marco raggiunse l'uscita cercando senza successo il volto di Daniele in mezzo alla moltitudine di persone che affollava il piazzale. Proseguendo con passo veloce sul lungo viale che portava verso Piazza Bologna si convinceva sempre più di quello che sarebbe successo di lì a poco. Ma forse mi sbaglio... è incredibile che lo abbiano fatto davvero... sono sempre stati dei pacifisti, com'è possibile... però c'è lo zaino, sta lì... ma perché, maledizione, perché? Dannato Stefano, dannate guardie, fanculo tutti! Percorsi un altro centinaio di metri, il boato di un'esplosione lo fece trasalire; si voltò verso la stazione e rimase pietrificato nel vedere la nube di fumo nero che saliva in cielo. Mentre fissava impietrito quella terribile scena, la figura di Daniele apparve all'improvviso dall'altra parte della strada. I due si guardarono per qualche istante, cercando ognuno qualcosa nel viso dell'altro; poi Daniele si voltò e corse via, lasciandolo solo in tutta quell'assurdità.
6
Il palazzo di via Tuscolana in cui abitava Daniele aveva un piccolo giardino condominiale; quel pomeriggio una signora sulla settantina vi passava il tempo sfoltendo un'aiuola di piante grasse. Non avendo nulla di meglio su cui puntare l'attenzione, gli occhi di Marco si concentrarono sui gesti pacati di quell'anziana donna. Era seduto già da un paio d'ore su una panchina del cortile, senza il coraggio di citofonare all'appartamento del suo amico per avvertirlo della sua presenza, e seguiva quella scena senza riuscire a spiegarsi perché gli ispirasse una serenità che non provava ormai da giorni. Pensava che sarebbe volentieri rimasto a guardarla all'infinito. I suoi pensieri bucolici vennero interrotti dal suono dell'apertura del portoncino d'ingresso: qualcuno stava uscendo dall'edificio, e presto sarebbe riuscito a vedere di chi si trattava. Per sua fortuna si trattava proprio di Daniele. Si alzò dalla panchina e aspettò che il suo amico percorresse quel breve tratto che li separava, accorgendosi della sua presenza. Daniele lo vide solo quando se lo ritrovò praticamene davanti; si fermò stupito di fronte a lui, fissandolo senza sapere cosa dire e provando un gran senso di disagio. Entrambi ebbero modo di notare sul volto dell'altro i segni di una profonda sofferenza, fisica e psicologica. Si vedeva a occhio nudo che Daniele non dormiva bene da giorni, e la barba lunga sottolineava come avesse smesso di curare l'aspetto. Marco invece aveva due occhiaie molto pronunciate e un'espressione stanca più consona a un vecchio moribondo che a un ragazzo di venticinque anni. Fu lui a rompere il silenzio. «Ciao». Daniele impiegò qualche istante per rispondere al saluto. «Ciao. Cosa vuoi?» «È più di due ore che sto qui... avrei voluto citofonarti, ma poi ho pensato fosse meglio aspettare. Mi sa che se non scendevi per i fatti tuoi me ne sarei andato via». Rimasero in silenzio, imbarazzati, poi Marco continuò. «Senti, spostiamoci un po', non vorrei che quella vecchia ci sentisse». «Ok». Daniele condusse Marco sul retro del giardino, dove era stata realizzata un'area di gioco per i bambini. Non c'era nessuno che potesse disturbarli. L'unico posto in cui sedersi era il girello, e i due sorrisero per un istante a vedersi l'uno di fronte all'altro su quella giostrina, tornando però subito seri. «Sono venuto per dirti che me ne vado. Torno in Calabria e non credo che metterò più piede in questa città». «Capisco... Fai bene». «Il fatto è che mi sarebbe dispiaciuto andar via senza vederti un'ultima volta. Ci sono mille cose che vorrei dire, però non so quanto sia il caso... Tu come stai?» «E come vuoi che sto... non li hai letti i giornali? Non dormo più, non mangio, sto sempre chiuso in camera... mia madre pensa che abbia iniziato a drogarmi, e sta male più di me. Ma che cazzo faccio, mica le posso dire niente... e a fingere che vada tutto bene proprio non ci riesco». «Già... Sto malissimo pure io. Ho passato tutti questi giorni a chiedermi cosa dovessi fare, ti ho odiato con tutte le mie forze perché mi hai reso tuo complice, volevo andare alla polizia e denunciarvi tutti ma poi ho pensato al messaggio che mi hai mandato quel giorno e non ce l'ho fatta, non posso mandare in galera uno che mi ha salvato la vita». «Mi spiace che ti sei trovato in mezzo per caso. Se avessi ucciso pure te non sarei riuscito a perdonarmelo. Già è abbastanza dura tenersi dodici innocenti sulla coscienza». Rimasero a lungo in silenzio. «Sai se vi beccheranno?» «Non credo, dai giornali sembra che abbiano delle tracce ma qui non si è fatto vivo nessuno. Secondo me non hanno idea di chi sia stato. E a volte mi dispiace... forse dovrei essere abbastanza uomo da andarmi a costituire, ma mi mancano le palle». «Non credo che tu debba farlo. Davvero. Se ti costituisci quelle persone non torneranno in vita, e tu ti stai già punendo abbastanza da solo. Mandarti in prigione non servirebbe a nessuno.. forse solo ai giornali». «Eh, ormai la cazzata l'ho fatta. Perdonami se non ti ho dato retta, sono stato un vero coglione». «Almeno sei sempre stato in buona fede. In tutta questa storia il più sporco di tutti è Stefano, lui sì che meriterebbe di marcire in galera». «Ci hanno offerto un lavoro al partito. A tutti e due». «C'era da aspettarselo. Immagino che quello stronzo voglia fare carriera. Non mi stupirei se tra qualche anno ce lo ritrovassimo in Parlamento. Tu hai intenzione di accettare?» «Penso di sì. Dopo quel fatto, mi sono stati tutti vicini. Li odio, ma forse sono l'unica via d'uscita che mi rimane. Ti ricordi quando mi dicevi che ti sembrava che ci stessero prendendo tutti per il culo?» «Certo». «Ho capito che avevi ragione. Mi sa che quelli come noi li usano al massimo per non doversi sporcare le mani. Poi ci danno un lavoro per comprare il nostro silenzio e per i cazzi loro noi ci roviniamo la vita». «Non deve andare per forza così. Potresti provare a dimenticare tutto e ricominciare da capo». «Ti sembra facile?» «No, mi sembra fottutamente impossibile. Ma di vita ne hai solo una. Io ci penserei un po' prima di mandarla affanculo in questa maniera». «Vedremo... ci vorrà del tempo, comunque. Tanto tempo...» «Ti auguro con tutto il cuore di riuscirci... Io adesso devo andare, domani parto e devo ancora fare tutto». «Ok». Marco e Daniele si alzarono, e per qualche istante furono indecisi su quale fosse il modo più opportuno di salutarsi. Alla fine Marco abbracciò il suo amico con forza, gli disse addio e si incamminò verso l'uscita. Daniele lo seguì con lo sguardo mentre usciva per sempre dalla sua vita. Quando non lo vide più, diede una spinta rabbiosa al girello sul quale si erano seduti, e rimase immobile a guardarlo girare.
Edited by Ryan79 - 17/4/2011, 11:01
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