Un'Altra Vita
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Un'Altra Vita

di Stefano Pastor - 38mila caratteri

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    UN'ALTRA VITA


         «Muoviti, fottuto negro di merda! Usa quelle gambe, spingi!»
         La frusta schioccò, e fu Zeb a essere colpito. Moses continuò a spingere, con tutta la sua forza. La corda tesa gli segava il petto, sfregandolo a sangue.
         Il bue era davanti a loro, e anche lui tirava, gli zoccoli puntati sul terreno. La frusta colpì pure lui, che muggì.
         «Forza, avanti!» ruggì padron Hennessy. «Non servite a niente, siete inutili!»
         Non ci volevano quelle maledette radici proprio in mezzo al nuovo campo che Padron Hennessy aveva appena comprato.
         Un tempo doveva esserci un bosco lì, e benché i tronchi fossero stati tagliati e il terreno livellato, le radici degli alberi avevano creato un intrico sotterraneo che impediva qualsiasi coltivazione.
         Erano già due giorni che lavoravano, e finora avevano estratto le radici di otto alberi, ma era solo l’inizio, il campo era molto vasto. Moses dubitava che sarebbe riuscito a sopravvivere. Lui e Zeb, nonché il vecchio bue, dovevano sradicare una radice dopo l'altra, senza riposo.
         Non era ricco, padron Hennessy. Aveva una bella casa, dove viveva con la moglie e la figlia; sì, qualche volta Moses vi era entrato. Possedeva solo due schiavi in grado di lavorare nei campi, Zeb e Moses. La moglie di Moses, Pheby, cucinava per gli Hennessy, e Spencer, il loro unico figlio, grazie al cielo la aiutava in casa servendo in tavola. Era ancora troppo giovane per la vita nei campi, anche se Moses temeva che prima o poi li avrebbe raggiunti.
         Padron Hennessy non avrebbe dovuto comprare quel campo, non ce la facevano a coltivarlo, erano troppo pochi. Sarebbero stati pochi anche senza trovare quell'impedimento. Diceva sempre che avrebbe comprato un altro schiavo, ma l'occasione non si era mai presentata, o forse non l'aveva cercata.
         Non era un buon padrone, Hennessy, troppo esigente e pure violento, facile a scoppi d'ira. Moses non si lamentava mai, lui aveva una famiglia a cui badare. Zeb era più vecchio di lui ed era solo; sconfitto e perdente fin dalla nascita.
         Quando la radice si staccò dal terreno, Moses e Zeb caddero a terra per il contraccolpo. Il bue continuò il suo cammino, trascinandoli per qualche metro, assieme alle corde con cui erano legati.
         «E questo che diavolo è?»
         Faticavano a respirare, non avevano la forza di alzarsi, Moses vide padron Hennessy scendere da cavallo e contemplare perplesso la radice sradicata. Lo guardò avvicinarsi, poi farsi indietro. Sembrava preoccupato.
         Moses aiutò Zeb ad alzarsi, poi si trascinarono fino alla voragine. Presagiva aria di guai.
         Padron Hennessy taceva. Moses studiò lo strano oggetto impigliato nella radice e comprese perché era stato così complicato tirarla fuori. Sembrava di ferro ed era molto grande. Benché fosse sotto terra da chissà quanto tempo non si era arrugginito. Aveva una forma allungata, come quella di un proiettile di fucile, solo che era alto più di un metro.
         «Non toccatelo» ordinò padron Hennessy, con una voce insolitamente debole.
         «Cos'è, padrone?» osò chiedere Zeb.
         Hennessy non lo sapeva, ma forse lo sospettava, perché era sempre più preoccupato. «Dev'essere qui da parecchio.»
         Le radici l'avevano circondato, come se l'albero gli fosse cresciuto intorno, l'avevano incorporato e non sarebbe stato facile estrarlo.
         «Che dobbiamo fare?»
         Padron Hennessy non sapeva neppure quello, ma continuò a farsi indietro. Era combattuto, quell'oggetto poteva essere pericoloso, però non poteva certo lasciarlo lì, se sperava un giorno di poter sfruttare quel campo.
         Non gli andava molto di rischiare la vita dei suoi schiavi, ma non poteva fare altrimenti. «Non toccatelo, portate via la radice e basta. Laggiù, insieme alle altre.»
         Nel dire ciò continuò a indietreggiare, fino a raggiungere il bordo del campo.
         Moses iniziò ad avere paura, e chiese consiglio a Zeb. «Cosa credi che sia?»
         Zeb fece una smorfia, perché aveva avuto la stessa idea di padron Hennessy. «Un proiettile.»
         Moses fu tentato di sorridere. «Non esistono fucili così grandi!»
         «Non di un fucile, stupido! Di un cannone!»
         A Moses non era mai capitato di vedere un cannone, quindi lo considerò possibile. «Ed è pericoloso?»
         «Non lo so. Meglio non scuoterlo troppo.»
         Non ci sarebbero mai riusciti, avrebbero dovuto trascinarlo attraverso tutto il campo.
         Moses si girò a guardare padron Hennessy e vide che l'uomo gli stava facendo segno di continuare. Si sentì ancora peggio.
         «Cosa dobbiamo fare?»
         «Quello che ha detto lui.»
         Non c'era scelta. Anche se c'era pericolo per la loro vita, non potevano disubbidire.
         «Non rischierebbe mai il vecchio Athos,» disse Zeb.
         Loro lo chiamavano così, il bue. Moses aveva i suoi dubbi. Quel campo era diventato un'ossessione per padron Hennessy, non vi avrebbe mai rinunciato.
         Finse di crederci, anche per rincuorare Zeb, e si mise a pregare. Pregò per tutto il percorso, mentre trascinavano quella radice sul terreno. Cercarono di spianarlo, di togliere ogni pietra, perché non prendesse colpi. Furono lentissimi, ma padron Hennessy non si lamentò.
         Quando raggiunsero il limitare del campo fecero rotolare anche quella radice insieme alle altre, e tirarono un sospiro di sollievo.
         «Era ora!» tuonò padron Hennessy, ritrovando il suo vigore. «Buoni a nulla! Sempre a perdere tempo!»
         E continuò a sbraitare finché il sole non iniziò a calare e fu ora di tornare a casa.
         
         Moses e Pheby vivevano in una baracca, accanto alla casa dei padroni. Zeb abitava con loro, il suo giaciglio era in un angolo, separato solo da un lenzuolo appeso. Non c'era molta intimità, dormivano tutti insieme, e nella stessa stanza cucinavano e mangiavano.
         Pheby lo stava aspettando davanti alla porta, e questo fu nuova fonte di preoccupazione per Moses. In quel momento lei avrebbe dovuto essere nella casa padronale a servire la cena. In genere non la lasciavano libera che a notte inoltrata. Era agitata, infatti, e aveva fretta.
         «Parlaci tu» disse. «Cerca di aiutarlo.» Visto che il marito non capiva, scosse il capo con stanchezza. «Ha combinato un altro pasticcio e stavolta l'hanno frustato.»
         Moses si sentì il cuore in gola. «Chi è stato?»
         «Chi vuoi che sia stato?» ribatté Pheby, seccata. «La signora Hennessy, quella strega!»
         Strinse il braccio del marito e non disse altro. Si allontanò verso la casa.
         Zeb era sfinito, ma sospirò. «Vado a controllare gli animali.»
         Gli aveva concesso un po' di intimità, e Moses gliene fu grato. Non era facile per lui accettare certe cose. Anche se Spencer era suo figlio, gli Hennessy restavano comunque i suoi padroni, e a loro tutto era concesso.
         Entrò nella baracca a capo chino, perché quel compito era troppo gravoso per lui.
         Spencer era a terra, steso sul letto, e stava piangendo. Pheby l'aveva già curato, infatti aveva un impacco sulle spalle, ma alcune gocce di sangue l'avevano già sporcato. Il bambino aveva otto anni, ma era così piccolo e fragile da dimostrarne solo sei.
         Non aveva importanza cos'avesse combinato, se rovesciato un bicchiere o fatto cadere a terra una posata, Spencer non era adatto a servire in casa dei padroni. Aveva sempre la testa piena di sogni, non si concentrava. Non passava settimana senza che venisse punito almeno una volta. Presto, molto presto, si sarebbe ritrovato anche lui a lavorare nei campi.
         Cosa poteva dirgli Moses? Quale consiglio poteva dare a suo figlio? Come avrebbe potuto rincuorarlo?
         Si sedette solo al tavolo e si mise a piangere pure lui.
         
