Questione di sangue
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Questione di sangue

di Mara Capotosto - storico, 22.500 caratteri circa

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  1. Yue07
     
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    SPOILER (click to view)
    Ritorno su USAM dopo un lungo (lunghissimo? :D ) periodo di assenza e con un genere con cui sto iniziando a destreggiarmi da pochissimo, ma che amo molto. Speriamo in bene :P


    “Trecento.”
    “Duecentocinquanta.”
    “Duecentottanta.”
    “Duecento.”
    “Satanasso!” scattò il vecchio Bernard picchiando un pugno sulla tavola, tanto che i bicchieri ivi posati traballarono. “Duecento pezzi da otto per due schiave? È un furto!”
    “Tentennate ancora e la mia offerta continuerà a calare, messere.”
    “Siete un ladro!”
    “Solo un uomo poco avvezzo a perder tempo colla feccia” replicò il suo interlocutore, sorridendo furbo da sotto l’ampio cappello; i suoi vestiti in pelle erano lordi di sangue rappreso.
    “Allora, Bernard? Volete che i duecento pezzi divengano centottanta?”
    Ma il proprietario della locanda, grinzoso ma ancora robusto e in salute, era poco propenso a dargliela vinta. “Perché dovrei cedervi due mie proprietà per codesta miseria?” borbottò, gli occhi iniettati di sangue.
    “Chiamate proprietà una puttana che vi rende sempre meno? Vi faccio un favore, messere, al mercato non la vorrebbe più alcuno.”
    “E perché la vorreste, voi? Se non sbaglio è la marmocchia, che v’interessa”. Bernard era iroso e avaro, doti che peggioravano col passare degli anni, ma di certo non stupido. E l’uomo dinanzi a lui non tardò a capirlo. “Se compro anche la negra, è per evitarmi l’impiccio di cercare una balia di certo più costosa” sibilò, punto sul vivo.
    “Ci tenete parecchio, alla mocciosa” ghignò il locandiere. “Forse che vi state rammollendo, Durand? Il vostro comandante non ne sarebbe felice.”
    “Vedo che amate le chiacchiere più del denaro, messere. Centosettanta pezzi da otto, è la mia ultima offerta”.

    Dinah si lasciò alle spalle senza alcun rimpianto la stanza ove il nostromo Roques aveva preso a russare sonoramente. Il lezzo di sudore, letto e alcol impregnava qualunque stanza della locanda, ma questo non significava che lei ci fosse avvezza: ogniqualvolta veniva trascinata al piano di sopra dall’ennesimo cliente doveva fare sforzi sovrumani per impedirsi di rimettere il cibo, che il padrone le passava giusto per tenerla in carne e renderla più appetibile.
    Neanche il bugigattolo concessole da Bernard si salvava dagli odori pregnanti, dovuti perlopiù alla scarsa igiene. Dinah, come sempre, si sentì mancare il respiro, mentre la piccola Marianne sembrava non farvi caso: guardò appena la madre entrata in quel momento, per poi tornare a occuparsi della sua bambola, confezionata alla buona con avanzi di stoffa che la prostituta aveva sottratto alle proprie vesti pur di ottenere qualcosa che potesse baloccare la sua bambina.
    Marianne era malvestita al pari della sua controparte di pezza, con un abitino rappezzato in vari punti e più corto del dovuto, tanto da metterle allo scoperto le gambette smagrite. Dinah aveva da tempo perduto quel poco di pudore di cui una qualunque donna avrebbe dovuto disporre, ma al vedere sua figlia così palesemente messa in mostra arrossì di vergogna: sapeva, fin troppo bene, quali progetti Bernard avesse in serbo per la piccola mulatta, una volta che fosse cresciuta.
    Si era appena voltata verso l’angolo, ove teneva l’unico secchio d’acqua a sua disposizione, quando la figura comparsa sulla soglia la costrinse a gettare un grido. “Zitta, stupida” le intimò Durand afferrandola per un polso; Marianne, spaventata, scoppiò in lacrime, lasciando cadere la sua bambola. Era alla piccola che andava lo sguardo del bucaniere, e Dinah non poté non accorgersene: era uno sguardo attento, avido, quasi che Durand cercasse nei lineamenti della mulatta qualcosa che potesse appartenergli.
    “Perché siete qui?” mormorò la prostituta con un filo di voce. Ottenne in risposta un ghigno sbilenco, che mise in mostra i denti bruniti del bucaniere. “Diavolo, dov’è finito il tuo acume? Eppure una volta eri molto abile a capire ciò che desideravo.”
    “Marianne…”
    “…mi appartiene, al pari di te. Fa’ smettere di piangere la marmocchia; vi ho comprate, tutt’e due, e ho intenzione di portarvi via quanto prima da questo porcile”.

