Un vestito nuovo
  • Poll choices
    Statistics
    Votes
  • 4 (max)
    46.67%
    7
  • 3
    46.67%
    7
  • 2
    6.67%
    1
  • 1 (min)
    0.00%
    0
Guests cannot vote (Voters: 15)

Un vestito nuovo

fantastico, 12k

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. $haman
     
    .

    User deleted


    Sempre dall'ultima RR e attualmente nell'Arena Massima...

    UN VESTITO NUOVO

    Guidavo troppo veloce, chino sul volante, le mani contratte, le nocche bianche. Fuori, il mondo era un confuso insieme di luci riflesse sulla strada lucida di pioggia, poche case aggrappate alla roccia dei monti e infiniti corridoi di buio tra un paese e l’altro. L’auto sbandava lievemente a ogni curva. Respiravo, cercando di trattenermi da una fretta ancora maggiore. Ma Nicholas stava per venire al mondo, a pochi chilometri da lì, e riuscivo a concentrarmi su poco altro, i pensieri tenuti assieme da una fila esagerata di caffè. Il primo, ingoiato come un’aspirina andando via dall’ufficio; l’ultimo, in uno squallido bar in stile finto montanaro, molte curve dopo l’uscita autostradale per la Carnia, bevuto sotto gli occhi di un paio di barbuti indigeni, dalle guance arrossate e le mani simili a zappe arrugginite.
    Affrontavo la strada in quello stato quando le cose cominciarono ad andare male. Avevo oltrepassato una gasthaus, con l’insegna metallica inclinata dal vento che riluceva nella pioggia. Ricordo che cantavo – mi vergogno a ripensarci – a squarciagola, un po’ per darmi coraggio, un po’ per tenermi sveglio. Accompagnavo senza onore i Soggy Bottom Boys nel loro pezzo più celebre, quando la macchina aveva iniziato a rallentare, perdendo potenza. Il contagiri che scendeva inesorabile verso lo zero.
    Quattromila. Tremila. Duemila.
    C’era uno spiazzo sulla destra.
    Avevo accostato, scendendo dall’asfalto nel fango misto a un pietrisco bagnato che grattava le gomme e schizzava sulla carrozzeria.
    Mille.
    Il motore se n’era andato così, abbandonandomi nel momento del bisogno senza una spiegazione.
    I fari illuminavano un’alta staccionata composta da assi ordinate, dietro le quali s’intravedeva la sagoma di una casa bassa, le mura di pietra, un balcone di legno che pendeva spezzato in più punti.
    Girando la chiave il quadro s’illuminava, ma il suono dell’avviamento era l’unico a spezzare il silenzio della notte. Nessun ringhio, nessun catarroso tentativo di rimettersi in moto.
    Afferrato il telefono avevo composto il numero di mia sorella. Sapevo che era già all’ospedale, e forse poteva mandare qualcuno a recuperarmi, o venire lei di persona.

    Le cose iniziano a farsi confuse; le idee si sciolgono nella pioggia e nel vento del temporale che mi ha avvolto. Provo a rialzarmi, ma la fitta che dal fianco si dirama per il resto del corpo mi riporta a terra con violenza.
    Impreco.
    Mia sorella aveva risposto, e poi?
    C’era la casa. E dopo era arrivata la donna.