         «Cos'è?»
         Moses la tacitò subito, indicando il lenzuolo oltre il quale Zeb dormiva già da un paio d'ore.
         Pheby era sfinita. Senza Spencer ad aiutarla, il suo lavoro era stato ancora più pesante ed era dovuta restare più del solito. All'alba sarebbe dovuta tornare, per preparare la colazione.
         «Cos'è?» chiese di nuovo a voce più bassa. «Dove l'hai preso? L'hai rubato?»
         Moses alzò le spalle. In verità non lo sapeva neppure lui. «L'abbiamo trovato nel campo. Il padrone me l'ha fatto buttare via.»
         Questo non cambiava di molto la situazione. Pheby girò intorno al tavolo, guardando lo strano oggetto che Moses vi aveva posato sopra. «A che serve?»
         «Credo che sia un proiettile, o che faccia parte di un'arma. Qualcosa del genere.»
         Le sfuggì quasi un altro urlo. «E l'hai portato qui? Fallo sparire! No, non toccarlo, potrebbe farti del male.» Neppure lei sapeva come comportarsi. «Perché l'hai fatto?»
         Moses non lo sapeva, non aveva giustificazione. Appena Spencer si era addormentato, era tornato nel campo. Aveva impiegato quasi un'ora a districare l'oggetto dalle radici che lo imprigionavano. L'aveva trovato insolitamente leggero, date le dimensioni. Non era stato un problema portarlo a casa.
         Forse valeva qualcosa, ma per chi? Loro erano solo schiavi, non sarebbero neanche riusciti a venderlo, si sarebbero solo messi nei guai. Forse l’aveva preso solo perché voleva scoprire cosa fosse.
         «Cosa significa? Dimmi qualcosa!»
         Moses la implorò di fare silenzio, ma era troppo tardi. Fu Spencer a svegliarsi, per fortuna, e non Zeb.
         «Cos'è, papà?»
         Moses fu felice di vedere che aveva smesso di piangere. La curiosità ancora una volta era stata più forte del dolore. Quando fece per alzarsi, Pheby tentò di fermarlo.
         «Ce la faccio, sto bene.»
         Ma non era vero, perché raggiunse il tavolo barcollando. Vedendo le sue condizioni, Moses fu preso da vergogna e abbassò il capo.
         Spencer guardò a bocca aperta quell'involucro, che era più grande di lui. Girò intorno al tavolo, stupito.
         «Non toccarlo, è pericoloso!» si raccomandò Pheby. «È un'arma. Papà è stato pazzo a portarlo qui.»
         Spencer si arrampicò su una sedia e indicò un punto, arrivando quasi a toccarlo. «Qui c'è scritto qualcosa.»
         C'erano dei segni, sì, l'aveva notato anche Moses, però non aveva mai imparato a leggere né a scrivere.
         Pheby strinse le labbra, cercando di trattenersi, senza però riuscirci. «Tu lo sai leggere, Spencer?»
         Persino Moses sobbalzò. Era sbagliato, terribilmente sbagliato, se i padroni l'avessero scoperto non se la sarebbe cavata con qualche frustata. Ma non era colpa di Spencer, era Miss Lily la causa di tutto.
         Miss Lily era la figlia degli Hennessy, aveva sedici anni ed era una ribelle. Non si accontentava della vita nella fattoria, lei era voluta andare a scuola, anche se era una femmina. Litigava in continuazione con i genitori, e in fondo era la causa della maggior parte delle punizioni che erano state inflitte a Spencer.
         Lei gli riempiva la mente di idee assurde, gli diceva che al Nord gli schiavi non esistevano, che la schiavitù era sbagliata, gli aveva persino insegnato a leggere, di nascosto. Era una ragazza incosciente, e anche se con loro era sempre stata gentile, un giorno avrebbe causato la rovina di Spencer, Moses ne era convinto.
         «Non conosco questa parola» disse Spencer. «Non l'ho mai imparata. Devo chiederlo a Miss Lily.»
         «Cosa c'è scritto?» chiese Pheby.
         «C-A-P-S-U-L-A DEL TEMPO. Non so cosa sia capsula, però. Ci sono anche dei numeri. 15122050.»
         «Dev'essere il marchio di chi l'ha costruita» disse Moses, che aveva trovato qualcosa di analogo anche su altri oggetti.
         Strano nome, capsula del tempo. Chissà cosa voleva dire. Moses accantonò il problema e prese in braccio Spencer, cercando di non fargli male. «A letto, adesso. È già tardi. Domani decideremo cosa farne.»
         Lo strano involucro, simile a un proiettile e chiamato capsula del tempo, rimase lì, solitario sul tavolo, al buio.
         
         Moses quasi urlò. Pheby gli aveva infilato le unghie nel braccio. Spalancò gli occhi, ma l'alba non era ancora sorta. Sua moglie sembrava paralizzata, guardava il tavolo.
         La capsula era ancora lì, ma c'era anche Spencer. La stava toccando, muovendo.
         Moses cercò di tenere la voce bassa, per non spaventarlo. «Allontanati da lì. Non toccarla. Piano piano.»
         Spencer non diede atto di aver capito. Continuò a stringere quell'oggetto e a scuoterlo.
         Moses si alzò con attenzione, avvicinandosi timoroso. «Spencer, ti avevo detto di non toccarlo, può essere pericoloso.»
         Si sentì un sibilo che lo raggelò e Pheby lanciò un gemito. Spencer invece li guardò sorridendo. «Ce l'ho fatta! L'ho aperto!»
         
         C'erano cose dentro. Oggetti.
         Non sembrava un'arma, proprio per niente.
         Il coperchio era venuto via del tutto, e ora giaceva da parte. Non assomigliava più a un proiettile, adesso, ma a una gigantesca pentola.
         Spencer fremeva d’impazienza, e Moses interrogò Pheby. «Li tiriamo fuori?»
         Quegli oggetti sembravano innocui, a prima vista.
         Lei non rispose, non se la sentiva di prendersi quella responsabilità.
         Lo fece Moses, e iniziò a tirarli fuori dalla pentola. C'erano tre libri, persino lui sapeva cos'erano. Erano un po' diversi da quelli che aveva visto finora e la copertina era tutta disegnata. Li mise da parte.
         C'era un quadrato con dei segni luminosi che si muovevano. Parevano numeri. Restarono tutti a guardarlo, a bocca aperta.
         C'erano lettere, un pacchetto di lettere. Molte, non avrebbe saputo dire quante perché non sapeva contare.
         C'erano delle medaglie, almeno credeva che fossero medaglie, come quelle che davano ai soldati. E poi coppe, sì, pure quelle aveva già visto. Tante coppe, però queste erano molto più belle.
         Poi c'erano quelli che sembravano giornali, però erano pieni di disegni così realistici da sembrare persone vere. Quello lo spaventò proprio.
         Li nascose sotto i libri, perché Pheby non li notasse.
         Quaderni, tutti scritti. E infine un libro strano, quadrato, molto grosso.
         Spencer se ne appropriò. Lo aprì prima che potessero fermarlo.
         L'alba stava sorgendo, il primo sole entrava dalla finestra. Molto presto Pheby sarebbe dovuta andare al lavoro.
         C'erano delle scritte nella prima pagina, tutte diverse, realizzate con inchiostri strani, dai molti colori. Quando Spencer voltò pagina restarono a bocca aperta tutti quanti, perfino Pheby.
         Era un grande disegno, che riempiva tutta la pagina. Era il disegno più realistico che avessero mai visto. C'erano tante persone, in quel disegno, ma proprio tante. Non persone, la maggior parte erano bambini. Di adulti ce n'erano molto pochi.
         Non fu questo a sconvolgerli, però. Alcuni di quei bambini erano come loro. La loro pelle scura risaltava accanto alle altre candide. Erano più grandi di Spencer, ma non come Miss Lily, e i bambini neri tenevano per mano i bambini bianchi, come se non ci fosse nulla di strano. Al centro della foto ce n'era uno in particolare, un ragazzino nero con gli occhiali, che non poteva avere più di tredici o quattordici anni. Sembrava il festeggiato, teneva in mano due delle coppe che avevano trovato dentro la capsula e sorrideva. I bambini bianchi, intorno a lui, gli stavano battendo le mani.
         Moses si sentì di colpo malissimo. Chiuse il libro di scatto e disse: «Bisogna farlo sparire, subito! Bruciamolo!»
         
         L'avevano visto. Spencer l'aveva visto. Aveva visto un mondo diverso, il mondo di cui Miss Lily farneticava. Era questo il Nord? Era questo che succedeva su al Nord? No, non poteva crederci, non esisteva in nessuna parte del mondo un luogo dove bianchi e neri potessero stare insieme. Non in quel modo. Era solo un disegno, un disegno così perfetto da sembrare vero, eppure non lo era. Era un sogno, il sogno di qualcosa che non esisteva.
         «No, papà, ti scongiuro. Non farlo.»
         Pheby era andata al lavoro. Presto sarebbe toccato anche a Moses. Da un momento all'altro Zeb si sarebbe alzato. Spencer stava troppo male, sarebbe restato a casa, quel giorno. Il padrone gliel'aveva concesso.
         Moses doveva decidere, non c'era più tempo. Aveva promesso a Pheby che se ne sarebbe liberato, e quegli oggetti lo terrorizzavano, eppure lo sguardo disperato del figlio lo tratteneva dal farlo.
         Se i padroni li avessero trovati in possesso di un simile disegno li avrebbero frustati a morte. Perché correre un rischio del genere?
         «Ti prego!»
         Zeb si stava alzando, Moses sentiva il rumore oltre la tenda. Afferrò la capsula e la portò in un angolo della stanza. Gli mise davanti altri oggetti, per nasconderla.
         «Non toccarla!» intimò al figlio. «Se vuoi che non la butti via, non toccarla più!»
         Gli occhi di Spencer brillarono. «Te lo giuro, papà.»
         