    Dinah avanzò timorosa in quella che d’ora in poi sarebbe stata anche casa sua, con Marianne che le si era abbandonata in seno: la stanchezza aveva avuto la meglio sulla paura, e la sua testolina fattasi pesante aveva finito per posarsi sulla spalla della madre. Durand guidò la negra attraverso l’ingresso, indicandole spiccio una branda ove avrebbe potuto posare la bambina; pareva ansioso di parlare con la donna al più presto, e Dinah si affrettò a mettere a letto Marianne, coprendola con un vecchio lenzuolo che aveva trovato; un gesto di protezione istintivo, mirato a celare per quanto possibile le piccole forme ancora acerbe della mulatta. Non sapeva ancora quali intenzioni avesse Durand.
    Il bucaniere l’attendeva dinanzi a un tavolo, ove troneggiava un grosso fiasco d’aguardiente. Non fu difficile, per lui, leggere la paura negli occhi della donna; ne fu alquanto divertito. “La bambina è al sicuro, qui” spiegò. “È mia e certo non l’ho comprata per farne un giocattolo per uomini.”
    “Allora perché?”
    “Uh...! Mi deludi, ancora una volta” commentò il francese, scoppiando in una risata roca che indicava un generoso uso di tabacco. “I negri sono null’altro che stupide bestie, ma tu sei sempre stata sveglia. Che ti piglia? Ti metto forse in imbarazzo?”. Le girò attorno, fino a fermarsi dietro di lei; le pose con forza la testa nell’incavo del collo, aspirando voluttuoso l’odore della sua pelle color carbone. Alle nari di Dinah giunse prepotente quello del sangue: i bucanieri, prima ancora che uomini di guerra e formidabili tiratori, erano cacciatori abili nella macellazione degli animali da loro uccisi, e i cui pezzi venivano cotti nel boucan, specie di graticola da cui tal razza di gente prendeva il nome.
    “Hai paura?” le domandò Durand.
    “No” fu la sicura risposta. La schiava, dopo i primi istanti di confusione, era tornata padrona di sé: l’uomo che ora le percorreva il corpo con ruvide carezze non era molto diverso dai suoi camerati, dalla gente di Cayona che sperperava i propri averi in mille modi, prima di tornare in mare per conquistarne altrettanti. Incerti se Dio avrebbe concesso loro di riveder l’indomani, i filibustieri e i bucanieri dell’Île de la Tortüe vivevano giorno per giorno, al massimo delle loro possibilità, inconsapevoli schiavi di quei piaceri che quotidianamente ricercavano.
    E questa dipendenza dalla carne, talvolta, poteva renderli vulnerabili.
    Dinah aveva conosciuto Durand anni prima, e sapeva come fosse attratto dal suo corpo. Il tempo era passato anche per lei, avvizzendole la pelle segnata dalle percosse del padrone, ma ciò non diminuiva l’eccitazione crescente del bucaniere, che le umettava la schiena con la punta della lingua. Le sue mani callose le stringevano l’abito con tale forza da rischiare di strapparlo, ma di questo la schiava fu felice: Bernard la costringeva a vestirsi di bianco, per meglio esaltare il colore naturale della sua pelle, scuro più di gran parte degli schiavi. Un contrasto che Dinah odiava dal profondo dell’animo, perché le ricordava, anzi le sbatteva in faccia, quella sua diversità che aveva fatto di lei una schiava, un ottuso essere senza identità e dignità.
    La donna avrebbe fatto a brandelli con le sue mani la stoffa che le cingeva il corpo, ma sapeva come Durand preferisse spogliarla di persona, e lo lasciò fare, come lasciò che se la posasse in grembo, una volta calatosi i pantaloni. “Ho tolto te e tua figlia dalle sozze mani di quel verme” le mormorò all’orecchio il bucaniere. “Merito un qualche ringraziamento, non trovi?”.
    La schiava non rispose, affondando le mani nella capigliatura arruffata del bucaniere. Lo sentiva muoversi sotto di lei, rude e insaziabile, e ormai prossimo a venire; si strappò al senso di stordimento che le aveva pervaso le membra, tappandogli la bocca con la propria quando si accorse che stava per cacciare un urlo. “Sveglierete Marianne” gli sussurrò a fior di labbra, con inaspettata lucidità. Ottenne in risposta un verso non dissimile dal cupo brontolio d’un animale, sazio e per questo più docile. Durand la rovesciò su un giaciglio nell’angolo, quasi schiacciandola col suo corpo, e lei gli si avvinghiò contro, circondandogli il torace robusto con braccia e gambe, con un trasporto che lasciò interdetto lo stesso bucaniere. “Non credevo… ti fossi mancato…” ansimò l’uomo.
    Ancora una volta Dinah tacque: Durand non poteva capire cosa realmente la spingesse a comportarsi in quel modo; lui non era mai stato uno schiavo, costretto a dipendere da qualcuno senza possibilità di difendersi, fin dalla più tenera età. A dispetto di ciò che si diceva, quelli della sua razza non erano dissimili dai bianchi per sentimenti e ragione; era la condizione forzata di schiavitù a favorire il loro abbruttimento fisico e morale, la loro incapacità a non sentirsi altro che merci, il loro attaccamento a uomini che in qualche modo si mostravano clementi verso di loro, anche di poco. Un asino tirato su a carote anziché a bastonate prenderà a seguire ovunque il suo padrone, anche se volesse condurlo al macello.
    Dinah non era priva d’intelligenza, ed era stata nel mondo abbastanza a lungo da imparare a comprenderlo, ma convivere con uomini schietti e privi di morale come i filibustieri non l’aveva esonerata da quel senso di dipendenza che raramente l’abbandonava. La donna non aveva mai desiderato libertà o rivalsa, non perché fosse ottusa, ma semplicemente perché tali concetti le erano del tutto ignoti: non li aveva mai provati, né qualcuno gliene aveva parlato.
    Raramente Dinah aveva avuto a che fare con persone che non la battessero o comunque limitassero le violenze nei suoi confronti. Durand era una di queste.

