Piccolo
  • Poll choices
    Statistics
    Votes
  • 4
    53.33%
    8
  • 3
    40.00%
    6
  • 1
    6.67%
    1
  • 2
    0.00%
    0
Guests cannot vote (Voters: 15)

Piccolo

di Stefano Pastor - 35mila caratteri

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. black cat walking
     
    .

    User deleted


    [QUOTE=marramee,1/8/2010, 00:15]

    PICCOLO



         Accidenti, com'era piccolo!
         Fui io a parlarne per la prima volta: detti una gomitata a Silvia e le bisbigliai, a voce non troppo bassa: «Che dici, è un bambino?»
         Rispose Giulia per lei: «Ma dai, non lo vedi che è un nano?»
         Sarà anche stato un nano, quello accanto a lui lo era senz'altro, ma a me continuava a sembrare un bambino.
         Eravamo brille, quella sera, per non dire del tutto ubriache. Erano le nostre solite uscite del venerdì sera, senza freni e senza regole. Per un po' le avevo scansate, ma ora che non avevo più un ragazzo a rompere ero ricaduta in quella triste abitudine.
         Andavamo a caccia, così dicevamo, ma era raro che beccassimo mai qualche preda. Al massimo ci riuscivo io, che non ero affatto male. Le altre, poverette, dovevano accontentarsi di sospirare.
         Non che Silvia e Giulia fossero scorfani, soltanto non sapevano presentarsi, non mettevano in mostra le grazie di cui la natura le aveva fornite. Silvia con quell'orribile paio d'occhiali che parevano fondi di bottiglia e Giulia con i suoi tristi capelli stopposi che aveva diviso in due treccine, quasi fosse una ragazzina d'altri tempi. Patetiche!
         Perché mi aggregavo a loro, allora? Perché erano mie amiche da sempre e perché... ma sì, ammettiamolo, tra di loro io spiccavo. E diamine, ero uno schianto! Al diavolo la modestia!
         Non ricordavo neppure come fossimo finite in quel luna park. Forse perché era appena arrivato e noi eravamo curiose, forse perché avrebbe potuto essere un buon terreno di caccia. Poi Silvia aveva voluto comprare una busta ed eravamo finite lì.
         Era un gioco vecchio, ma aveva ancora il suo fascino. Vendevano buste al pubblico, buste chiuse. Poi alcuni venivano estratti e allora iniziavano le contrattazioni. L'imbonitore faceva loro delle offerte, per comprare le buste. Era sempre un azzardo, perché non si poteva sapere quale premio contenessero.
         Silvia non era stata estratta e l'interesse per il gioco era scemato. Guardavamo gli altri contrattare, ed eravamo sempre più annoiate. Era solo un carrozzone, quello davanti a noi, pieno di premi di ogni genere e con un palchetto innalzato davanti al portellone aperto. L'imbonitore era un nano, ma con una voce così stentorea da non aver bisogno di alcun microfono.
         Non era lui che ci interessava, ma il suo assistente. Era evidente che fosse il figlio, ma era un bambino o un nano come lui?
         «Chiediamoglielo!» proposi.
         Le due galline si misero a ridacchiare. Questo non fece che accrescere la mia curiosità.
         «Lo faccio io!» dissi, e non attesi risposta. Mi feci avanti tra la folla e a spintoni raggiunsi il palco improvvisato.
         «Ehi tu, piccolo!» gridai.
         Il piccoletto capì subito che stavo parlando a lui e mi rivolse uno sguardo tutt'altro che invitante.
         Io continuai, imperterrita: «Cosa sei, un bambino o che altro?»
         Finse di ignorarmi.
         Ormai ero lanciata, e l'alcol aveva la sua colpa. Mi ero scolata tre birre di fila e il mio tasso di sopportazione alcolica era molto basso. «Dai, su, non farti pregare! Quanti anni hai?»
         Se mi rispose fu solo per non creare guai. Un'ubriaca che starnazzava come stavo facendo io rischiava di compromettere tutto il gioco. Allora si staccò dal padre e venne verso di me. «Diciannove,» rispose.
         Restai a bocca aperta: quel piccoletto aveva la mia stessa età. Eppure sembrava un bambino, solo un bambino. Il suo corpo non pareva affetto da qualche malformazione, solo le proporzioni erano ridotte.
         Visto che tacevo, lui mi ignorò e tornò dal padre. Mi lasciai di nuovo sommergere dalla folla e mi ritrovai accanto alle mie amiche, che avevano seguito il breve discorso.
         «E tu ci credi?» chiese Silvia.
         «Perché non dovrebbe essere vero?» ribatté Giulia. «Loro sono fatti così.»
         «Ma dici che... gli funziona? Che lo può fare come tutti gli altri?»
         Scoppiarono a ridere tutte e due.
         «Oddio, anche quello sarà in scala!» aggiunse Giulia. «È osceno anche solo pensarci, mi sembrerebbe di farlo con un bambino!»
         «A me piacerebbe vederlo nudo,» continuò imperterrita Silvia, «vedere com'è fatto.»
         «Ma sei una pervertita! Come fai a pensare una cosa del genere?»
         «È carino.»
         Le galline starnazzavano e io non riuscivo a staccare gli occhi dal piccoletto. Era molto efficiente, sembrava prevedere in anticipo tutti gli ordini del padre. Probabilmente faceva quel lavoro da così tanto tempo da sapere sempre cosa si aspettava da lui.
         Non so perché lo dissi, ma allora diedi la colpa all'alcol. «Lo faccio io.»
         «Cosa fai tu?» mi chiese Silvia.
         «Me lo scopo. Così poi vi so dire.»
         Scoppiarono di nuovo a ridere. «Ma sei impazzita?»
         Alzai le spalle. «Che differenza fa? Se non gli si rizza non rischio niente. Se invece ce la fa... non dev'essere poi così terribile.»
         «Ma è un bambino!»
         «Ha la nostra età, non l'hai sentito?»
         «Sì, ma...»
         «Chissà se l'ha già fatto.»
         «Ma stai dicendo seriamente? Ti rendi conto di quello che vuoi fare?»
         A dire il vero il piccoletto non mi eccitava minimamente, la mia era solo curiosità. Il fascino del proibito, dell'impossibile.
         «Credi che non ne sarei capace? Che mi rifiuterebbe?»
         «Tu sei tutta suonata!» ribatté Giulia, con un tono che non ammetteva repliche.
         E lì finì, si parlò di altri argomenti, tutti più o meno futili, e andammo a esplorare il resto del luna park.
         Ma l'idea era stata gettata. Girammo ancora un'oretta, tra le varie attrazioni, finché scoccò la mezzanotte e venne il momento di tornare a casa.
         «Andate voi,» dissi, «io resto ancora un po'.»
         Giulia comprese subito. «Lo vuoi fare davvero!»
         «Andate e basta!» tagliai corto. «Se succederà qualcosa, domani sarete le prime a saperlo.»
         Non fu facile convincerle, ma dopo qualche minuto mi lasciarono, sempre ridacchiando.
         Io tornai al carrozzone dei nani.
         Lo spettacolo era finito e il piccoletto stava smontando il palco. Non c'era traccia del padre.
         «Ce la fai?» gli chiesi. «Hai bisogno di una mano?»
         Mi scoccò un'occhiata di fuoco, ma rispose comunque in modo educato. «No, grazie.»
         «Io mi chiamo Chiara,» mi presentai.
         Lui bofonchiò qualcosa, se era un nome non lo compresi.
         «Che fai adesso?»
         «Come?»
         «Sì, adesso che hai finito. Lo spettacolo è finito, no? Che fai, vai a divertirti?»
         Non davo molto peso al fatto che fosse mezzanotte suonata, immaginavo che loro avessero orari differenti.
         «Che vuoi?» mi chiese direttamente.
         Alzai le spalle. «Immagino che tu sia nuovo qui. Magari non conosci nessuno. Potrei mostrarti la città.»
         Ero fiera del bel discorsetto, mi pareva inappuntabile. Lui bofonchiò di nuovo qualcosa di incomprensibile.
         «Eh? Parla più forte, non capisco niente!»
         «È uno scherzo? Mi stai prendendo in giro?»
         «Come? Perché dovrebbe essere uno scherzo? Che ti salta in mente?»
         «Davvero ti va di farti vedere in giro con me?»
         No che non mi andava! Solo l'idea di essere vista con quel nanerottolo era imbarazzante! Io volevo solo fare una scopata e basta!
         «Ma certo! Che problema c'è? Non sei mai andato in giro con una ragazza?»
         «Non con una come te.»
         Sospettavo che non si stesse affatto riferendo alla mia bellezza e avrei dovuto sentirmi offesa, ma ero ancora troppo esaltata dal mio coraggio e convinta di essere un genio.
         «Ti lasciano uscire?»
         Un passo falso, l'avevo trattato come se fosse un bimbetto, ma non era facile prescindere dal suo aspetto.
         Lui sbuffò soltanto. «Dove vuoi andare?»
         Ero stupita che fosse stato così facile, nessuna preda era mai caduta nella mia rete con tanta ingenuità.
         «C'è un locale qui vicino. Non è male, potremmo bere qualcosa. C'è anche della buona musica.»
         Non riuscii a restare seria, l'idea di ballare con lui era quanto di più assurdo potessi concepire.
         «Tu hai già bevuto fin troppo,» disse il piccoletto.
         Neppure in quel caso mi offesi, in fondo era la verità.
         «Dove sono le tue amiche?»
         Alzai le spalle.
         Lui prese una decisione. «Ti accompagno a casa. Non mi sembri in grado di arrivarci da sola.»
         Io la considerai ugualmente una vittoria.
         «Sì, dai, accompagnami a casa!»
         