         Otto radici dopo, alla fine di una pesante giornata passata nel campo, Moses e Zeb tornarono al capanno, sfiniti.
         Pheby era venuta a portare da mangiare, a mezzodì, perché il lavoro non poteva essere interrotto, e già l'aveva avvisato che non sarebbe potuta tornare fino a tardi, perché senza Spencer il lavoro per lei era doppio.
         Sperò che Spencer si fosse aggiustato, tutto il giorno solo.
         Si paralizzò appena messo piede dentro casa, ma non fu abbastanza pronto da fermare Zeb, che entrò pure lui, restando a bocca aperta.
         Spencer e Miss Lily erano seduti al tavolo, e spalancati di fronte a loro c'erano i libri e i quaderni che avevano trovato nella capsula. La stessa capsula era posata a terra, vuota.
         Moses non aveva il coraggio di aprire bocca. Spencer gli rivolse uno sguardo disperato. «Lo dovevo fare per forza! Non ero capace di leggerli!»
         Miss Lily li ignorò, pareva che neppure si fosse accorta della loro presenza, continuava a leggere.
         Non era una bellezza, e probabilmente non lo sarebbe mai diventata. Non anelava a sposarsi ed essere una buona moglie, aveva ben altre aspirazioni. Sognava solo di fuggire via, da quella casa, da quella città, da quel mondo.
         Restarono immobili a lungo, Moses e Zeb, senza osare farsi avanti. Era la prima volta che Miss Lily veniva in casa loro e non sapevano proprio cosa fare.
         «I suoi genitori la staranno cercando, Miss» si arrischiò a dire Moses.
         Miss Lily alzò appena gli occhi dal libro. «Ho detto che non mi sentivo bene e andavo a letto presto.»
         Poi più niente, tornò a leggere.
         Spencer alzò le spalle, come a indicare che neppure lui ne sapeva molto di più. Allora Moses si fece avanti, sempre restando in piedi.
         «Cosa sono?» osò chiedere.
         Miss Lily lo guardò. «È pazzesco!» esordì. Indicò i libri intorno a sé. «Questa è una scuola.»
         Qualcosa aveva intuito, guardando quel disegno, ma Moses non era certo di aver capito. «Che scuola? Una scuola dove?»
         Non gli rispose. Indicò invece il famoso libro quadrato, aperto proprio alla pagina del disegno incriminato e il suo dito si fermò sul ragazzo nero al centro. «È suo!»
         «Che cosa?»
         «Questo contenitore. La capsula del tempo. È sua. L'ha fatta lui. Qui c'è tutta la sua vita. Credo che fosse un grande onore. L'hanno fatta fare a lui perché era lo studente migliore. Un genio, dicono.»
         Moses restò a bocca aperta. «È un negro.»
         Miss Lily sbuffò. «Lo vedo anch'io che è un negro! Si vede che in quel posto non aveva molta importanza.»
         Moses aveva paura a chiederlo. «Quale posto?»
         Lei scosse la testa. «Loro dicono di essere del passato, ma non è possibile. Non è mai esistito nulla del genere. Mai.»
         Moses era talmente confuso e sfinito che osò sedersi senza chiedere permesso. Miss Lily neppure se ne accorse.
         «Lei comprende cosa c'è scritto, Miss?»
         «Molto poco» ammise lei. «La lingua è simile alla nostra, eppure troppo diversa. Ci sono tante parole di cui non comprendo il significato.»
         Indicò le carte sparse. «Cosa dicono?»
         «Parlano alla gente del futuro. Raccontano com'erano, che vita facevano. Li hanno scritti i bambini.» Indicò i quaderni, poi le lettere. «Hanno scritto ai propri nipoti e pronipoti, a coloro che un giorno le leggeranno. Alla loro famiglia nel futuro. Solo che è impossibile, questo passato non c'è stato.»
         «Quindi è... uno scherzo?»
         Sbuffò. «Ma che scherzo! Guarda qui!» Gli piazzò davanti agli occhi lo strano quadrato con i numeri luminosi. «Questo è un orologio! E funziona ancora! Scrivono che funzionerà per mille anni, senza bisogno di alcuna carica!»
         Moses restò a bocca aperta. Quell'oggetto non assomigliava minimamente a un orologio.
         «Che c'entra quel... quel negro?»
         «Te l'ho detto, era il primo della classe. Si chiamava Alan Freeman. Hanno dato a lui l'incarico di preparare la capsula del tempo, e dopo l'hanno seppellita.»
         «Perché?»
         «Perché qualcuno la trovasse nel futuro e vedesse come vivevano allora. Chi erano, cos'avevano fatto.»
         Gli mostrò le medaglie e le coppe. «Queste erano tutte sue, era un vanto per la scuola. Un genio della... fisica quantistica, non ho la minima idea di cosa sia!»
         «Non ho mai saputo che si seppellissero certe cose.»
         «Infatti! Non è mai successo! A chi verrebbe un'idea così assurda?» Tornò a indicare il disegno. «E questo è impossibile. Non esiste, non può esistere. Non è mai esistito.»
         Moses si bloccò prima di ripetere che era uno scherzo. «Allora che vuol dire?»
         Lei indicò la capsula. «C'è una data lì sopra, 15 dicembre 2050.»
         Moses non comprese neppure allora. «Che significa?»
         «Significa che questa capsula verrà seppellita fra trecento anni.»
         Moses restò a bocca aperta, perché la notizia esulava troppo dalla sua realtà.
         Miss Lily si mordicchiò un labbro. «L'apertura della capsula era stata programmata per il 2250, esattamente due secoli dopo. Si capisce dalle lettere.»
         «Ma di quando stiamo parlando? Quando è successo?»
         «Non lo so!» sbottò lei.
         Si alzò in piedi e si mise a girare per la stanza. «Forse una volta il mondo era così. Molto tempo fa. Forse la capsula non è mai stata aperta, ed è solo rimasta lì. Forse sono passati mille anni, o duemila. Forse proviene da Atlantide, chi lo sa, si dice che sia pure esistita. Forse...» Si bloccò e scosse il capo. «Ma che stupidaggini sto dicendo! Proviene dal futuro e basta!»
         Per Moses era una follia. «Il futuro?»
         «Dove altro potranno convivere i bianchi e i negri? Vedi un luogo, in questo mondo, dove ciò sia possibile?»
         «Il Nord» mormorò Moses, pentendosene subito dopo.
         Miss Lily fece una smorfia. «Non ci sono schiavi, al Nord, non ci sono catene, ma davvero credi che la situazione sia molto diversa?» Indicò di nuovo il disegno. «Quello non appartiene al nostro tempo, è impossibile.»
         Miss Lily accarezzò le coppe e le medaglie, sfiorò appena lo strano orologio, poi parlò con voce roca, senza girarsi. «Distruggi ogni cosa, brucia i libri, seppellisci la capsula. Mio padre non dovrà mai sapere cos'hai trovato.»
         Sfuggì gli occhi disperati di Spencer e corse via.
         
         «Papà, no!» Spencer piangeva mentre Moses dava alle fiamme i libri. Poi toccò ai quaderni. Erano troppo lontani da casa perché qualcuno li potesse vedere. Spencer era voluto venire con lui per forza.
         «Esiste» mormorò il bambino. «Esiste un luogo dove noi siamo liberi. Dove posso andare a scuola.»
         Moses stava sempre peggio. «Non esiste.»
         «Io l'ho visto, non lo dimenticherò mai.»
         Sarebbe stato la sua rovina, Moses ne era certo. Quel maledetto disegno avrebbe segnato la vita di suo figlio.
         Aprì il libro quadrato e tirò fuori il disegno, lo appallottolò e lo buttò nel fuoco. Ma ce n'erano altri dopo, e tutti raffiguravano quel ragazzo, Alan Freeman, mentre uomini e donne bianche gli consegnavano premi, mentre altri ragazzi bianchi gli battevano le mani. Moses piangeva, non ce la faceva più a resistere.
         «Papà, io voglio andare là.»
         Moses lo guardò incredulo. «Là dove?»
         «Là, dove c'è quel bambino. Voglio andare laggiù.»
         Oh, quanto avrebbe voluto anche lui che fosse possibile, che suo figlio potesse avere una vita come quella di Alan Freeman.
         «Perché è tornata indietro, papà? Perché è qui, adesso?»
         «Come?»
         «L'hanno seppellita perché la trovassero nel futuro. Invece l'abbiamo trovata noi. Ma è il passato, non l'hanno ancora costruita.»
         Moses certi concetti non era in grado di comprenderli. Sapeva che suo figlio era intelligente, molto più di lui. Ma questo non l’avrebbe affatto aiutato nella vita. «Lascia perdere, Spencer. A certe cose non c'è risposta.»
         Gettò il resto del libro nel falò e si rialzò.
         «Andiamo, adesso, domattina devi alzarti presto e riprendere il lavoro.»
         
         «Papà! Papà! Che giorno è oggi?»
         Moses aprì gli occhi più sfinito che mai. Si sentiva distrutto e fuori era ancora buio. «Mercoledì, Spencer. Ora dormi.»
         «Che anno! Che anno è questo?»
         Spalancò gli occhi. Non riusciva a comprendere la strana eccitazione di Spencer. «Lo sai, il 1750.»
         Spencer sorrise. «Il 5 settembre 1750!»
         «Se lo sai già perché me lo chiedi?»
         «È la data che segna l'orologio!»
         Lo mostrò bello fiero. I numeri sconosciuti lampeggiavano al buio, e questo spaventò ancora di più Moses. «Non l'hai seppellito!»
         «Guarda, papà, guarda! L'orologio segna la data di oggi!»
         «E allora?»
         «Com'è possibile? Se è stato seppellito nel futuro come fa a segnare il tempo all'indietro?»
         Doveva fidarsi di Spencer, lui i numeri non li conosceva. «È un mistero, va bene. Però...»
         «Non è un orologio! È questo che fa muovere il tempo! L'ha costruito quel ragazzo, sai? È stato Alan! L'hanno anche premiato per averlo fatto! È questo! È questo!»
         «Va bene, Spencer, sarà questo. Te lo puoi tenere, se vuoi. Basta che non lo fai vedere a nessuno. Adesso dormi.»
         Spencer si coricò, stringendo quell'orologio al cuore.
         «Io voglio andare là, papà» mormorò. «Fammi andare là.»
         Poi chiuse gli occhi e si addormentò.
         
         Il giorno dopo lo frustarono ancora, e fu terribile.
         Spencer non fece altro che combinare guai, non ubbidì a nessuno degli ordini che gli erano stati dati, sempre perso nei suoi sogni. Alla fine la signora Hennessy gli diede la giusta punizione, ma fu troppo violenta, al punto che Pheby la fronteggiò e si beccò due frustate anche lei.
         Quando Moses tornò sfinito dal campo trovò Spencer sul letto, in lacrime. La sua schiena era tutta insanguinata, Pheby non aveva avuto neanche il tempo di medicarlo.
         Mentre cercava di lavarlo senza fargli male, Spencer continuava a singhiozzare. «Fammi andare via, papà. Fammi andare laggiù.»
         Oh, Moses l'avrebbe fatto, se solo avesse saputo come riuscirci. Sì, in quel momento avrebbe fatto qualsiasi cosa.
         «Non voglio!» disse Spencer. «Non voglio. Non voglio.»
         Non voleva quella vita, e aveva ragione.
         
