| FILTRI
«Filtri. Capite?» chiese lo Studioso, guardandoci in faccia uno dopo l'altro, tutti e sette. «Proprio qui» concluse picchiettandosi con l'indice sulla fronte. La fiamma che si sollevava dal braciere di pietra pareva assecondare l'assonnato rollio del panfilo. Noi vi eravamo seduti attorno, come preistorici ascoltatori di storie magiche in una notte estiva. L'illusione d’anacronismo era a tratti così viva che dovevo sforzarmi d'ascoltare lo sciacquio fiacco dell’acqua contro la chiglia di vetroresina, oppure riconsiderare il nostro tempo tecnologico, per ritornar con la testa al presente. Ma la fiamma baluginava sui nostri volti, e in cielo stelle che sulla terra ferma, nell'inquinamento più vario, non potevano brillare come brillavano quella sera per noi, in mare aperto e silenzioso. Lo Studioso, così avevamo preso a chiamarlo appena s'era fatto conoscere, era un perfetto sconosciuto. A portarlo presso noi era stata Maria, il cui pallino per la parapsicologia l'induceva a frequentare quel genere di menefreghisti delle leggi fisiche. Ci aveva parlato di lui mentre organizzavamo il viaggio, un giorno dedito a compere per la cambusa. Lì per lì, avevamo un posto libero, e per quanto la nostra compagnia potesse apparire affiatata e chiusa a ogni esperienza straniera, pensammo, quasi come un unico cervello, che una presenza simile avrebbe messo un pizzico di mistero e novità nel viaggio. Non arrivò nessuna accettazione a voce: bastava l'empatia dell'amicizia a dire senza parole: «Va più che bene, invitalo pure.» Più avanti, Maria aveva continuato ad aggiungere dettagli. Pareva che l'uomo avesse viaggiato molto e fosse una sorta d'eminenza nello studio dei fenomeni paranormali, anche se preferiva nutrire il carisma del ricercatore schivo e solitario. Fu forse questa caratteristica di scarsa superbia ed egocentrismo a farcelo simpatico prima ancora di conoscerlo. E, difatti, quando l’incontrammo, sul molo, non tradì la prevista natura del carattere. Era un uomo sui cinquanta, la faccia pacata, poco espansiva. Ci salutò con una stretta di mano a metà tra la fiacchezza del diffidente e lo stritolamento di chi trova nel prossimo terreno fertile all’amicizia; e disse poco, limitandosi al necessario; ci parlava in modo contenuto, non timido, ma riservato, benché non desse affatto l’idea d’una chiusura antipatica verso i rapporti sociali. Era vestito da viaggiatore; o meglio, non che indossasse una sahariana, o qualche altro tipo d'abito adatto; ma, voglio dire, dalla giacca, dalla camicia, dai pantaloni e dalle scarpe sembrava emanarsi l'atmosfera di posti remoti, sconosciuti, che noi senza dubbio non avevamo mai visti, neppure nei libri; anche se, probabilmente, la sensazione trovasse motivo nel modo in cui Maria ci aveva parlato di lui. Senza dubbio misterioso, in ogni caso, era il suo immenso baule che pareva custodire, tra l'altro, chissà quale oggetto d'esotica pesantezza. Lo aiutammo a trasportarlo a bordo. Eravamo già stati avvertiti dalla nostra amica che avrebbe portato molta roba, quindi non ci furono sorprese sconce. Tutt’al più ci meravigliammo quando, la sera stessa, al largo delle coste sarde (eravamo partititi dal porto di Cagliari, in direzione Sud-Sud Ovest), tirò fuori il braciere e lo pose in coperta a poppa, su un treppiedi d’amianto con le gambe rivestite in gomma. Dopodiché vi accese dentro un pezzo d’uno strano combustibile, un blocco dalla forma grezza che prese fuoco quasi subito, producendo una fiamma alta che pareva sortire da vero legno, benché priva di faville. Allora sedette a gambe incrociate e disse che avrebbe pregato certi dèi che sapeva lui. Ma in verità non chiuse gli occhi né mosse le labbra in qualche ieratica litania; anzi, spensierato, si accese una sigaretta e fumò lanciando occhiate distratte in giro, su noi che a coppie o gruppo chiacchieravamo sparpagliati qua e là, o nel cielo. Così la sera dopo. Fu due giorni dopo, presa ormai confidenza, che cominciammo ad accodarci e fargli compagnia a quel fuoco. Non pareva pregasse davvero, e infatti non sembrò disturbato dalla nostra intrusione. Scoprimmo che era bello discorrere lì. Lo strano combustibile pareva blandirci col suo odore d’incenso. C'era