Rosa rosae
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Rosa rosae

Un pugno di battute meno di 40k.

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  1. Fini Tocchi Alati
     
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    Ce l'ho fatta! CE L'HO FATTA! Ha ha ha!



    ROSE



    PARTE PRIMA


    Rocco, Antonia


    Rocco
    Rocco entra in palestra, la sacca abbandonata sulla spalla, i calzoncini stretti e uno sguardo duro che è meglio non averci a che fare.
    Una lampadina oscilla sotto gli spifferi d'aria e la flebile luce illumina solo il quadrato incrostato di polvere, sangue e sudore.
    Giù dal ring, in un angolo lasciato al buio, Rocco, i vecchi guantoni stretti ai polsi con lacci usurati, prende a pugni un sacco pieno di sabbia che pende dal soffitto, e lo modella con i suoi colpi.
    Dense gocce di sudore colano da ogni poro della sua pelle e cadono sul pavimento dove già hanno formato una grande chiazza scura.
    Un gancio col destro, uno col sinistro, ancora uno col destro.
    È da poco passata la mezzanotte e Rocco si allena con furia.
    Più del solito.
    Nonostante la fatica e il dolore alle braccia, non può fare a meno di pensare alle parole di Amanda.
    Ancora un gancio.
    Una finta, un'altra finta, un colpo allo stomaco.
    Poi una serie di pugni alti; se quel sacco fosse un avversario, Rocco gli avrebbe già frantumato la faccia.

    Lui e Amanda si sono visti poco fa.
    Prima di andare in palestra, al telefono, aveva capito che qualcosa non andava.
    «Dobbiamo vederci», gli aveva detto Amanda.
    «Vado in palestra e poi passo».
    «No, vieni subito».
    È andato. Un po' seccato per aver saltato l'allenamento serale.
    Quando l'ha vista, ha cercato di baciarla ma lei non ha voluto.
    «Hai detto a tua madre che venivi da me?»
    Rocco non è riuscito a celare una smorfia di insofferenza: «Ancora con questa stronzata?»
    «Non hai le palle!», gli ha detto allora Amanda.
    «Cosa?»


    Rocco ora continua a colpire il sacco: pugni violenti e imprecisi. Le braccia cominciano a diventare pesanti.
    Un sinistro, un destro, un montante.
    Gli occhi, fissi sull'obiettivo, brillano di luce bianca.

    «Hai capito bene: non hai le palle», gli ha detto allora Amanda, la voce come un pugno in pieno viso. Questa volta la ragazza gli ha anche dato una leggera spinta, colpendolo sulla spalla.
    «Ehi!», ha detto Rocco afferrandole prontamente la mano, «stai attenta a come parli».


    Mentre continua a colpire il sacco, Rocco digrigna i denti fin quasi a scheggiarli.
    Ora i colpi sono appena abbozzati, ma la furia non si placa. Un gancio, ancora un altro, un altro ancora.
    Accompagna l'ultimo pugno con un rabbioso urlo di dolore, e le braccia cadono, inerti, lungo i fianchi.

    Allora Rocco ha afferrato il braccio di Amanda, torcendolo.
    «Mi fai male».
    «Ripeti quello che hai detto, se hai coraggio. Forza: ripetilo!»
    «Rocco, ti ho detto che mi stai facendo male», ha gridato la donna. Solo allora il ragazzo ha mollato la presa.
    Amanda si è massaggiata il braccio, ha acceso una sigaretta e cominciato a fumare.
    «Non devi fumare», le ha detto Rocco.
    «Ma sentitelo, il salutista. Tutto muscoli e niente palle».


    Ora i muscoli gli fanno male dal troppo tirare.
    Nel buio dello spogliatoio, Rocco, le braccia abbandonate sulle gambe e lo sguardo fisso a terra, non si muove e si fa cullare dallo scrosciare continuo dell'acqua della doccia.
    Una puzza di sudore, acido e violento, che sembra emanare il pavimento, gli penetra nella pelle e gli arriva fino al cervello.

    «Ti ho detto di stare attenta a come parli», ha allora detto Rocco, alterando la voce.
    Lei ha continuato a fumare, in silenzio, poi ha gettato a terra la cicca e l'ha spenta con un piede.
    «Sposiamoci», gli ha detto con gli occhi lucidi. Rocco deve aver fatto una faccia stupida, ridicola, per la sorpresa.
    «Sposarci?»
    «Sì, voglio sposarmi e voglio avere un figlio».
    «È troppo presto».
    «Presto? Ho quasi quarant'anni!»
    «Lo sai che non ho un lavoro».
    «E trovatelo un lavoro, cazzo!»


    Ora, l'acqua calda scroscia abbondante dal soffione, bianco di calcare, e scivola sul suo corpo muscoloso e tatuato.
    Rocco ha lo sguardo fisso sullo scolo della vaschetta e vorrebbe che anche i suoi pensieri scivolassero via.
    C'è stato, allora, un litigio violento.
    Lui ha cercato di farle capire che la boxe è tutta la sua vita, l'unica cosa che sappia fare. Bisogna solo pazientare un poco, ha detto, riuscirà a sfondare. Diventerà professionista e allora potranno sposarsi e magari avere anche dei figli.
    Lei ha cominciato a urlare dicendo che non hanno prospettive, non hanno futuro. Ha cominciato a prendersela con sua madre che ostacola la loro relazione perché non vuole che il figlio stia con una ragazza più grande.
    L'ha chiamata “stronza”.
    Sì, proprio così. Ha detto: «Allora, sai cosa devi fare? Sposati quella stronza di tua madre».


    Ancora bagnato, nudo davanti allo specchio, ora Rocco sta guardando i suoi muscoli.
    Sorride.
    Tocca gli addominali scolpiti e li sente duri come marmo, pronti a incassare centinaia di pugni. Flette le braccia, e i bicipiti si gonfiano: le vene sono sul punto di scoppiare e rigano i suoi muscoli come i tracciati dei fiumi su una cartina geografica.
    Sul mobiletto della specchiera, Rocco ha preparato la boccetta, il laccio e la siringa.
    Tirando coi denti, stringe forte il laccio attorno al braccio destro. Con l'ago buca la sottile pellicola che ostruisce il becco della bottiglia e inizia ad aspirare. Quando la siringa è piena, tasta una vena del braccio e la infilza con consumata esperienza. Pompa dentro tanta di quella roba che i muscoli si irrigidiscono all'istante.
    Sente il dolore diventare potenza. Allora chiude gli occhi e trae un profondo respiro come se quella forza volesse trattenerla e non lasciarla evaporare.
    Urla e scaglia un pugno contro lo specchio che va in mille pezzi mentre una striscia di sangue sporca quel che è rimasto della specchiera.



    Quando Rocco torna a casa è già l'alba.
    «Addò si' stat'?»
    La voce della madre, rimasta in piedi ad aspettarlo per tutta la notte, è una martellata alla testa.
    «Dove si' stat'? M' sent' quan' t' parl'?».
    Mentre attraversa lo stretto corridoio per la sua camera, la donna lo tallona e non gli dà tregua.
    «Si stat' c' chella puttanella?»
    Rocco sbatte la porta con forza, mentre ancora sente le urla dal corridoio: «Non è fatta per te, lu uò capi'? L'addè lassà perde'!»
    Il ragazzo si lascia cadere sul letto.
    È stanco, ma non prende subito sonno. Ha gli occhi sbarrati e poca coscienza di sé.
    Il materasso duro gli impedisce di rilassarsi. Tutta la camera è avvolta da un odore sgradevole, come di formaggio ammuffito. I suoi vestiti sono ammassati a ridosso di una sedia; sul pavimento scarpe e ciabatte ammonticchiate in un angolo.
    Lo sguardo gli cade sulla parete di fronte dominata da un poster a grandezza naturale di Muhammad Alì, uno dei pugili più forti, uno dei più tecnici e veloci.
    L'esatto contrario di lui, Rocco il picchiatore...