    Edmònd Bernard era un vecchio filibustiere “in pensione”, per così dire. Arricchitosi sotto l’Olonnais e Michel Le Basque, artefici della fortunata presa di Maracaibo del 1666, si era ritirato a vita privata mettendo su una locanda, una delle tante lì a Cayona. Bernard, al pari dei suoi vecchi colleghi, vestiva con abiti sfarzosi e vivaci, frutto di svariate rapine, e spendeva subito gran parte dei suoi guadagni, escluso il necessario per mandare avanti la baracca. L’unico oggetto che ancora conservava era un orologio da tasca, una rarità per quell’epoca,che a giudicare dal fregio sulla cassa doveva essere appartenuto a qualche riccone.
    Dinah era analfabeta, come naturale per una della sua condizione, ma le era stato insegnato a riconoscere i numeri, affinché i clienti non l’ingannassero circa le tariffe. Dunque non era difficile, per lei, distinguere le cifre sul quadrante di quella piccola meraviglia, che spesso Bernard esibiva con orgoglio dinanzi ai suoi clienti.
    Durand, tre anni prima, serviva come bucaniere su un vascello di infima importanza, pur desiderando combattere al soldo di capitani della risma di de Grammont o di de Graaf. Dopo aver passato mesi e mesi sul mare, ove poteva contentarsi solo di mozzi piacenti o, alla meno peggio, di vecchie schiave malandate, era naturale che desiderasse sfogare i suoi istinti su bocconi più appetibili. Il bucaniere conosceva Bernard, anche se non si era mai recato nel suo regno; Dinah l'aveva visto entrare per la prima volta nella locanda in un’afosa serata di luglio, mentre era occupata a servire ai tavoli, con le mani di molteplici avventori che le carezzavano i seni scoperti.
    Durand l'aveva guardata di sottecchi per un po’, prima di afferrarla per un polso e trascinarsela al piano di sopra; al contrario di molti suoi camerati, che sbrigavano i loro servizi negli angoli più bui del locale, il bucaniere preferiva la tranquillità di una camera chiusa e la comodità di un letto, quantunque pieno di cimici. Dinah non era bella né affascinante, con quei lineamenti marcati tipici della sua razza, i grandi occhi umidi e spauriti, i fianchi larghi, ma Durand non desiderava appagare i suoi occhi, bensì i suoi appetiti.
    Dopo quella prima sera aveva preso a recarsi nella locanda di Bernard a giorni alterni, con una regolarità tale da lasciar stupefatta la diretta interessata: non appena Durand si presentava chiedendo di lei, Dinah sapeva che, sull’orologio del padrone, l’unica lancetta si era appena posata sull’otto. Era lo stesso Bernard a controllare, stupendosi a sua volta di quell’insolita puntualità, mai riscontrata nemmeno nei clienti più affezionati.
    Durand soleva vestirsi delle pelli degli animali che lui stesso uccideva e macellava; una sorta di divisa che indicava il suo essere bucaniere, e che portava odori forti e pregnanti con cui presto Dinah ebbe familiarità. All’ora dei loro incontri l’oscurità era sovrana a Cayona, e Bernard, che come tutti gli avidi era anche avaro, soleva risparmiare sull’illuminazione; per questo la schiava, nei primi tempi, non sarebbe stata in grado di descrivere con esattezza l’uomo cui si concedeva un giorno sì e uno no.
    Alla fioca luce delle candele, Dinah però poteva distinguere il colorito bruno della sua pelle, cosa che, istintivamente, gli impediva di odiarlo del tutto: la donna aveva avuto a che fare fin troppo spesso con uomini grassi e unti, vogliosi e violenti, il cui colorito pallido le era rimasto impresso a fuoco nella memoria; un bianco nauseante che aveva imparato a detestare con tutte le sue forze, e che era diventato la sua ossessione.
    Bernard sapeva dei crucci della sua schiava, che potevano essere fonte di fastidi per lui; avrebbe certo convinto Dinah a dimenticarli, magari servendosi della sua frusta, se Durand non avesse espresso il desiderio di avere quella donna tutta per sé, a costo di pagare di più i suoi servizi: era abbastanza ricco, il lavoro di bucaniere gli fruttava bene, e poteva permettersi di soddisfare quel suo capriccio. D’altronde, non era la prima volta che mostrava un attaccamento quasi morboso a ciò che più eccitava i suoi sensi, ed era inviso a molti Fratelli della Costa proprio per il suo egoismo.
    Dinah si era subito accorta di questo dagli sguardi che Durand le riservava, come se la ritenesse una sua proprietà, e dalla sua ansia di possederla tutta, a ogni rapporto, ma lei non ne aveva paura: l’uomo la prendeva con forza e passione, ma mai le aveva usato vera violenza, anzi, il suo attaccamento la proteggeva da altri clienti che più d’una volta le avevano fatto del male. E lei voleva approfittarne quanto più possibile.