         E così fu. Dovetti aspettare un po' che avesse finito, poi andò a parlare col padre e dopo qualche minuto venne a prendermi. Il padre gettò uno sguardo fuori dal finestrino, e mi parve tutt'altro che benevolo.
         Io ero parecchio cotta, ormai, e non facevo che ridacchiare, seduta su una cassa.
         Il piccoletto mi prese per mano. «Dai, andiamo,» mi disse, e il fatto che trattasse me come una bambina ebbe solo l'effetto di farmi ridacchiare più forte.
         Stranamente ero ancora ben salda sulle gambe e ci allontanammo dal luna park tenendoci per mano.
         Io rivivevo quella scena nella mia mente, come se avessi potuto staccarmi dal mio corpo e osservarla dall'altro, e la trovavo incredibilmente buffa.
         Lui era molto paziente, anche troppo.
         «Ce l'hai una ragazza?» gli chiesi. «Voi due fate... fate sesso?»
         Non rispose.
         «Non c'è niente di male a parlarne, a me puoi dirlo.»
         Il luna park era stato montato su un campo in periferia, c'era da camminare per quasi un chilometro prima di raggiungere la città.
         «Te lo ricordi dove abiti?» mi chiese il piccoletto.
         Ingoiai una rispostaccia e continuai a infierire. «Com'è la tua ragazza? È come te? L'hai fatto anche con ragazze normali?»
         Lui finalmente se ne rese conto. «Vuoi scopare? Vuoi scopare con me?»
         Non sembrava molto stupito.
         «Ma no, che ti salta in mente! Sono solo curiosa!»
         Mi diede uno strattone. «Dai, muoviti.»
         «Non ci fermiamo al locale? È laggiù.»
         «Altro che locale! Tu hai bisogno solo di farti una dormita!»
         Io continuavo a ridacchiare come una scema.
         Quando fummo in vista delle prime case accadde la catastrofe: una macchina inchiodò proprio davanti a noi.
         Prima ancora che scendessero dall'auto mi ero accorta di essere nei guai e avrei dato qualsiasi cosa per non trovarmi lì. Al pensiero che mi vedessero insieme al piccoletto inorridii e mi affrettai a lasciare la sua mano.
         «Chiara! Che ci fai in giro a quest'ora? Che è successo?»
         Merda, merda, merda! Era quello stronzo di Tony e non era neppure solo! Si portava appresso quei due deficienti dei suoi amici, con i loro sogghigni da idioti.
         Mi squadravano tutti, ma soprattutto guardavano il piccoletto al mio fianco, che ai loro occhi doveva sembrare un bambino.
         «Che hai, Chiara?»
         Io cercavo di non guardarlo, di nascondermi. Quello stronzo di Tony era stato il mio ragazzo, per quasi due mesi, ma poi si era accorto che la fedeltà non faceva per lui, e la nostra storia era finita molto male, con insulti e minacce.
         «Chi è questo bambino? Tuo fratello?»
         Mio fratello aveva già quattordici anni ed era assai più grande del piccoletto, era alto quasi come me. Ma Tony non l'aveva mai conosciuto, quindi preferii lasciarglielo credere.
         «Ma no!» si intromise uno degli amici, di cui non ricordavo mai il nome. «Lavora al luna park, l'ho già visto! È un nano!»
         Sprofondai. Il piccoletto non sembrava preoccupato, invece. «Cosa volete?» li affrontò.
         Tony era incredulo. «Un nano? Vai in giro con un nano? In piena notte?»
         Il piccoletto mi afferrò per un braccio, tirandomi. «Vieni, andiamo via.»
         Possibile che non si rendesse conto della situazione di merda in cui mi ero cacciata?
         «Lasciala stare!» si intromise Tony. «Lei viene con noi!»
         «Ma niente affatto!» ribatté il piccoletto.
         Lui non capiva. Si sentiva responsabile per me, ubriaca com'ero, e non intendeva lasciarmi nelle mani di quei brutti ceffi. In un altro momento l'avrei trovato lusinghiero, ma allora desiderai solo che sparisse, che sparissero tutti quanti.
         Tony si fece avanti e i suoi amici accorsero a dargli man forte. «Chi cazzo sei? Che vuoi? Che ci fai qui? Tornatene da dove sei venuto!»
         Prima che chiunque potesse intervenire, Tony afferrò il piccoletto alla vita e lo alzò come se fosse un giocattolo. Io mi ritrovai improvvisamente libera.
         «Mi hai sentito?» gli urlò Tony in faccia.
         Poi mi guardò, uno sguardo disgustato che fu come una frustata. «Guarda come ti sei ridotta! Dovresti avere vergogna di quello che fai!»
         L'avevo, eccome! Ero troppo ubriaca per vedere le cose nella giusta prospettiva. Indietreggiai.
         «Va' a casa!» urlò Tony. «Vattene!»
         Suonava come un insulto, e io non me lo feci ripetere. Mi misi a correre, scappai via, senza neppure girarmi una sola volta.
         