         «Fallo, ti prego, fallo.»
         Moses guardò incredulo Zeb, senza capire.
         Zeb era strano, quella mattina, mentre lavoravano nei campi. «Non ho capito molto di quello che avete detto. Ma fallo lo stesso. Se Spencer vuole andare via, lascialo libero. Non costringerlo a continuare questa vita.»
         «Ma...»
         Zeb non aveva proprio capito niente, altrimenti non avrebbe detto certe cose, Moses ne era certo. Di certo aveva sentito parlare anche lui del Nord, e immaginava che Spencer volesse fuggire laggiù.
         «Tutto è meglio di questa vita» continuò Zeb. «Tutto.»
         
         «Miss Lily, posso parlarle?» chiese Moses.
         La ragazza sembrava turbata, si guardò intorno. «Non dovresti lavorare? Che ci fai qui?»
         «Suo padre è andato in città, Miss Lily.»
         «Ti punirà lo stesso, se scoprirà che non stai lavorando.»
         Moses abbassò gli occhi ma non si mosse.
         «Mia madre?» chiese Miss Lily.
         «È in cucina con Pheby.» Prese coraggio. «È per Spencer.»
         La ragazza distolse lo sguardo. «Non posso farci niente, lo sai. Mamma non mi ascolta. Credi che non lo aiuterei, se ci fosse il modo?»
         «Vuole andarsene, Miss Lily. Vuole andare laggiù.»
         La ragazza fece solo una smorfia. Non ci fu alcun bisogno di spiegarle dove fosse laggiù.
         Moses tirò fuori dalla tasca lo strano orologio. «Spencer dice che è questo. È questo che gli ha permesso di tornare indietro. Dice che segna la data di oggi.»
         Una ruga apparve sulla fronte di Miss Lily. «Non l'hai distrutto!»
         Moses chinò il capo. «La prego. Spencer non ce la fa più.»
         Miss Lily prese in mano l'orologio e lo studiò attentamente. «Anche se fosse, cosa dovrei fare?»
         «Non lo so» ammise Moses.
         C'erano dei pulsanti, sopra i numeri, e Miss Lily li schiacciò. Alcuni numeri cambiarono.
         Miss Lily si guardò intorno, poi andò anche ad affacciarsi alla finestra.
         «Non funziona» disse. «Non succede niente.»
         Restarono in silenzio a lungo, poi Miss Lily gli chiese: «Che ne hai fatto della capsula?»
         «L'ho seppellita, come mi ha detto lei, Miss.»
         «Valla a riprendere, allora. Ti ricordi dove l'avete trovata?»
         Moses annuì.
         «Portala là, e fa venire anche Spencer.»
         
         «È la capsula, per forza.»
         «Che vuol dire?»
         Erano tutti lì, nel nuovo campo, intorno a quello strano oggetto. Moses e suo figlio Spencer, Zeb e Miss Lily.
         Lei maneggiò l'orologio. «Questo indica la destinazione, ma da solo non basta. È la capsula il mezzo. No, non è fatta per contenere libri, dev'essere qualcosa di diverso.»
         «Che dobbiamo fare, allora?»
         Restò in silenzio a lungo, poi si mise a passeggiare, sempre più nervosa. Iniziò uno strano discorso, che Moses non comprese del tutto. «Perché? Io odio la mia vita, questo non è il mio mondo! Credi che sia facile essere una donna, dover sempre dire di sì? Se c’è un mondo dove i negri sono allo stesso livello dei bianchi, non è forse possibile che in quello stesso mondo le donne siano pari agli uomini? Io voglio andare laggiù! Voglio disperatamente andare laggiù, non desidero altro.»
         Aveva le lacrime agli occhi, e Moses non riusciva proprio a capire.
         Lei continuò: «Non è per me. Non è me che sono venuti a prendere. A salvare. Non mi vogliono. Dovrò restare qui per sempre.»
         Il tempo scorreva, Padron Hennessy poteva anche tornare in anticipo, Moses era sempre più agitato. «Spencer, Miss Lily, cosa deve fare Spencer?»
         Miss Lily indicò l'oggetto. «Deve entrare lì dentro. Pensi di farcela, Spencer?»
         Moses si congelò. «Lì dentro? Per andare dove?»
         C'era una strana luce negli occhi del bambino. «Potrò andare là, dove c'è Alan? In quel mondo nuovo?»
         Miss Lily scosse il capo. «No, è impossibile.»
         «Che significa, allora?» chiese Moses vedendo la delusione sul volto del figlio.
         «Se anche riuscissimo a mandarlo laggiù, cos'avremmo risolto?» chiese Miss Lily. «La capsula è stata seppellita. Morirebbe soffocato, non ci sarebbe nessuno a liberarlo.»
         «Allora è tutto inutile!» esclamò Moses.
         Lei sorrise. «No, non è detto. Non è un caso se è arrivata qui, ma una scelta ben precisa. A questo serviva il contenuto, a farci capire. Noi sappiamo esattamente quando la capsula verrà aperta di nuovo. Ce l'hanno detto loro, ci hanno lasciato un messaggio. Il 15 dicembre del 2250, a mezzogiorno. Per allora è prevista la cerimonia di apertura.»
         Moses si sentì il cuore in gola. «Ma non possiamo sapere se succederà! Non abbiamo idea di come sarà il mondo allora! Se esisterà ancora! Potrebbero averla dimenticata! Potrebbe non interessare più. Potrebbe non esserci più nessuno ad aprirla.»
         «Già, potrebbe succedere» ammise Miss Lily.
         «Spencer potrebbe morire soffocato lì dentro, persino se funzionasse!»
         «Potrebbe, sì.»
         «Lasciami andare, papà, ti prego.»
         Spencer lo implorava. Moses si inginocchiò davanti al figlio. «Capisci cosa significa? Potresti morire lì dentro. Morirai certamente.»
         «Non voglio vivere qui, papà. Ti prego.»
         Che vita lo attendeva? Spencer non ce l'avrebbe fatta, Moses ne era sicuro. Era un bambino pieno di sogni, di illusioni. L'avrebbero annientato, completamente.
         Spencer gli scivolò via dalle mani e raggiunse la capsula. «Guarda, ci entro!»
         Non era facile, la capsula era stretta anche per lui. Ma Spencer era così piccolo che ci riuscì lo stesso. Faticava a parlare, schiacciato com'era nel suo interno. «Hai visto? Ci sto benissimo.»
         «Sì, è della sua misura» disse Miss Lily colma di tristezza.
         Moses tremava. Quanta aria poteva esserci lì dentro? Quanto poteva resistere prima di soffocare? Cinque minuti, dieci?
         «È una follia!» gridò.
         «Non voglio vivere qui!» urlò ancora Spencer.
         Che vita sarebbe stata la sua, sapendo di aver ucciso il proprio figlio? Perché era questo il cuore del problema: non avrebbero mai potuto sapere se ci fosse riuscito o no.
         «Che dobbiamo fare?» chiese a Miss Lily.
         Lei si mise a schiacciare i tasti e i numeri sull'orologio cambiarono. Poi si chinò sulla capsula e passò l'oggetto a Spencer. «Tienilo stretto.»
         Anche la sua voce tremava. «Ora richiudetela. E seppellitela dove l'avete trovata.»
         Il cuore di Moses impazzì. Seppellire Spencer, vivo? La sua mente si opponeva, con tutte le forze.
         «Perché? Che bisogno c’è?»
         «È da lì che è partita, tre secoli nel futuro. Qui un giorno verrà costruita la scuola, quella che avete visto anche voi. Ed è qui che la capsula verrà infine aperta.»
         «Ma...»
         «Sbrigatevi, prima che torni papà. Non deve scoprire cosa abbiamo fatto.»
         Moses lo amava, lo amava tantissimo. Lo amava al punto di lasciarlo libero. Anche se andava incontro alla morte, anche se inseguiva solo un sogno. Glielo disse. «Ti amo, Spencer.»
         «Anch'io, papà. Amo te e la mamma.»
         Poi chiuse la capsula e la sigillò.
         La calarono nel buco, lui e Zeb, e la seppellirono completamente. Moses non riusciva a smettere di piangere, la ragione gli urlava che in quell'istante Spencer stava morendo soffocato. Ma esisteva anche la speranza, una flebile illusione che il bambino non fosse più lì, che avesse raggiunto un mondo migliore.
         Restarono in silenzio a lungo, intorno a quel mucchio di terra, quasi fossero a un funerale.
         «È partito?» chiese alla fine Moses a Miss Lily.
         Lei non rispose.
         «Possiamo guardare, controllare. Siamo ancora in tempo.»
         Quanti minuti erano passati, quattro, cinque? C’era ancora aria nella capsula?
         Lei scosse il capo. «Non possiamo sapere quanto ci vorrà.»
         Moses stava impazzendo. «Se non avesse funzionato? Se in questo momento Spencer stesse morendo?»
         «Non credo...»
         «Non ce la faccio!» urlò Moses, e chiese a Zeb: «Aiutami a tirarlo fuori.»
         Scavarono e scavarono. Scavarono anche troppo, ma senza trovare nulla. La capsula non c’era più, era scomparsa, e con la capsula anche suo figlio.
         Moses aveva il cuore in gola, in lui si mescolavano gioia e disperazione, paura e speranza. Rivolse a Miss Lily uno sguardo incredulo.
         «Ce l’ha fatta? Spencer ce l’ha fatta?»
         La ragazza scoppiò a ridere.
         Moses non riusciva a condividere la sua felicità, aveva un solo pensiero in mente. Singhiozzò. «Come farò a dirlo a Pheby?»
         