    Picchiatore, un'etichetta che si porta dietro da bambino, come il marchio per un vitello. Lo vedevi, grande e grosso già a dodici anni, coi piedi ben piantati sul quadrato, oscillare come una quercia sotto i colpi del vento più forte. Gli altri bambini lo colpivano e si ritiravano.
    Lo colpivano.
    E si ritiravano.
    Quando lui aveva capito il loro giochino, affondava il colpo con un terrificante gancio e li metteva al tappeto.
    Piangevano i mocciosi.
    Non erano fatti per la boxe. Lui, lui sì, invece.
    Picchiava forte, Rocco. Aveva un futuro, gli dicevano.
    La boxe è la sua vita.
    Dicono che il pugilato lo abbia salvato da una brutta strada, ma lui a queste stronzate non ci crede mica. Semplicemente gli piace menare le mani. È l'unica cosa che sa fare e vuole diventare pugile professionista.
    Gli dicono ancora che può farcela, ma gli dicono anche che, per farcela, deve aiutarsi. Non solo allenamenti, non solo ore e ore a spaccarsi la schiena in palestra. I muscoli devono crescere, devono definirsi, devono essere aiutati. E la palestra, da sola, non basta.

    A poco a poco, il poster sbiadisce e il volto di Rocco si sovrappone a quello di Muhammad Alì.
    Rocco allora inizia a boxare come il negro.
    Il suo pugilato diventa una danza sulle punte: perfetta e armonica.
    Destro, sinistro, schivata.
    Finta, affondo, schivata.
    Il collo si piega veloce, la schiena si torce all'indietro.
    I pugni degli avversari – sagome senza volto - sibilano vicino alle sue orecchie ma sfiorano soltanto il suo volto. Invece, i suoi veloci colpi d'incontro vanno a segno con puntualità. Il pubblico si esalta, gli spettatori sono tutti per lui: «Roc-co! Roc-co!», la palestra è un inferno e lui sta per scagliare il pugno del knock out. Lo scaglia...
    Ma l'avversario svanisce e Rocco rimane solo sul ring.
    Si guarda attorno e questa volta il quadrato si allarga a formare una rutilante sala da ballo.
    Risuona un valzer e diverse sagome entrano in pista e si muovono a suon di musica, con piroette e passi leggeri.
    Ora tocca a lui.
    Entra nel circolo, ma si sente impacciato: le gambe fanno fatica, il busto è un tronco, le spalle si irrigidiscono.
    Le sagome si fermano a guardarlo: lui, al centro del cerchio, le vede ridere e bisbigliare. Risuona un rantolo che, in breve, diventa una parola: pic-chia-to-re, pic-chia-to-re...
    Si scaglia addosso alle sagome e comincia a picchiarle con rabbia. I fantocci, uno dopo l'altro, si frantumano in mille pezzi. Sono frammenti di vetro che, dal pavimento, moltiplicano il volto di Rocco centinaia di volte.
    Ci sono tanti Rocco ora che lo guardano. Uno di loro inizia a ridere e alla sua risata si accodano le risate di tutti gli altri. Rocco, quello vero, volta la testa da una parte e dall'altra, ma ovunque vede frammenti di vetro ridere di lui. Porta le mani alle orecchie ma, coperte come sono dai guantoni, non riesce a impedirsi di sentire. Coi denti cerca di strappare i lacci ma sente un male atroce: i guantoni sono fusi sulle sue mani. Si sente ridicolo. Allora diventa rabbioso e inizia a mordere i guantoni, ma così facendo strappa brandelli di carne dalle mani.
    Porta le mani davanti agli occhi e vede il sangue gocciolare sul quadrato. Ne cola talmente tanto che, in breve, tutto il tappeto ne è impregnato.
    «Te lo so' 'it d' lassarla perde'». Alza lo sguardo e sua madre e lì a parlargli col solito accento ciociaro.
    «E allora tu sposati quella stronza di tua madre». Si volta e c'è anche Amanda. Le due donne lo sovrastano e lo guardano con indifferenza, trasfigurate da una luce rossastra che le illumina dalle spalle.
    «L'addè lassa' perde' la boxe», fa la madre.
    «Non è fatta per te», dice Amanda.
    «Finirai p' fart' ammazza'».
    «O per ammazzare qualcuno».
    «Ammazza quella puttanella di Amanda».
    «Ammazza quella stronza di tua madre».

    Rocco si sveglia di soprassalto, il respiro mozzato, la schiena sudata e gli occhi sbarrati.
    Sono le otto passate; ha dormito qualche ora, ma non è stato certo un sonno ristoratore.
    Si alza. Va in bagno, apre la doccia e si guarda allo specchio.
    Adesso sa cosa deve fare.

    * * *



    Antonia, poco prima

    È da poco passata l'alba quando nella casa di Antonia ritorna il silenzio.
    La donna ha atteso per tutta la notte che il figlio rientrasse e non ha saputo trattenersi dal dirgli quel che pensa di Amanda.
    Rocco si è chiuso nella sua stanza e Antonia se ne è tornata in cucina a sorseggiare il caffè ancora caldo.
    Guarda il liquido nero dentro la tazzina e pensa a suo figlio: forse è stata troppo dura con lui. Ma no!, cosa va a pensare, lei vuole solo il bene di Rocco. Rocco è tutta la sua vita. Niente di quello che una madre fa per il figlio è sbagliato. Amanda! Amanda è sbagliata. Non è fatta per lui, è vecchia e le piacciono i ragazzini come Rocco. Anche se Rocco ha ormai venticinque anni.
    Se ci fosse suo marito, penserebbe lui a sistemare le cose.

    I suoi pensieri vanno al marito morto e alla loro terra: un tempo la chiamavano “Terra del lavoro”, oggi, meno nobilmente, “Ciociaria”. Pensa alle montagne innevate e alle colline verdi. Ripensa al duro lavoro nei campi, alle stagioni balorde che si portano via lacrime e sudore, al calore della sua gente, semplice e testarda.
    Mentre la sua mente è affollata di ricordi, guarda fuori dalla finestra. Dopo giorni grigi, un pallido sole cerca di far capolino tra le nubi mentre una bianca foschia impedisce ancora di distinguere le case. I pochi passanti paiono fantasmi vomitati dalla nebbia.
    Non è il clima di queste zone, però, ad angustiarla. E neanche la mancanza di quegli immensi spazi che si aprono sulle verdi vallate ciociare.
    È la freddezza delle persone che, più d'ogni altra cosa, la spaventa. Le manca il calore della sua gente. Anche gli uomini sono diversi, non la guardano come al sud, non la fanno sentire donna. Semplicemente le passano accanto indifferenti.
    Rocco, da quando si sono trasferiti, è cambiato. È sempre scontroso, di cattivo umore. Le risponde male; come sono rari i suoi sorrisi, ormai. Certo, non vivono una situazione semplice. Lei, anzi, deve farsi un mazzo così per portare a casa un po' di soldi e tirare avanti. Ma non le pesa: farebbe di tutto per lui.
    Se solo Rocco mettesse la testa a posto: glielo dice sempre di lasciar perdere la boxe. Non ne caverà niente. Deve piuttosto pensare a trovarsi un buon lavoro e sposare una brava donna. Non Amanda, certo, ma una brava femmina che si prenda cura di lui quando lei non ci sarà più. E deve lasciar perdere la boxe. È uno sport troppo violento. Prima o poi si farà ammazzare, glielo dice sempre.
    In ogni caso, forse non doveva trattarlo a quel modo. Non sta attraversando un buon periodo e il lavoro manca. Anche la boxe non gli va tanto bene: ha perso l'ultimo incontro, uno di quelli che possono “lanciare un pugile”.