    Non poté non rammaricarsi, quando Durand partì per una missione che si prospettava più lunga delle solite che lo tenevano lontano dalla Tortüe per alcuni mesi. Difatti non lo vide per un tempo molto più lungo; in paese si diceva che si fosse fermato a Port Royal o a Curaçao, altri sostenevano che fosse morto. Dinah non ne seppe mai abbastanza, ma non lo pianse mai: non l’amava, in fondo, sebbene fosse per lei fonte di protezione.
    Marianne nacque in quel periodo. Non si trattava del primo parto, per la schiava, ma negli altri casi i bambini le erano stati strappati alla nascita da Bernard, per essere venduti al mercato, e lei mai si era opposta, consapevole della sorte sfortunata che avevano i figli degli schiavi, e che lei stessa aveva subito da bambina. Ma nei confronti di Marianne, piccola bastarda di un bucaniere, il padrone mostrò di avere un atteggiamento ben diverso: forse, consapevole della scomparsa di Durand, temeva che Dinah, ormai priva di protettore, tentasse la fuga, e voleva tenersela buona; oppure sperava che la bambina, tempo un po’ di anni, gli avrebbe fruttato dei generosi guadagni, quando ormai la madre gliene portava sempre meno. Fatto sta che non fece nulla per portarla via, lasciando che Dinah la tenesse con sé.
    Certo non s’aspettava che Durand, dopo tre anni senza aver fatto saper nulla di lui, sarebbe tornato per reclamarle entrambe.
    E ora Dinah era lì, stesa su un giaciglio, a porgere il collo all’uomo che l’aveva comprata e fatta sua, che le sussurrava all’orecchio parole ansimanti e incomprensibili, un misto di francese e inglese che i bucanieri parlavano tra loro. La schiava sapeva come, a letto, gli uomini rivelassero insoliti aspetti del proprio essere: Durand, sopra di lei, muoveva i fianchi con una scioltezza inimmaginabile in un uomo dalle forme tozze e spigolose; a Dinah pareva che tra le sue braccia vi fosse un grosso felino, che le soffiava sul collo e borbottava soddisfatto a ogni carezza.
    La carnagione cotta dal sole del bucaniere, a confronto con quella della schiava, sembrava tornar nuovamente bianca, e per un attimo lei si irrigidì, conscia che in fondo quell’uomo non era poi diverso dagli altri suoi vecchi clienti: restava un avido ladro, un assassino, uno schiavista.
    E lei era uno dei suoi piaceri. Per quanto sarebbe durato?
    “Che hai, mh?” mormorò Durand, giocando quasi pensieroso coi capezzoli di lei; i capelli, scuri e arruffati, solleticavano la pelle nuda di Dinah, ma lei non vi badò. “Cosa volete farne, di me e Marianne?” chiese: aveva dinanzi il padrone, il responsabile della sorte sua e di sua figlia, e null’altro.
    Il bucaniere sbuffò, rotolando al suo fianco: era nudo solo dal torso in giù, le pudenda ben in evidenza. Gli occhi scuri, in parte coperti dai capelli, parevano ridere. “La marmocchia è negra per metà, ma il mio sangue scorre nelle sue vene” spiegò brevemente.
    “Allora...”
    “L’ultima cosa che voglio è che Bernard o chiunque altro si arricchisca con qualcosa che mi appartiene di diritto; finché sarò vivo, quella bambina resterà sotto di me. Quanto a te” aggiunse Durand rivolgendosi alla donna “continuerai a occuparti di lei; sei sua madre, in fondo”.
    Dinah abbassò il capo: non s’aspettava nulla di più, da un uomo della risma di Jérôme Durand; non era affatto cambiato, rispetto a tre anni prima, ma l’importante era che il suo egoismo fosse di protezione per lei e la piccola.
    Nella casa fattasi d’un tratto silenziosa, si diffuse un pianto sommesso. “Maman!” chiamò una vocina acuta e sottile
    “Che aspetti?” borbottò il bucaniere, tirando su la schiava “C’è qualcuno che ti reclama. Va’, prima che i suoi strilli mi assordino le orecchie”. Dinah annuì, raccogliendo la coperta sotto di lei per ammantarsi, quando l’uomo le alzò con forza il mento, baciandola ancora. “Non invecchiar troppo presto” lo sentì mormorare, prima che la lasciasse andare.