         «Tiratela fuori! Aprite quella maledetta capsula!»
         «Si calmi, signor Freeman, non è ancora ora. Mancano tre minuti.»
         I nervi del grande vecchio stavano cedendo. Al centro del salone c’era una piastra metallica, piena di incisioni. Due date soprattutto risaltavano su ogni cosa. La capsula era lì, sotto quella piastra, ma finora nessuno l’aveva vista, non era mai stata alzata.
         Il vecchio girava intorno a quella piastra torturandosi le mani. Guardò la moltitudine che riempiva la grande sala, e lesse nei loro occhi la sua stessa tensione. Erano tutti pronti, l'équipe medica aspettava solo di intervenire.
         «Non importa, apritela lo stesso.»
         «Non possiamo rischiare, signor Freeman. Potrebbe non essere ancora arrivato.»
         Il cubicolo poteva essere vuoto, poteva non esserci nulla. Oppure poteva essere vuota la capsula, contenere solo vecchi libri. Poteva essere soltanto una leggenda. Oppure era già troppo tardi.
         Il signor Freeman si sentiva ogni istante peggio. Sua moglie gli sorrise. «Calmati caro, non agitarti. Pensa al tuo cuore. Andrà tutto bene, vedrai.»
         Anche loro lo attendevano, tutti quanti. Ma per il signor Freeman era più importante che per chiunque altro.
         «Ora!» gridò uno dei medici, controllando l'orologio.
         Erano esattamente le ore 12.00 del 15 dicembre 2250.
         In quattro afferrarono la piastra e l’alzarono. Un primo gemito percorse la sala. La capsula c’era. Sembrava integra, come se fosse stata appena seppellita. Sulla sua superficie non c’era un granello di polvere.
         La tirarono fuori e subito si diedero da fare per aprila. Si sentì un sibilo, e uno scatto. Poi una voce urlò: «C'è!»
         Il cuore del signor Freeman si fermò per un attimo.
         «È un bambino!» continuarono le urla. «È vivo! È ancora vivo!»
         Sua moglie cercò di farlo sedere, ma il signor Freeman la ignorò. Era pallido come un morto.
         «Ossigeno, presto! Ha bisogno di ossigeno!»
         Avevano rovesciato la capsula, lo stavano tirando fuori. Era minuto, quasi uno scheletro, vestito di stracci. La sua schiena era solcata di frustate, alcune stavano ancora sanguinando.
         «Oh mio Dio!» fece il signor Freeman.
         «Sta bene! Allontanatevi, fatelo respirare. Bisogna curare queste ferite, presto!»
         Spencer aprì gli occhi, vide tutta quella gente attorno a lui e si spaventò. Erano tanti, tantissimi, e lo stavano guardando. Non capiva le loro parole. Si mise a tremare.
         Si aprì un varco, per permettere a un vecchio di raggiungerlo. Un uomo bianco, che sorrideva.
         «Tu sei Spencer, vero? Zio Spencer?»
         Il bambino riuscì solo a balbettare: «Padrone...»
         Il vecchio l'abbracciò e lo baciò sulla fronte. Gli fece anche male alla schiena ferita, ma Spencer non si lamentò.
         «Non c'è nessun padrone» mormorò il vecchio. «Noi siamo la tua famiglia, tutta la tua famiglia. Sono così tanti anni che ti stiamo aspettando. Che mi sto preparando a questo incontro.»
         Spencer restò a bocca aperta, perché quell'uomo era un bianco, e si guardò attorno. C'erano tanti neri, ma anche dei bianchi. E molti dei neri aveva una carnagione chiara, come i figli che i padroni davano alle schiave.
         «Chi sei, p... signore?»
         Il vecchio sorrise. «Mi chiamo Alan Freeman.»
         Spencer scosse il capo perché non ci credeva, e l'uomo precisò: «Alan Freeman IV. Ho sempre atteso questo momento, fin da quando sono nato. Sapevo che sarebbe toccato a me.»
         «Cosa?»
         «Aprire la capsula. Ho sempre sperato che tu fossi lì, che fossi ancora vivo.»
         «Perché?»
         «Discendiamo tutti da loro, da Moses e Pheby. Tutti quelli che vedi qui, adesso, siamo la loro discendenza. La tua famiglia. Abbiamo sempre conosciuto la tua storia, ce la siamo tramandata per secoli. Il tuo coraggio è leggenda.»
         Il bambino era frastornato. «Io?»
         «Moses e Pheby ebbero altri due figli, dopo la tua partenza, e a loro raccontarono la tua storia. E quei figli la raccontarono ai loro figli. La storia di un bambino coraggioso che voleva la libertà, che era disposto a tutto pur di raggiungerla. È da te che viene il nome che ci siamo scelti, Freeman.»
         Spencer cercò di ragionare. «Alan Freeman è morto?»
         «Tanti anni fa, sì, era un mio avo. Io porto il suo nome. Anche lui sapeva la tua storia. E comprese che sarebbe toccato a lui, che era il momento. Che ti avrebbe salvato. Era un genio, sai? Un grande inventore. Dobbiamo a lui la ricchezza della nostra famiglia, fece delle scoperte straordinarie. Ma il viaggio nel tempo, quello no, non lo rese mai pubblico, quella scoperta morì con lui. La usò solo una volta, per mandarla a prendere te. Solo quella volta.»
         «Perché?»
         «Perché era importante, perché era già successo. Perché sapeva di poterlo fare. Perché tu te lo meritavi, zio Spencer. Si servì della capsula del tempo, senza che nessuno se ne accorgesse. Mise lì dentro il suo congegno e la rimandò indietro. La mandò solo per te, perché tu potessi usarla.»
         Il bambino chiuse per un attimo gli occhi. Temeva di fare quella domanda. «Sono libero?»
         Il vecchio si mise a ridere. «Certo che sei libero, Spencer Freeman. Sei libero di fare tutto ciò che vuoi. E non sei solo, non sarai mai solo, noi siamo qui per te, non abbiamo desiderato altro che incontrarti.»
         Allora riaprì gli occhi e vide intorno a sé decine e decine di volti sorridenti. Facce sconosciute, eppure non gli facevano più paura, né i bianchi né i neri. Parlavano una strana lingua, diversa da quella del vecchio.
         «Dobbiamo curare le ferite, signor Freeman» disse uno dei medici, ma Spencer lo lottò per alzarsi.
         Aveva bisogno di vedere, di sapere, di conoscere quello strano mondo che l'aspettava.
         Si fecero da parte per lasciarlo passare, come se fosse chissà quale personalità.
         Era una stanza molto grande, e Spencer la riconobbe, c'era anche in quei disegni nel libro. Quella era la scuola. Si trovava nella scuola di Alan Freeman, dove la capsula era stata sepolta.
         C'era una gigantesca finestra di fronte a lui, e Spencer si fece avanti. Restò a guardare a bocca aperta.
         C'erano colori, tantissimi colori a cui non era abituato. Strani oggetti volavano. Altri correvano a velocità pazzesca su bizzarre strade grigie. E le case! Le case erano talmente alte che toccavano il cielo, ed erano tantissime, a perdita d'occhio.
         Era quello il futuro?
         Il vecchio gli posò una mano sulla spalla. «Ce l'hai fatta, zio Spencer, tuo padre sarebbe fiero di te.»
         Papà era morto, e anche mamma. Erano morti Zeb e Miss Lily, erano morti da centinaia di anni, ormai. Spencer lasciò scorrere le lacrime.
         «Questa è la vita che sognavi, zio Spencer. Un sogno che è stato la nostra forza, che ci ha fatti diventare quello che siamo. Questa è la vita per cui hai lottato, bambino mio.»
         Anche il vecchio stava piangendo.
         «Un'altra vita» mormorò.

    FINE



    Edited by marramee - 14/4/2011, 00:48
     
    .
  2. princ3ss
     
    .

    User deleted


    SPOILER (click to view)
    Aveva una bella casa, sì, qualche volta Moses vi era entrato, dove viveva con la moglie e la figlia.
    sposterei -Aveva una bella casa, dove viveva con la moglie e la figlia; sì, qualche volta Moses vi era entrato.

    Era ancora troppo giovane per la vita nei campi, anche se Moses temeva che prima o poi li avrebbe raggiunti.
    farei -Era ancora troppo giovane per la vita nei campi, anche se Moses temeva che quel lavoro infernale non avrebbe risparmiato nemmeno lui.

    Zeb era più vecchio di lui ed era solo, ma era sconfitto, forse lo era sempre stato, fin dalla nascita.
    farei -Zeb era più vecchio di lui ed era solo; sconfitto e perdente fin dalla nascita.

    Quando la radice si staccò... (prima di questo, non manca qualcosa che lo colleghi?)(es:era preso da questi pensieri, quando la radice si stacco all'improvviso dal terreno, facendolo cadere a terra per il contraccolpo, assieme a zeb)

    trascinandoli via, assieme alle corde con cui erano legati
    farei -trascinandoli per qualche metro, assieme alle corde con cui erano legati (altrimenti sembra che si allontanino tanto mentre subito dopo si vede che sono vicini al punto di stacco della radice)

    Faticavano a respirare, non avevano la forza di alzarsi
    farei - Stremati dallo sforzo, faticavano a respirare e non avevano la forza di alzarsi. Moses...
    (altrimenti sembra che sia la caduta ad aver provocato l'affanno e la fatica, mentre è il lavoro svolto)

    Le radici l'avevano circondato
    farei -Le radici avevano circondato l'oggetto, incorporandolo come se l'albero gli fosse cresciuto intorno e non sarebbe stato facile estrarlo.(perchè lo nomini un po' sopra)

    Padron Hennessy non sapeva neppure quello
    farei - Padron Hennessy non lo sapeva e continuò...

    restavano comunque i suoi padroni, e potevano fargli ogni cosa volessero
    farei -restavano comunque i suoi padroni, e a loro tutto era concesso

    Senza Spencer ad aiutarla il suo lavoro (virgola dopo aiutarla)

    Queste frasi così brevi lo rendono un po' singhiozzante, per ciò che finora ho letto.Potresti riunirle di più coordinandole in subordinate.