         Il mattino dopo il mal di testa era tremendo. Non solo, purtroppo per me ricordavo ogni particolare di ciò che era accaduto la sera prima. Il modo vergognoso in cui mi ero comportata, l'aggressione di Tony.
         La rabbia per come mi ero fatta comandare da lui, per come gli avevo permesso di intromettersi nella mia vita, mi fece di nuovo perdere il senso delle proporzioni. Insultai persino mio fratello, che non mi aveva fatto niente, ma aveva la sola colpa di essere un maschio.
         Poi arrivò il senso di colpa, era inevitabile, per come mi ero comportata col piccoletto. Sperai che Tony non l'avesse strapazzato troppo, e alla fine giunsi alla conclusione che mi sarei dovuta scusare con lui.
         Così quel giorno saltai la scuola, nascosi lo zaino coi libri e tornai al luna park.
         A quell'ora di mattina non era ancora aperto, ma sperai che il piccoletto fosse già sveglio. Mi feci forza e bussai al suo carrozzone.
         La porta si aprì all'istante e un nanerottolo mi sovrastò, dall'alto dei cinque scalini. Era il padre, e sembrava davvero incazzato. Non mi lasciò il tempo di parlare.
         «Dove diavolo è mio figlio? Cosa ne hai fatto?»
         Non era ciò che mi aspettavo e quella domanda mi lasciò a bocca aperta.
         «È andato via con te!» continuava a urlare. «Vi ho visti! Dov'è adesso?»
         Come una scema gli chiesi: «Non è tornato?»
         «No, che non è tornato!»
         Cosa gli aveva fatto Tony? Sapevo bene che era uno stronzo, ma mi sembrava impossibile che potesse fare del male a qualcuno. Ma quanto lo conoscevo realmente?
         Mentii. «Mi ha solo accompagnato a casa. Ero venuta a ringraziarlo.»
         Ciò lo calmò, appena un po'.
         «Qui non è tornato, non ho idea di dove sia.»
         Poi rientrò nel carrozzone e io ne approfittai per scappare.
         