    Antonia sente provenire dalla cameretta del figlio dei rumori che la destano dai suoi pensieri. Il ragazzo si è alzato di nuovo.
    Sente l'acqua della doccia scrosciare forte e allora prepara la caffettiera e la mette sul gas.
    Sente Rocco uscire dal bagno.
    «A Ro'! La colazione!»
    Rocco non risponde; la porta della camera si richiude.
    Poi, sente il trillo di un cellulare: sul mobiletto vicino all'ingresso trova il telefonino del figlio.
    C'è un messaggio.
    Preme un tasto e sul display compare il messaggio di Amanda: “Rocco, mi dispiace per ieri. Vediamoci e stiamo insieme tutto il giorno. Ti amo”.
    Mentre lo legge, Antonia sente aprire la porta della camera di Rocco; cancella il messaggio e ripone il cellulare dove lo ha trovato. Quindi, torna in cucina.
    «Buon giorno, ma'».
    «A Ro'!, la colazione: mò s' r'fredda!»
    «Non c'ho fame».
    «Addè magnà, Ro'! Quanta uot' te l'addenga di'».
    Antonia si accorge che il figlio ha un'espressione strana dipinta sul volto. È serio e triste.
    «Ma cosa hai fatto, Ro'?»
    «Niente».
    Rocco si guarda attorno: «Dove sta il cellulare?»
    «L'hai lasciato vicino alla porta»
    «M'ha c'hiamato qualcuno?»
    «Nessuno», risponde Antonia sorridendo con naturalezza.
    Rocco lancia con stizza il cellulare sul tavolo, prende le chiavi e fa per uscire.
    «Addo' ua'?»
    «Da nessuna parte», risponde Rocco.
    «Hai gli allenamenti?»
    «No».
    «E allora si può sape' addo' ua'?»
    «Te lo so' 'it: da n'sciuna part'!», fa Rocco, nervoso. Poi aggiunge: «Ho una questione da sbrigare».
    «Che questione?»
    «Uno mi deve dei soldi», dice senza guardarla negli occhi. Non riesce a stare fermo, è agitato, muove lo sguardo di continuo senza soffermarsi su ciò che guarda: «Vado e me li faccio ridare, così risolviamo una volta per tutte i nostri problemi».
    Antonia con la mano gli accarezza la guancia: «Che succede, Ro'? Cos'è 'sta storia?»
    Rocco sembra per un attimo tentennare come se volesse davvero confidarle qualcosa.
    «Allora, Ro'? Mi vuoi dire addo' sta andà?»
    Il ragazzo scosta la mano della madre: «Non ti devo di' proprio niente, hai capito? C'ho venticinque anni e faccio quello che cazzo mi pare».
    Fa per uscire, ma la madre lo afferra con forza per un braccio.
    «Dove stai anda', a Ro'?», urla.
    Rocco si volta e grida: «Lassam' perd', a ma'! Mò scendo per la via e ammazzo qualcuno! Hai capito? Ammazzo qualcuno!»
    Sono quasi le nove quando Rocco scende di corsa le scale.
    Antonia rimane sulla soglia, continua a gridare: «Ro'! Dove vai? Non fare pazzie! Torna indietro, a Ro'!»
    Quella luce! Quella strana luce negli occhi! Non l'ha mai vista prima. Non erano gli occhi di suo figlio quelli. Non erano gli occhi di una persona normale. Erano - Voglia il Signore che non sia così! - erano gli occhi di un pazzo! C'era rabbia in quegli occhi. Una rabbia furiosa, incontrollabile.
    Antonia pensa che deve fare qualcosa. Pensa che davvero Rocco possa compiere qualche pazzia.
    Afferra la cornetta del telefono.
    Davvero sta per fare questo a suo figlio? Quale madre si comporterebbe così? Per un attimo, gli occhi vanno sul cellulare di Rocco... No!, urla dentro di sé, lo deve fare. È solo per il suo bene.
    «Pronto, polizia? Dovete veni': mio figlio è strano. Ho paura che fa male a qualcuno».


    PARTE SECONDA


    Rita, Veriana



    Rita
    Sono le sette quando suona la sveglia a casa di Rita.
    È una sveglietta da quattro soldi, di quelle che fanno: “Titititì titititì”.
    «Mmm, spegnila», mugugna Emiliano
    Rita si stropiccia i grandi occhi neri. Si mette a sedere sul letto, dà una scrollata ai capelli e spegne la sveglia.
    Barcollando raggiunge il bagno: acqua fredda, ecco quel che ci vuole. Troppo fredda! È quasi gelata e Rita rimane per un attimo senza respiro. Però funziona: una seconda sciacquata e già le sembra di rinascere.
    Con ancora indosso il pigiama di Emiliano, va in cucina e mette la caffettiera sul gas.
    Mentre sorseggia il caffè, si affaccia dalla finestra: la città dorme ancora e per strada c'è un silenzio irreale. Le vie deserte del centro le hanno sempre messo addosso una certa inquietudine.
    C'è solo un gatto bianco che miagola sotto la finestra, gli occhi avvolti da una maschera nera.
    «Micio, hai fame?»
    Rita gli getta un po' di mortadella, ma il gatto, dopo averla annusata, riprende a miagolare. Più che un miagolio, però, pare un lamento.
    Un brivido le attraversa la schiena fin su le spalle. Si scuote e prepara di nuovo il caffè; in attesa che esca, va a svegliare Giorgia.
    «Tesoro, su!, è ora di alzarsi», le sussurra dolcemente nell'orecchio.
    «Mmm», dice la bambina; si stira e si rigira dall'altro lato.
    «Su», fa Rita.
    «Mmm». Pare che Giorgia non riesca a dire altro.
    Rita, allora, ha un'idea: sa come prendere i suoi due piccioni con un'unica fava.
    «Giorgia, andiamo a svegliare quel dormiglione di tuo padre, ti va?»
    L'idea sembra piacere a Giorgia che finalmente apre gli occhi e si stiracchia di nuovo.
    Emiliano dorme.
    «Shhh», dice Rita.
    Giorgia sbuffa ed è costretta a mettersi le mani alla bocca per evitare di ridere.
    «Uno, due...»
    Emiliano si accorge che c'è qualcosa che non va, apre gli occhi di scatto ma è ormai troppo tardi.
    «... e tre», urla Rita. «All'attacco!»
    La bambina sale sul letto e comincia a saltare addosso al padre: «All'attacco!», grida ridendo, «all'attacco!»
    Contemporaneamente, Rita inizia a tirargli cuscinate.
    «Ferme!», supplica Emiliano, «Ferme! Ho capito, mi alzo, mi alzo!»
    Dopo pochi secondi, sono tutti e tre seduti attorno al tavolo a fare colazione.
    Giorgia inzuppa grossi biscotti nel latte, mentre Emiliano divora un cornetto. Rita si accontenta del secondo caffè della mattinata.
    «Sei proprio una dormigliona», dice a Giorgia che ha la bocca immersa nella tazza. «Mi domando proprio da chi hai preso».
    Giorgia ride, abbassa la tazza scoprendo la bocca e il naso sporchi di latte: «Da papà!», dice ridendo, «da papà!»
    Tutti e tre ridono. Rita, tuttavia, non è tranquilla; una strana sensazione le stringe lo stomaco come una morsa: quando è così serena e felice, ha sempre paura che possa succedere qualcosa.
    «Cos'hai?», le chiede Emiliano.
    Rita lo guarda, sorride e dice: «Niente».
    Emiliano le accarezza i capelli: «Vado a prepararmi».
    Nel frattempo, Rita veste la bambina.
    «Torni tardi?».
    «Non so, ho solo un matrimonio... forse riesco a liberarmi nel pomeriggio».
    «Quando torni papà?», chiede Giorgia mentre la mamma l'aiuta a infilare la manina nella manica della maglietta.
    «Più tardi».
    «E che mi riporti?»
    «Che ti riporto? Vediamo, fammi pensare...» L'uomo abbraccia la bambina, la porta in alto sopra la testa e la fa girare come una giostra.
    «Facciamo così», dice, «oggi torno un po' prima e andiamo tutti al luna park!»
    «Sì», strilla Giorgia ridendo mentre continua a volteggiare vicino al lampadario. «Al luna park, al luna park!»
    Emiliano dà un grosso bacio alla bambina e un altro, tenero, alla sua compagna.
    «Stai attento», gli dice Rita.
    «E certo», fa Emiliano con una smorfia di sorpresa. Prende la borsa con la macchina fotografica ed esce.
    «Su», dice allora Rita. «Vediamo di sbrigarci anche noi: nonna ci aspetta».
    Prima di andare a scuola, Rita ha un mucchio di faccende da sbrigare. Come prima cosa deve fare un salto in piscina a chiedere informazioni sul corso di nuoto; in secondo luogo deve passare dal fioraio a ritirare un mazzo di rose per il compleanno della collega e terzo c'è da portare Giorgia dalla nonna.
    Fa salire la bambina in macchina, poi nota qualcosa in mezzo alla strada, una macchia bianca. Si avvicina: è il gatto che poco fa si lamentava sotto la sua finestra. È schiacciato per terra con le viscere di fuori, appena travolto da una macchina. Rita rimane un po' a guardarlo, poi ecco la sirena di un allarme salire in alto, con un suono lungo e acuto, e perdersi per le vie ancora deserte.
    Entra in macchina.
    Inserisce nel lettore un cd di Gaber e scorre i pezzi fino al suo preferito: “Il dilemma”.
    Non può fare a meno di pensare a quel gatto. E poi, quell'allarme, partito all'improvviso per le vie deserte, e quel senso di inquietudine che non l'abbandona.
    Mentre guida pensa alle parole della canzone: racconta la storia di un uomo e una donna che, nonostante le difficoltà e i tradimenti di lui, decidono di rimanere insieme. Per un attimo Rita pensa a Emiliano e le viene da sorridere: proprio non ce lo vede con un'altra.
    Certo, non si può mai dire.
    Torna seria.
    In fondo, è solo il caso a decidere la direzione che devono prendere le vite delle persone: un uomo e una donna si incontrano per caso e si innamorano. Anche lei, se non fosse andata a quella festa – non aveva proprio voglia, ed era stata convinta a forza da un'amica – non avrebbe mai incontrato Emiliano, non si sarebbero innamorati e non sarebbe nata Giorgia. Volge ancora lo sguardo verso la bambina e sorride nel vederla scarabocchiare un quaderno.
    Assorta com'è nei suoi pensieri, si dimentica della scuola di nuoto e passa oltre.
    È Giorgia a ricordarglielo: «Mamma, la piscina!»
    Svolta in una via laterale e parcheggia la macchina.