    Mi rendevo conto che, pur facendo in fretta, non sarebbero arrivati in tempo per portarmi in città prima che Nicholas nascesse. Osservavo il quadro dell’automobile, buio e silenzioso. In fin dei conti aver guardato per anni un padre meccanico con aria di sufficienza, dall’alto della mia laurea, non poteva servire a qualcosa? Presa la torcia elettrica dal cruscotto, per fortuna ancora carica, avevo afferrato l’ombrello colorato, una dimenticanza di mia moglie, e mi ero diretto al cofano. Lo avevo aperto, fissandolo con l’asta di cui mai mi ero fidato completamente.
    Avevo imprecato: la verità è che non capisco nulla di motori.
    Mi ero girato a osservare la casa, i piedi leggermente affondati nella mota percorsa da rigagnoli d’acqua. Era vecchia, ma qualcuno poteva ancora abitarci. Uno di quei contadini col trattore e una parola gentile sempre pronti.
    Fu allora che la vidi. Tra me e il cancello d’ingresso c’era una donna.
    Ricordo d’aver sbattuto più volte le palpebre. Non era comparsa, non come un fantasma almeno. Era arrivata lì, come se avesse aperto una porta stretta e ci si fosse infilata in mezzo, fino a sbucare dall’altra parte.
    Aveva lunghi capelli biondi, appiccicati alla pelle come bende zuppe di sangue. L’unico lampione che illuminava la scena era alle sue spalle e l’ombra nascondeva i lineamenti.
    “Il mio vestito”, aveva detto, con una voce gracchiante, il suono di sassi umidi sfregati tra loro.
    Non ero riuscito a replicare, ma mi ero spostato di un passo verso l’automobile.
    “Ha bisogno d’aiuto?” Mi era sembrata una richiesta assurda ancor prima di pronunciarla. Quello che aveva bisogno d’aiuto ero io.
    “Il mio vestito.”
    Si era girata verso la casa. La luce scintillava sul suo volto grondante pioggia, avvolto nelle spire di quei capelli chiarissimi. Il naso sottile, gli zigomi pronunciati. Sembrava avere una trentina d’anni. Avrebbe potuto essere perfino bella.
    Indossava un reggiseno bianco, che facevo difficoltà a distinguere dalla sua pelle, altrettanto pallida. Una gonna, bagnata e aderente, le copriva i fianchi e le cosce. Dai lembi dell’indumento sbucavano due gambe lunghe e morbide. Per un momento qualcosa di non voluto si agitò dentro di me, in profondità.
    “Vuole venire in macchina? Si è persa?”
    Si era mossa verso di me, verso la macchina, e senza dire una parola aveva aperto lo sportello e si era seduta.
    Io immobile, in piedi. L’acqua picchiava sull’ombrello, simile a un coro di corvi spaventati.
    Per un attimo mi vidi fuggire da lì. L’impeto di quel pensiero fu così forte che un piede si mosse, involontariamente, verso la striscia d’asfalto che svaniva nell’ombra.

    Avrei dovuto capirlo, sarei dovuto scappare. Ma non mi avrebbe raggiunto comunque? Probabile. Inutile pensarci, ormai.
    Il senso del tempo, quando corri in un bosco in montagna, la notte, con una ferita che sanguina e qualcuno che t’insegue, lo perdi assieme all’orientamento e a una buona parte della speranza.
    Il freddo penetra nella carne, riducendomi a un fagotto tremante. Temo di congelare, ma temo ancor più la cosa che si aggira barcollante tra gli alberi.
    Provo ad alzarmi, stringendo i denti per non urlare dal dolore.
    In piedi, la schiena contro un albero, mi guardo attorno. Non ho una direzione preferita. Dopo la fuga tutto si è fuso in un panorama di oscurità odorosa di muschio.
    Se solo fossi scappato.

    Nella macchina ero imbarazzato, impaurito, muto. Lei guardava davanti a sé, cinerea. Le mani, raccolte in grembo, le tremavano vistosamente. Non potevo fare a meno di notare la lunghezza innaturale di quelle dita sottili, che terminavano con delle unghie scure, dai bordi spezzati.
    “Sì è consumato” disse, guardandosi le mani.
    Ricordo di aver pensato che da lì a poco sarebbe arrivata Sylvia, mia sorella. Scioccamente mi preoccupavo di cosa avrebbe pensato, trovandomi in auto con una sconosciuta seminuda.
    “Tra poco arrivano degli amici. Ci porteranno oltre il passo. Tu vivi da queste parti?”
    “Ho f-freddo.”
    “Scusa, scusami, dovrei avere una coperta dietro. Te la prendo, okay?” la possibilità di uscire dall’auto e da quella situazione mi sollevò un peso dal petto.
    Lei si era girata. Mi fissava con degli occhi liquidi e lontani. Gocce scendevano ritmicamente dalla fronte, formando rigagnoli di lacrime sul suo volto.
    Ero uscito, borbottando un’altra scusa, saltando tra le pozze per raggiungere rapido il retro dell’auto.
    L’altro sportello si era aperto. Lei era scesa.
    Mentre stavo aprendo il cofano posteriore si era fatta avanti, illuminata dalla piccola luce del bagagliaio.
    “Voglio il mio vestito.”
    “Scusa? Io non so di cosa parli, mi spiace. Ma ho una coperta, vedrai, ti andrà bene. Ora però torniamo in auto, okay? Che sennò si bagna anche questa…”
    La sua mano era guizzata invisibile. Mi aveva afferrato il polso col quale reggevo la coperta. Le unghie scure e spezzate tagliavano la pelle. Le dita ghiacciate penetravano come chiodi nella carne.
    “Ma che fai…”
    “Voglio il mio nuovo vestito.”
    “Ma cosa vuoi?” Urlavo, cercando di divincolarmi dalla sua presa. “Mollami cazzo, ma che vestito…”
    Lei si era limitata ad afferrarmi il fianco con la mano libera.
    E infilarmi le dita nella carne.