         Ebbe inizio la ricerca. Certo avrei potuto disinteressarmene, fingere di non sapere niente, ma come facevo? L'avevo messo io nei guai quel poveretto e ora non potevo chiudere gli occhi.
         Tornai nel punto dove avevamo incontrato Tony. Avrei potuto chiamarlo col cellulare, chiedergli cosa gli aveva fatto, ma non volevo dargli quella soddisfazione. Così mi misi a controllare lì intorno. Tracce di violenza non ne vidi, e neppure sangue. Ero certa che Tony non l'avesse picchiato, non poteva essere così... oppure sì?
         A un certo punto iniziai a chiamarlo e giacché non sapevo il suo nome dovetti adattarmi. «Piccolo? Dove sei, piccolo?»
         Perlustrai ogni centimetro della zona, sperando che non l'avessero fatto salire in macchina e portato chissà dove.
         Alla fine giunsi in riva al fiume. C'era il grosso condotto dello scarico fognario, che appariva dall'argine e si immetteva nel corso d'acqua. Era un cilindro alto quasi due metri, e considerai che un tipo come Tony avrebbe potuto trovare divertente l'idea di buttarlo lì dentro.
         Così mi feci forza e vi entrai. Era un luogo puzzolente, con un rigagnolo di acqua putrida che scorreva al centro. «Piccolo?» gridai.
         Continuai ad andare avanti e a un certo punto fui costretta a usare l'accendino perché la visibilità era al minimo.
         «Piccolo?»
         Arrivò la sua voce, all'improvviso: «Non chiamarmi in quel modo!»
         Quasi urlai dalla contentezza. «Dove sei?»
         «Qui sotto.»
         Trovai una grata, infine, seguendo il suono della sua voce. Lui era invisibile alla misera luce dell'accendino.
         «Mi hanno chiuso qui dentro, non posso uscire.»
         Non c'erano lucchetti, ma un semplice paletto che la teneva bloccata. Dall'interno era impossibile raggiungerlo.
         Lo tolsi con facilità. «Dai, vieni fuori. È tutto finito.»
         Il cubicolo sotterraneo doveva essere strettissimo, ma lui in fondo non occupava molto spazio. Risalì le scale di ferro incassate nel muro. Era sporco e puzzolente, e per di più completamente nudo.
         «E allora?» mi aggredì subito. «Me li hanno tolti loro! I tuoi amici! Non è che hai trovato i miei vestiti, da qualche parte?»
         Scossi il capo, era probabile che li avessero buttati in qualche cassonetto. Non riuscivo a staccare gli occhi dal pene contornato da un cespuglietto scuro. Anche se era a riposo non era certo quello di un bambino.
         «Ti diverti?» mi chiese lui, che aveva notato il mio sguardo.
         Era una strana sensazione. Non era un bambino, era un giovane uomo in miniatura. Tutto in lui era proporzionato e in quel momento lo trovai giusto, naturale.
         Lui si alzò, cercando di guadagnare l'uscita. «Non ne posso più di stare qui dentro! Potevi anche venire un po' prima, non credi? Mi avete lasciato abbastanza a marcire!»
         Gli corsi dietro. «Io non c'entro!»
         Ma non era vero, la colpa era tutta mia. Io ero scappata, ed ero pure tornata a casa, dimenticandomi di lui. Quella notte avevo dormito tranquilla nel mio letto e non nelle fogne com'era capitato a lui.
         Quando arrivammo a pochi metri dalla libertà lui si bloccò. Guardò il proprio corpo, nudo e sporco, e fece una smorfia. «Non posso uscire così!»
         Era evidente. Considerai se fosse il caso di andare a chiamare suo padre, ma questo avrebbe richiesto troppe spiegazioni.
         «Aspetta,» gli dissi, e cercai di togliermi il maglione. «Questo dovrebbe andare bene.»
         Su di lui sarebbe stato largo, ma l'avrebbe coperto fin quasi alle ginocchia. Se qualcuno l'avesse visto in quelle condizioni l'avrebbe di certo trovato comico, ma sempre meglio che nudo del tutto.
         Venne su anche la camicetta, che uscì dalla gonna, rialzandosi fin quasi ai seni. Sotto non portavo altro, perché non avevo bisogno di alcun sostegno. Mi sentii nuda davanti ai suoi occhi.
         Era una situazione incredibile. Di fronte a me lui sembrava un bambino, eppure... Mi parve di notare un lieve movimento tra le sue gambe. Allora, invece di passargli il maglione, lo lasciai cadere a terra e iniziai a sbottonare la camicetta.
         «Che cazzo stai facendo?» chiese lui, e c'era quasi timore nella sua voce.
         «Lo sai,» gli risposi, e lasciai scivolare la camicetta, mettendo in mostra i seni.
         «Lo vuoi fare qui dentro? Ma sei pazza? Io sono congelato!»
         «Possiamo riscaldarci a vicenda.»
         Scosse il capo. «Non te ne frega niente di me. Per te è solo un gioco.»
         Alzai le spalle. «E se anche fosse? Non ti va di farlo?»
         Mi chiesi di nuovo se fosse vergine, se l'avesse mai fatto prima, e questo ebbe uno strano effetto su di me.
         «Stai ridendo! Ti ho visto che stai ridendo!» gridò lui.
         Mi distesi a terra, cercando di non finire nel rigagnolo. «Vieni.»
         «Ma è puzzolente! Non si respira!»
         «Anche tu puzzi.»
         «Sei matta, completamente matta!»
         Però si era chinato su di me e quando cercai di sfilarmi la gonna lui mi aiutò.
         «Sei una pervertita? Ti piace farlo con i bambini?»
         Arrivai a chiedermelo, poi mi accorsi che stava avendo un'erezione e sbuffai. «Smettila di parlare!»
         «È una pazzia! È tutta una pazzia.»
         Eppure si era coricato al mio fianco e aveva allungato una mano, incerto se toccarmi.
         «Allora, l'hai già fatto? Con una come me? Non mi hai mai risposto.»
         «Una stronza? No, non l'ho mai fatto con una stronza.»
         Gli afferrai le mani e le portai sui miei seni. «Allora inizia.»
         Sentii le sue carezze e chiusi gli occhi. Lui smise all'istante.
         «Che c'è?»
         «Ti ho vista, sai? Hai chiuso gli occhi! Non vuoi vedermi, vuoi farlo ma preferisci immaginare che ci sia un altro, su di te.»
         «Ma che assurdità!»
         «Sei proprio una stronza!»
         «Guarda! Ho gli occhi bene aperti, ti sto guardando. Lo vuoi fare adesso?»
         Lo sentii sopra di me, ed era leggero, fin troppo. Però le sue mani erano morbide, il contatto tra i nostri corpi piacevole. Attesi.
         «Non mi vuoi toccare, vero? Ti fa senso toccarmi. Sono troppo piccolo.»
         «Ma che sciocchezze vai dicendo?»
         «Perché non lo fai, allora?»
         Lo feci. Lo abbracciai, e la sensazione che provai fu indicibile. Aveva ragione lui, era piccolo, piccolo, troppo piccolo. Avevo l'impressione di fare qualcosa di osceno, di sbagliato.
         «Vedi, avevo ragione, non ce la fai.»
         Ero stufa di sentirlo parlare. Gli chiusi la bocca con un bacio e lo strinsi forte. Lui si contorse, ma non avevo intenzione di lasciarlo. Sì, era strano, stranissimo, però ero decisa ad andare fino in fondo.
         Quando lo sentii entrare dentro di me, la sensazione di straniamento fu ancora maggiore.
         «Sei una stronza,» disse lui, mentre iniziava a penetrarmi.
         
