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IL VECCHIO GUY
Ferdinando e Giulia erano due corpi in un corpo, avvinghiati abbracciati in un eterno momento, una fuggevole eternità. Poi anche quella finì. Ferdinando fu svegliato da un rumore. Si svegliò e si alzò. Si svegliò e vide un vecchio fantoccio di paglia che lo fissava. "Un penny per il vecchio Guy" biascicò il fantoccio. "Un penny, signore. Un penny per il vecchio Guy". "Perché vuoi un penny? Lo useranno per comprare del combustibile e bruciarti". "Lo so signore... Ma è questo che mi rende vivo: la morte. Eternamente". Ferdinando si alzò e andò a frugare nella tasca dei pantaloni. Tirò fuori un paio di monete e, senza guardare quanto gli stesse offrendo, le porse al fantoccio. La sua mano si protese a rapidi scatti, pagliereccia e frigolante, acciuffando l'elemosina. "Perché proprio le monete, Guy?" "Perché così è. Perché c'è del potere negli oggetti donati. Quando verrà la bomba, verrai anche tu". Ferdinando sospirò e annuì, e si rimise a letto. Il vecchio Guy si allontanò, scomparendo nell'oscurità. "Non dire a nessuno che te l'ho detto".
Ferdinando si alzò come ogni altro giorno. Si lavò e si sbarbò mentre Giulia gli preparava la colazione. Caffelatte e biscotti e marmellata. Si vestì e uscì per prendere il treno. Doveva andare a Milano. Il senso di claustrofobica ineluttabilità che lo accompagnava gli faceva sempre venir voglia di cagare. Su un treno puzzolente, schiacciato da sconosciuti intenti a leggere Dan Brown o l'ultimo di Twilight, si chiedeva perché lo dovesse fare. Ecco perché: per Giulia, per la sua famiglia, per la sua casa, per la sua macchina, per le due settimane al mare, per il megaschermo e il computer, per riempire il frigorifero, per la sua realizzazione, per il suo cane, per il suo conto in banca (che a sua volta esisteva per le bollette, per la casa, per la macchina...). Per qualcosa di cui, un tempo lontano, prima delle responsabilità, conosceva il valore. Era seduto accanto a due ragazzi. Giovani, probabilmente pendolari universitari. Il volto della ragazza era nascosto dal cappuccio del giubbotto... sembrava dormire, tranquilla, distante, distaccata. Il ragazzo spostava continuamente lo sguardo dal finestrino alla ragazza, e poi lo riportava furtivo a sbirciare il panorama di fuori. Aveva la barba sfatta e indossava una collana giamaicana. A un tratto Fernando sentì la ragazza (a quanto pare sveglia) confidare al suo compagno: "Sì, a proposito..." Il ragazzo si sporse, sorridendole. "Cosa?" "Tralasciando il fatto che non mi piace cosa scrivi... Devo dire che scrivi bene. Davvero bene". "Grazie". "Quella biografia era..." Non trovò le parole per esprimere ciò che quella biografia era, ma dopo qualche istante il ragazzo si sentì soddisfatto. "Davvero?" "Sì, certo". "...Grazie". Il ragazzo fece il resto del viaggio con un sorriso compiaciuto stampato sul volto.
Prese il bus per il grattacielo in cui lavorava. La sua ditta possedeva quasi tutto lo stabile: il suo simbolo era un grosso occhio spalancato... Si chiamava Panopticon srl. Diligentemente, si mise a lavorare. E a lavorare. E a lavorare. "Un penny per il vecchio Guy". A Ferdinando venne l'idea per un racconto e se la segnò. Era uno scrittore, a tempo perso. Due romanzi, ventisette racconti e un numero non meglio precisato di poesie: nessuna pubblicazione. Si sentiva un Van Gogh della scrittura: possibile che il mondo si rifiutasse di riconoscere il suo genio? E così era costretto in un lavoro di merda, che disprezzava e che odiava. In realtà come scrittore era pessimo. Ma almeno lo faceva per Giulia, per la casa, per la macchina...
Passarono le ore e Ferdinando dovette andare al bagno. Doveva solo urinare, ma lì per lì, nel bagno chiuso, da solo, a guardare il suo pene, gli venne un'improvvisa voglia. Non riusciva a spiegarselo ma iniziò a masturbarsi.
Contemporaneamente, nel resto del mondo, ogni uomo si guardò attorno e, dopo essersi assicurato di essere solo, si infilò una mano nei pantaloni. Le donne si abbassarono la gonna, tutte spinte dallo stesso, inspiegabile impulso, e iniziarono a titillarsi.
Il vagabondo che chiedeva un'elemosina di poche monete, mormorando ossessivo il mantra "Un penny per il vecchio Guy", alzò gli occhi al cielo. Era un volto finto, impagliato, una testa cucita. Lì non c'erano occhi. Un gigantesco aereo da guerra stava sorvolando la città. L'aereo giunse sulla perpendicolare all'edificio Panopticon, poi qualcuno fece quello che sapeva fare meglio e in uno spasmo di passione pigiò i bottoni. La pancia del gigantesco cargo si aprì, il ventre della Dea Kalì che rovescia merda sul mondo, e un oggetto di forma sferica precipitò sull'edificio.
Mentre la bomba toccava il grattacielo, liberando in un istante la sua gioia termonucleare, Ferdinando, assieme ad ogni altro essere umano sul pianeta, venne.
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