un'aria di raccolto calore, e la chiacchiera veniva più facile, più fluida. Ben presto anche lo Studioso fu preso dai discorsi ora seri ma, molto più sovente, spassosi e divertiti che scrosciavano tra sassi di sorrisi e mulinelli di risate. Iniziò a raccontarci delle sue esperienze poco alla volta, di sera in sera andando in aumento di dettagli. E noi lì, a fissarlo attenti, drogati da quelle storie, da quelle vicende in terre ignote pregne di magia e misteri. Sapeva come raccontare, o forse il merito era della sua vita così squisitamente piena di fascino e anche una parlantina rozza ed elementare sarebbe bastata. In ogni caso, a un certo punto eravamo schiavi delle sue orazioni: quasi non intervenivamo più, e solo la sua voce tra mare e cielo. Ci raccontò delle scoperte che aveva fatto. A volte, però, sembrava restio a calarsi nei particolari, e ci accennò a scoperte che teneva nascoste, perché (disse) è meglio non rivelarle. Ovviamente, finita la cerimonia del braciere, quando il combustibile terminava e noi, orientandoci con le sole luci di segnalazione del panfilo, ritornavamo a dormire sottocoperta, o in cabina, o a rintanarsi con la propria metà da qualche parte a far l'amore sotto le stelle, la nostra mente si svuotava da quell'incantesimo e la razionalità ritornava padrona di tutto. Ed era strano ripensare con un velo di divertito scherno a quelle stramberie e a quel tipo d’uomo così libero e credulone. Magari ci vergognavamo anche per esserci fatti abbindolare dai suoi racconti, d’aver datogli l’impressione che bevevamo ogni sua storia assurda. Ma poi, la sera dopo, eccoci di nuovo lì, attorno al braciere, a respirare quel fumo sottile e gradevole, e ascoltare di nuovo e bere ogni panzana con rinnovata fede. Poco alla volta il nostro ospite c’introdusse al suo Ultimo Lavoro, quello che lo avrebbe stampato per l’eternità nelle più importanti enciclopedie, quello che avrebbe cambiato del tutto la faccia della terra. Noi eravamo sempre così arresi all’impossibile che non potevamo impedirci di credergli anche su quel megalomane proposito. Ci parlò di una sua teoria che avrebbe unificato le varie branchie della parapsicologia e anzi di tutte le scienze umane. Ci accennò a una realtà più complessa e ricca di quella che il nostro limitato cervello poteva farci vedere. «Noi infatti percepiamo ogni fenomeno coi sensi e il cervello lo analizza» ci disse la sera prima che tutto cominciasse. «Ma a volte alcuni fenomeni sfuggono da quella che chiamiamo realtà. Un razionale materialista direbbe che chi ha visto il prodigioso, s'è soltanto illuso. In verità chi vede il prodigioso ha una mente particolare, più ricettiva, più aperta alla realtà che, agli altri, vien celata in parte.» Qualcuno di noi assentì senza accorgersene. «Il prodigioso esiste, ed è qui con noi, adesso e sempre. Siamo noi che non possiamo vederlo, perché agiscono dei filtri. Filtri. Capite? Proprio qui, nella testa. Non so bene come si siano creati. So per certo che gli animali non li hanno, per questo avvertono la presenza dei fantasmi o presentono i terremoti. Per questo i gatti a volte soffiano a un albero che sembra innocuo, o i cani abbaiano la notte a una porta chiusa, o le galline si svegliano di soprassalto nel pollaio per chiocciare all'unisono senza alcun motivo. So anche come annullare questi filtri.» «E come?» chiedemmo quasi in coro. Ci eravamo eccitati a quell'ultima, sibillina frase. Ma il fuoco stava scemando, e pian piano le nostre facce si scurirono di notte e scomparimmo. Il fumo si dileguò dall'aria e dalle nostre menti, e ci parve di riacquistare una stabilità di sentimenti. Uno alla volta ci alzammo per ritirarci.
