Appuntamento al buio
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Appuntamento al buio

21k caratteri, Sf\umoristico

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  1. Snow2
     
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    Appuntamento al buio



    I. Marco
    ― Giulio, fammi un panino per piacere.
    Giulio volta la testa con un clic metallico.
    ― I panini non la aiuteranno a risolvere il problema.
    ― Che cazzo, fammelo e basta.
    La voce del robottone conosce centinaia di modulazioni, benché non passi da alcuna corda vocale ma esca dritta da uno speaker sul collo. Questa è il tono sibillino b101.
    ― Hai ragione Marco…
    ― Signor Marco…
    ― Fffffssss… signor Marco, ― sibila la macchina. ― Mettere su un paio di chili la aiuterà di sicuro a riconquistare Erica. Non la accusava di essere privo di nervi? Altro che nervi metterà su, mangiando panini.
    ― Ehi, ― si volta Marco, ― sai cosa prenderai tu su, se non la smetti di rompere?
    ― Un palo nel deretano, signore, me lo ricorda sempre.
    ― Esatto, quindi datti una mossa.

    Giulio esce in un silenzio assoluto, come se le sue ruote fossero cosparse d’olio.
    Marco si accarezza la barba nera, indeciso se cliccare sull’ultimo videomessaggio di Erica. Vorrebbe farlo, ma se Giulio tornasse in quel momento sarebbe costretto a disintegrarlo, per non sorbire i suoi commenti.
    Alla fine decide di rileggere una mail, con la coda dell’occhio pronta a guizzare a lato e a chiudere la finestra prima che il monitor entri nel campo visivo del servitore.

    Quando Giulio torna con il panino sul palmo morfizzato a forma di piatto, Marco dice:
    ― Non mi va più Giulio, appoggialo da qualche parte.
    ― Signore, nel mio retro è presente un piccolo spazio-frigo, potrei metterlo lì…
    ― Ehi bello, ― scatta Marco con l’occhio luccicante, ― dì, non te lo vorrai mica infilare nel culo, vero?
    ― Zzz-zzz.
    Marco scoppia in una risata fragorosa, con un ritorno di oh-oh-ooh nasale che sembra quasi una russata, poi d’un tratto il suo sorriso si congela, in una striscia piatta come l’encefalogramma di un morto.
    ― Senti un po’, brutto scarto di fabbrica, non mi starai servendo le battute su un piatto d’argento per tirarmi su di morale?
    Tono sorpreso s002.
    ― No, padrone. Non capisco cosa voglia dire.
    ― Oh, dei del cielo, sono arrivato alla frutta.
    ― Eravamo ai panini, signore.

    Marco si alza, con la pancia rotonda, la barba nera e la calvizie incipiente. ― Lo sai cos’altro somiglia a un panino, amico mio?
    ― Un sandwich, signore?
    ― No. Non indietreggiare, Giulio, non ti faccio niente. Un’altra cosa che somiglia al panino è il ripostiglio. Non ti pare?
    ― Zzz-zzz. A questo punto ci somiglia anche il soggiorno, signore.
    ― Già, ― continua Marco incedendo con calma. ― Ma sai com’è, certi posti sono più uguali di altri, a un panino…
    Marco richiude la porta e dice, a voce abbastanza alta da farsi sentire: ― Dannata servitù!
    Poi torna alla scrivania e stende i piedi su un angolo, facendo cigolare lo schienale della sedia, lanciando un mugolio di piacere.
    La sua testa prende un’inclinazione tale da orientare gli occhi all’incrocio delle pareti, dove fa bella mostra di sé l’attestato della Comunità Scientifica dell’Europa Unita, per la dedizione di una vita al progresso tecnologico dell’umanità.
    Marco tira su con il naso.
    Su quell’attestato non c’è scritto: “Per l’invenzione di una nuova valvola di sfogo per i gas dello smaltimento dei liquami nei vaporizzatori ionici”.
    “E perché dovrebbe?” Si chiede lui.
    D’altronde mica gli organizzatori glielo avevano detto, che quello era il suo culmine, il suo massimo risultato.
    Quando gli avevano consegnato tutti quei soldi, i magnati dell’industria igienica mica glielo avevano detto che gli sarebbero serviti solo a ingrassare e a rinchiudersi in un appartamento con tutti i suoi problemi.
    E un robot.