    C'erano tante persone, in quel disegno, ma proprio tante. Non persone, la maggior parte erano bambini. Di adulti ce n'erano molto pochi.
    farei -C'erano tante, tante persone in quel disegno, ma la maggior parte erano bambini. Di adulti ce n'erano molto pochi. (anche i bambini sono persone)

    Sperò che Spencer si fosse aggiustato, tutto il giorno solo.
    -questa la riscriverei un po' diversa

    Li hanno scritti i bambini, tutto quanti
    - il tutto e il quanti a cosa si riferiscono?direi di toglierli che dopo è spiegato mentre detto così non suona bene

    lui era lì, era lì da cinquecento anni (qui mi hai fatto pensare ai vecchi patriarchi della Bibbia, alcuni vissero 900 anni), in realtà è un modo di dire qui? perchè Freeman è il quarto.

    Gli fece anche male alla schiena ferita, ma Spencer non se ne accorse (se dici che gli fa male, come puoi dopo dire che non se ne accorge?)

    Mi sono immersa nella lettura di questa tua storia, che mi ha appassionata via via. Hai saputo creare, dosandola sapientemente, la giusta suspance che ci svela man mano il mistero di Spencer. Ho fatto un po' di fatica a comprendere bene i lassi temporali, però tu sei stato impeccabile e non ho trovato sviste nè errori in questo senso.
    Ora tutto il racconto mi è chiaro e l'ho apprezzato molto, per la fantasia, per le connessioni fra le parti e infine per il messaggio buono che porta con sè. Bravo!

    voto 4


    Edited by princ3ss - 4/4/2011, 23:24
     
    .
  3. Fini Tocchi Alati
     
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    Letto.
    Dunque, come al solito i tuoi racconti mi affascinano sempre non poco.
    In questo caso ho trovato alcune cose che non mi quadrano.

    SPOILER (click to view)
    Anzitutto.
    A un certo punto dici che la capsula era piuttosto leggera, tanto che Moses riesce a portarla da solo con facilità. Poi, però, dentro la capsula fa ritrovare un sacco di cose e se Spencer alla fine riesce a entrarci non doveva essere proprio minuscola. Quindi l'informazione che dai all'inizio stona un po' con quello che racconti dopo.

    Poi.
    Non capisco perché Moses si disperi tanto nel seppellire il figlio. Cioè, capisco il perché, ma in questo caso avrebbe potuto facilmente constatare la scomparsa del figlio e la riuscita del progetto. Questo, però, è evidente, dipende dal funzionamento della capsula. Funzionamento che non mi è molto chiaro. Perché due sono le cose: o la capsula funziona e quindi istantaneamente Spencer viene "traslato" nel futuro (e quindi nel passato/presente non esiste più, e quindi Moses può tranquillizzarsi almeno un pco), oppure perché il progetto si compi la capsula deve restare sepolta e aspettare che venga disseppellita (e in questo caso dubito che Spencer abbia qualche possibilità di vita). C'è anche una terza possibilità, e cioè che io non ci abbia capito una cippa e che mi sia sfuggito qualche (importante) passaggio :) .

    La storia è molto bella anche se, secondo me, troppo spezzettata. Ci sono una miriade di capitoletti che segnano tanti piccoli passaggi di tempo e tutto questo segmentarsi tende un po' a spezzare la tensione che sei bravo a creare.
    I personaggi poi li ho trovati un pizzico troppo stereotipati. I due personaggi migliori, secondo me, Spencer e Miss Lily, li lasci un po' troppo in disparte. In effetti tutto il racconto si basa in modo massiccio su Moses, mentre forse potevi lasciare più spazio ai due ragazzi.

    Tutta la scena finale è suggestiva ma mi pare non troppo credibile. Poco credibile, cioè, mi pare tutta la giustificazione del racconto (una capsula creata dagli eredi di Spencer che conosciuto il suo coraggio (per aver utilizzato la capsula...) mettono a punto la capsula per portarlo nel futuro, eccetera, eccetera). A parte i noti problemi di paradosso che comporta un'impostazione del genere, mi domando: ma Alan Freeman come poteva sapere che la capsula sarebbe stata in effetti ritrovata da Spencer? In effetti lo avrebbe scoperto solo Alan Freman IV. O meglio: come poteva credere che Spencer avrebbe scoperto come utilizzarla? In fondo ci aveva messo dentro solo disegni e libri. Una bella lettera chiarificatrice, no? E' chiaro che ci troviamo di fronte a un cane che si morde la coda, ma i viaggi nel tempo portano sempre di questi problemi che minano la credibilità.

    Insomma, un bel racconto che, stavolta, non mi lascia del tutto soddisfatto.
    In ogni caso, meno di 3 non posso certo metterlo! :)
     
    .
  4. marramee
     
    .

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    per Fini Tocchi Alati
    Due spiegazioni che spero lo rendano più comprensibile:

    SPOILER (click to view)
    La capsula è abbastanza leggera, e poi dopo ne parlo come di una pentola, perché contiene solo tre libri, qualche quaderno, delle lettere, un orologio, delle riviste e un album fotografico. Per Moses che credeva fosse tutta di ferro è leggera. Inoltre lui parla di ferro ma può trattarsi di altro materiale che lui non ha modo di conoscere, quindi più leggero.

    Non è la capsula che si muove nel tempo, ma ciò che contiene. Però la capsula deve trovarsi sempre nello stesso punto perché ci sia un punto di arrivo. Anche alla fine Alan Freeman IV dice che è sempre stata lì per 500 anni. Per questo nessuno osa toccarla e aprirla in anticipo. Forse avrei dovuto spiegarmi meglio, ma ho immagino quei cinque secoli dentro la capsula come una stasi fuori dal tempo e dallo spazio, tipo il gatto di Schrodinger, ma non era molto facile spiegare questo concetto nel 1750.

    La storia è incentrata su Moses perché... ehm, è stato scritto per Grand Prix dove c'era l'obbligo di usare un protagonista maschile adulto.

    Be', Alan Freeman sapeva che Spencer avrebbe trovato la capsula e l'avrebbe utilizzata semplicemente perché così era stato tramandato nella sua famiglia, quindi sapeva che Spencer sarebbe partito. Non poteva sapere se sarebbe arrivato, ma partito sì.
     
    .
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    SPOILER (click to view)
    Premetto che il racconto soffre di un tipico problema da viaggio temporale, altrimenti detto: "come cavolo si capiscono Spencer e le persone del futuro?"
    In effetti l'hai perfino menzionato il problema, quando Miss Lily non riesce a leggere bene i libri del 2050, ma poi le conversazioni tra un ragazzo del 1750 e della gente del 2250 si svolgono come niente fosse. Mi rendo conto che comunque è un problema che spesso viene bellamente ignorato in questi casi, tu però sei a metà strada, lo citi prima e lo ignori del tutto poi.
    Per il resto il loop temporale è pulito, niente problemi di paradossi e simili, e il racconto in sé procede bene.


    Voto 3.

    CITAZIONE (marramee @ 1/4/2011, 01:18) 
    La frusta schioccò, ma fu Zeb a essere colpito.

    Mi sfugge la logica di quel "ma". Doveva essere colpito qualcun altro? E se sì chi? Fin qui non sappiamo niente dei presenti, solo ora sappiamo che esiste qualcuno che si chiama Zeb, e il fatto che "ma" sia stato colpito lui suona strano: quale doveva essere l'alternativa?

    CITAZIONE (marramee @ 1/4/2011, 01:18) 
    Il bue era davanti a loro, e anche lui spingeva, gli zoccoli puntati sul terreno. La frusta colpì pure lui, che muggì.

    Spingeva? Non tirava?

    CITAZIONE (marramee @ 1/4/2011, 01:18) 
    Possedeva solo due schiavi in grado di lavorare nei campi, Zeb e Moses. La moglie di Moses, Pheby, cucinava per loro e Spencer, il loro unico figlio, grazie al cielo la aiutava in casa servendo in tavola.

    Cucinava per loro chi?
    Non per il padrone perché è singolare (la frase precedente inizia con "Possedeva" infatti), ma neanche per gli schiavi presumo.

    CITAZIONE (marramee @ 1/4/2011, 01:18) 
    Moses studiò lo strano oggetto che era impigliato alla radice che avevano estratto e comprese perché era stato così complicato tirarla fuori.

    Ci si impiglia "in" e non "a" qualcosa.
    Personalmente questa frase la snellirei un po', eliminando sia il "che era" sia il "che avevano estratto"

    CITAZIONE (marramee @ 1/4/2011, 01:18) 
    «Cos'è, padrone?» osò chiedere Zeb.
    Non lo sapeva, ma forse lo sospettava, perché era sempre più preoccupato.

    Chi? Se è sempre Zeb l'a capo fuorvia.
    Se non è lui non si capisce chi sia.
    Ho fatto la rima. :blink:

    CITAZIONE (marramee @ 1/4/2011, 01:18) 
    Pheby l'aveva già curato, infatti aveva un impacco sulle spalle, ma alcune gocce di sangue l'avevano già sporcato. Aveva otto anni, ma era così piccolo e fragile da dimostrarne solo sei.

    Presumo che a essere sporcato sia stato l'impacco, però messa così è il ragazzo, dato che "infatti... spalle" sembra un inciso.
    Potresti mettere un punto e virgola dopo "curato" ma ti crei il problema opposto perché poi "impacco" diventa anche il soggetto di "Aveva otto anni".

    CITAZIONE (marramee @ 1/4/2011, 01:18) 
    Forse proviene da Atlantide, chi lo sa, si dice che sia pure esistita. Forse...» Si bloccò e scosse il capo. «Ma che stupidaggini sto dicendo! Proviene dal futuro e basta!»

    Be', oddio, non è che la seconda opzione sembri più sensata delle precedenti dopo tutto :rolleyes:

    CITAZIONE (marramee @ 1/4/2011, 01:18) 
    «Spencer dice che è questo. È questo che gli ha permesso di tornare indietro. Dice che segna la data di oggi.»

