LE BALENE DI MAATH
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LE BALENE DI MAATH

fantascienza - 16.500 caratteri circa

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  1. rehel
     
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    Le balene di Maath


    Quando i gabbiani si gettano in picchiata e la luce accende l’oceano col colore del cromo liquido, il secondo sole sorge nel mattino. Il primo dei due è poco più di una macchia cobalto, incastonata allo zenit della volta celeste, una stella piccola, fredda, quasi insignificante. L’altro è il calore e la vita per questo pianeta.
    Seguo con gli occhi il lento dissolversi della fantastica messa in scena dell’aurora boreale, ma un movimento mi distoglie dalla contemplazione del cielo e abbasso il capo. Laggiù, all’orizzonte, una baleniera si approssima alla piattaforma, già da qui si vede la sua lunga scia sfrigolare biancastra.
    Lascio il terrazzo, credo di avere udito un lamento di là in camera, Hela si sta svegliando.
    Adesso sono in cucina a trafficare con l’unità alimentare di base, un nome assurdo che io semplifico in Silver, senza un particolare motivo, solo perché mi piace. O forse perché il pannello di controllo consiste in una consolle piena di tasti, color grigio metallizzato. E così, proprio grazie all’aiuto di Silver, in pochi minuti preparo del caffè nero caldissimo, pane integrale, miele e marmellata. Ma quando entro in camera col vassoio, Hela non c’è più. Sospiro, appoggio tutto sul comodino e vado a bussare in bagno. Scuoto la testa e corro in cucina, stanca di farmi fregare.
    Hela è lì che beve il primo cocktail di una lunga serie. Anche lei è in grado di usare Silver, ma non sono le cose nutrienti e sane quelle che predilige, forse quel sorriso storto che atteggia con le labbra è il suo modo di dirmelo.
    — Non cominciare a criticare — dice alzando una mano.
    — Speravo solo volessi mangiare qualcosa.
    Hela sorride, è così bella. Lei lo è sempre.
    — Chi ti dice che non abbia fame?
    Quando avanza verso di me, quasi non ci credo al buon umore che sembra blandirla oggi.
    — Sta arrivando una baleniera, una delle più grosse, bisognerà pensare allo scarico.
    — La baleniera… sì, certo. Odiavo il pesce prima ancora di venire qui, immaginati adesso. Se fosse per me le avrei sterminate già tutte.
    — Hai sognato anche questa notte quella gigantesca b…?
    Mi infila la lingua in bocca e una mano fra le cosce, non è molto fine, ma lei non si è mai preoccupata di dettagli simili. E poi da quanto non la vedevo così, la sua carica è una scossa che mi percuote e mi fa tremare tutta dentro, incandescente di desiderio.
    Non so nemmeno come, mi ritrovo in camera, nuda, sul letto a gambe aperte. Hela è solo una bocca vorace di sesso, il mio. Non provo nemmeno a resistere all’onda di marea che sale e sta per travolgermi. È ritornata a me, le cose saranno di nuovo come prima. Ma è un’illusione, evanescente come la scia di una meteora. Il sogno ancora s’interrompe, Hela diventa violenta. Mi prende la gola con le mani costringendomi a baciare la sua vagina fradicia di umori. Non c’è bisogno della forza, eppure a lei piace in questo modo, e comunque l’assecondo volentieri. Ma lei va oltre, mi lega i polsi dietro la schiena e comincia a farmi di tutto. Va avanti così per un tempo indefinito, partecipe solo dei suoi desideri e della sua ostinata follia. Perché si comporta in questo modo? Io le darei tutta me stessa comunque. Non so rispondere. Sono solo consapevole che nulla è cambiato e che lei non è più quella di un tempo. Ed è una cosa che non riesco ad accettare.
    — Adesso puoi dedicarti alla tua fottutissima baleniera — dice quando ha finito.
    È sudata, e in qualche modo soddisfatta. Poi va di là, sento che pigia i tasti di Silver e si serve un altro cocktail. Ride prima di bere, ed è una risata che mette i brividi.
    Io mi alzo e vado alla torre di controllo. So già che dovrò fare tutto da sola. La baleniera è a poche miglia dalla nostra piattaforma. Si tratta della Nauplia, una delle gigantesche navi automatizzate che solcano l’unico oceano di questo mondo. Vedo le onde perennemente inquiete scagliarsi contro le pareti d’acciaio e fisso ipnotizzata questo mare che fa paura. Non c’è terraferma su Maath, ovunque si volge lo sguardo, solo il movimento liquido di enormi onde bluastre. Montagne di spumeggiante piscio blu, direbbe Hela.
    Le navi sono dodici. I loro radar perennemente sintonizzati sui branchi di balene di Maath, straordinarie per la carne prelibatissima, esuberanti di prezioso olio utilizzato per scopi terapeutici e uniche nel loro genere, viste le eccellenti proprietà afrodisiache della loro ghiandola pineale.
    Il destino di questi cetacei, che solo da lontano possono ricordare le antiche balene terrestri estinte da secoli, è segnato. Alcuni anni addietro, qualcuno ha perso un bel po’ del proprio tempo allo scopo di studiare le balene di Maath. Sembra che possiedano notevoli proprietà telepatiche, ma questo non le aiuterà a salvarsi.
    Io e la mia compagna siamo qui da un anno. Fra altri sei verranno a prenderci, quando delle balene non ci sarà più traccia. Ogni due o tre mesi arriva un cargo a prelevare lo stoccaggio accumulato. Di solito si tratta di una vecchissima astronave da carico che si ferma giusto il tempo necessario al prelievo, mentre il pilota non vede l’ora di lasciare questo desolato ammasso d’acqua perso fra le stelle, soprattutto dopo avere rifilato un’occhiata storta a me e a Hela.
    Io credo che un posto valga l’altro. In un certo senso sono una vagabonda senza fissa dimora: “ovunque io posi il mio cappello, quella è la mia casa…” dice una antichissima canzone della vecchia Terra. Così è anche per questo infimo posto relegato ai margini dell’universo conosciuto. Io mi ci trovo bene. Invece sono molto preoccupata per Hela, ha avuto delle crisi depressive, temo che non ce la faccia a raggiungere la scadenza del contratto. Se così fosse, non avremo un soldo dalla compagnia, le clausole parlano chiaro.
    Cerco di renderle gradevole la permanenza qui, ma di me sembra interessarle poco o nulla, oramai. E non so più cosa fare. All’inizio il suo interesse nei miei confronti era notevole, poi, a poco a poco, si è mostrata sempre meno attratta, fino a raggiungere l’indifferenza. Negli ultimi tempi ha cominciato a trovare compiacimento in forme di sadismo che rasentano la violenza. Adesso è sprofondata nell’inerzia più totale. La giornata di oggi è stata quasi un’eccezione