    “Che importa, ho ancora i videomessaggi di Erica. Anche quelli zozzi!”.
    Il professor Brettoni si avventa sulla tastiera e apre un paio di cartelle segrete. Ma si blocca sul più bello. Non riesce a far partire i video.
    “Oh merda, sono un professore. Ero un professore. Ero famoso! Devo voltare pagina. Conoscere qualche nuova faccia”.
    Un senso di vuoto lo coglie allo stomaco. Una sensazione strana, che non è più abituato a provare, tanto in senso fisico quanto metaforico.
    “Come mi sono ridottto”.
    Il cellulare bippa, facendogli prendere un colpo.
    SIGNORE MI APRA DEVO DIRLE UNA COSA.
    Marco si volta con le guance rosse. ― Smettila di messaggiarmi brutto stronzo. Non mi sento bene!
    MI CREDA, È UNA COSA CHE LA TIRERÀ SU DI MORALE.
    Marco vede le sue gambe parallele che tracciano due rette appoggiandosi alla scrivania. E grugnisce.
    Con un morso al cuore le tira giù, si alza, si dirige verso lo sgabuzzino.
    Giulio è lì, due lucine in mezzo al metallo scuro. Immobile.
    ― Dai, vieni fuori.
    ― Grazie mille.
    I due camminano, il professore davanti silenzioso, Giulio che lo segue a trenta centimetri di distanza. D’un tratto Marco si blocca e lui lo urta.
    ― Chiedo scu…
    ― Insomma si può sapere che vuoi?
    ― Ecco, padrone, si metta seduto. La devo informare che mi sono preso alcune libertà.
    Marco si avvicina alla sedia. ― Quali libertà?
    ― Via, signore. Guardi quella sedia com’è comoda, non indugi.
    ― Maledetti i banchi di memoria.
    Marco si siede.
    ― Ecco signore, io ho studiato molto il suo comportamento, e sono giunto a credere che lei abbia bisogno di un compagno.
    ― Di una compagna, vorrai dire!
    ― Sì, sì. Di una compagna. Così mi sono preso la libertà di immettere i suoi dati in un database di incontri su internet.
    ― Cosa?
    ― Non si preoccupi! Distenda i piedi sul tavolo, così. I suoi dati sono tutti protetti, ho dato delle generalità fasulle. Einstenauer, Marcus. È irriconoscibile.
    Marco, che nel frattempo si è messo comodo, sbotta. ― Vedi? Lo dicevo che non dovevano usarli i fusibili della creatività, vedi?
    ― Signore, le ho trovato una compagna perfetta. Ho studiato tutte le possibili variabili, lei la entusiasmerà. Mi permetta di dire, se dovessimo proprio essere sinceri, i parametri basati sul teorema di Wilmost del bilanciamento dei lineamenti…
    ― Cosa?
    ― Lei non se la merita una donna così bella.
    ― Ah, grazie, stupido corto circuito. E la tua vita sentimentale come va? Sempre con il serbatoio pieno eh?
    ― Come lei padrone.
    ― Oh, dei del cielo. Ti staccherei subito i fusibili dell’umorismo se potessi.
    ― Lo ha scelto lei il mio modello. Comunque non sono "fusibili". È un innesto altamente sofisticato che fa blocco unico con la mia unità centrale, signore. Come i suoi genitali e la depressione.
    ― Giulio… ― Gli occhi di Marco avrebbero incenerito una montagna.
    ― Scherzavo, signore.
    ― Per quand’è l’incontro?
    ― Per le nove di questa sera.
    ― Dove?
    ― Nella sua trattoria preferita, “Antichi Sapori”.

    Il professore guarda il monitor con aria assente. L’orologio a muro della cucina ticchetta così forte da creare un'eco tristissima.
    Marco si alza in piedi e si stira la camicia sulla pancia.
    I suoi occhi pieni di intelligenza, schiacciati da mille rughe di delusione sulla fronte, si posano sul suo servitore.
    ― Fatti bello, dolcezza. Non ho proprio voglia di andarci da solo.
    ― Zzz… Per me è perfino più difficile che per lei...


    II. L'incontro
    ― Professore, tavolo con vista oggi.
    ― Sì, grazie Lino.
    Marco dribbla un po’ di avventori con espressione contrariata e si siede all'ultimo tavolo, con la vetrina panoramica sulla città, nella parte di ristorante scoperta.
    Data un’occhiata alle stelle Marco chiede: ― Quanto manca?
    ― Sedici minuti e venti secondi, ― risponde Giulio inarcuando le gambe metalliche.
    ― Cosa stai facendo?
    ― Mi siedo signore.
    ― Drizza quelle zampe di ferro se non vuoi che te le spezzi. E vieni alle mie spalle.
    Tono deluso, d001.
    ― Sì, signore.