    In quei giorni a Cayona regnavano un fermento e un’eccitazione che, a parere dei veterani della filibusta, non si vedevano dai tempi dell’Olonnais; per le strade, nelle taverne e nei bordelli tutti i discorsi vertevano su un unico argomento: il capitano Michel de Grammont, già famoso per alcune sue spedizioni fruttuose, progettava l’ardita conquista di una delle più ricche colonie della Nuova Spagna, fino ad allora rimasta inviolata.
    “Veracruz fa gola a molti dei nostri” non faceva che ripetere Durand a casa. “E de Grammont non è uomo da imbarcarsi in una tale spedizione senza averla progettata con cura; se l’impresa andrà in porto, diverremo ricchissimi”. Dinah, pur affaccendata nei lavori domestici e nelle cure verso Marianne, non si perdeva una sola parola di quei discorsi: sapeva come il bucaniere fosse ansioso di imbarcarsi, mai sazio delle ricchezze che gli altri viaggi per mare gli fruttavano. Ma questa volta non si trattava di abbordare un galeone spagnolo: le fortificazioni di Veracruz, almeno a quanto dicevano le voci, erano immense, e il forte di San Juan de Ulùa era lo scoglio su cui i legni corsari rischiavano di frantumarsi.
    Alla schiava poco importava della sorte degli altri filibustieri, anzi: più bianchi finivano in fondo al mare, tanto meglio per quelli della sua gente. Ma se Durand fosse caduto in battaglia, lei e soprattutto sua figlia sarebbero state nuovamente in balia di uomini avidi e privi di scrupoli.
    Per questo, quando accompagnò il suo uomo e padrone al porto, il giorno della partenza, tenne sempre gli occhi bassi, stringendosi convulsamente Marianne al seno. Attorno a lei vi era un clamore assordante, una torma di uomini e donne, schiavi negri e indigeni, che gridavano, si spingevano gli uni con gli altri, o semplicemente guardavano i legni ancorati in procinto di partire.
    Durand aveva molte cose cui pensare, quel giorno, ma non poté non accorgersi della preoccupazione che animava il viso della sua schiava. Sospirò, spingendola lontano dalla folla. “Prendi” le disse, mettendole bruscamente in mano un foglio su cui erano vergate poche righe. “Le parole volano, e le precauzioni non sono mai abbastanza. Qui vi è scritto che, qualora morissi, tutte le mie proprietà passerebbero all’uomo con cui ero affratellato”. Il bucaniere sospirò. “Fabien è l’unico di cui mi fidi davvero; terrà te e la bambina con lui, senza che alcuno possa accampare diritti su di voi”.
    Dinah conosceva Fabien Dubois: magrissimo, cosa strana per un filibustiere, con occhi azzurri e vivaci, veniva sovente a casa di Durand, di cui era amico, per scambiare due parole o bere un bicchiere insieme; poco tempo prima aveva perso una gamba, che però gli aveva fruttato un generoso compenso, e ora viveva mandando avanti una piccola piantagione di tabacco. Dinah, pur continuando a disprezzare e temere gli uomini bianchi, sapeva di potersi fidare: l’anno prima quell’uomo aveva preso in moglie una schiava negra resa libera, che certo l’avrebbe aiutata. Inoltre Dubois teneva a Durand, suo compagno di lotte e compare d’anello, e avrebbe considerato la violazione delle proprietà dell’amico un’offesa alla sua memoria.
    Dinah infilò il prezioso foglio sotto la veste. “Vedi di non perderlo” borbottò l’uomo; a giudicare dall’insistenza con cui alcuni lo chiamavano, era giunta l’ora di andare. Solo quando si fu allontanato la schiava osò alzare gli occhi: davanti a lei era ben visibile il profilo di un brigantino, carenato di fresco e pronto a salpare; ritto sul ponte di comando, il capitano Laurens Cornelius de Graaf gridava ordini ai marinai a tiro di voce.
    La donna decise che era giunto anche per lei il momento di allontanarsi: si fece largo tra la folla, con Marianne che le stringeva il collo con le braccine sottili, e incurante di ciò che le accadeva intorno. Ciò che le avrebbe permesso di continuare a vivere con una certa tranquillità era lì, tra i suoi seni; quello importava e null’altro.
    Si era ai primi di marzo del 1683. Salutata da una folla acclamante, la piccola squadra di velieri salpò diretta verso l’isola di Roatàn, al largo delle coste dell’Honduras, dove l’intera flotta partecipante alla spedizione di Veracruz si sarebbe riunita.
    Dinah sospirò appena prima di decidersi a voltarsi indietro, i suoi occhi che cercavano la familiare figura ritta dietro la forcella che reggeva il fucile, lì, a prua del brigantino di de Graaf. In attesa, forse, di un semplice gesto di saluto che mai sarebbe arrivato.