Il giorno dopo gettammo l’ancora per dedicarci chi alla pesca e chi al più totale abbandono all’indolenza spaparanzandosi a prendere il sole; qualcuno preferì camminare semi curvo con un libro in mano recitando agli altri e al mare ignaro i versi più soporiferi di qualche poeta inglese. Qualcun altro si tuffò nel mare per una nuotata. Io ero come svenuto su una sdraio a poppa, in costume, annichilito dal sole. Sentivo gli altri soltanto in parte, essendo in una sorta di soglia tra il sonno febbrile e la veglia drogata. Era Luca che declamava i versi? Non potevo esserne certo. Ed era Maria e Sandra che chiacchieravano di fumo lì vicino? Fu allora che vidi offuscarsi il bagliore solare che traspariva nelle palpebre e una voce disse: «Questa sera brinderemo agli antichi dèi.» Era lo Studioso, in piedi a farmi ombra. Mi ripresi, assentii col capo. Richiusi gli occhi. «Proprio così» continuò lui, allontanandosi e alzando la voce per chi stava lontano. «Uno speciale whisky, diciamo. Preso nel negozio più sicuro.» «Old Crow» continuava Luca (ora ne ero sicuro) «Flying your black bag of jewels/From chaos to chaos/Probe hard for those maggoty deaths/Which poison our lives.» Maria e Sandra smisero di cianciare e dedicarono orecchio allo Studioso, che continuava a declamare la sua organizzazione per la sera. Ma il sole ci aveva resi così fiacchi che non riuscimmo a soppesare la gravità della sua promessa. Sta di fatto che passammo una giornata tipica. Pranzammo con insalata fredda e riso, per secondo salsicce secche e tanta frutta. Nessuno riprese il discorso, anzi pareva che ce ne fossimo dimenticati. Nel pomeriggio giocammo a una gara di nuoto, a cui partecipammo tre dei quattro maschi. Mario e lo Studioso rimasero a bordo a fare il tifo non si sapeva per chi, mentre le ragazze urlavano come pazze e sventolavano le braccia. Poi cenammo quando il sole era calato appena oltre l'orizzonte e alcune nubi stiracchiate e armoniose poco sopra si colorarono di rosso e arancio. Eravamo spensierati e giovani, persi nel mare. Arrivò il tempo del braciere e ci ritrovammo là. «Ieri vi ho parlato di filtri» riprese lo Studioso, come se non ci fosse stata una pausa di ventiquattro ore. «Vi ho detto che so come annullarli, ma in verità non è esatto: quello che posso fare e rendere caduco, inefficiente il loro ruolo. Ci vuole una certa predisposizione mentale perché essi cadano del tutto, ma finora non mi è mai capitato di trovare una persona che abbia... una mente adatta. Tanto più una persona si dichiara scettica, tanto più è difficile rammollire i filtri. Ma anche un credulone, non è detto che sia adatto. Questo perché i filtri devono avere una qualche proprietà materiale. A volte credo che il nostro cervello si sia evoluto per chiudere la nostra percezione al prodigioso. Quindi i filtri devono essere cerebrali, oltre che psicologici.» «Ma cosa sono questi filtri?» volle chiedere Laura che, pur essendo una mia amica, non posso mancar di giudicare come vagamente ottusa. «Probabilmente sono membrane poste tra la percezione della realtà mediante i sensi, e l'analisi che ne fa il cervello. Quando coi nostri sensi percepiamo qualcosa che il nostro cervello non può riconosce come reale, i filtri bloccano questa informazione aliena. Quindi noi della realtà ne vediamo, ne tocchiamo, ne annusiamo, udiamo e assaggiamo solo una parte, mentre tutto il resto il nostro cervello ne rimane all'oscuro, per agire dei filtri, che ce lo tengono nascosto.» «E come fanno i filtri a sapere su cosa intervenire?» chiesi io. «Per rispondere a questa domanda dovremmo sapere perché si sono formati. Forse siamo stati noi stessi, in migliaia di anni, a stimolarne la nascita, semplicemente non credendo, o facendo finta di non percepire determinate cose. Quindi i filtri intervengono atavicamente su quei particolari che i nostri antenati decisero di non vedere.» «E come pensa di toglierli?» chiese Luca. «Ve lo dirò poi. Adesso lasciate che brindiamo a questa serata felice!» E sollevò una bottiglia verde acqua, senza etichette. Qualcuna andò a prendere otto coppe. Poco dopo tutti annusavamo il liquido, qualcuno con sospetto se bere o no, altri interessati ed eccitati. Lo studioso a spiarci saputo. «E’ un vino prodotto dal popolo Huichol. Forse lo troverete un po’ aspro, ma fidatevi che ne vale la pensa.» Alzammo i calici e lo Studioso disse: «Ictuiy tuyt, irriroi iorit truyè, rueu yrè!» E bevemmo. Il vino mi scorse nella gola e subito sentii un calore emanarsi dallo stomaco e impregnarmi tutto i corpo. Il suo grado alcolico doveva essere altissimo. Ma il calore smise e non avvertii nessun sintomo sulla mente. «Buono», mentì qualcuno. «Bene», disse lo studioso, «ora possiamo continuare.» Non so in virtù di quale