    ― Vino della casa, professore?
    ― Sì, grazie.
    ― Il suo amico non si siede?
    Marco scocca un’occhiata al figlio di Lino, contraendo tutte le sue rughe.
    ― Ti sembra uno che possa bere vino?
    ― No, ― sorride lui asciugandosi le mani nel grembiule sporco. ― Chiedevo soltanto.
    ― Tsé.
    ― Quanto manca, droide?
    ― Solo tre minuti signore.
    ― Spero per te che non mi dia buca.
    ― Non si può mai sapere, ― risponde Giulio mentre una donna poco sopra ai trent’anni, capelli castani e occhi grandi, si spinge verso il loro tavolo, urtando chiunque sulla sua strada.

    ― È lei il professor Brettoni? Ha ragione, il suo robot è davvero un figurino!
    Marco si alza piantando gli occhi nelle lucine di Giulio, che sembrano tremolare.
    ― Piacere di conoscerla.
    ― Io sono Lidia Marsilio.
    ― Lo so, ― mente il professore. ― Sono davvero felice di incontrarla.
    ― Di incontrarti! Diamoci del tu.
    ― Ma certo. Posso offrirti del vino?
    ― È il minimo, ― sussurra lei con fare malizioso.
    Si scioglie la sciarpa dal collo arrotolandola fra le mani come la fune di una vela.
    Poi appoggia le mani sul tavolo per fare il punto della situazione. ― Allora, sei davvero quel Marco Brettoni?
    ― Sì, Lidia sono io. Come mai mi conosci?
    ― Ero sicura che non ti saresti ricordata di me! Quando tu insegnavi chimica all’università io lavoravo lì come ricercatrice. Ero una delle tue tante schiavette…
    ― Oh, dei. Non parlare così!
    Lidia ride.
    ― Sarà stato quanto? Dieci anni fa?
    ― All’incirca, sì.
    ― Spero non me ne vorrai.
    ― Al contrario, sei un mito per noi altri. All’epoca insegnavi, ma in laboratorio eri un ricercatore come tutti noi. E sei riuscito a sfondare, a diventare famoso.
    ― Be’, relativamente. Tu lavori ancora come chimica?
    ― Sì, ― risponde lei accarezzando un calice. ― Sono in un’azienda di prodotti per l’igiene orale, nel settore della ricerca. Non guadagno molto ma adoro vivere nel laboratorio. È il posto più bello della terra, il laboratorio. Con i suoi rumori di vetro e le forme perfette. Le sfere, i cilindri…
    ― Zzz.
    Marco si riscuote. ― Lidia, perché non ordiniamo?


    La bellezza matura ma ancora sottile di Lidia ha intontito Marco, che la segue chiedendosi come una donna del genere possa essere bendisposta verso di lui. Valuta che forse in passato è stato troppo sbrigativo nel liquidare come facezie le storie sui miracoli.

    Giulio di tanto in tanto manda un ronzio di perplessità ma Marco non lo ascolta.
    I suoi occhi scivolano impercettibilmente lungo i capelli lisci di Lidia, per poi risalire piano piano e tuffarsi ancora lungo quella cascata di nocciola dorata.
    ― Allora, anche tu divorziato?
    ― Sì, è più di un anno ormai. Le cose non hanno funzionato con la mia ex-moglie. Non saprei cos’altro dire.
    ― Ti capisco. Mio marito ha divorziato da me due anni fa, quasi senza colpo ferire. Ha deciso di trovarsi qualcosa di meglio, e in verità anch’io ero stufa di lui.
    ― Anche tu senza figli, quindi.
    ― Single come una ragazzina.
    Un cellulare bippa. Marco lo afferra.
    SENZA COLPO FERIRE? RACCONTA FROTTOLE E MI GUARDA MALE, NON SI FIDI PADRONE.
    ― Perdonami un istante.
    STA’ ZITTO, SEI SOLO INVIDIOSO. A PROPOSITO, COME FACEVA A SAPERE IL MIO NOME?
    SIGNORE LE GENERALITÀ ERANO FALSE, MA IL NICKNAME CORRISPONDEVA AL NOME REALE.
    ― Ordiniamo il dolce, o passiamo al caffè? ― brontola Marco rimettendo il cellulare in tasca.
    ― Caffè.