         «Chi è?» chiese Davide, mio fratello.
         E visto che non rispondevo, continuò: «C'è un bambino nudo in bagno! Dove l'hai trovato?»
         Io ero nella sua camera, intenta a saccheggiare l'armadio.
         «La mamma lo sa che sei qui? Non dovresti essere a scuola?»
         Anche lui avrebbe dovuto essere a scuola, era previsto che a casa non ci fosse nessuno, per questo l'avevo portato lì.
         «Che stai facendo? Lascia stare! È roba mia!»
         «Non li metti da anni,» sbuffai. «Non ti entrano più.»
         «Vorresti darli a... lui? Non ha i vestiti?» Poi ragionò. «Se è nudo come ha fatto ad arrivare qui?»
         In quel mentre il piccoletto fece la sua entrata, vestito solo con un asciugamano annodato alla vita, che lo copriva però fino ai piedi.
         «L'acqua era gelata,» si lamentò.
         Davide lo studiò con diffidenza e pian piano notò qualcosa di strano in lui. «Chi è?»
         Non era un bambino, non si stava comportando come un bambino.
         Io gli lanciai i vestiti. «Provati questi.»
         Il piccoletto si liberò dell'asciugamano, senza pudore, e mio fratello poté rendersi conto della situazione. Lo additò. «Ma... ma...»
         «Tu non hai visto nulla,» dissi a Davide, ed era un ordine.
         «Ma chi è? Che ci fa qui?»
         «È un mio amico.»
         «Non l'ho mai visto. Da dove arriva?»
         Non gli risposi. Lui non riusciva a staccare gli occhi dal piccoletto, che si stava rivestendo. Anche se erano abiti che Davide non indossava più da anni gli stavano comunque larghi.
         Davide concepì un'idea assurda, e scoppiò a ridere prima ancora di esprimerla a parole. «È il tuo ragazzo?»
         Rispondemmo all'unisono, io e il piccoletto, quasi con disgusto. «No!»
         Davide continuò a ridacchiare, come uno scemo. «State proprio bene insieme!»
         Mi morsi la lingua per non rispondergli.
         