    ***
    Dall’alto della piattaforma, sospesa a decine di metri sul mare, osservo il cielo. L’angoscia è come una stretta mortale alla gola.
    Il primo e il secondo sole di questo pianeta si stanno pericolosamente avvicinando l’uno all’altro. La loro congiunzione, evento piuttosto raro, è prossima.
    Guardo l’oceano e vedo una conferma nello spaventoso aumentare di potenza delle onde. Una frenesia liquida che, in simbiosi con l’oscurarsi del cielo, annuncia l’arrivo di uno di quei tifoni che qui su Maath possono essere apocalittici.
    Non temo per la piattaforma, è stata progettata in maniera egregia. Le mie preoccupazioni sono tutte per Hela, quando il tempo diventa brutto entra in profonde crisi depressive, così intense da farle raggiungere uno stato che sfiora l’abulia.
    Ecco, un tuono fortissimo annuncia già l’inizio.
    Comincia a piovere a dirotto. Il cielo è scuro come un inferno precipitato in un buco nero. Le onde risalgono i piloni della piattaforma e sembrano volerla divorare. L’intera struttura nel suo insieme vibra e geme come se fosse prossima al collasso.
    Corro in camera, lei non c’è. In bagno neppure. Confido che sia a ubriacarsi in cucina, grazie ai servigi di Silver, ma non è così. Metto addosso la prima tuta impermeabile che trovo appesa a una parete e corro di fuori. Il vento è come un pugno in faccia, fatico anche a respirare. La pioggia m’infradicia i capelli e s’infiltra comunque sotto i vestiti.
    — Hela — grido al nulla che soffia ovunque attorno a me. Guardo, ma non vedo niente, solo un velo opaco che m’impedisce di distinguere i contorni delle cose. Pioggia o lacrime? Mi chiedo. Annaspo con le mani che artigliano la balaustra e risalgo un’immaginaria corrente fino all’altro lato della piattaforma. E allora ne colgo il profilo.
    Sembra così minuscola e indifesa, intenta a osservare gli elementi che si scagliano contro di lei, mentre il corpo accetta indifferente il martirio di acqua gelida e le raffiche di bora. Ma è il suo sguardo che mi fa paura. Ora che mi avvicino vedo gli occhi simili a pozzi disseccati, e quelle labbra spalancate in un grido sordo.
    Anche lei mi nota e scappa via con un movimento disarticolato delle membra.
    Risale la scaletta che porta al ponte superiore. Io le corro dietro, sono più veloce e la raggiungo in un attimo. L’afferro per le spalle. Lei si gira e mi dà una spinta. Non si cura di nulla, potrebbe farmi precipitare di sotto, nel vortice di acque profonde, e morirei. Ecco, in momenti come questi non ha coscienza di nessuno. Non ha pietà di nessuno.
    La stringo a me e la blocco.
    — Calmati — le dico.
    L’abbraccio e la bacio. Accarezzo ogni angolo del suo viso mentre le sussurro che è l’unica ragione della mia vita. È come un bimbo, non sa cosa fare, né dove andare, non sa se ridere o piangere. Non sa nulla di nulla.
    La trascino dentro. La porto nell’ascensore che conduce in basso. In camera sua la spoglio e la avvolgo con coperte calde e profumate. M’invento una favola dove lei è la principessa di un magico mondo incantato avvolto da soffici nuvole turchine. Le sue labbra si richiudono. Gli occhi sembrano riprendere parte della loro naturale luminosità.
    — Hela… sono io, mi senti.
    Mi guarda, ma è come se osservasse la parete dietro di me.
    Vorrei urlare, ma se io cedo, chi potrà aiutarla?
    Trema come un animaletto impaurito, così l’accompagno nel suo letto. Mi spoglio e mi stendo accanto a lei.
    Per quale motivo sei venuta fin quassù? Penso. Che cosa ti ha avvelenato il cuore fino a renderlo una terra devastata?