    Lidia è espansiva e continua a lusingare il professore. L’esito della serata sembra certo.
    ― Sono felicissima di aver conosciuto qualcuno che condivida i miei interessi.
    ― Anch’io Lidia, è sorprendente questo nostro incontro. E dimmi, dove abiti?
    ― In un bilocale non lontano da qui.
    ― Un bilocale, ― chiede Marco con una punta di preoccupazione.
    ― Sì, ― ride lei. ― Cucina, stanza da letto, e poi un piccolo laboratorio nell’altra stanza.
    Marco socchiude gli occhi. ― La tua dedizione alla scienza mi sta facendo letteralmente ringiovanire!
    I due ordinano il caffè e il conto. Poi Marco si scusa e si dirige verso il bagno.

    Quando torna al tavolo Giulio sta ronzando, e Lidia ha un’espressione contrariata.
    ― Il tuo robot è piuttosto impertinente.
    ― Perché? Cosa ti ha detto?
    ― Gli ho chiesto se non si stanca a stare fermo e mi ha risposto: “È inutile per me muovermi, visto che non ho due belle gambe da mettere in mostra”.
    Marco lo fissa compatendolo. ― Via Lidia, stava solo scherzando. È un modello umoristico.
    ― Sarà, ma aveva uno tono strano. Dopo gli ho chiesto se aveva qualcosa contro di me e ha risposto: “Assolutamente niente, non mi hanno dotato di alcun tipo di arma”.
    Marco sente che sta per ridere e finge un colpo di tosse. Poi dice: ― Giulio! Hai messo in imbarazzo la signorina. Spiegale che stavi solo scherzando.
    Le luci in mezzo alla sua testa tremolano come due candele dopo un soffio di vento.
    ― Marco…
    ― Signor Marco.
    ― Il signor Marco ha ragione, signorina. Stavo solo scherzando.
    ― Perdonami Lidia, avrei dovuto ordinargli di tacere. Me ne sono dimenticato.
    ― Fa niente, ― risponde lei lanciando un’occhiataccia alla macchina. ― Torniamo a noi.


    Marco esce dal locale con Lidia a braccetto, mentre Giulio scivola silenzioso dietro di loro.
    ― Quella è la mia macchina, ― indica Marco con un dito.
    ― È bellissima! Ma la guiderà lui? ― chiede indicando con un pollice dietro le sue spalle.
    ― Sì, noi staremo dietro.
    ― Che bello. Ma come farà, si attaccherà con qualche cavo?
    D’un tratto Lidia perde l’equilibrio e per poco non cade in avanti.
    Marco si volta inferocito a guardare Giulio, che prima osserva la scena impassibile poi ruota la testra a destra e a sinistra con fare indifferente.

    Un po’ confuso il professore prende Lidia per mano. ― Attenta mia cara, l’asfalto dello spiazzo è malmesso. Comunque no, la guida tramite una connessione Wi-fi.
    Il robot, senza dire una parola, arrabbiato per quanto può sembrare a Marco, apre la macchina e si mette al posto di guida.


    III. Lidia
    ― Luci! ― dice Marco allungando un braccio oltre la soglia. ― Accomodati.
    Lidia entra guardandosi intorno, poi fa una piroetta lasciando svolazzare la sciarpa e i capelli.
    ― Dei, è proprio una casa da rivista!
    ― Giulio, scalda l’ambiente.
    Il robot scivola davanti un piccolo riquadro nel muro. Le sue dita stroboscopiche si affilano e ticchettano come aghi sul piccolo schermo.
    Tutta la casa si illumina, si spande una musica leggera. Il tepore viene fuori da alcune prese d’aria mimetizzate nei pannelli.
    ― Avevo dimenticato i comfort di questa casa, ci credi? Appoggia pure le tue cose.
    Lidia si toglie la sciarpa e il soprabito.
    ― La borsa sembra pesante, lascia anche quella.
    ― Oh, no. Non mi separo mai dalla borsa.
    ― Come vuoi. Seguimi, beviamo un po’ di vino in soggiorno. Ti va?
    Lidia mugugna, puntando i suoi occhioni sul professore.
    ― E se invece bevessimo in camera da letto?
    Marco si guarda intorno, cercando aiuto nella figura di Giulio, che però è scomparso.
    Poi torna a guardare la donna slanciata davanti sé come un maestoso acero in autunno. ― Ma certo, ― risponde mentre il suo gozzo manda giù un enorme groppo d’aria.