    L'atrio dell'edificio è ancora deserto, o quasi: una signora con due bambini sta parlando con l'istruttore.
    «A che ora posso passare a riprenderlo?», chiede la donna. Ha uno strano accento, deve essere straniera.
    «Verso mezzogiorno», dice l'istruttore che poi, rivolgendosi al bambino più grande, aggiunge: «Oggi facciamo anche qualche tuffo, eh Federico? Ti va?», e lo accarezza sulla testa.
    Il bambino sorride e si stringe forte alla gonna della madre. Questa gli dà un bacio sulla guancia e lo lascia nelle mani fidate dell'istruttore, trascinandosi dietro il fratellino che intanto si lamenta: «Mamma, voglio restare anch'io con Federico».
    «L'anno prossimo, sei ancora troppo piccolo», gli risponde la donna. Prima di uscire, fa un cenno di saluto a Rita, che ricambia sorridendo.
    Quando anche Rita e Giorgia escono dall'edificio, Rita sta dicendo alla figlia che in piscina incontrerà tanti bambini con cui giocare.
    «Anche Federico?», chiede Giorgia.
    «Federico?» Rita rimane un po' sorpresa, poi capisce che Giorgia si sta riferendo al bambino incontrato poco fa: «Ah, Federico! Sì, certo, anche Federico».
    Prima di entrare in macchina, Rita alza lo sguardo al cielo: neri nuvoloni lo hanno coperto d'improvviso. Il gatto, l'allarme, l'inquietudine e ora la pioggia. «Uffa, sta arrivando un temporale», sbuffa. «Sbrighiamoci».
    Questa volta non si lascia trasportare dalle parole della canzone e fila dritta dal fioraio.
    Sceglie le dodici rose più belle e va a pagare.
    Incontra ancora la donna vista poco fa in piscina; evidentemente, pensa divertita, stanno facendo la stessa strada. Sembra quasi che quella signora voglia dirle qualcosa, forse ha fretta e Rita, cortesemente, le fa cenno di passare. La donna ha un viso proprio simpatico, molto dolce: «Grazie», le sussurra timida. Quindi, paga i suoi fiori, rivolge ancora un sorriso a Rita, che ricambia, ed esce dal negozio.
    Subito dopo, escono anche Rita e Giorgia.
    Sono quasi le nove.
    Le prime gocce d'acqua già iniziano a cadere e dalla strada si alza un odore acre, tipico dell'asfalto surriscaldato. Per fortuna la casa dei suoi genitori è lì vicino; Rita afferra la mano della bambina e inizia a camminare a passo sostenuto.
    La strada si è riempita di macchine e il marciapiede di persone: sembra che la città si stia svegliando solo ora.
    Non manca molto, quando Rita si accorge che poco avanti, a meno di cento metri, si è radunata una piccola folla - il gatto, l'allarme, l'inquietudine, la pioggia.
    Si avvicina per vedere.
    C'è una macchina della polizia parcheggiata lì vicino e c'è un ragazzo in manette. Rita lo guarda e sembra che anche il ragazzo la stia guardando. Ha la testa rasata e indossa jeans strappati alle ginocchia.
    Istintivamente, Rita stringe Giorgia forte a sé.
    Ciò che più la colpisce di quell'uomo, sono gli occhi: sebbene diano l'impressione di guardarla, in realtà sono occhi persi, quasi impauriti, nel vortice della folla che gli si è radunata attorno.
    «Sembrava impazzito», sente Rita d'un tratto: un uomo sta parlando con un poliziotto che scarabocchia su un taccuino. «Era completamente fuori controllo. Eravamo tutti paralizzati dalla paura».
    «Conosceva la vittima?», chiede il poliziotto. L'uomo fa cenno di no con la testa.
    Rita volge allora lo sguardo dove più folto è il gruppetto di persone. Scorge una sagoma a terra ma non riesce a distinguere il viso.
    «Cos'è successo», le chiede una passante.
    Rita non risponde; neanche ha sentito la domanda. Viene presa da un improvviso e violento senso d'angoscia. Senza sapere perché, sente l'ansia salirle in gola - il gatto, l'allarme, l'inquietudine, la pioggia - quella stessa ansia che le morde lo stomaco da quando si è svegliata. Stringe forte la manina di Giorgia.
    «Ahia, mamma! Mi fai male».
    Rita non la sente e si fa largo tra la folla: vuole solo sapere cos'è successo. Non sa perché, ma sente che deve saperlo.
    «Allora? Quest'ambulanza?», grida un uomo.
    «Arriva, arriva».
    «Non ce la fa, sbrigatevi!», sente dire da un altro.
    Le voci si rincorrono e paiono provenire da molto lontano: giungono come se la sua testa fosse immersa nell'acqua della vasca da bagno.
    Vede uomini con le mani tra i capelli, donne che piangono, una scarpa abbandonata.
    Tutt'intorno, nient'altro che fiori sparpagliati sul marciapiede.