    D’improvviso mi guarda negli occhi, come se avesse potuto sentire i miei pensieri più profondi. Non le do tempo di pensare, la bacio a lungo sulla bocca, come fosse il primo amore della mia vita, come se fosse l’unica creatura dell’universo. Avverto il flusso del sangue caldo dentro di lei che riprende a scorrere impetuoso e, a poco a poco, il suo corpo ritorna al calore naturale. Le mie labbra scivolano lente, sadiche torturatrici di una pelle fino a poco prima grigia di tristezza. Scendono fino all’attaccatura delle gambe snelle, il punto del sorgere di ogni vita, e lì si fermano.
    Hela geme.
    Prima piano, con voce fioca, poi sempre più forte, adesso ha perso ogni ritegno, ma chi ci può sentire? Abbiamo tutto un mondo per noi, non c’è nessun altro all’infuori di noi. Oltre le vetrate infuria la tempesta, ma qui dentro c’è solo il trionfo del mio amore per lei. È tutto come un tempo, quando ci conoscemmo. Quando venimmo qui.
    I miei occhi indugiano per un attimo sul tatuaggio. Il suo numero di matricola: 7272857 - carcere di Arav - pianeta Errh. L’inferno dal quale è uscita impegnandosi a trascorrere sette anni in questo limbo d’acqua. Né più né meno che un’altra forma di segregazione.
    Hela capisce cosa sto guardando. Grida senza emettere un suono. Un lampo, e negli occhi le torna l’odio.
    Mi sferra uno schiaffo sulla guancia. Mi torce le braccia dietro la schiena e grida parole terribili. Straccia il lenzuolo, mi lega al letto e mi percuote ancora con ogni oggetto che trova. Questa volta è una furia inarrestabile, e temo per me stessa. Afferra qualcosa che non vedo, avverto un colpo alla testa, molto più forte degli altri, e non sento più nulla, se non il tunnel buio e freddo nel quale precipito.
    ***
    Mi sveglio, apro gli occhi e la vedo china su di me. Ha uno sguardo preoccupato, la cosa mi dà piacere.
    La sua mano è incerta quando abbozza una carezza.
    — Grazie — le dico. — Qualunque cosa sia accaduta, lo sai, io sono una creatura concepita per servirti.
    Hela lancia un grido mentre si porta le mani alla bocca. Le lacrime sfilano come perle dai suoi occhi.
    — Sono nata per questo.
    Arretra di un passo, come se l’avessi colpita d’incontro. Mi guarda sconvolta. Grida ancora, così forte da fare quasi male alle orecchie.
    Di colpo osservo la vetrata, la tempesta è ancora in pieno svolgimento, la sua furia non sembra diminuita.
    Hela trema tutta nel corpo. Arretra e corre alla porta. Mi guarda come se vedesse chissà cosa. Poi la apre e si lancia fuori.
    Urlo il suo nome, ma è inutile. Allora cerco di liberarmi dei legacci che mi serrano le membra. Non ci riesco, faccio ricorso a tutta la mia forza. Rompo le strisce fatte col lenzuolo e mi libero. Corro fuori sul pontile, così, nuda come sono, fra le raffiche di vento che mi flagellano assordanti.
    Hela è laggiù, al bordo estremo della terrazza, un’anima disperata che si staglia contro il nero mortale della tempesta.
    Corro ancora, più veloce che posso. Sono vento nel vento, mi pare di volare.
    Scivolo, non mi controllo più. Cado male. L’urto contro qualcosa di metallico è un dolore atroce che parte da una gamba e mi percorre tutto il corpo. Sono senza fiato.
    Attivo subito l’attenuazione sensoriale e il sollievo mi pervade. È la prima volta che mi succede di utilizzarla, ma non ne posso fare a meno.