sensazione, chiesi: «C’è pericolo a vedere queste cose che non vediamo?» Lo studioso mi fissò per un attimo, e pareva sul punto di decidere se parlare o meno. «Il pericolo c’è anche a non vederle. Avete mai sentito di storie di morti assurde e inspiegabili? Ecco, queste morti – oh, non tutte, ma io credo la maggior parte – sarebbero state evitate se le vittime avessero potuto vedere il prodigioso.» Nessuno aveva mai sentito di storie simili, quindi lui ci elencò qualche caso: gente ipnotizzata da voci incorporee durante la notte e spinte a buttarsi da un balcone o finestra; aerei precipitati in seguito a fenomeni atmosferici inclassificabili; il Triangolo delle Bermuda, la scomparsa di Atlantide; apparizioni di esseri non umani che sbranano incauti viaggiatori nelle campagne solitarie; combustione spontanea nell’uomo… E tante altre cose di cui oggi ho dimenticato. «Sono anche persuaso» continuò lo Studioso «che il prodigioso non vuole ucciderci, altrimenti saremmo vittime in continuazione d’incidenti non spiegabili. Mentre i casi misteriosi, o almeno quelli documentati nelle letterature scientifiche, sono rarissimi. Non dovete avere paura di quello che vedrete.» La mia amica ottusa chiese: «E quando ci toglierà questi cosi?» Lo studioso emise un risolino. Anche uno di noi lasciò sfuggire una manifestazione di simpatica compassione per l’ingenua domanda. Ma in verità in noi, tranne che in Laura, cominciava a formicolare quella paura invincibile da nessuna logica perché derivante dalla consapevolezza che il suo motivo rifugge dalla riflessione razionale. In altre parole, la nostra paura era equiparabile a quella per una medicina che rischia di traumatizzarci con effetti indesiderati; e nessun meccanismo mentale può avere controllo su essa, che scorre nelle vene, che rilascia i suoi principi attivi, filtrati dal fegato e sparsi in tutto il corpo, e che si mescola alle nostre sostanze naturali e stimola reazioni che potrebbero causare l’irreparabile. Nulla potevamo contro quel pericolo che a tradimento ci era stato inoculato; e restammo lì, paralizzati, mentre lo Studioso ci fissava senza vergogna o rimorso, e Laura ci guardò a uno a uno, basita dal silenzio generale, incapace di afferrare la verità. «Poco fa» irruppe lo Studioso «vi ho detto che so come rammollire i filtri. L’ho fatto in tutte le sere in cui vi siete seduti qui con me. Il fumo prodotto da questo combustibile speciale, prodotto da uno sciamano Huichol, compattando varie piante e funghi allucinogeni. Ovviamente trattato in precedenza con tecniche che, però, non posso rivelare. Il fumo rammollisce la razionalità istituita dai filtri, a dire il vero. Vi sarete accorti del cambiamento, quando eravate lontani. Questo è un primo passo. Il passo successivo, dopo questa preparazione, è spegnere i filtri con una sostanza di mia concezione, prodotta dopo decenni di studi sulle piante allucinogene e sulle pratiche magiche di tribù e popoli tradizionalisti del mondo.» Scorsi un movimento furtivo, proprio dietro la mia testa, esattamente fuori la portata del mio campo visivo. Bastò quello a terrorizzarmi. Quando mi voltai, di scatto, fui preso da un capogiro. Mi parve che i colori, quelli chiariti dal fuoco e dalla luna piena, e cioè i colori del panfilo, del mare, del cielo con tutte le sue stelle e il nostro satellite, fossero vagamente diversi da come avrebbero dovuti essere. Non saprei come definire il fenomeno, se non che con l’espressione: uscivano, sia pure di poco, dalla mia esperienza. Ma cosa aveva prodotto il movimento, ammesso che ci fosse stato davvero, non la vidi. Anche gli altri si erano voltati di colpo, facendo tacere con quel gesto lo Studioso, che prese a sondarci con occhi curiosi, divertiti, ma non cattivi. «Non dovete aver paura» ci disse. «Il mio vino non produce effetti collaterali. Dovete fidarvi. E non dovete aver paura di quello che vedrete.» Laura, solo allora, cominciò a tremare, il volto che si deformava in un’espressione atterrita. Luca le andò accanto e l’abbracciò. «Se sentite l’esigenza di ritirarvi nella vostra cabina, fate pure. Il vino agirà molto lentamente, quindi potete prendere un sonnifero e dormire durante tutta l’esperienza. Ma vi perdereste