    * * *



    Veriana, poco prima
    Sono le sette e anche a casa di Veriana suona la sveglia.
    «Federico, Marco! Su, è ora di alzarsi!»
    Mentre prepara la colazione, urla in direzione dei figli che ancora dormono; rischia di far tardi al lavoro, e proprio non vuole visto che domani iniziano le ferie.
    Dalla cameretta dei bambini non giunge risposta.
    «Amò», fa Veriana rivolgendosi ad Atìr, «vai, sveglia quei due».
    Anche Atìr si alza presto la mattina; lavora per un corriere espresso e le consegne iniziano alle otto in punto. Veriana guarda il marito che sta indossando la divisa d'ordinanza e si commuove: sono entrati in Italia più di dieci anni fa, all'inizio è stata dura ma alla fine ce l'hanno fatta. Adesso hanno entrambi un lavoro regolare e sono in attesa di ricevere la cittadinanza; sono stranieri ma non si sono mai sentiti in terra straniera.
    Atìr vede Veriana intenta ai fornelli, le si avvicina e la stringe forte, la bacia sul collo e le accarezza i seni.
    «Dua të bëj dashuri», le sussurra in un orecchio.
    La donna emette un mugolio prolungato, si gira e lo bacia con passione.
    «Quante volte ti dico di non parlare Albanese?»
    «Italiano non è romantico», replica il marito. «Tanto i bambini non sentono».
    «Dobbiamo parlare Italiano anche se i bambini non ci sono: ancora non parliamo bene».
    «E va bene», fa rassegnato Atìr, «come vuoi tu». Le solleva la vestaglia e dice di nuovo, con voce appassionata: «Quando sei ai fornelli, mi attizzi! Voglio scopare!»
    Scoppiano entrambi a ridere.
    «Vedi», ride Atìr, «non è per niente romantico!»
    «Stupido! Vesti che è tardi, anzi vai svegliare quei due».
    «Agli ordini», dice Atìr mettendosi sull'attenti. Le dà una pacca sul sedere e parte in missione.
    Poco dopo, però, ritorna sconfitto.
    Le fa cenno di seguirlo in silenzio. I due entrano nella stanza dei bambini, avvolta ancora da una tenue penombra: nei letti non c'è nessuno.
    Atìr fa segno di fare silenzio.
    «Oh», dice Veriana fingendo sorpresa, «ma qui non c'è proprio nessuno!»
    «Forse, sono scomparsi?»
    Sentono qualcosa, come uno sbuffare, un soffocare la risata.
    «Atìr!»
    «Cosa c'è?»
    «Non senti anche tu qualcosa?»
    «Sì, ma cosa può essere?»
    Contemporaneamente, Atìr e Veriana afferrano i lembi delle coperte dei due letti e le tirano su scoprendo Marco e Federico nascosti lì sotto.
    «Ecco svelato il mistero», dice Atìr.
    I due bambini scoppiano a ridere e la loro risata echeggia per tutto l'appartamento.

    Alle sette e mezza tutti hanno finito di fare colazione.
    «Io vado», dice Atìr. «Ci vediamo più tardi».
    «Papà», dice Marco, il più piccolo. «Domani è sabato».
    «Sì, è sabato. E allora?», dice Atìr tornato indietro ad abbracciarlo.
    «Hai promesso di portarci al mare», dice Federico.
    «Al mare? Io ho promesso questo?»
    «Sì! Sì!», iniziano a strillare i bambini. «Hai promesso!»
    «Mamma», dice Federico, «è vero che papà ha promesso?»
    «Eh, sì papà», dice Veriana. «Hai promesso».
    «E va bene», fa Atìr rassegnato. «Domani tutti andiamo al mare».
    Marco e Federico iniziano strepitare per la felicità.
    «Ora però vado. A dopo!»
    «Su», dice Veriana rivolgendosi ai bambini. «Vestitevi che sennò facciamo tardi».

    Veriana guarda l'orologio: le otto.
    Escono di casa puntuali come al solito.
    È stata una buona idea iscrivere Federico a un corso di nuoto: lo tiene impegnato tutte le mattine fino all'ora di pranzo.
    In cielo splende il sole, anche se le previsioni hanno detto che pioverà. Le strade non sono ancora trafficate e c'è poca gente in giro.
    In poco tempo, Veriana e i due bambini arrivano in piscina.
    C'è solo l'istruttore.
    «Buongiorno».
    «Buongiorno, le ho portato Federico».
    «Ciao, Federico», fa l'istruttore.
    «Ciao».
    «A che ora posso passare a riprenderlo?», chiede la donna.
    «Verso mezzogiorno. Oggi facciamo anche qualche tuffo, eh Federico? Ti va?»
    Il bambino sorride e si stringe forte alla gonna della madre. Questa gli dà un bacio sulla guancia e lo lascia nelle mani fidate dell'istruttore, trascinandosi dietro il fratellino.
    «Mamma, voglio restare anch'io in piscina con Federico».
    «L'anno prossimo», risponde la madre, «sei ancora troppo piccolo». Sorride della piccola bugia: la verità è che devono fare un po' di economia, per l'anno prossimo si vedrà.
    Sta per uscire, quando incrocia lo sguardo di una signora: è una bella donna, pensa Veriana, con un bel sorriso, mattiniera anche lei. Le fa un cenno di saluto e la signora ricambia sorridendo.

    Alle otto e mezza Veriana è già sotto il portone di un piccolo edificio.
    Scorre rapidamente i nominativi del citofono. Suona.
    «Chi è?»
    «Chi vuoi che sia a quest'ora, Erika? Sono io. Ti ho portato Marco».
    «Ti apro».
    La sorella, a giudicare dalla voce assonnata, deve essersi appena svegliata.
    «Su», dice Veriana a Marco, «veloce! Rischio di fare tardi».
    Si apre una porta al secondo piano ed Erika, in effetti, è ancora in pigiama.
    «Stavi dormendo?», le chiede Veriana.
    «Nooo», cerca di rispondere Erika. Il suo “no”, però, si trasforma in un lungo e sonoro sbadiglio.
    «Ciao, zia», fa Marco.
    «Ciao, amore».
    «Io scappo, ciao», dice Veriana che porge alla sorella una banconota da cinquanta euro.
    «No, non devi...», prova a dire Erika, ma Veriana le mette la mano davanti alla bocca e le fa cenno di non parlare. «Adesso vado», dice.
    «Eh, che fretta», fa Erika.
    «Faccio tardi, devo pure passare dal fioraio».
    «Va be'! Marco, saluta la mamma».
    «Ciao, mamma».
    «Ciao, tesoro», gli dà un bacio sui capelli e scappa.

    Un quarto alle nove: Veriana in fila dal fioraio.
    Che caso: davanti ha la stessa donna incontrata poco prima in piscina. Stiamo facendo la stessa strada, pensa.
    Guarda l'orologio.
    Quasi, quasi, le chiedo se mi fa passare avanti. Ma non ha bisogno di chiedere perché la donna le fa un cenno.
    «Grazie», le dice Veriana. Paga i fiori ed esce ricambiando di nuovo il sorriso della bella signora.
    Fuori dal negozio, Veriana alza gli occhi al cielo: sta per venire giù un diluvio. Affretta il passo mentre già le prime gocce le pizzicano il viso.
    La città finalmente si è svegliata: alcune persone le vengono incontro e le passano oltre quasi senza accorgersi di lei.
    Da lontano, però, qualcuno pare averla notata.
    Ha la testa rasata, jeans strappati alle ginocchia, muscoli e tatuaggi intrappolati in una canottiera lisa.
    Gli occhi, soprattutto, la colpiscono: sono piccoli, inespressivi ed emanano un bagliore.
    Il ragazzo si fa largo tra i pochi passanti, tanto che, a un tratto, pare crearsi del vuoto attorno a lui: gli altri gli rimbalzano addosso o si scansano per evitare di essere travolti.
    Viene diritto verso di lei.
    D'istinto, Veriana stringe forte a sé la borsa e i fiori.
    Pensa che sia solo un'impressione, uno scherzo della sua mente: non le andrà mica addosso; si scanserà, magari all'ultimo momento ma di certo si scanserà. Oppure, sarà lei a farlo. Ma certo! In fin dei conti basta spostarsi dalla sua traiettoria, oppure basta fermarsi un attimo e attendere che passi. Cosa può succedere in mezzo a tutta quella gente? Se tenterà di rubarle la borsa, allora, griderà. Lo farà con quanto fiato ha in gola e il ragazzo scapperà via. Non immagina nemmeno quanto forte riesca a gridare...
    Veriana grida.
    Almeno è quello che crede di fare perché l'urlo è talmente breve che le muore in gola.