    Sono davanti a Hela. La mia coscia destra è squarciata, il femore d’acciaio sporge dalla ferita in due tronconi spezzati. Ci sono cavetti colorati e altri fili dei quali non so bene il significato. Un liquido organico del tutto simile al sangue si sparge lentamente e viene subito dilavato dalla pioggia.
    Hela si porta le mani alla bocca. Urla, mi guarda e urla ancora. Si gira e fissa l’abisso oceanico che si alza e si abbassa in un pulsare ritmico di onde.
    La chiamo: — Hela, aiutami a rialzarmi. Posso ripararmi facilmente. Se mi collego all’unità centrale…
    Lei si volge, e ancora una volta rimango sconvolta dai suoi occhi. Le mani le tremano e sembra che tutto il corpo sia percorso da convulsioni incontrollabili. Fa un passo indietro, poi un altro. Guarda le onde e di nuovo me. Di scatto fulmina la superficie dell’oceano.
    Seguo la direzione del suo sguardo.
    Una balena. Una balena vicinissima alla piattaforma. Si impenna, e il suo corpo esce per metà dall’acqua. È enorme. Un richiamo lugubre lacera l’aria, il suono quello di mille cornamuse suonate all’unisono dall’alto di una scogliera.
    D’un tratto Hela sembra più serena, i tratti del viso si rilassano. Mi guarda, ma non dice nulla. Poi si alza.
    Comincia a risalire le scale della piattaforma fino a raggiungere il punto più alto. Un terrazzino che abbraccia la torre per le rilevazioni metereologiche, a quasi cento metri sul livello del mare.
    Guardo giù. La balena sembra sostare ostinata sotto di noi, come se aspettasse qualcosa… o qualcuno. Il fragore della tempesta è fortissimo, adesso. Un fulmine scardina le nuvole di piombo e rischiara tutto attorno.
    Hela spicca il volo, sembra un angelo, una traccia biancastra che precipita in mare, vicinissima al cetaceo.
    Vorrei urlare, e forse lo faccio. Ma il vento m’impedisce di sentire la mia stessa voce. Mi trascino a braccia verso il parapetto. Afferro le sbarre di metallo e mi tiro su. Guardo di sotto, vedo solo onde scure avvolgersi l’una sull’altra, come a incorporare qualcosa. Un colpo di coda e la balena compie un prodigioso balzo in aria, poi s’immerge. Il suo richiamo si spezza a metà dell’inviluppo, troncato sul nascere dal richiudersi delle acque. Poi un’onda immensa scatena la propria quantità di moto, tonnellate e tonnellate d’acqua che si riversano su se stesse, come a volere sigillare tutto.
    Rimango a guardare sotto la pioggia che cade implacabile, le orecchie ricolme del ruggito del mare in tempesta. Dentro di me, l’assurda sensazione che il mio cuore di titanio si sia lacerato, e possa fermarsi da un istante all’altro. Dovrei tornare al riparo, scendere in officina e cominciare a provvedere al mio corpo. Quando la tempesta sarà cessata le baleniere torneranno, occorrerà seguire le operazioni di scarico. Sono qui per questo, oltre a essere programmata per fornire compagnia a Hela. Ma qualche cosa si è spezzato e ha interrotto le mie infinite connessioni neurali al silicio. Un senso di desolazione mai provato in precedenza mi oscura e prende il sopravvento sugli input che marcano la mia memoria.
    Guardo un’ultima volta le onde dell’oceano, la bara liquida e nera che custodirà per sempre il corpo di Hela. Colei che sono stata programmata ad amare sopra ogni altra cosa.
    Lacrime sintetiche scendono dai miei occhi, uno spasmo mi contrae il diaframma di fibre elastiche intrecciate, sospiro violentemente una, due… infinite volte.
    Il mio amore è morto. La mia esistenza artificiale non ha più alcun significato.
    Allora, silenziosamente, mi spengo.

    Edited by rehel - 8/2/2010, 16:17
     
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