    Edited by Yue07 - 3/5/2011, 14:48
     
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    Non regge molto come racconto, perché non ha idee. Non c’è una storia, una trama, un risvolto: sembra di vedere un documentario su come si viveva nel 600 in quella regione e specialmente come viveva una schiava. La sensazione è rafforzata anche dai molti, interminabili paragrafi “raccontati”, che poi sono sunti di fatti precedenti di cui non si sente la necessità: a che spiegare come Dinah ha incontrato Durant? A cosa serve raccontare la storia di Bernard? Sono dettagli che non servono ad altro che a documentare, o se vogliamo a creare un contesto per una storiella, quella di Dinah, che però è troppo esigua, troppo scontata e banale. Non mi ha detto niente, ed è un vero peccato che tutta questa deliziosa conoscenza vada sprecata per una storia così insignificante.

    Qualche appunto:

    CITAZIONE
    La donna avrebbe fatto a brandelli con le sue mani la stoffa che le cingeva il corpo, fino a ridurla a brandelli

    ...

    CITAZIONE
    Durand la rovesciò su un giaciglio nell’angolo, quasi schiacciandola col suo corpo, e lei gli si avvinghiò contro, circondandogli il petto robusto con braccia e gambe

    Come fa la donna ad avvinghiarsi a "un petto"? Meglio dire "torso" o "corpo".

    CITAZIONE
    Durand, tre anni prima, serviva come bucaniere su un vascello di infima importanza [...] Dinah lo vide entrare per la prima volta nella locanda in un’afosa serata di luglio

    Visto che stai parlando di fatti antecedenti, sarebbe meglio usare il trapassato prossimo.

    CITAZIONE
    Va’, prima che i suoi strilli le orecchie

    ?

    CITAZIONE
    Durand aveva molte cose cui pensare, quel giorno, ma non potè non accorgersi

    poté


    Voto: 2
     
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  3. Yue07
     
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    Quando ho letto le premesse ero convinta di beccarmi un bell'uno secco, dunque alla fine ho sospirato di sollievo :D
    Ti ringrazio per la lettura, il commento e la segnalazione di refusi vari (non c'è verso, puoi leggere una storia anche trenta volte ma qualcosa ti scappa sempre :azz: ).
    Sinceramente però non capisco perchè parli dell'assenza di una trama: la storia è quella di Dinah e del suo rapporto con Durand, una storia non originale, è vero (a quei tempi se ne potevano contare all'infinito, di vicende simili) però c'è.
    Questo mi ha colpito, anche più del fatto che sono stata molto didascalica e ho inserito particolari inutili nella vicenda.
     
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    Be', Yue, secondo me si potrebbe fare di più sulla storia. Ci vorrebbe qualcosa di più "pepato", che crei più tensione. Perché la storia di una schiava l'ho trovata un'infinità di volte, in romanzi e racconti e film, al punto che qualsiasi altra proposta, se così semplice, non può che lasciarmi deluso.

    Poi non so, magari io ho solo letto e visto troppo, e forse altri lettori qui sapranno apprezzare meglio la tua fatica.

     
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  5. Yue07
     
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    Da questo punto di vista anch'io mi scopro un po' pignola, specie in alcuni generi: ovvero o c'è una trovata originale o boccio l'eventuale racconto/libro.
    Per quanto riguarda il mio racconto...sinceramente non saprei. Essendo storico volevo creare qualcosa il più verosimile possibile, ma forse ho esagerato e appiattito il tutto.
    Comunque ogni commento è ben accetto, negativo e non. Considero USAM una palestra stimolante, e mi rammarico di esservi mancata per tanto tempo (e in generale di essere mancata dal sito).
     
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    Ma... finisce così? Non c'è altro? :huh:
    Onestamente mi dà l'impressione di un lungo preambolo (in alcuni tratti anche troppo lungo, ci sono alcune spiegazioni che non mi sembrano proprio fondamentali) che si conclude però in un nulla di fatto.
    Quello che c'è è buono ma muore all'improvviso senza dar l'impressione di essere mai entrato nel vivo.
    Voto 2,5, che avrei arrotondato a 3 ma diventa 2 per la delusione del finale mozzato -_-


    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    “Allora, Bernard? Volete che i duecento pezzi divengano centottanta?”.

    C'è già un punto dentro le virgolette, non serve un altro fuori

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    ogniqualvolta veniva trascinata al piano di sopra dall’ennesimo cliente, doveva fare sforzi sovrumani per impedirsi di rimettere il cibo che il padrone le passava, giusto per tenerla in carne e renderla più appetibile.

    Rivedrei la punteggiatura della frase, ci si inciampa un po', specie sulla parte finale (l'impressione è che il "giusto per" si possa riferire al fare sforzi e non al passare il cibo)

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    Dinah, come sempre, si sentì mancare il respiro, mentre Marianne sembrava non farvi caso: guardò appena la madre entrata in quel momento,

    Non è chiarissimo chi sia la figlia e chi la madre qui (ci si arriva facilmente dopo, ma intanto...)

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    per poi tornare ad occuparsi della sua bambola,

    "a occuparsi"


    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    confezionata alla buona con avanzi di stoffa che la prostituta aveva sottratto alle proprie vesti, pur di ottenere qualcosa che potesse baloccare la sua bambina.