    PARTE TERZA


    Rocco, Antonia, Rita, Veriana



    «Sembrava impazzito!»
    «Era completamente fuori controllo. Eravamo tutti paralizzati dalla paura».
    «Conosceva la vittima?»
    Un poliziotto annoiato annota su un taccuino quanto gli viene riferito da alcuni passanti.
    «Le ha dato un pugno in faccia», fa un ragazzino mimando la scena con febbrile eccitazione. «Ma non un pugno normale: quello non era un pugno che posso dare io. Doveva averlo fatto proprio incazzare.»
    «... in-caz-za-re. Poi? Cos'è successo?»
    «La donna è caduta e quel tizio le è saltato addosso. Non so se rendo: quella donna era già stesa e quel tizio ha continuato a colpirla», racconta un vecchio che con un fazzoletto si terge dalla fronte il sudore.
    «Oh mio Dio, che impressione! Aveva le mani tutte sporche di sangue!», aggiunge con enfasi un donnone.

    Il vociare incessante della gente sembra il canto senza pausa delle cicale in campagna.
    Poco distante, c'è Rocco.
    È ammanettato e tenuto a bada da un altro poliziotto. Il ragazzo guarda fisso davanti a sé.
    «Dov'è mia madre», continua a ripetere. «Si chiama Antonia, veniamo dalla Ciociaria. Perché non è qui con me? Cos'è successo? Davvero ho ammazzato qualcuno? Io cercavo di scappare dai diavoli: mi inseguivano, volevano prendermi. Dov'è mia madre? Si chiama Antonia, lei vi può spiegare tutto».
    Non sa che la madre, Antonia, è ancora a casa, seduta davanti al telefono in attesa che squilli.

    Poco distante, una donna stringe forte la mano di una bambina.
    Rita cerca di farsi largo tra la gente.
    «Allora? Quest'ambulanza?», urlano dalla folla.
    «Arriva, arriva».
    «Non ce la fa, sbrigatevi!».
    Si avvicina al gruppetto che sta prestando le prime cure alla vittima.
    La vede. Si china su di lei. Sgrana gli occhi: è la donna incontrata in piscina e poi dal fioraio.
    L'accarezza.
    «La conosce, signora?», le domanda un uomo.
    «Eh?», fa la donna come destandosi da un lungo sogno. «No, no».
    «E' stato quel ragazzo», continua l'uomo indicando con lo sguardo Rocco. «Abita qui vicino: pare se la sia presa con la prima donna che si è trovata davanti».
    Rita guarda Rocco.
    Poi, si rialza con una strana espressione dipinta in volto.
    Prende dal mazzo di fiori che ha in mano quattro rose. Le sceglie a caso, senza pensarci, e, prima di andare via, le lascia cadere sul marciapiede, accanto al corpo di Veriana.
    Mentre si allontana, si gira un'ultima volta a osservare Rocco ed è proprio uno strano caso che questi, a sua volta, stia osservando lei.
    L'acqua comincia a venire giù a secchi.
    Da lontano, si ode l'ululato prolungato di una sirena.

    Edited by Fini Tocchi Alati - 11/9/2010, 12:00
     
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  2. Selene B.
     
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    Senz'altro ben scritto, a parte qualche particolare:
    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    deve farsi un mazzo così

    l'espressione è fuori luogo, stonata nel contesto
    CITAZIONE
    «Pronto, polizia? Presto, venite: mio figlio è senza controllo. Ho paura che possa fare del male a qualcuno».

    e la polizia secondo te arriva? boh, tutt'al più doveva chiamare il pronto intervento psichiatrico (non so esattamente come si chiami, ma ci siamo capiti)
    CITAZIONE
    dà una scrollata ai capelli castani

    volerci dire qui che la donna ha i capelli castani suona forzato e un pò ingenuo
    CITAZIONE
    «Su, dormigliona», fa Rita.«Giorgia, andiamo a svegliare quel dormiglione di tuo padre, ti va?»

    troppi dormiglioni in poche righe
    CITAZIONE
    segnare Federico a un corso di nuoto

    perchè segnare e non iscrivere? forse è la protagonista che pensa in questi termini, ma fino ad ora si esprimeva in buon italiano, quindi l'espressione sembra una sciatteria non voluta
    Per quanto riguarda la storia, è gradevole, ma manca un pò un centro: se mi chiedono di che parla questo racconto non so bene che dire, capisci? E, forse, avrei sintetizzato un pò, mi è sembrato che tu girassi un pò troppo intorno ai personaggi e alle situazioni, senza una vera necessità. Ma forse sono io che sono di poche parole (spesso troppo poche: fosse per me scriverei solo racconti sotto i 20.000 caratteri!).

    Voto: 3, ma ripasso tra qualche giorno per registrarlo definitivamente, dopo aver letto tutti i racconti.
     
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  3. nescitgalatea
     
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    Ciao FTL,
    per me, al momento, è un 3 scarso che porterei ovviamente a 3. Aspetto qualche altro giorno, qualche aggiustatina serve... non mi spertico nei complimenti, che ormai quello che penso della tua scrittura lo sai bene.

    SPOILER (click to view)
    Evidente riferimento a un fatto di cronaca di qualche mese fa, credo. Nel complesso, al di là delle tue capacità narrative, l'ho trovato un buonissimo racconto, sbilanciato (ovviamente) sulla figura di Rocco, forse però, sono d'accordo con Selene che potrebbe diventare più incisivo snellendo i personaggi, che così ridondanti gli tolgono un po' di ritmo.

    qualche annotazione
    CITAZIONE
    i vecchi guantoni stretti ai polsi con lacci usurati,

    invertirei: i vecchi guantoni con lacci usurati stretti ai polsi, altrimenti (CMT docet) pare che siano i polsi ad avere i lacci usurati

    CITAZIONE
    accumulano sotto i gomiti, sotto il mento, sotto le ascelle, sulla punta del naso

    tutti questi "sotto" appesantiscono la lettura e non ne hai bisogno in questo passaggio

    CITAZIONE
    Gli occhi, fissi sull'obiettivo, brillano di una luce bianca. Un sinistro, un destro, un montante: a ogni colpo, la luce dei suoi occhi, nella penombra della palestra, brilla un po' di più.

    Occhi ripetuto, così come brillano e brilla, poi "sull'obiettivo" mi era sembrata una macchinetta fotografica... eheheh

    CITAZIONE
    Una puzza di sudore, acido e violento, che sembra emanare il pavimento, gli penetra nelle narici, nella bocca, negli occhi, nelle orecchie, e gli arriva fino al cervello ripetizioni.

    ancora "nella" ripetuto tante volte, è che poi non lo sostieni il registro narrativo, ci sono ripetizioni forzate solo qua e là, per cui, tediano e basta!

    CITAZIONE
    Sente il dolore diventare potenza. Allora chiude gli occhi e trae un profondo respiro come se volesse quella potenza trattenerla e non lasciarla evaporare.
    Urla e scaglia un pugno contro lo specchio che va in mille pezzi mentre una striscia di sangue sporca quel che è rimasto della specchiera.

    potenza ripetuto e specchio e specchiera

    Nelle parti successive migliora, solo nel capitolo Veriana, per curiosità, prova a evidenziare "Veriana" e guarda cosa viene fuori...

    Ciao Attì, saluti...
     
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  4. Daniele_QM
     
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    Scritto senz'altro bene, si lascia leggere con piacere. Mi è piaciuto il gioco labirintico dei personaggi, dei loro incontri, delle situazioni che vengono a confluire. Realistiche, le situazioni, in ogni loro parte, specialmente l'intimità familiare della famiglia di Rita.
    Quel che manca, forse, è la quadratura del cerchio, ovvero... ci hai presentato tutto ciò ma alla fine non vi è una connessione diretta - qualsiasi - tra Rocco, Rita e Verena. Soltanto facce che si incontrano per strada, esistenze che si sfiorano.
    Il che è bello, ma personalmente ho pensato mancasse qualcosa.
    Voto 3.
     