         «Non è stato granché, vero? Ce l'ho troppo piccolo?»
         Sobbalzai e lo guardai incredula. Lo stavo riaccompagnando al luna park. Era comico con quel vestito da ragazzino. Era a piedi nudi e calzava un paio di infradito, le uniche scarpe che avevamo trovato della sua misura.
         «Ma che ti salta in mente?»
         «A te non è piaciuto.»
         «Ma niente affatto, io...»
         «Non ti è piaciuto.»
         Non mi era piaciuto? A dire il vero non ne avevo idea. La situazione era stata troppo strana. In quel condotto puzzolente, con lui in quelle condizioni, con io...
         «Dovremmo riprovare,» mormorai.
         «Cosa?»
         «La prima volta non vale. Dovremmo riprovare, davvero.»
         «Non ti sono piaciuto,» decretò lui.
         Non sapevo proprio come comportarmi.
         «Ce l'ho troppo piccolo, vero?»
         Insisteva, e io non avevo una risposta da dargli. Che ne sapevo io? Non ero certo un'esperta. Non era il primo ragazzo con cui andavo a letto, certo, ma non è che avessi misurato la lunghezza a tutti quelli con cui ero stata. Per certo potevo solo dire che Tony ce l'aveva ancora più piccolo del suo, ed era pure un campione dei cento metri. Nove secondi esatti.
         «Smettila di dire queste sciocchezze.»
         «Ti dà fastidio farti vedere con me.»
         «Ma no!»
         «Posso sempre dire che sei la mia babysitter, se vuoi.»
         «Ma stai cercando di litigare?»
         «Qui non siamo in una fogna.»
         Finalmente capii il senso della sua frase. Capii il suo malcontento. Lo spazio vuoto che ci divideva. Allora lo presi per mano e non dissi altro.
         Eravamo comici, c'era poco da dire. Come coppia, almeno. Sembravo davvero una babysitter che portava un bambino a prendere il gelato.
         Allora gli passai un braccio intorno alle spalle e lui mi lasciò fare senza dire niente.
         Cosa stavo facendo? Perché mi comportavo così? Mi stavo prendendo gioco di lui? No, non era così, lo sapeva benissimo che tra noi non c'era niente. Era solo sesso, nient'altro.
         Alle porte del luna park mi fermai.
         «Non vuoi venire?» mi chiese lui.
         Perché? Per consegnarlo in quelle condizioni, con quegli abiti? Per dover spiegare alla sua famiglia cosa gli era accaduto? Mi sentii un'idiota e scossi il capo.
         «Sì, ho capito. Lasciamo perdere.»
         No che non aveva capito, non ce l'avevo con lui, non era per quello! Non era perché non mi era piaciuto... Ma che cazzo, certo che mi era piaciuto! Mi era piaciuto tantissimo, era pronta a rifarlo in qualsiasi momento! Io...
         Gli corsi dietro.
         «Mi detesti?»
         Alzò le spalle. «Sei fatta così.»
         Così come? Cosa voleva dire? Che ero una stronza?
         Suo padre ci vide, da lontano, ma invece di venirci incontro urlando, fece proprio l'opposto. Rientrò nel carrozzone, sbattendo la porta.
         Seguii il piccoletto fin lì, poi lui mi chiese: «Vuoi entrare?»
         Avrei anche voluto, ma ero certa che suo padre mi trovasse antipatica.
         Salì i gradini e spalancò la porta senza attendere risposta. «Su, vieni.»
         Nessuno ci accolse. La stanza sembrava un salotto ed era linda e ordinata, nonché deserta. Lui mi indicò una porta. «Aspettami lì.»
         Gliene fui grata, non ci tenevo a essere immischiata in liti famigliari, anche se ero stata io a provocarle.
         La stanza in cui entrai doveva essere quella del piccoletto. Rimasi a bocca aperta. Era una stanza... normale. La stanza di un qualunque ragazzo della nostra età. Libri di avventura e dischi. Poster appesi, un computer e videogiochi. Tanta confusione e vestiti buttati qua e là. Tutto era in scala, però, a partire dal letto. Mi sedetti su una sedia, sentendomi come Biancaneve nella casa dei sette nani.
         Incominciai a stare male. Non si sentivano urla né altro, se stavano litigando lo facevano a voce bassa. Ma era la stanza a farmi sentire a disagio, mi rendevo conto di non aver capito niente, proprio niente.
         Il piccoletto arrivò dopo qualche minuto. Aprì un armadio e tirò fuori degli abiti. «Mi cambio, così questi puoi riprenderteli.»
         Mi voltava la schiena mentre si stava spogliando. Io lo imitai, togliendomi il maglione e la camicetta.
         Si voltò di scatto. «Che stai facendo?»
         Non lo sapevo neanch'io. C'era suo padre nella stanza accanto, sarebbe potuto entrare da un momento all'altro. Mi bloccai guardando la porta.
         «Non c'è nessuno,» disse il piccoletto, «è andato via.»
         «Perché?»
         Un sorriso amaro. «Forse vuole lasciarci un po' di intimità.»
         «Lui crede...»
         Alzò le spalle. «La vede così. È convinto che anch'io meriti di divertirmi.»
         Non riuscivo a capire. Allora perché mi aveva fermata? Sganciai la gonna.
         «Smettila!»
         Lui era quasi nudo, davanti a me.
         «Che c'è che non va?»
         «Il tuo esperimento non è ancora finito?»
         Mi colpì la sua rabbia. «Non c'è nessun esperimento!» mi difesi.
         «Certo che c'è! Volevi scoprire cosa si prova a farlo con un nano. Non ti è bastato?»
         «Non è così!» dissi, mentendo. Eppure era iniziata proprio in quel modo. Non l'avrei chiamato esperimento, ma in fondo quella parola gli rendeva giustizia.
         «Non ti sei stancata di prendermi in giro?»
         «Non ti ho preso in giro.»
         Forse stavo prendendo in giro solo me stessa. Ormai non ero più in grado di comprendere i miei sentimenti.
         «Credi di essere la prima? Credi di essere la prima ad aver fatto questo esperimento? Di aver voluto scoprire come si scopa con un nano?»
         Era cattivo, ma forse me l'ero meritato. «Ce ne sono state altre?»
         «Tantissime.»
         Stava mentendo, ne ero sicura. Mi stava prendendo in giro. «Non ti credo.»
         «Dovresti. Non sei la prima, te l'assicuro. C'è stata mia madre, lei era proprio come te.»
         Detto in quel modo sembrava un insulto. «Che vuoi dire?»
         «Lei era normale. Una donna normale. Però era curiosa di sapere cosa si provasse a scopare con uno di noi. Era ubriaca, sai. E lo era anche papà. Nessuno dei due prese precauzioni.»
         Mi congelai e il mio cuore prese a battere all'impazzata. Precauzioni? Quali precauzioni? Io non avevo mai preso la pillola, mia madre non me l'avrebbe permesso, si sarebbe inorridita, secondo lei avrei dovuto giocare ancora con le bambole. Erano sempre stati i ragazzi a occuparsene, ma in quella fogna non c'era di certo alcun preservativo. L'avevamo fatto! Fatto senza precauzioni! Avrei potuto essere incinta. Incinta di... Avere un figlio come...
         «Vattene! E non tornare più!» mi urlò lui. E aggiunse: «Non fare come lei!»
         Trovai la forza di chiederglielo: «Cos'ha fatto?»
         Sogghignò. «Ci ha provato, ma quando è stata certa che io sarei diventato come lui mi ha riportato qui. Avevo due anni, non lo ricordo, ma mio padre mi ha raccontato tutto. Lei non ce la faceva, non era in grado di crescere uno come me. Si è sposata, ora ha una bella famiglia e dei figli normali.»
         Non mi lasciò il tempo di parlare.
         «Credi che la odi? Be', ti sbagli. Gliene sono grato! Io qui sono felice! La mia vita è bella! Sono pieno di amici! È fuori che è brutto, tra quelli come te!»
         Continuai a scuotere il capo.
         «Vattene, mi devo cambiare.»
         Feci scivolare la gonna e restai nuda.
         «Che significa questo? Non ti basta ancora?»
         Scossi il capo.
         «Cosa vorresti da me? Cosa pretendi?»
         Non c'era nulla che pretendessi, però non volevo che finisse così. Non volevo proprio andarmene da lì, lasciarlo.
         «Sei una pervertita?»
         Se desiderarlo, desiderare il suo corpo, desiderare tutto di lui, era una perversione, allora sì, ero una pervertita, non potevo farne a meno. Non mi importava che fosse così piccolo: in quel momento, in quel luogo, lo trovavo perfetto. Ero io a essere fuori misura, a sentirmi un mostro.
         «È una pazzia,» ripeté lui, ma era già sconfitto.
         Mi feci avanti e mi inginocchiai davanti a lui, per poterlo guardare negli occhi. Mi sentivo imbarazzata, stavolta, ero molto diversa da come mi ero comportata in quel condotto.
         «Come si fa?» gli chiesi. «Come fai tu?»
         Volevo che fosse lui a insegnarmi, a mostrarmi cosa volesse dire fare l'amore. Non fare l'amore con un nano, solo fare l'amore. Ero certa che con lui, lì, sarebbe stato diverso.
         Perse un po' della sua sicurezza. «Devo essere io a dirtelo?»
         Lo scoprimmo insieme. Facemmo l'amore. Facemmo veramente l'amore, fu qualcosa di completo, di totale. Nessuno di noi si nascose all'altro, né si negò. Fu perfetto.
         E alla fine ricominciammo da capo e lo facemmo ancora, con più calma, con più dolcezza. E poi, stretti in quel minuscolo letto, incominciammo a parlare.
         «E adesso?» chiese lui.
         Io non vedevo alcun problema, a che serviva fare sempre piani per il futuro? Non era meglio accontentarsi di vivere il presente?
         «Adesso cosa?»
         «Non è cambiato niente. Continuerai a vergognarti di farti vedere in giro con me.»
         «Non è vero.»
         «Sì che lo è. Facciamo ridere insieme.»
         «No.»
         «E i tuoi amici? Che diranno i tuoi amici?»
         «Non sono miei amici,» mi difesi. E poi aggiunsi: «Ci terremo lontani da loro.»
         Lui fece una smorfia. «Ah, è così che la vorresti risolvere?»
         «In che altro modo? Preferiresti affrontarli? Dopo quello che ti hanno fatto?»
         «Ero solo. Hanno vinto facilmente perché ero solo.»
         Era un'accusa contro di me, ne ero certa. Io l'avevo abbandonato, ero fuggita come una vigliacca.
         Lui fu più esplicito. «Sono ancora solo?»
         «No,» mormorai.
         «Corro troppo? Ti sto chiedendo qualcosa che tu non mi puoi dare?»
         «Cosa mi stai chiedendo?»
         «Sei la mia ragazza?»
         Essere la ragazza di un nano? Farmi vedere in giro con lui? Sentire le risate alle nostre spalle? E poi che altro, sposarmelo? Avere dei figli, tutti come lui? Essere per sempre Biancaneve con i suoi nanetti? L'idea di poter già essere incinta mi tolse il respiro. Era un futuro assurdo, inconcepibile.
         «Allora perché l'hai fatto?» mi chiese lui, che aveva letto nella mia mente.
         Cercai una risposta, una qualunque, ma non ne avevo. Sapevo solo che non avrebbe funzionato. Mi misi sulla difensiva, quasi senza accorgermene. «Tu andrai via. Giri sempre, viaggi per il mondo, è la tua vita.»
         Lui sorrise. «È questo che immagini? Siamo appena arrivati, passeremo l'inverno qui. È probabile che non partiremo prima di Pasqua.»
         Era molto tempo, tantissimo tempo. «Sei mesi,» mormorai.
         «Già, sei mesi.»
         Di nuovo tornò quella sensazione di straniamento. In sei mesi potevano succedere tantissime cose. Potevano anche essere un'eternità, con la persona giusta.
         «Possiamo provare,» mormorai.
         Lui inarcò un sopracciglio. «A stare insieme, io e te?»
         Annuii.
         «Ne sei certa?»
         Cosa dovevo dirgli, che lo amavo? Non ne ero sicura. Avevo già abusato fin troppo di quella parola, e sempre con i ragazzi sbagliati.
         «Voglio stare con te,» risposi.
         «Insieme, davanti a tutti? Credi di farcela?»
         Annuii di nuovo.
         Lui sorrise. «Sei pazza.»
         Sapevo di essere stata la prima. Nonostante le sue parole, non c'era stata nessun'altra prima di me. Forse a lui non sarei bastata, forse la sua era un'infatuazione. Forse ne avrebbe conosciute molte altre migliori di me. Questo solo il tempo avrebbe potuto dircelo.
         Io sapevo solo che non volevo perderlo, che non ero mai stata così bene in tutta la mia vita, che avevo trovato qualcosa di importante.
         Lui scivolò fuori dal letto e iniziò a vestirsi.
         «Che fai?»
         «Presto sarà ora di iniziare a lavorare. Non vuoi fare un giro, prima?»
         Uscire insieme? Mostrarci ai suoi amici? Essere presentata come la sua ragazza? Ci sarei riuscita?
         Mi alzai anch'io.
         «Certo, facciamo un giro.»
         