cose meravigliose.» Tra di noi serpeggiava sempre più grande il timore di cose impossibili. Personalmente, a parte i colori e quel movimento, forse frutto paranoico, non avvertivo null’altro di evidente. Ma era indubbio che i miei sensi cominciassero a essere stimolati da qualcosa. Lo avvertivo chiaramente, man mano che la sostanza faceva effetto. Anche nei miei amici ciò avveniva, e senza loro conferme mi bastava sentire quel timore comune, che si emanava dai gesti e dagli sguardi furtivi e persi. In qualche occhio vidi anche l’odio per lo studioso, e mi proposi di vigilare con attenzione affinché non si mettesse in atto qualche proposito di vendetta. In altri occhi frammista alla paura, vidi eccitazione crescente, forse il frutto di aspettative su un’esperienza che si sarebbe rivelata positiva. Chissà. Qualcosa chiese: «Cosa vedremo?» Trasalimmo tutti, tranne Luca, che ci guardò sorpreso. Era stato lui a parlare, ma la sua voce, evidentemente a tutti, era suona come distorta e aliena. «Calmi, calmi» disse lo Studioso. «Vi ho detto che il mio preparato agisce su tutti i sensi. Non “vedrete” solo, ma assaggerete, annuserete e sentirete. E toccherete, anche. Se posso dare un consiglio alle coppie, appartatevi e godetene insieme.» «Bah!» disse Giampiero. «Vedremo solo colori scemi come qualsiasi acido.» Lo Studioso esplose in una risata grassa. Poi ne spiegò il motivo: «I comuni acidi agiscono sui sensi, ma non toccano i filtri. In pratica non vedete nulla di nuovo, ma vedete solo il mondo che giudicate normale vagamente distorto. Mettete un vetro deformato e colorato d’avanti agli occhi: il risultato è lo stesso, anche se gli allucinogeni ti confondono un po’ anche le idee. Ubriacatevi e vedete il mondo attraverso il vetro e avrete un effetto quasi simile.» L’uomo si alzò adagio e si appoggiò al parapetto. Ma ci guardava ancora, ci sondava ed era pronto a tranquillarci. Fu allora che udimmo un nuovo suono. Era lontano e vago, ma ci terrorizzò. Sembrava un muggito, ma molto più cupo e profondo, e veniva dal mare. Ci alzammo all’unisono, qualcuno traballante fin quasi a ricadere seduto. mentre mi dirigevo a poppa, vicino allo Studioso, mi accorsi che le stelle brillavano in modo insolito, e una luce particolare, di un blu profondo, elettrico, aveva preso segretamente il posto della penombra lunare. La luna stessa m’appariva diversa, più grande e dettagliata. Dettagliata al punto che, pensai, se solo mi fossi concentrato avrei potuto vedere i bordi frastagliati dei mari e dei crateri, anche di quelli più piccoli e invisibili a occhio umano. Il mare si estendeva piatto e muto, e potevo vederne il confine, l’orizzonte, che in quella luce aliena si mostrava chiaro e netto. «Mario, ho paura» piagnucolò Sandra. Mario, che stava con lei, l’abbracciò e baciò. Mi accorsi che eravamo tutti a poppa, appoggiati o nei pressi del parapetto, raccolti attorno allo Studioso come ci si raccoglie attorno a un padre. Le coppie si stringevano, io guardavo il mare e, malgrado la paura di vedere troppo, ero affascinato dalla strana luce e dai dettagli del mondo che non avevo mai visto. Chinando lo sguardo intravidi, appena sotto il pelo dell’acqua, guizzare strane forme fantasmagoriche. Chiesi allo Studioso di che si trattasse. «Sono semplicemente pesci. O meglio, sono i pesci che non avete mai potuto vedere.» «Io dico di chiamare soccorso» propose Maria, la voce tremante. «Meriti la galera per quello che hai fatto» minacciò Luca, fomentato dalla paura di Maria. Qualcuno assentì con la testa. Giampiero disse: «Appena torniamo. Non possiamo dimenticarci di questo fatto.» Lo Studioso ci guardava e assentiva. «Sentitevi liberi di fare quello che volete. In effetti avrei potuto chiedervelo, ma avreste detto no. Invece era necessario farlo: voi dovete guardare questa cosa.» «Ma perché?» chiese Laura. «Sentite» intervenni io «ci ha assicurato che non ci sono pericoli. Bene, per ora cosa avvertite? State male? Io mi sento bene. Vedo solo in modo diverso, tutto qua. Forse il preparato ha fatto cilecca, forse non è potente o roba simile. Ritiratevi in cabina, se avete paura. Starò io qui. Se succede qualcosa, vi chiamo.» Le ragazze parvero voler seguire il mio