    La virgola è di troppo.

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    Dinah aveva da tempo perduto quel poco di pudore cui una qualunque donna avrebbe dovuto disporre,

    "di cui", si dispone "di" qualcosa

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    “Uh!...Mi deludi, ancora una volta”

    Serve uno spazio dopo l'esclamativo e dopo i puntini (a meno che i puntini non siano correlati all'"Uh", ma in tal caso andrebbero prima dell'esclamativo, non dopo)

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    “Non credevo…ti fossi

    Anche qui manca lo spazio dopo i puntini.

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    era la condizione forzata di schiavitù, a favorire il loro abbruttimento fisico

    La virgola è di troppo, sta tra soggetto e predicato

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    Dinah non era priva d’intelligenza, ed era stata nel mondo abbastanza a lungo da imparare a comprenderlo; ma convivere con uomini schietti e privi di morale

    Perché il punto e virgola? Il discorso fila senza interruzione, ci vorrebbe una virgola

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    L’unico oggetto che ancora conservava era un orologio da tasca, una rarità per quell’epoca, e che doveva essere appartenuto a qualche riccone, a giudicare dal fregio sulla cassa.

    Perché "e che doveva"...? A che serve la e?

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    circa i prezzi delle tariffe.

    Le tariffe non hanno prezzi, sono prezzi.

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    a Dinah pareva che, tra le sue braccia, vi fosse un grosso felino, che le soffiava sul collo e borbottava soddisfatto a ogni carezza.

    Le prime due virgole vanno tolte. "tra le sue braccia" non può essere un inciso, se lo togli la frase non ha senso.

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    Va’, prima che i suoi strilli le orecchie

    Mi sa che manca qualcosa ^__^;

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    In quei giorni, a Cayona regnava un fermento e un’eccitazione che,

    "regnavano"

    CITAZIONE (Yue07 @ 1/5/2011, 00:20) 
    non potè non accorgersi della preoccupazione

    "poté"
     
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  7. Yue07
     
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    Grazie CMT per il commento e le segnalazioni.
    Io sinceramente non so come farebbe USAM senza di te ^_^
     
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  8.  
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    Losco Figuro

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    CITAZIONE (Yue07 @ 3/5/2011, 14:38) 
    Io sinceramente non so come farebbe USAM senza di te ^_^

    Come fa il resto del mondo :lol:
     
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  9. Selene B.
     
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    L'ho trovato scritto con una certa sicurezza, il che lo rende gradevole, insieme all'ambientazione ben curata. Il punto debole è la trama, poco avvincente. Il finale resta sospeso, e il racconto così dà l'idea di essere il primo capitolo di un romanzo, piuttosto che una storia che sta in piedi da sola.
    Voto 2 (abbondante)
     
    .
  10. Yue07
     
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    Grazie anche a te Selene ;)
    Può sembrare strano, ma al contrario di altri racconti proposti qui in USAM questo è nato fin dall'inizio come storia a sè stante. Evidentemente lascia comunque un che di insospeso. Felice comunque che perlomeno l'ambientazione sia buona.
     
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  11. Magister Ludus
     
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    Anche per me, nonostante sia ben scritto, il racconto non regge. Il problema è che la trama non sembra completa. Me ne stavo rendendo conto mentre leggevo: il racconto stava per finire e ancora non succedeva nulla.

    E non è successo nulla, in effetti. Voto 2.

    Ti segnalo:

    è la marmocchia, che v’interessa: perché la virgola?

    Ti metto forse in imbarazzo?”. Non ci va il punto in questo caso (e neanche poco più avanti).
     
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  12. Piscu
     
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    non mi è sembrato un racconto completo, ma un capitolo di qualcosa di più ampio. il problema è che riferisci degli eventi, ma non c'è una vera e propria storia che procede.

    l'ambientazione è sicuramente curata, anzi forse in alcuni casi credo tu abbia eccedut nello zelo di far conoscere i particolari di quest'epoca con qualche infodump fuori luogo. però questo non basta a dare "corpo" alla storia.


    qualche perplessità sul lessico. capisco nei dialoghi, ma nella narrazione forse non dovresti esagerare coi termini "antichi", come ad esempio: "i bicchieri ivi posati". questo contribuisce a creare distanza con il lettore, e comunque si può descrivere anche un'epoca remota utilizzando il linguaggio corrente.

    segnalo:

    "Il lezzo di sudore, letto"
    lezzo di letto?

    "commentò il francese"
    si scopre qui che è francese, dopo che ne hai già parlato diverse volte. avresti dovuto riferirlo prima

    "i bucanieri, prima ancora che uomini di guerra e formidabili tiratori, erano cacciatori abili nella macellazione degli animali da loro uccisi, e i cui pezzi venivano cotti nel boucan, specie di graticola da cui tal razza di gente prendeva il nome."
    esempio di infodump esagerato e irritante

    "aveva perso una gamba, che però gli aveva fruttato un generoso compenso"
    una gambta gli aveva fruttato un compenso?