    La stanza da letto è grigia, con la tapparella abbassata davanti all’unica grande finestra.
    ― Tutte le stanze sono fatte di questi pannelli?
    ― Sì. Alcuni si spostano. Dietro le pareti esterne c’è un corridoio che serve per la manutenzione degli impianti.
    ― Chissà che puzza quando qualcuno li apre!
    Marco ride. ― No, ci sono delle fessure fra i pannelli e delle ventole nelle intercapedini.
    I due sono in piedi in mezzo alla stanza, a un braccio l'uno dall'altra. Marco ha posato il vino sul comodino a fianco al letto.
    ― Ti sei sistemato proprio bene, eh? ― dice Lidia piantandogli addosso uno sguardo marziale.
    ― Io? Be’, sì…
    Gli si avvicina e lo spinge poggiando i palmi delle mani sulle sue spalle.
    Il professore cade sul letto con il labbro tremolante. Lidia gli salta addosso, muovendosi su di lui come una pantera. Arrivata alle labbra lo bacia. Lo travolge.
    ― Ora vedrai come ti sistemo io, altroché, ― sussurra. Poi gli lecca l’orecchio.
    Il professore avvampa, le sue guance sono rosse, le orecchie viola.
    Afferra Lidia per la vita e si rotola con lei nel letto, quasi dispiaciuto di schiacciare e strapazzare quella bellezza.

    Dopo cinque minuti i capelli dei due sono scombinati, la saliva sembra vivere di vita propria e pretendere continui baci. L’eccitazione li investe, li sbatte e li riprende.
    I due si cominciano a spogliare, ma Lidia, con ancora i pantaloni e la camicetta di seta, si alza.
    ― Lo sai cosa mi sta veramente bene addosso?
    ― Uhm. Niente? ― rimugina il professore.
    ― No, un bel camice… con sotto niente. Ne ho uno nella borsa. Mi vuoi vedere in camice?
    Marco non trova le parole. ― Sì, ― dice alla fine.
    ― Allora voltati, ché devo togliermi tutto.

    Solo due bottoni chiudono il camice bianco, che si allarga verso il basso lasciando libere due gambe brune e mature che promettono un mondo di meraviglie al professore.
    Lidia trascina la borsa vicino al letto e poi ci sale sopra. ― Luci!, ― grida.
    ― Impari presto.
    ― Sono una svelta.
    Le loro mani frugano nel buio, e in alcuni secondi di piacere il professore si scopre a fissare una luminescenza sul muro di fronte, come un riverbero tenue fra i pannelli.
    ― Sai cos’altro ho nella borsa? ― chiede Lidia.
    Marco la sente chinarsi oltre il bordo del letto, poi poggiare alcuni oggetti di fianco a loro.
    ― Non vedo niente.
    ― Aspetta.
    Di colpo una fiammata bianca illumina la stanza. Marco vede Lidia girare una rotellina e la fiamma nelle sue mani si riduce alla sottigliezza di una linea laser.
    ― Ma sei impazzita? È una torcia al calor bianco!
    ― Non ti preoccupare, caro. Nessuno sa usarla meglio di me.
    Nel giro di un istante la donna afferra con un pizzico la maglietta del professore e la affetta. Poi solleva leggermente i suoi slip e un attimo dopo sono solo un ricordo.
    ― Lidia è pericoloso per gli dei!
    Mentre lei continua a stargli sopra, Marco si dibatte e nota gli oggetti appoggiati sul letto. Una beuta codata, un cilindro da 100 cl, alcune provette.

    Il camice viene lacerato dalla luce secondo movimenti studiati, che scoprono prima un seno , poi l’altro.
    ― Ma che hai per la testa?
    Marco le afferra il braccio ma lei si libera con uno strattone.
    ― Non mi muovere! Sai cosa succede se questa luce ci passa davanti agli occhi?
    In quell’attimo di silenzio si odono i “din-din”, “din-din”, del cellulare di Marco. Messaggi.
    ― Lidia…
    ― Sta’ zitto. ― Abbassa lo sguardo e dice: ― Vedo che la cosa non fa altro che eccitarti quindi non fare il bambino.
    ― Alzati dal mio letto.
    ― Di qui non si alza nessuno. ― Lidia gira la rotella e la fiamma torna ad allungarsi. Ha un sorriso sghembo, un'espressione da vera troia sulla faccia. ― Lo vedi quel cilindro professore? La misura non è scelta a caso. Perché non provi a metterlo su? A indossarlo?
    Co-cosa?
    ― Su, Signore della Scienza, ― ghigna lei ruotando leggermente la torcia. ― Adesso qui comando io.