consiglio. Ai compagni e fecero mute preghiere con gli occhi e questi, anche se a malavoglia, accettarono. Maria e Luca furono i primi ad andare via. Poco dopo udii la sicura della porta scattare. Dico che la udii, ma sarebbe stato impossibile in circostanze normali. In verità la mia capacità di udire cominciava a espandersi e mi accorsi di essere capace d’indirizzare, con la concentrazione, il senso in una direzione precisa affinché ricevessi solo da là i suoni che provenivano. Era come poter chiudere novantanove casse su cento per ascoltare la musica trasmessa da una sola. Ed ecco, mi ero concentrato approssimativamente sulla posizione della cuccetta di Luca e Maria, e avevo potuto ascoltare la porta chiudersi. Proseguii a sondare, facendo però uno sforzo mentale, e udii i due spogliarsi in muta preoccupazione e rassegnazione, i cuori che battono forti, Maria piange senza voce, si sdraiano nel letto senza essersi lavati, li abbracciano e Luca accarezza, vuole, cerca, e trova. Una mano sulla spalla mi distolse da tutto. Era lo Studioso, che pareva bearsi della mia scoperta, dell’uso che facevo di mezzi e strumenti del mio corpo che, prima d’allora, erano stati imbrigliati in una realtà limitata e incompleta. «Ottimo» disse. «Fra un po’ potrai sentire due persone che parlano agli antipodi del mondo. O le sirene confabulare tra le rovine di Xiniyan. O le meduse di Saturno e Giove che sparano aria compressa dal deretano per muoversi nei pianeti gassosi. Ma quando la sostanza avrà esaurito il suo principio, i filtri si ristabiliranno.» Mi accorsi che solo Laura e Giampiero erano rimasti sul ponte, ma erano lontani, si erano seduti su una sdraio e stretti parevano dormire. Decisi di sondare il mare, nel punto da cui avevo udito il muggito poco fa. Al farlo, percepii altri suoni, come di mare smosso da possenti bracciate, il muggito ritornò, mostruosamente amplificato. Cosa lo provocava? Potevo vederlo? Decisi di sforzare la vista, ma sarebbe stato impossibile curvarne il raggio per mirare oltre l’orizzonte. Lo chiesi allo Studioso. «Oh» rispose «se proprio vuoi vedere, vai là. Cosa aspetti? Concentrati e lascia il corpo. Mai sentito di viaggi astrali? Quella è una possibilità permessa dalla natura, ma che gli uomini non sfruttano perché i filtri gliela rendono invisibile e fantastica.» «Ma allora la tua sostanza sta facendo già il massimo? Io vedo ben poche cose nuove…» «Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. I tuoi amici hanno paura e vedranno ben poco. Ma tu puoi fare tutto, ora.» Strinsi forte il parapetto, chiusi gli occhi e mi concentrai come mai avevo fatto. Cercavo di uscire fuori, cercavo di vedermi da oltre me. E mi accorsi ben presto di un distacco, a tratti piacevole ma anche doloroso, dalla mia carne. Mi sembrò di sentire anche un suono cacofonico di strappo pastoso, ma forse l’immaginai. Subito dopo aprii gli occhi ed ero in effetti oltre. Fluttuavo vicino a me, ma non avevo un corpo, ed ero solo mente e sensi. Lo studioso mi guardava, nel senso che guardava me, il me coscienza che ora si librava a mezz’aria e ad occhi mortali sarebbe apparso invisibile, se non completamente frutto di fantasia. Lo Studioso mi guardava e sorrideva, e mi apprezzava. Poi disse: «Ora vai.» E andai. Bastava pensare a una direzione perché io m’indirizzassi là. Bastava desiderare una velocità perché il mio spirito si adattasse. Fu così che percorsi chilometri in un secondo netto, se non meno. Mi trovai sotto l’ombra, proiettata dalla luna immensa, di una bestia gigantesca che, grazie a sei possenti e lunghe gambe affondate per metà nel mare, si spostava con una lentezza secolare. Da sotto la pancia pendevano organi simili a proboscidi, ma elastiche e gommose come lumache; in virtù di quella proprietà il mostro le estendeva fino al mare e le immergeva. Evidentemente si cibava di plancton e piccoli pesci, perché all’apice degli organi c’erano fori troppo piccoli perché vi potesse entrare anche un tonno. Che erano bocche non ne dubitai fin da subito. In quanto alla testa vera e propria della creatura, aveva una forma bitorzoluta, segmentata da una griglia di righe e mi ricordò l’occhio di un insetto. I segmenti ben angolati si separarono