    è un due e mezzo che però devo arrotondare per difetto.
     
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  13. Ryan79
     
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    ciao,

    SPOILER (click to view)
    Mamma mia come scrivi bene, complimenti! Trovassi questo testo pari pari su un libro stampato non me ne stupirei :)

    Hai saputo creare dei bei personaggi, una bella ambientazione e un'umanità viva e credibile (specie dinah e durand, bernard forse un tantino meno, ma insomma non è che sia il protagonista)
    Il fatto che la bimba sia relegata quasi a ruolo di comparsa mi sembra molto giusto, insomma non ho nessuna critica da farti, a parte forse un finale un po' troppo veloce rispetto al resto, ma è una cosa facilmente limabile.

    Secondo me è un 4 pieno con il sospetto che sia un episodio dentro un romanzo o un ciclo di avventure...

    ti segnalo:

    avrebbe potuto posare la bambina
    questo "posare" è orrendo, non è mica un sacco di patate :)

    e i cui pezzi venivano cotti nel boucan, specie di graticola da cui tal razza di gente prendeva il nome.
    forse superfluo ai fini della narrazione

    abbruttimento
    credo che la t sia una sola

    Edmònd Bernard era un vecchio filibustiere “in pensione”, per così dire
    questo in pensione rompe un po' l'atmosfera. io avrei messo qualcosa tipo "ritiratosi dall'attività," o simili

    dagli altri suoi vecchi clienti
    io non li chiameri clienti (in fondo sono clienti di bernard), magari userei un termine un po' più forte...

    poco tempo prima aveva perso una gamba, che però gli aveva fruttato un generoso compenso
    messa così sembra che lo premiano per la sua sfiga, o che addirittura se la sia venduta :)


    Edit: mi accorgo di aver messo un commento molto distante dalle opinioni degli altri.. mi as che se ho tempo dopo aver letto gli altri in gara ripasso qui per una seconda lettura :)
     
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  14. Yue07
     
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    Ringrazio sia Piscu che Ryan79 per i commenti.
    @Piscu: come ho già riferito in precedenza, mi rammarico per aver scritto qualcosa che sembra un capitolo di qualcosa di più ampio, sebbene io non ci abbia mai fatto caso, ma questa storia è nata per essere indipedente.
    Altro appunto: io credo che, quando si tratta materia storica, un po' di "spiegazioni" siano necessarie, e non vedo come le due righe sui bucanieri possano sembrare irritanti, visto che non si tratta di normali filibustieri ma di una categoria indipendente (e inoltre spiegano anche il perché dei vestiti di Durand e la puzza di sangue).
    Infatti, in un punto dove ho peccato nella spiegazione, sei rimasto confuso: un filibustiere che perdeva una gamba, un braccio, gli occhi o una mano -o solo una o più dita- riceveva un determinato compenso, anzi ciascuna parte del corpo aveva il suo prezzo. Dunque Dubois, perdendo una gamba, ha ricevuto una sorta di premio (che se non erro equivaleva a cento scudi o a uno schiavo).
    @Ryan79: il tuo commento giunge veramente inaspettato, visti i precedenti :lol: :lol: Mi fa molto piacere che la mia storia ti sia piaciuta. Per quanto riguarda la storia della gamba di Dubois, sì, lo premiano davvero per la sua "sfortuna", ti basta leggere la risposta a Piscu per capire.
    Ancora grazie a tutt'e due.
     
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  15. Piscu
     
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    CITAZIONE (Yue07 @ 8/5/2011, 14:56) 
    siano necessarie, e non vedo come le due righe sui bucanieri possano sembrare irritanti, visto che non si tratta di normali filibustieri ma di una categoria indipendente (e inoltre spiegano anche il perché dei vestiti di Durand e la puzza di sangue).
    Infatti, in un punto dove ho peccato nella spiegazione, sei rimasto confuso: un filibustiere che perdeva una gamba, un braccio, gli occhi o una mano -o solo una o più dita- riceveva un determinato compenso, anzi ciascuna parte del corpo aveva il suo prezzo. Dunque Dubois, perdendo una gamba, ha ricevuto una sorta di premio

    certo, in un racconto storico e in altri generi particolari (come la fantascienza) l'infodump è praticamente indispensabile. tuttavia, bisogna saperlo gestire. il paragrafo che ti ho segnalato credo che sia un esempio di informazioni troppo "gratuite": si tratta di nozioni inserite al di fuori del contesto narrativo, come una lezione per il lettore. in questa forma, è preferibile piuttosto inserire delle note. quando vuoi dare delle informazioni del genere, devono essere inserite con maggiore discrezione. la formula più classica è quella di un dialogo in cui uno chiede spiegazioni e l'altro gliele fornisce.

    avevo capito il fatto del "rimborso" per gli arti perduti, contestavo proprio la frase che mi sembra ambigua (pare che sia proprio la gamba a pagare!).
     
    .
19 replies since 30/4/2011, 23:20   258 views
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