    Marco ha il cuore che gli rimbomba nelle orecchie e non riesce a fermare l’afflusso di sangue verso il basso. La cosa lo confonde paralizzandolo sul letto, ma quando Lidia passa la torcia nella mano sinistra e si china per afferrare il cilindro di vetro, la barriera viene meno.
    Marco le si lancia addosso ed entrambi crollano sul pavimento.
    La luce si fa intermittente: a tratti la luce della torcia viene coperta dai loro corpi.
    Si sente lo sfrigolio del linoleum che brucia e si consuma, poi un urlo di Marco.
    D’un tratto il professore sente urlare: ― Luci! ― Uno dei pannelli nel muro scatta, e dopo un istante il peso arrapante su di lui scompare: Marco si volta e vede Lidia tonfare per terra placcata dal suo Robot, tutta nuda.
    La donna urla, infuriata e bellissima. Ha le labbra spaccate, piene di sangue; il viso schiacciato sul pavimento dal peso del metallo. Sbatte i piedi e ringhia come una tigre finché d’un tratto, qualche secondo dopo, s'ode lo "Zriiiin!" del laser lo speaker sulla spalla di Giulio gracchia: ― No…

    Sulla bella pelle di Lidia si spandono cascate di scintille.
    ― Fottuto scatolone, così impari a fare lo sgambetto alle signore.

    Giulio si tira su, scivola all’indietro con i cavi che escono fuori dal suo torso come lunghissimi spaghetti, poi crolla a terra, facendo "Sbam!", né più né meno.
    Lidia si alza con la fica al vento, sbraitando. ― Voi siete due stronzi! Due pervertiti! Che ci faceva il robot lì dietro, eh? Ci stava registrando?
    La donna cammina davanti al professore, che pensa: "Divorzio senza colpo ferire un corno, scommetto che qualcuno si è ferito eccome!". Poi uno dei suoi bei piedini lo colpisce al volto.

    Marco sente dei rumori di vetro; di sfuggita vede la donna rimettersi i vestiti e andare alla porta con la borsa in mano. ― E comunque il mio vero nome non è Lidia, brutto coglione!


    IV. Giulio
    ― Ohi, Ohi. Una pazza, ― balbetta il professore. ― Proprio una pazza doveva capitarci... E rigira pure la frittata...
    Il professore si alza, si guarda la spalla insanguinata. Fa male ma non è grave. Poi si accorge dei tagli sulle gambe: strisce rosse di sangue che cola, ma niente di che.
    ― Marco..
    ― Ehi, piccolo mio. Sto bene, sto bene.
    Il professore si scopre ancora un po' scioccato, si china sul robot tremando. ― Come ti ha ridotto quella stronza, hai il ventre squarciato.
    ― Almeno la torcia non è scesa troppo in basso.
    Marco scoppia in una risata, poi torna ad ansimare. ― Hai ragione. Ehi, ti prometto che gliela farò pagare a quella stronza. Raccoglierò i suoi capelli e la denuncerò alla polizia. Le darò la caccia e quando la troverò la metterò in una camera del tempo e la spedirò con i suoi alambicchi ai tempi dei dinosauri, così le cadrà una cometa sulla testa.
    ― Zzz… improbabile. E poi per due taglietti non la puoi denunciare.
    Marco gli si avvicina e lo abbraccia, sollevandogli la testa. ― Ti rimetterò insieme pezzo per pezzo. Hai capito, amico mio?
    Le luci negli occhi di Giulio sono ancora accese, ma lui non risponde.
    ― Ehi, mi senti? Ehi!
    Il cellulare bippa.
    Marco corre ad afferrarlo.
    NON LA SENTO PIÙ. LE VOGLIO BENE, PADRONE, NON SI PREOCCUPI PER ME. PENSI ALLA DIETA.
    Marco comincia a scrivere più veloce che può. NON DIRE COSÌ, TI RIMETTERÒ A POSTO. E SMETTILA CON LE BATTUTE.
    ― Non posso! Ma voglio dirle che l'amerò sempre, padrone, ― mormora la cassa metallica.
    Il suo tono è talmente strano che il professore resta interdetto.
    VEDRAI CHE TI RIPARERÒ.
    Impossibile inviare il messaggio.

    Marco si avvicina al rottame che era Giulio. Le luci nella sua testa si sono spente.
    ― Uhi, uhi, ― si lamenta toccandosi la spalla. ― Quando uscirò dall’ospedale dovrò studiare un bel po’ per sistemarti. Ma una cosa è sicura; quando l'avrò fatto ti inibirò l’accesso a internet. Per conoscere qualcuno torneremo all’antica. Su certe cose è meglio non fare progressi... ― blatera camminando avanti e indietro per la stanza.
    Per la testa ha ancora quella modulazione della voce.
    Alla fine si ferma, rendendosi conto che Giulio aveva usato seriamente il tono a001. Il tono dell'amore, il tono del sentimento.
    Ancora nudo si avvicina allo scatolo ormai spento.
    ― Non ci posso credere. Ma dicevi sul serio? ― bisbiglia osservando le piccole lampadine dietro il vetro. ― Eri diventato geloso! Questa proprio non me l'aspettavo... ― sussurra con il ciondolo che prende aria poco sopra a Giulio.
    ― Geloso di me... Devo proprio riconsiderare quella storia dei miracoli, ― continua Marco battendosi una mano sulla pancia, ― c'è ancora speranza. Il professor Brettoni è tornato a esercitare un certo fascino!