tra loro, come se dall’interno una forza li spingesse, e dallo spazio apertosi tra essi, venne fuori il muggito, terribilmente amplificato per la vicinanza, che un attimo prima ci aveva atterriti tutti. Sentii il mio spirito vibrare, e decisi di andare via. Viaggiai per il mondo. Andai fuori ed esplorai la Luna e le sue creature fatte di polvere ed energia. Andai ancora oltre e vidi i pianeti del nostro sistema che pullulano di vite insolite e di fenomeni che la scienza umana, fino a quando i filtri agiranno, non potrà mai studiare, né vedere, né anzi persino intuire. E poco prima di rientrare dalle regioni più esterne del nostro sistema solare, provennero al mio udito etereo le voci di esseri immensi che solcavano le stelle lontane, E di quello che vidi sul nostro mondo, è bene farne solo un sunto, perché non basterebbero mille pagine. In pratica vidi ogni forma fantastica che si ripete come un caleidoscopio nelle leggende umane e nel folklore, nonché i mostri e le aberrazioni spirituali dei racconti del soprannaturale. Scoprii che fate e gnomi esistono davvero, compresi quali sono le leggi che governano le cose morte, partecipai a raduni di spettri e streghe, ma vidi anche mille altre cose che neanche la fantasia umana ha mai concepito. Per dirne una, ci sono foreste che si spostano seguendo i cambiamenti gravitazionali degli astri, e con loro portano tutto l’ecosistema che vive tra le fronde e i tronchi. E la gente non sa nulla, si lascia attraversare da questi fenomeni, ci sbatte pure contro, ma i filtri bloccano persino la sensazione che qualcosa di strano è avvenuto. Compresi che i filtri agiscono anche in varie gradazioni, perché su certe cose dovevano avere un potere così assoluto che neanche certe menti recettive e sensibili al prodigioso ne avevano potuto intuirne l’esistenza. A un certo punto m’intrufolai in un oscuro consesso di creature luminose e diafane, esili e delicate; ma quello che udii mi terrorizzò, e temetti per la mia specie. Malgrado le distanze che avevo percorso e il labirintico andare del mio viaggio, sentivo dietro di me un qualche legame che mi ancorava al mio corpo, e fu seguendo quel legame che, dopo la partecipazione al raduno, potei tornare guizzante in me. Emisi allora un gemito per la sensazione del ritorno al proprio corpo, ma fu un gemito soprattutto per il terrore che l’ultima esperienza aveva lasciato nel ricordo. Lo Studioso era rimasto lì ad attendermi e mi sorresse, perché stavo per cadere. Gli raccontai tutto, e lui era fiero. Mi disse che i miei amici c’era chi dormiva e chi, ancora sveglio, ormai non percepiva più nulla d’insolito. «Tu sei stato la mia vittoria!» mi disse a un certo punto. «Prima mi stava sfuggendo il motivo per cui era necessario sottoporvi all’esperienza. Tu, per fortuna, mi hai fermato; dico per fortuna perché, visto come l’hanno presa gli altri, forse è bene che non sappiano la verità e vivano nell’ignoranza.» Lo guardai con attenzione ed ero pronto ad accettare il mistero. I miei filtri stavano tornando alla normalità, e mi dispiaceva profondamente. «Vedi» continuò «i filtri sono psicologici e materiali. Col tempo imparerai ad annullare la loro azione diciamo di natura spirituale. Non dubito che riuscirai anche ad annullare quella fisica… Nella realtà più vasta, da qualche tempo, ci sono agenti che confabulano per annientare l’umanità. Il perché vogliono fare questo, è dovuto al posto che occupate nella realtà, che secondo loro è un furto in piena regola, e all’uso che fate di questo posto. Immagina gli acari che occupano il tuo letto; gli acari sono ignari di quello che ci fai tu sopra, perché sei troppo grande, ma anche e soprattutto perché non possono capire la tua natura. Gli acari però di danno un qualche fastidio, e tu li vuoi eliminare… Ecco perché vogliono spazzare via la tua specie dalla realtà, perché ai loro occhi siete equiparabili ad acari, che vivono in un piccolo mondo, del quale percepiscono e comprendono solo una limitata quantità, ma che, ciò nondimeno, danno un qualche fastidio all’essere maggiore. Ed è così: voi date fastidio. La realtà maggiore subisce da milioni d’anni questo lavorio ininterrotto di parassiti che ignorano e perseguono solo i