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    Non so che dire di questo racconto. È scritto bene (anche se la prima parte ho faticato a leggerla, ma è una cosa mia, non era colpa dello sviluppo in sé), ed è interessante l'alternarsi del punto di vista dei personaggi, più che altro nelle ultime due parti perché la prima è più isolata... solo che sembra ci sia tanta, tanta preparazione per arrivare a poco o nulla. L'intera seconda parte, come una buona porzione della prima, è piena di eventi che non hanno poi alcun rilievo ai fini pratici, la terza è una ripetizione degli unici che ce l'hanno, che va anche bene ma è troppo pedissequa, sembra incollata di peso piuttosto che rinarrata da un altro punto di vista, e il tutto alla fine si conclude in qualcosa che potrebbe essere narrato in due righe.
    Rocco avrà i suoi problemi ma non si vede nessuna vera ragione dietro quello che fa alla fine. Rita è una spettatrice di passaggio. C'è molto buon contorno, ma manca la pietanza principale.

    Voto 2.


    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 1/9/2010, 00:01)
    Rocco entra in palestra, la sacca abbandonata sulla spalla, calzoncini stretti

    Perché la sacca ha un articolo e i calzoncini no? Meglio entrambi con o senza

    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 1/9/2010, 00:01)
    Una finta, un'altra finta, un colpo allo stomaco.

    Allo stomaco? Del sacco? :huh:

    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 1/9/2010, 00:01)
    Allora chiude gli occhi e trae un profondo respiro come se volesse quella potenza trattenerla e non lasciarla evaporare.

    Mi suona male, sposterei "volesse" dopo "potenza"

    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 1/9/2010, 00:01)
    Quando lui aveva capito il loro giochino, affondava il colpo con un terrificante gancio e li metteva a tappeto.

    "al tappeto"

    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 1/9/2010, 00:01)
    Guarda il liquido nero dentro la tazzina e pensa a suo figlio : forse

    Uno spazio di troppo

    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 1/9/2010, 00:01)
    «Pronto, polizia? Presto, venite: mio figlio è senza controllo. Ho paura che possa fare del male a qualcuno».

    ... per essere una che normalmente parla in dialetto ha un italiano pulitissimo, mi sembra strano.

    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 1/9/2010, 00:01)
    «Sta attento», gli dice Rita.

    Serve l'apostrofo, Sta'

    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 1/9/2010, 00:01)
    1) fare un salto piscina a chiedere informazioni

    Manca un "in" o "alla"

    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 1/9/2010, 00:01)
    2) passare dal fioraio a ritirare un mazzo di rose per il compleanno di una collega;

    Se si sta ripetendo le cose lei a mente, è un po' strano che dica "una collega"

    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 1/9/2010, 00:01)
    «Zorro dorme ?», domanda Giorgia.

    Spazio di troppo
     
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  6. Fini Tocchi Alati
     
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    Grazie a tutti per letture e commenti e consigli.
    Ho già apportato qualche modifica: in effetti gran parte di quello che proponete mi trova d'accordo.

    Dunque:
    @Selene B.: all'espressione "deve farsi un mazzo così" m'era sfuggito il corsivo (che dovrebbe farla intendere come un modo di diore di Antonia). In effetti, senza, risultava proprio strano. Così va meglio?

    @Nescit: ho eliminato tutte le ripetizioni che mi hai fatto notare (alcune, in verità, erano volute), tranne "specchiera". Che diavolo ci metto al posto di "specchiera"?
    Ah! Che intendi con "evidenziare 'Veriana'"?

    @Loscow: verissimo quello che dici sull'italiano pulitissimo di Antonia. E mica ci avevo fatto caso? Ho cercato di rimediare, anche se l'ho trovato difficile da farsi. Che ne dici?



    CITAZIONE (Daniele_QM @ 2/9/2010, 14:05)
    SPOILER (click to view)
    Soltanto facce che si incontrano per strada, esistenze che si sfiorano.

    SPOILER (click to view)
    Daniele, in effetti è proprio questo il cuore del racconto: esistenze che si sfiorano (bellissimo come lo dici) determinate dal caso.

    Grazie anche a te.

    Edited by Fini Tocchi Alati - 2/9/2010, 15:53
     
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  7. CountlessCrows
     
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    Racconto ricco come scrittura, di buona ambizione come contenuti ma a mio modo di vedere squilibrato. Troppo peso alla prima sezione rispetto al resto, conclusione con una variazione di ritmo che non ho gradito.
    Bene i ripetuti cambi di personaggio, l'idea di tante situazioni realistiche che si intrecciano. Per inciso dubito che ci sia ancora qualcuno che si 'dopa' con iniezioni nelle braccia, lasciano segni troppo evidenti. Si preferisce cercare altri punti altrettanto efficaci e meno in vista.

    Voto: 3
     
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  8. nescitgalatea
     
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    Se lo metti su word e con la funzione "trova" lo evidenzi, guarda quante volte l'hai ripetutoooooo... eheheh! :aumm:

    Per la specchiera in effetti hai ragione: ricordi la barzelletta del carabiniere con il guardrail? Eheheh, cambia oggettoooooooooooooo. Rido!
     
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  9.  
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    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 2/9/2010, 15:37)
    @Loscow: verissimo quello che dici sull'italiano pulitissimo di Antonia. E mica ci avevo fatto caso? Ho cercato di rimediare, anche se l'ho trovato difficile da farsi. Che ne dici?

    Molto più credibile ^_^
     
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  10. Piscu
     
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    posso essere sincero? sono arrivato alla fine e tutto quel che ho pensato è stato "ah". detta così sembra brutta, ma quello che intendo (e che maggiormente mi ha colpito in questo racconto) è che sembra esserci una grande preparazione per... cosa? alla fine sostanzialmente non succede niente, i personaggi che hai avuto la cura di presentare uno per uno rimangono in pratica nella situazione iniziale e non c'è un vero punto di contatto.
    SPOILER (click to view)
    in pratica, tutto quel che succede è che un aspirante pugile drogato esce per strada e pesta a morte una sconosciuta senza motivo, mentre sua madre è in casa, e una donna riconosce la vittima perché l'aveva vista in piscina.
    insomma, non mi sembra giustificata la lunghezza del testo, vista la poca sostanza.

    nessun appunto particolare sullo stile, se non che mentre la prima parte è scritta bene, la seconda (rita/veriana) mi sembra che il ritmo acceleri, come se avessi fretta di giungere alla conclusione.

    segnalo:
    «E sì papà»
    direi "eh"

    "Federico e Marco sono Italiani, essendo nati in Italia."
    sei sicuro di questa affermazione? davvero basta essere nati in italia per avere la cittadinanza? io non lo so, ma non credo sia così scontato.



    credo si sia capito che mi ha piuttosto deluso, arrivato alla fine. non posso darti 1 perché è scritto sicuramente bene e si legge senza fatica, ma metto un 2 politico.

     
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  11. Fini Tocchi Alati
     
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    [QUOTE=Piscu,2/9/2010, 23:50]
    SPOILER (click to view)
    in pratica, tutto quel che succede è che un aspirante pugile drogato esce per strada e pesta a morte una sconosciuta senza motivo, mentre sua madre è in casa, e una donna riconosce la vittima perché l'aveva vista in piscina.


    Ciao Piscu,
    quello che tu sintetizzi è ciò che accade, ma il senso del racconto è un altro e cioè
    SPOILER (click to view)
    Veriana viene uccisa per caso da uno sconosciuto ma Rita avrebbe dovuto essere al suo posto, lo capisce ed è per questo che è tanto sconvolta. Se ciò non è successo è per una semplice coincidenza (ancora il caso: Rita che fa passare avanti Veriana dal fioraio). In effetti, credevo di averlo addirittura marcato sin troppo!


    Grazie per lettura e commento!
     