    Edited by Snow2 - 9/12/2009, 14:27
     
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  2. Jakken
     
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    Ciao Snow. Cancello l'altra discussione senza sondaggio. ok?
     
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  3. Snow2
     
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    Grazie mille jakken :)
     
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  4. marramee
     
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    Dunque, una fantascienza umoristica con robot alla Kuttner. Devo riconoscere che in alcuni punti è simpatico, e le battute azzeccate, però purtroppo non sempre è così. In altri si allunga troppo e le battute non sono all'altezza. La trama, poi, è troppo sintetica, un classico appuntamento al buio finito male. Anche il finale potrebbe essere migliorato (mantenendo anche quello sul divertente, piuttosto che sul drammatico).
    Un po' più di due, ma non riesco ad arrivare a tre.
     
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  5. AngeloF
     
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    Ciao Snow.

    Ho trovato il tuo racconto simpatico e divertente. Mi ha richiamato molto le atmosfere e i protagonisti del Venerdì 12 di Leo Ortolani. E' una sensazione giusta?
    Manca forse qualcosa all'insieme e alla fine mi è rimasto un vago senso di insoddisfazione, come se il tutto fosse scritto solo per far sorridere e non per il desiderio di raccontare una storia.

    Qualche nota:
    - La azioni nel finale sono un po' confuse.
    - La parte in cui descrivi l'inzio del rapporto con lui secondo me potrebbe essere scritta meglio. In particolare la frase "L’eccitazione è da urlo", non mi convince.
    - Nota tecnica: i fusibili sono una tecnologia vecchia di cinquant'anni e, anche se il racconto è umoristico, vista l'ambientazione futuristica forse potresti usare un termine più "aggiornato"

    Comunque ti assegno un 3.

    Ciao
     
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  6. Snow2
     
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    Angelo: Grazie del commento. Il finale non sembrava filare bene neanche a me. Venerdì 12 non l'ho visto. Magari lo recupero, sembra interessante :D
    Marramee: Sono daccordo su tutto. La storia dell'appuntamento al buio per come l'ho scritta è quella, ci posso fare poco. Però una sistemata all'ultima parte la posso dare. Il racconto purtroppo è arrivato in usam freschissimo, infatti ora, con i vostri commenti, penso che gli darò una sistemata entro sera. Grazie della lettura :)
     
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  7. AngeloF
     
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    CITAZIONE
    Venerdì 12 non l'ho visto. Magari lo recupero, sembra interessante

    Ah. Ok. Allora mi sbagliavo.
    In realtà si tratta di un fumetto dell'autore di Rat-Man.
    Era pubblicato nella serie di Rat-man, ma si trova anche raccolto in volume.

    Cito da Wikipedia:
    "Venerdì 12 parla di un uomo, Aldo, che dopo aver regalato un carillon stregato ad una donna che non lo amava, Bedelia, si trasforma in un mostro orripilante.
    Accompagnato dal suo fedele servitore Giuda, un personaggio irriverente quanto grottesco, forse non troppo fedele, cercherà di fargli dimenticare l'amata Bedelia e di tornare umano, cosa che può accadere solo trovando una donna che lo ami davvero (cosa difficile, dato che è un mostro) o versando il sangue di una vergine (cosa difficile da trovare, di questi tempi)"

    Il rapporto di amore-odio fra il tuo personaggio e il suo servitore robotico e il sarcasmo di quest'ultimo e l'appuntamento con una donna bellissima che poi si rivela una fregatura mi aveva richiamato la serie.
     