loro interessi. Ma negli ultimi secoli questo lavorio è diventato sempre più frenetico e fastidioso. Ed ecco che stanno decidendo di togliervi dalla via. Tu hai visto un loro congresso. Mi fa piacere, perché mi eviti di convincerti. Hai già una prova.» E io lì, bocca aperta, incapace di chiedere come mai parlava di “noi” senza includere se stesso. «Per fortuna vostra» proseguì «ci sono agenti che vogliono invece difendervi. Considera questi come dei naturalisti, ecologisti. Perché fate parte comunque della realtà e avete, nel vostro piccolo, una precisa funzione nell’ecosistema cosmico. È grazie a questi agenti del bene che io sono qui.» Stava albeggiando. Provennero dallo scafo suoni di risvegli. «Chi sei?» chiesi allo studioso. «Oh, se ti facessi vedere il mio aspetto, spaventeresti!» rise, divertito. «Ma non ha importanza. Io vengo da là. Ho assunto questo aspetto per “oltrepassare” i vostri filtri e farmi vedere e udire. Altrimenti risulterei invisibile e intangibile. È necessario che mi faccia vedere, perché sto facendo scuola a chi ne ha le capacità. In questo caso, tu. Se ti fossi rivelato inutile come i tuoi amici, tutto il mio ingresso nella tua crocchia e questa vacanza sarebbe stato tempo perso. Ma per fortuna non è stato così.» Mi raccontò altre cose. Seppi che nella nostra realtà aveva preso la parte dello studioso del soprannaturale per poter frequentare gente interessata a quel tema. «Sai, tra i creduloni è facile trovare gente i cui filtri sono facilmente annullabili. Ma ovviamente, come ti hanno dimostrato i tuoi amici, specialmente Maria, a un certo punto deve agire anche la curiosità e il desiderio, altrimenti il mio preparato, che agisce sui filtri fisici, fa un lavoro blando e perciò inutile. Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere, come dite spesso voi.» Mi disse che era necessario trovare umani disposti ad aiutarli nel proposito di fronteggiare le volontà di chi voleva annientarci, perché le creature della realtà più vasta avevano subìto da così tanto tempo ed erano stanche di subire, e il contrasto di chi voleva difenderci si basava su forze minori. «Siamo in pochi a volervi difendere, per questo occorre anche la vostra forza. Non so quando i vostri nemici decideranno di passare all’azione, ma per allora dovremo contare sull’appoggio di migliaia di voi. Per anni abbiamo cercato gente come te, ma lo stesso ci serve il vostro aiuto per cercarne altri. Fra qualche anno saremo una forza adeguata.» «Quindi dovremo… combattere?» «Non necessariamente, esiste una seconda possibilità. Dovremmo far capire alla tua gente dove sbaglia, e farle correggere i suoi errori. Solo così il morale di quelli di là potrebbe distendersi un po’. Ma sarebbe solo un posticipo del confronto, perché anche l’uomo più ecologista agisce ignaro dei disagi che causa.» «Forse» proposi «la cosa migliore da fare è annullare i filtri.» «È quello che desideriamo tutti. Ma hai visto come hanno agito i tuoi amici.» Chiacchierammo fino a che non ci chiamò una delle ragazze – non saprei dire quale perché, nel vortice delle impressioni e delle emozioni scatenato dall’esperienza e dalle parole dello Studioso, non mi voltai neanche e non le prestati che scarsa attenzione. Ma ci chiamò per la colazione. Il sole stava salendo dalle acque, e che meraviglioso mare. Avvertivo il malumore degli altri; pensavano ancora di essere stati imbrogliati, ma ero pronto a difendere l’essere che mi aveva istruito e che avrebbe continuato in futuro, in compagnia di altri suoi simili e di miei, e che mi avrebbe aiutato ad abbattere sempre più con la mia volontà i filtri, specialmente quelli fisici. Già allora, mentre lui con un cenno mi salutava per unirsi agli altri, avevo come la sensazione di avere il potere di spegnere qualcosa in me, e immaginavo un pulsante da pigiare. Ma era difficile trovarlo, nel labirinto della mente, ed era chiaro che fosse quello per annullare i filtri dello spirito. Volevo vedere ancora, e speravo che bastasse quel desiderio a farmi superare ogni difficoltà. Venne Luca per fumarsi una sigaretta. «Che brutta storia. Maria tremava come una foglia, e io non voglio vedere più quella luce. Beata limitatezza!» La mattina nasceva. |
|