         Per loro era normale. Per tutti quanti. Che un nano potesse avere una ragazza come me. Il piccoletto era conosciuto e amato da tutti, era cresciuto in mezzo a loro, quasi fosse una mascotte.
         Mi presentò tanta gente, troppa, al punto che iniziai a dimenticare nomi e volti. Lui era raggiante, come mai lo avevo visto prima, stentavo a riconoscerlo. Ma non mi sentivo esibita, mai.
         Nessuno mi guardava con diffidenza, nessuno trovava strano che mi fossi messa con lui. Fuori sì, sarebbe successo, ma quella era un'oasi dove potevamo essere liberi.
         Non osavo pensare a cos'avrebbe detto mia madre, di certo Davide l'avrebbe trovato divertente all'inizio, ma dopo? Non sarebbe stata un'unione facile, me ne rendevo conto, eppure ero fiera di averlo accanto, di andare in giro con lui, mano nella mano.
         «L'ottovolante, vieni! Facciamo un giro!»
         Era pomeriggio inoltrato, il luna park era già pieno di pubblico, presto lui sarebbe dovuto tornare dal padre, per allestire il palco. Ci restava poco tempo per noi.
         «Chiara!»
         Sussultai e ci bloccammo entrambi. Mi girai piano piano.
         Tony era lì, insieme ai suoi amici, che masticava popcorn. Appena videro il piccoletto gli amici scoppiarono a ridere, e anche Tony non riuscì a trattenere un sorriso.
         «Che fate di bello voi due?»
         Ora ridevano tutti e tre, senza riguardo.
         Sospirai e mi rivolsi a Tony. «Fottiti, pezzo di merda.»
         Poi presi per mano il piccoletto e tentai di allontanarmi.
         Tony mi afferrò per un braccio. «Aspetta! Che significa?»
         Forse non lo feci solo per il piccoletto, forse era una vita che non desideravo altro, ma di una cosa ero certa: Tony se lo meritava proprio.
         Gli tirai una ginocchiata al basso ventre, ed ebbi il piacere di vedere il suo volto assumere una colorazione verdastra. Il porcorn si sparse tutto intorno, sul selciato.
         Lo lasciai così, mentre i suoi amici accorrevano per aiutarlo.
         