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  8. Daniele_QM
     
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    Il racconto l'ho trovato carino, divertente, con alcune battute davvero azzeccate. Giulio è un mito. :)
    L'appuntamento al buio però mi è risultato un po' confuso. In particolare
    SPOILER (click to view)
    non ho ben capito tutto il susseguirsi delle azioni, cosa le volesse fare di preciso (Marco doveva infilare il suo "coso" dentro un cilindro, giusto? ma perché?) e perché lei dà del pervertito a loro quando la strana era lei. Okay, perché era davvero "fuori"? Ma poi chi era veramente? Il robot dice che "sta mentendo", ma è vero? Lei non era affatto quella Lidia? Troppi interrogativi non chiariti.
    Anche il finale non è adeguato secondo me, il paragrafo finale smorza troppo la precedente tensione.
    Sono sul due e mezzo, ma arrotondo a tre. :)
     
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  9. Snow2
     
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    Grazie del commento Daniele :)
    Ho fatto un giro di correzioni e ho cambiato un po' il finale, per cercare di non far cadere la tensione.
    Da domani torno ai vostri racconti :diablo:
     
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  10. Yue07
     
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    Penso che la prima parte di questo racconto sia la migliore. Frizzante e umoristica al punto giusto ^_^ ^_^
    Ho notato con dispiacere, però, una caduta di tono nell'ultima parte, soprattutto nel finale. Per questo voto due.
     
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  11. Black _ Dahlia
     
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    Simpatico! Veramente simpatico! :D
    La figura di Giulio è azzeccata e conquista il lettore, e in coppia con Marco sta benissimo.
    Esilerante lo sketch della scienziata pazza-maniaca pervertita :asd:
    A parte qualche refuso qua e là, non c'è male veramente.
    Ti meriti un bel tre! :)
    Al prossimo racconto.
     
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  12. rehel
     
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    Avevo scritto un racconto simile tempo fa, sempre giocato sull'ironia.
    riuscito il personaggio del robot, simpatico riesce a strappare più di un sorriso. Quello che supporta il racconto è il rappoto fra lui e il suo padrone, infatti è proprio questo particolare tipo di relazione che si va a indagare: un robot e un umano in un futuro prossimo.
    Quello che mi sfugge (forse ho letto di fretta) è per quale motivo il robot e la donna si odino d'istinto a prima vista. Forse il robot avverte che lei no è fatta per lui i qualche modo, ma non viene detto o fatto percepire. Anche il cmportamento della donna è singolare e mi lascia perplesso. Cosa vuole da lui, in definitiva? Forse mi sono perso qualcosa... :unsure:
    Comunque interessante e divertente.
    Sarei sul due e mezzo... solito dubbio.
    Mumble, mumble, dico due perché credo sia da rivedere e migliorare.
     
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  13. Piscu
     
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    raccontino simpatico, ma poco di più. una situazione piuttosto banale (da sit com, direi) che si evolve in modo abbastanza prevedibile. inoltre, alla fine di tutto, non capisco perché infilare un robot in questa storia, che potrebbe reggersi benissimo anche con personaggi "realistici".

    ho trovato lo stile scorrevole ma un po' scomposto, forse per l'eccesiva frammentazione in paragrafi. le ultime fasi, quando si svolge lo scontro tra la donna e il robot, sono un po' confuse.


    "Gli si avvicina e lo colpisce sulle spalle con i palmi delle mani."
    non riesco a visualizzare questa immagine. che vuol dire "colpire sulle spalle coi palmi"?



    per me è un due.
     
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  14.  
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    Ciao,
    il tuo turno


    SPOILER (click to view)
    E' un racconto brillante con una impostazione molto azzeccata. I due personaggi sono davvero divertenti; un pelo di meno lei, che è presentata bene, ma che ha dei comportamenti a cui manca la giurtificazione finale (o che comunque sono un poco confusi e di cui manca una spiegazione che sia più che: è pazza).
    Stile scorrevole e battute divertento o meglio, alcune non lo sono ma lo diventano proprio per come è impostato il racconto, per il suo contesto.
    Però non sono soddisfatto del finale.
    Nel senso che il robot geloso e melodrammatico ci sta, ma poi invece di evolvere in qualsiasi modo la situazione (fosse anche che il robot metamorfizzerà in una robot), ti sei come arrestato (e la battuta finale è, IMHO, infelice).
    Chiaro che come trama è limitata proprio per il tema (che è anche il titolo), quindi non ho molto da dire. Si regge sui dialoghi e secondo me si regge abbastanza bene.

    Sarebbe ancora un 2,5, ma per le battute divertenti vado a 3.

    VARIE
    - "...un’inclinazione tale da puntargli gli occhi ..." - :unsure:
    - "...i premiatori ..." - :unsure:
     
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  15. Snow2
     
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    Grazie a tutti per i commenti.
    Alberto
    SPOILER (click to view)
    stuzzicante l'idea della morfizzazione del robot in una femmina, alla fine. A usam finita vedrò di migliorare l'ultima parte della storia ^_^
     
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19 replies since 1/12/2009, 15:39   562 views
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