    Ma non è passato un giorno intanto?

    CITAZIONE (marramee @ 1/4/2011, 01:18) 
    «Questo indica la destinazione, ma da solo non basta. È la capsula il mezzo. No, non è una capsula del tempo, dev'essere qualcosa di diverso.»

    È un po' strana come frase se consideri che loro non sanno cosa sia di solito una capsula del tempo.

    CITAZIONE (marramee @ 1/4/2011, 01:18) 
    Dobbiamo a lui la ricchezza della nostra famiglia, fece delle scoperte straordinarie. Ma non il viaggio nel tempo, quello no, non lo rese mai pubblico,

    Ehm... scritta così letteralmente è "fece delle grandi scoperte ma non il viaggio nel tempo", ma lui l'ha scoperto il viaggio nel tempo. Magari togli il "non" dopo "Ma"

    CITAZIONE (marramee @ 1/4/2011, 01:18) 
    La usò solo una volta, per venirti a prendere.

    Ma non c'è andato lui a prenderlo. :huh:
     
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  6. marramee
     
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    per CMT

    SPOILER (click to view)
    Sono stato vago in quel punto, però ho detto che Alan Freeman IV era un'intera vita che si preparava a quell'incontro. Potrebbe aver ovviato lui al problema, studiando con che lingua accogliere Spencer. In fondo è lui solo che gli parla direttamente. E poi non è detto che Spencer abbia capito proprio tutto quello che gli veniva spiegato. :D :D

     
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    Losco Figuro

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    CITAZIONE (marramee @ 4/4/2011, 17:15) 
    Sono stato vago in quel punto, però ho detto che Alan Freeman IV era un'intera vita che si preparava a quell'incontro. Potrebbe aver ovviato lui al problema, studiando con che lingua accogliere Spencer. In fondo è lui solo che gli parla direttamente. E poi non è detto che Spencer abbia capito proprio tutto quello che gli veniva spiegato. :D :D

    Ho tenuto conto di entrambe le cose :)
    Ma da un lato, è difficile studiare una lingua attraverso 500 anni di distanza, con solo un minimo di documenti orali probabilmente (ammesso che anche quelli siano in qualche modo usufruibili), dall'altro non c'è il minimo accenno che faccia pensare a una difficoltà di comprensione da parte di Spencer.
    È comunque una cosa secondaria, il racconto non viene certo sminuito da questo, ma credo ci vorrebbe poco a risolverla.

     
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  8. margaca
     
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    Rispetto ai tuoi racconti, questo non mi ha convinto completamente, soprattutto per la difficoltà che ogni tanto si fa a seguire i ragionamenti e le spiegazioni per il viaggio nel tempo della capsula. In alcuni tratti, soprattutto nel finale, l'ho trovato un po' macchinoso, è un racconto dove c'è troppo bisogno di spiegazioni e troppo spesso, ogni riga c'è il rischio di perdersi. Sarebbe un due e mezzo, arrotondo a 3 per la stima verso di te :-)
     
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  9. Dieguito_85
     
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    Il racconto è molto bello. E, a una prima lettura, affascina tanto.
    Diciamo che l'inizio non brilla per originalità (il disseppellimento di un oggetto futuribile è storia antica), ma l'ambientazione è resa bene, e anche i dialoghi e tutto il resto. Dosi con capacità ed esperienza lo scorrere della storia; tuttavia non vanno taciute alcune perplessità espresse in precedenza, come quelle di CMT e di FINI tocchi Alati, che tu in parte hai comunque chiarito.
    Quindi dico: molto bello, ma non perfetto. TRe pieno. Bravo!
     
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    "Ecate, figlia mia..."

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    Mi è piaciuto, piuttosto anzichenò. Una scrittura scorrevole e chiara, con solo qualche passaggio meno chiaro del resto. Pochi errori o refusi, e sono siuro che una seconda revisione lo renderà un buon racconto.

    Anche la storia in sé, abbastanza riuscita. Non ho capito bene come funzioni il viaggio nel tempo, ma presumo sia un mio limite...

    Qualche appunto:

    CITAZIONE
    Spencer guardò a bocca aperta quell'involucro, che era più grande di lui

    Ti consiglio di dire subito e precisamente quanto sia grande la capsula, perché rischi di creare confusione in chi immagina la scena. Prima parli di un proiettile "enorme", poi (vista la facilità con cui lo porta in casa) dài idea che sia più piccolo di un metro; adesso che è più grande del bambino, che ha 8 anni... Quindi è meglio se lo dici al ritrovamento quanto è grande...

    E ancora: all'inizio dice che "era stato difficile estrarre la radice forse a causa dell'oggetto", lasciando intendere che non solo sia grande, ma anche molto pesante... Peccato che poi lo stesso oggetto venga maneggiato pure da un mingherlino come Spencer...

    CITAZIONE
    Pheby strinse le labbra, cercando di trattenersi, senza però riuscirci. «Tu lo sai leggere, Spencer?»
    Persino Moses sobbalzò. Era sbagliato, terribilmente sbagliato, se i padroni l'avessero scoperto non se la sarebbe cavata con qualche frustata. Ma non era colpa di Spencer, era Miss Lily la causa di tutto.

    Ma la causa di tutto di cosa? Che relazione c'è tra il fatto che Spencer può leggere grazie alla ragazza con quella che potrebbero essere scoperti dal padrone? Che colpa ne ha la ragazza? Il piccolo, anche sapendo leggere, non influenza affatto che il parone possa scoprire tutto. Non l'ho ben capito, questo passaggio...

    CITAZIONE
    Quaderni, tutti scritti. E infine un libro strano, quadrato, molto grosso.
    Spencer se ne appropriò. Lo aprì prima che potessero fermarlo.
    [...]
    Moses si sentì di colpo malissimo. Chiuse il libro di scatto e disse: «Bisogna farlo sparire, subito! Bruciamolo!»

    E' meglio dire che "strappò il libro dalle mani del bambino", prima di farglielo chiudere.

    CITAZIONE
    Allora Moses si fece avanti, sempre restando in piedi.

    Uno schiavo coraggioso, visto che di solito i neri camminavano strisciando se al cospetto dei bianchi image

    CITAZIONE
    «Significa che questa capsula verrà seppellita fra trecento anni.»

    Sei sicuro che nel 1750 ci fossero già nell'aria, almeno nel nord, venti di libertà per gli schiavi? Te lo chiedo perché la ragazza ne parla spesso, e Spencer stesso sogna di poter raggiungere quelle terre del nord in cui non esiste lo schiavismo...


    Voto: 3

     
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  11. luigi bonaro
     
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    i personaggi della tua storia sono molto ben definiti e caratterizzati.

    Buona l’introspezione psicologica.

    La narrazione e ritmo: sono un po’ fiacchi nella parte del ritrovamento della capsula. E’ quella una parte in cui hai bisogno di più parole per definire il cambiamento e la novità nei personaggi, tutti intorno allo strano oggetto ritrovato.

    Dialoghi: sono ben sviluppati ed esprimono il sentire dei personaggi.

    Scene: molto ben delinenate.

    Anche in questo caso tema letterario classico strautilizzato sul mondo contadino con elemento esterno rappresentato dal futuro che si affaccia. Lo scontro tra due mondi.

    Anche in questo caso, come per il racconto di Magister Ludus, come per le novelle di Verga, il realismo in generale, mi sembra che l’idea del futuro assuma come per tutti gli altri un valore negativo. Nel tuo romanzo si immagina un tardo '700 ma a livello di funzionamento abbiamo le stesse dinamiche.

    Era quello il futuro?
    Il vecchio gli posò una mano sulla spalla. «Ce l'hai fatta, zio Spencer, tuo padre sarebbe fiero di te.»
    Papà era morto, e anche mamma. Erano morti Zeb e Miss Lily, erano morti da centinaia di anni, ormai. Spencer lasciò scorrere le lacrime.
    «Questa è la vita che sognavi, zio Spencer. Un sogno che è stato la nostra forza, che ci ha fatti diventare quello che siamo. Questa è la vita per cui hai lottato, bambino mio.»
    Anche il vecchio stava piangendo.
    «Un'altra vita» mormorò.


    L’idea classica del mondo contadino italiano dove, il progresso porta sicuramente evoluzione ma questa evoluzione è vista comunque in senso negativo perchè porta cmq sofferenza è ben delineata. Alla fine non resta che vivere la nuova vita con l’amarezza della perdita.

    Tecnica narrativa: sviluppi lentamente i vari passaggi aggiungendo elementi al tessuto narrativo in modo progressivo. Molto buona.

    Interno della capsula. Un costante e reiterato C’erano. Penso che sia voluto. E’ una scelta che non condivido.

    C'erano cose dentro. Oggetti.
    C'era un quadrato con dei segni luminosi che si muovevano. Parevano numeri.
    C'erano lettere, un pacchetto di lettere.
    C'erano delle medaglie, almeno credeva che fossero medaglie, come quelle che
    Poi c'erano quelli che sembravano giornali
    C'erano delle scritte nella prima pagina.


    Quindi. Struttura molto elaborata e precisa. Un po’ fiacca a tratti la narrazione/ritmo per via di esigenze descrittive. Introspezione psicologica dei personaggi molto buona. Tema piuttosto utilizzato/consumato (mondo contadino letterario+progresso vissuto in maniera negativa) ma sviluppato in maniera originale (capsula del tempo). Alcuni elementi non proprio belli stilisticamente “C’era/c’erano”.
    Spero che il mio commento possa essere d’aiuto.

    Vorrei dilungarmi di più nell'analisi del testo ma sono a 2 giorni dalla chiusura e vorrei provare ad aiutare anche altri che mi hanno dato una mano così come me l'hai data anche te.

    Voto: 3

    A presto,
    Un saluto,
    L.
     