         Andammo sull'ottovolante.
         Per me era la prima volta, ero emozionata ed eccitata.
         Il piccoletto mi teneva per mano, e continuò anche dopo, quando salimmo sul vagone. C'era solo lui con me, nessun altro. Il luna park intero avrebbe potuto essere deserto.
         Lo baciai, un attimo prima che il vagone si mettesse in moto, poi lui mi strinse a sé per proteggermi, perché io un po' di paura ce l'avevo.
         Salimmo, salimmo, fino ad arrivare nel punto più alto. Sotto di noi c'era una discesa ripidissima. Urlai e mi aggrappai a lui, quasi stritolandolo.
         Quella era la nostra vita, la vita che ci attendeva: un interminabile ottovolante, dove non ci sarebbe mai stato un attimo di pace, ma dove ogni emozione sarebbe stata amplificata all'infinito. Una vita eccitante, pericolosa, inebriante.
         Ci saremmo riusciti? Non c'era alcuna certezza che saremmo riusciti a restare a bordo entrambi, ma ci avremmo provato. Ne valeva la pena, ne ero certa.
         Perché stavolta sentivo di non essere sola, potevo stringermi a lui, abbracciarlo, e lui mi avrebbe protetta. Perché lui era il mio ragazzo.
         Il mio piccolo ragazzo.

    FINE


    [/QUOTE]
     
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Amante Galattico

    Group
    Utente
    Posts
    10,065
    Location
    Don't stop believin'

    Status
    Offline
    Ciao
    e siamo a 10

    SPOILER (click to view)
    Bello. Non si discute.
    Interessante, ma non indimenticabile... forse perché manca quella tensione drammatica che poteva dargli quel qualcosa in più.

    La prima perplessità è sull'età della protagonista, che a soli 19 anni tende ad avere spesso nel corso del racconto una mentalità che ritengo più adulta. Non tanto per la curiosità che ha e che innesca la storia, ma per il proseguo, quando tende ad avere atteggiamenti che vedo di più in una donna di maggiore esperienza. A meno che di non addossare all'età quel passaggio, in fondo immaturo, da sfida a innamoramento... proprio perché sembra essere più una sfida al mondo che un innamoramento vero e proprio [non che ci si possa affidare a una casistica per queste cose, ovvio].

    Volendo una parte un poco criticabile dal punto di vista tecnico è quanto la protagonista sia davvero ubriaca; nel senso che lo dice, dice di comportarsi come se lo fosse, ma poi il racconto che fa sembra essere del tutto cristallino (compreso il fatto che stia bene sulle sue gambe) e per nulla distorto o annebbiato, come al limite dovrebbe essere. Infatti, poi, non si norano differenze nel modo di raccontare con la seconda parte.

    Per il resto è scorrevolissimo, forse un poco debole a livello di descrizioni ambientali, nel senso che il luna park è un poco tirato via veloce, così come sono tirati via veloci i comprimari che sono introdotti, appaiono e poi scompaiono... forse meritavano qualcosina in più, soprattutto perché sembrano determinanti negli atteggiamenti che ha la protagonista... dalle due amiche che aiutano a innescare la cosa e poi spariscono, a Tony [che se l'acqua cresceva, il nano ci restava secco], al fratello, a una madre che non appare...

    Metto 3 (abbondante)

    VARIE
    -"Ciò lo calmò" - Meglio un "questo"
     
    .
  3. GrilloParlante
     
    .

    User deleted


    Voto: 4

    SPOILER (click to view)
    Molto ben scritto, piacevolissimo da leggere. Il finale è perfettamente in linea con quanto tratteggiato del personaggio di Chiara: dopo aver letto le tue spiegazioni ti posso assicurare che non erano proprio necessarie. Il massimo per una storia.

     
    .
  4. Gordon Pym
     
    .

    User deleted


    Bello, complimenti marramee!
    SPOILER (click to view)
    In questi giorni ho pochissimo tempo per terminare le letture, ho iniziato il tuo racconto a ora tarda ma devo dire che l'ho finito in un lampo; è scorrevole e ben scritto.
    Devo dire che anche a livello di trama hai gestito bene una vicenda che in sé rischiava di essere poco credibile; il tutto, per quanto "difficile", appare quindi accettabile. Anche i pronostici a lungo termine, tipici dell'età (e non solo). La morale sul "mondo fuori" è appena accarezzata, meglio così.
    Voto 4, ciao

    Ps.: non ho mai desiderato essere un nano come durante questa lettura :lol:


    CITAZIONE
    come se avessi potuto staccarmi dal mio corpo e osservarla dall'altro,

    quell'"altro" è un refuso? penserei ad "alto"

    CITAZIONE
    Il porcorn si sparse tutto intorno

    direi "i", poi refuso: poRcorn
     
    .
  5. Peter7413
     
    .

    User deleted


    Ola!
    Scritto molto bene, si legge che è un piacere.
    La storia, invece, non mi ha preso più di tanto.
    Non sto a ripeterti cose già scritte da altri, ma ti prometto che la prossima volta che ci incontreremo su USAM partirò dal tuo racconto per così poterti scrivere qualcosa di originale.
    Indeciso fra il tre e il quattro, opto per il 3 in quanto l'unico lavoro che ho valutato con il massimo in questa edizione mi sembra ad un livello leggermente superiore.
    In ogni caso la vittoria ve la giocate in due, secondo me, questo mese.
    Bye!
     
    .
19 replies since 31/7/2010, 23:15   490 views
  Share  
.