    .
  12. Daniele_QM
     
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    Ah un'altra cosa che volevo segnalarti:
    SPOILER (click to view)
    La famiglia albanese non mi convince del tutto, ma potrebbe essere una mia fisima errata: da quel poco che so della loro cultura, gli uomini trattano piuttosto male le donne, spesso fatte persino prostituire per portarsi i soldi a casa. Invece il marito di Veriana e lei stessa si comportano in modo molto più occidentale. Non so, sicuramente ci saranno delle eccezioni e loro ne sono una, ma volevo fartelo notare.
     
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  13. Mastronxo
     
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    Ciao!
    Allora,
    SPOILER (click to view)
    devo dire che scrivi molto bene, ma credo che questo tu lo sappia: ci sono delle descrizioni gustose, alcune belle similitudini, l'introspezione del pugile sei riuscito a renderla. Il fatto è che mi è sembrato di leggere non un racconto, ma un elenco di personaggi, forse perchè in definitiva succede proprio quel che ci si aspettava dalla parte prima: Rocco dice che esce e ammazza qualcuno, ed esce e ammazza qualcuno; Rita ha brutte sensazioni, e accade qualcosa di brutto. Ma ecco le mie perplessità:
    Quanto ci hai dovuto battere sulle sensazioni di Rita? hai detto troppe volte del gatto morto, dell'angoscia allo stomaco, del cielo ecc.: diventa tutto troppo pesante, e non è propriamente giustificato dato che a lei o ai suoi bambini o a suo marito non succederà niente.
    Il personaggio della madre di Rocco: a cosa serve piazzarsi dal suo punto di vista, descrivere i suoi stati d'animo, entrare in lei, se poi è un personaggio che in fondo fa poco o niente?telefona solo alla polizia, e la polizia non riesce a fermarlo. Il personaggio in sè serve a far impazzire lui, ma a noi ce ne frega poco che le manca il suo paese natale.
    Quando Rocco sogna: fa ben due sogni in poche righe e fa un sogno alla Walt Disney: le due donne della sua vita che diventano demoni giganteschi che gli fanno paura. No dai.
    I nomi Amanda-Antonia sono troppo simili tra loro, anche se forse hai fatto apposta.
    Ma quel che meno mi è piaciuto è stata la netta contrapposizione tra la situazione di Rocco e quella delle altre due famiglie: lui, povero sfigato a cui va tutto a rotoli, che mi ha ricordato parecchio Rocky Balboa sia nel nome che nel fatto di essere un picchiatore; le altre due famiglie, che son praticamente identiche tra loro, in cui non c'è un 'capello fuori posto': un padre fantastico, una situazione serena, bei figli, amore pace e bene.
    Credo tu abbia fatto pure apposta a creare due famiglie così simili, per farci capire che era Rita a dover prendere il posto dell'altra, ma ho letto la stessa cosa in poco spazio e mi sono un po' annoiato.
    E poi: perchè mai doveva esser proprio Rita a dover prendere il posto dell'altra? Non è mica detto, le due donne sono completamente diverse (una è straniera e l'altra no ecc) e quindi non riesco a capire la frase
    CITAZIONE
    La vede. Si china su di lei. Sgrana gli occhi: è la donna incontrata in piscina e poi dal fioraio. Se non l'avesse fatta passare, allora...

    ma non è detto: siccome Rocco era impazzito, così almeno descrivono i passanti, poteva essersela presa con una a caso, in mezzo alla folla (magari poteva pensarlo se la donna era in una strada deserta, ma con così tanta gente no). Il fatto che stessero facendo la stessa strada non mi sembra un motivo abbastanza forte per far pensare questo a Rita.


    Per questo, scrittura ottima, racconto da sfoltire con molte cose superflue che non servono e qualcosa da sistemare, voto 2.
     
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    "Ecate, figlia mia..."

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    Letto pure io. Anche qui è un testo che si lascia leggere, tutto chiaro e liscio. La prima parte è meglio scritta, mentre a un certo punto ho notato che la narrazione si fa affrettata. Oppure è la prima parte ad essere troppo lenta? Boh.

    Nel complesso capisco che l'intenzione della storia vuol essere quella di "affrescare" delle vite e dei destini che s'incrociano ma che si toccano solo in parte, con simpatie stiracchiate o violenze assurde. Su questo punto non ho nulla da criticare. Se non che, l'effetto ricercato, il dramma finale, viene costruito forse con troppo artificio: la famiglia "paranormalmente" felice cerca di intensificare la tristezza per la sua interruzione. Ma a me non ha convinto appunto perché certi gesti sono fin troppo finti: i ragazzini che festeggiano il risveglio, i genitori che giocano partecipi di questa gioia senza motivi validi... sembra di vedere uno spot Mulino Bianco. Quindi la violenza subita dalla donna, mi ha sì intristito, ma non nella misura che la preparazione sperava di ottenere.

    Ovviamente questa è quello che ho provato nella soggettività.

    Qualche noticina:

    CITAZIONE
    Rocco ha lo sguardo fisso sullo scolo della vaschetta e vorrebbe che anche i suoi pensieri scivolassero via.
    C'è stato, allora, un litigio violento.

    Non hai messo la spaziatura tra i due paragrafi.

    CITAZIONE
    Pensa alle montagne innevate e alle colline verdi. Là, dove risplende sempre il sole.

    Per carità, il sottolienato lo DEVI togliere senza pensarci due volte!

    CITAZIONE
    Rita si avvicina al gruppetto che sta prestando le prime cure alla vittima.
    [...]
    Le sceglie a caso, senza pensarci, e, prima di andare, le lascia cadere sul marciapiede, accanto al corpo di Veriana.

    Cure... corpo... Non ho capito se Veriana è viva o morta...

    Mi è piaciuto l'uso del dialetto nei discorsi della madre, anche se la grafia temo non sia sempre corretta.

    Voto: 2
     
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    Amante Galattico

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    Ciao Fini :D

    SPOILER (click to view)
    Un bel racconto di cui mi è piaciuto molto di più l'idea, il contenuto, che la forma e la struttura finale.
    Mi esplico.
    L'idea è bella, non nuova, ma gestita bene. La casualità che si mescola alle scelte è un nocciolo potente e, secondo me, lo hai centrato bene. E anche i personaggi, alcuni che vorrei fossero inghiottiti dalla Terra, altri eroici nella loro quotidianità e speranze, sono ben tratteggiati. Ed è indovinato, anche se non sottile, il gioco delle somiglianze tra le due donne, che appunto serve poi a sottolineare la casualità.

    Però durante la lettura ho trovato un poco "pesanti", forzati, i passaggi premonitori: sia i sogni reiterati di Rocco, che la sensazione di Rita che sono appunto troppo ripetute e che tolgono appunto la suspence al lettore che sa che accadrà qualcosa... mi pare che vada a sottrarre appunto a questo gioco di casualità e rassomiglianze che hai impostato.

    La forma come stile è [come in altre tue occasioni] ottima, anche se non pienamente evocativa. Ci vorrebbero più momenti come quell'odore dell'asfalto bagnato che metti a un certo punto, mentre invece, complice il limite di caratteri, tendi forse troppo a seguire le sensazioni dei personaggi.
    Belli i dialoghi.

    Però mi pare che dopo tutto il gioco dei personaggi, il finale sia un poco affrettato... vero è che ormai il lettore si aspetta una cosa del genere (fino a iniziare la terza parte credevo fosse Emiliano la vittima), ma mi pare tirato via veloce rispetto al resto.

    Metto 3

    VARIE
    -perché i titoli sono diversi?
    -"Poi una serie di pugni alti; se quel sacco fosse un avversario, Rocco gli avrebbe già frantumato la faccia." - se stesse fermo, però...
    -"...scivolassero via." - manca la linea di spaziatura dopo questo
    -"I pugni degli avversari – sagome senza volto - sibilano vicino alle sue orecchie ma sfiorano soltanto il suo volto" - ripetizione che si sente
    -"fa un rapido ripasso generale: 1) fare un.." - mettere i numerali mi pare un po' improprio...
    -"L'accarezza...." non so se è logico che la polizia la lasci avvicinare
     
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30 replies since 31/8/2010, 23:01   492 views
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