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  12. marramee
     
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    Ringrazio tutti per i commenti. Ho revisionato la storia tenendo conto di tutti i vostri suggerimenti.
    In particolare ho molto semplificato il meccanismo del viaggio del tempo e spero di aver risolto il problema della lingua nel finale.
     
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  13.  
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    Amante Galattico

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    Ciao,
    racconto #7

    SPOILER (click to view)
    Sinceramente non sono convinto, e a parecchi livelli.
    A parte le intenzioni, belle senza dubbio, c'è proprio una insistita forzatura a voler illustrare al lettore quello che deve pensare invece di dargli solo gli strumenti per farlo: non sto parlando di un semplice show don't tell, sia chiaro, che riguarda un livello stilistico... ma proprio a livello concettuale.
    C'è tutto un problema relativo alla capsula, che sembra essere grande o piccola a seconda dell'uso che se ne fa. Se è grande per farci stare un bambino (e gli oggetti prima), che ci fa sopra il tavolo della casetta?
    Il problema maggiore ce l'ho però con l'atteggiamento di quasi tutti i personaggi: sono tutti troppo illuminati, troppo intuitivi su tutto quello che hai messo come storia dietro l'apparizione della capsula. Da un lato li dipingi come poveri schiavi ignoranti (come, ahimé lo erano), ma poi gli regali delle capacità intuitive che non troveresti neppure oggi, gli metti in bocca dei concetti che non erano immaginabili allora, li fai parlare come persone contemporanee e non del 1750.
    Strumentale (come impostazione) è poi tutta la parte in cui la famiglia tramanda direttamente la storia di Spencer ai posteri... anche senza considerare il paradosso temporale (di chi mette in moto cosa), più che il coraggio (? termine che trovo fuori luogo, o che si riallaccia troppo alla preveggenza intuitiva) dovevano lasciare leggenda della strana sparizione.
    Semplicistico è anche il passaggio del: dato che dovevano farlo, inventò una macchina del tempo giusto perché era un genio, ma lo tenne per sé. Magari fare qualcosa per salvare i milioni di negri che non erano suoi parenti magari?
    Come stile ho trovato qualche imperfezione: soprattutto una presenza di interiezioni di troppo nel discorso indiretto che ogni tanto si mettono in mezzo nella lettura. Anche una riduzione dei "che" [sto cercando di ridurre pure io una certa abbondanza, mica facile lo so].

    Metto un 2, sorry

    VARIE
    -"15122050" - se è una data "americana" va scritta con il mese davanti: quindi (ho messo i trattini per chiarezza) 12-15-2050"
    -"Sperò che Spencer si fosse aggiustato, tutto il giorno solo." - aggiustato?
     
    .
  14.  
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    Magister Abaci

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    Alpha Ceti

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    Il racconto ha un buon inizio...
    SPOILER (click to view)
    mostrando uno spaccato di vita quotidiana nelle piantagioni nel sud degli Stati Uniti (o meglio delle colonie, visto il periodo storico), ma poi si perde in troppe spiegazioni. La cosa che non mi ha troppo convinto sono proprio quei dialoghi in cui si spiega al lettore cos'è il presunto proiettile e cosa dovrebbe fare. Da questo punto di vista, risultano tutti troppo intelligenti, o meglio aperti mentalmente, per comprendere al volo certe cose. Non si capisce poi perché scegli il 1750 invece del 1850, data che avrebbe risolto o attenuato molti problemi di ambientazione storica e di comprensione linguistica. Se la scelta è dovuta ai limiti imposti nel GP, non mi sembra proprio il caso di mantenerli passando a USAM.
    Ho poi notato troppa ambiguità nel descrivere la capsula. Sembra cambiare forma e dimensioni durante il racconto. Inoltre, il funzionamento è poco chiaro e non si capisce come facciano gli schiavi a intuire che dovesse essere ricollocata nel luogo del ritrovamento, ma soprattutto mi sono chiesto come abbiano fatto a ritrovare il punto esatto.

    C'è poi il problema di aver inventato e costruito una macchina del tempo per utilizzarla una volta sola. Per quanto si possa essere geni, certe invenzioni sono raramente il frutto di un'unica mente (di solito infatti le scoperte vengono fatte perché i "tempi sono maturi" e nel giro di qualche anno un altro genio sarebbe arrivato alla stessa scoperta), ma di obiezioni di questo tipo se ne potrebbero fare tante in molti racconti di fantascienza e quindi sorvolo sulla faccenda ;)

    Per quanto riguarda i personaggi, non ho ben capito a cosa servisse il secondo schiavo. Se ne parla all'inizio, si fa credere che sia importante, ma poi resta sempre ai margini della storia: non è mai servito a nulla, mentre tutti gli altri hanno un ruolo necessario nella vicenda.

    Questi sono i punti che non mi hanno convinto. Per il resto, la scrittura è come al solito adatta a raccontare senza stancare, nonostante i lunghi "spiegoni" messi in bocca ai personaggi. Inoltre l'idea di mettere a contatto due mondi così distanti tra loro sia temporalmente che come mentalità è interessante: forse poteva essere trattata puntando a svolgere proprio quest'ultimo aspetto.

    Voto: 3.

    Ci sono due frasi che non ho compreso. Mi sembra manchino delle parole, ma non capisco quali:
    CITAZIONE
    Restò in silenzio a lungo, poi si mise a passeggiare, sempre più nervosa. Iniziò uno strano discorso, che Moses non comprese del tutto. «Perché? Io odio la mia vita, questo non è il mio mondo! Credi che sia facile essere una donna, dover sempre dire di sì? Se c’è...

    CITAZIONE
    «Dobbiamo curare le ferite, signor Freeman» disse uno dei medici, ma Spencer lo lottò per alzarsi.

     
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  15. MichelaZ
     
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    Una delle cose che sento ripetere da quando ho inziato a girare da queste parti è "non date giudizi di pancia, il web ne è pieno e non servono".
    Sacrosanto: però questo tuo racconto, che può avere qualche imprecisione, me lo sono goduto da cima a fondo, l'ho letto per il solo piacere di leggerlo, e ci tengo a dirtelo.
    Inoltre come impianto generale mi ha dato una gran soddisfazione.
    Per esempio. la frase: "E non sei solo, non sarai mai solo, noi siamo qui per te, non abbiamo desiderato altro che incontrarti." Questa frase fa assolutamente leva sull'emotività: io m'ero affezionata a quel povero marmocchio che pur di andarsene da lì aveva il coraggio di mollare la propria famiglia e la propria vita, e mi dispiaceva pensarlo come un alieno in mezzo a un mondo incomprensibile. Di qui la mia soddisfazione e il mio piacere nel leggere questa frase.
    Va bene non dare giudizi basandosi sull'emotività, ma negare questa componente mi sembra stupido: negare a te il fatto di aver saputo intuire e gestire molto bene questo elemento sarebbe farti un torto.
    BRAVO! :)

    Dunque, l'orologio non mi convince.
    Da quello che intuisco si tratta di un orologio digitale con dei pulsanti, giusto?
    Ecco, io non penso proprio che nel 1750 potessero capire che quello era un orologio, che quei numeri erano un'ora e una data, il povero Moses non sapeva nemmeno contare...
    Altra cosa che trovo improbabile, se pure più accettabile. va bene non saper leggere, ma dici che nemmeno contare? Avrei detto che per una vita in campagna fosse un'abilità necessaria.
    Tornando all'orologio, per quanto fosse intelligente Spencer l'ha capito davvero troppo facilmente.

    Per non dire di quanto facilmetne abbiano saputo intuire il funzionamento della macchina del tempo per tornare indietro, anzi avanti: mio padre non sa nemmeno mandare un SMS...

    Poi, un'altra cosa che non mi ha convinto è che Alan Freeman sia morto quattro generazioni prima.
    1) uno che studia una capsula del tempo e non lo dice a nessuno è improbabile
    2) un bambino che cerca di recuperare un proprio avo come ha fatto Alan, perché progetta una riapertura secoli dopo? Mi aspetterei che la seppellisse e la riaprisse un istante dopo, per incontrare Spencer
    3) Essendo lui appunto un bambino, come poteva progettare quella grandiosa cerimonia di riapertura? O dicendo a qualcuno cosa aveva inventato, ma a quel punto l'invenzione sarebbe stata sfruttata, o aspettando di diventare adulto e lasciando detto di farlo solo dopo, una volta acquisita la necessaria credibilità: ma era troppo rischioso... no, questo punto "grippa" :P

    Inoltre è un po' troppo facile come Spencer si muova relativametne tranquillo in un mondo tanto diverso.
    Intanto ha solo otto anni, poi non ha visto niente oltre il campo e la casa, e non è andato a scuola: mi aspetterei che fosse atterrito, shockato, diffidente e incredulo.

    Il ruolo di Zeb mi ha lasciato un po' confusa... cosa fa lui? Mi aspettavo un ruolo più attivo.

    Anche Moses, lo vedo poco figlio del suo tempo e del suo ambiente: è fin troppo una brava persona.
    Chi subisce abusi come queste persone si porta dentro una rabbia incontrollabile: mi pare strano che non la sfoghi sul figlio, non dico picchiandolo, ma facendo il padre padrone e distruggendo tutto.
    Per non parlare di quando ha trovato la figlia dei padroni nella loro baracca, dopo che Spencer gli aveva giurato di non toccare mai più la capsula: mi dici che "Moses non aveva il coraggio di aprire bocca", mentre me lo immagino quantomeno infuriato col figlio. Allo stesso modo metnre poi brucia i quaderni, mi dici che stava sempre peggio, e non ne dubito, ma torno a ripetere che manca la rabbia in tutto questo, e la violenza e l'irrazionalità di una vita da bestie.

    Resta il fatto che il racconto mi è piaciuto, che sei abile e hai gestito bene le tue carte :)
    A conti fatti metto 3.
     
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15 replies since 1/4/2011, 00:18   293 views
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