    Riesco a malapena a reggermi in piedi.
    Poco fa ho intravisto una luce, in lontananza, tra gli alberi. Se solo la smettesse di piovere, o diminuisse il vento che mi sta tagliando la faccia.
    Il dolore al fianco è meno intenso, ma mi sento più debole.
    Non so quanto riuscirò a continuare.
    Spero di raggiungere quella luce.

    Avevo sentito lo strappo della pelle e, per un secondo, le dita che si facevano strada verso i miei organi. In un momento di atroce lucidità il tempo si era dilatato, lasciandomi urlante.
    Con la mano libera le avevo afferrato i capelli, spingendole la testa contro l’auto. Non so cosa sperassi di fare, ma la vidi scivolare e cadere sul bagagliaio aperto, sbattendo con un tonfo che si concluse in un sordo gorgoglio. Ero riuscito a liberarmi.
    Arretrando di un passo l’avevo vista rialzarsi, scuotendosi, lo sguardo assente, vuoto. Il lato destro del viso pendeva floscio, raggrinzito, aperto sul cranio da un taglio profondo, che rivelava una sostanza ribollente e luminosa.
    Mi sono girato verso il bosco e ho iniziato a correre.

    Ogni respiro mi brucia nel petto. Ogni passo è una lunga sferzata di dolore, dal fianco alla testa.
    Credo di stare piangendo. Per me, per Nicholas. Sarà già nato?
    Non so che ora sia, il cellulare è rimasto in auto.
    Guardo nella tenebra invasa dalla tempesta, la luce che sto inseguendo sembra più vicina.
    Un passo dopo l’altro, un albero dopo l’altro. Pochi passi ancora da fare. Il vento mi spinge, sbatto malamente col viso contro un tronco.
    La vista si annebbia.
    Qualcosa di chiaro si avvicina. Uno spettro tra le ombre.
    “Il mio vestito nuovo.”
    “Che cazzo vuoi, eh, che cazzo vuoi da me?” urlo, piango. Prego, forse.
    “Vieni,” sussurra, “vestimi.”
    Scivolo lungo il tronco scheggiato e storto come me. Le forze che mi hanno portato fino a lì scemano, sciogliendosi nella pioggia assieme al sangue che gocciola dalla ferita aperta.
    Lei mi sovrasta. Bianca, nuda.
    Si siede sul mio ventre e apre la giacca. Inizia a sbottonare la camicia come un’amante premurosa. Mi muovo, lotto troppo debolmente per poterle sfuggire. Si sporge verso di me, afferrandomi i polsi.
    Sono inchiodato a terra, nell’erba e nel fango. Sul viso le gocce mi feriscono come sassi ghiacciati.
    Si china verso il mio collo.
    La sua bocca è un bacio di terra morta. La lingua guizzante è una lumaca, che striscia sulla mia pelle. Pizzica, come il tocco urticante di una medusa. Poi un lento torpore si diffonde.
    Non sento più nulla.
    Alza l’indice della mano destra. Sembra sorridere. Soddisfatta.
    Abbassa il dito verso il mio stomaco. Preme. Sento in lontananza il richiamo del mio corpo, gli avvisi neurali di un dolore che non riconosco.
    I suoi occhi si accendono.
    Le labbra divengono violacee, illuminate dalla sostanza che le sgorga dalla gola, gocciolando nello squarcio aperto. Dentro di me.
    “Il mio nuovo vestito” gorgoglia.
    Io svanisco.

    Sono in ospedale.
    Due donne si contendono un fagotto azzurro, parlottando lontane senza che io riesca a capirle.
    Vorrei salutarle, ma non posso.
    Non ho più una bocca da rivendicare. Nessun corpo da muovere.
    Non avverto neppure dolore. Non sento nulla.
    Le vedo rivolgersi a me, ridacchiare del mio essere completamente bagnato e inzaccherato. Mi prendono in giro per aver cercato di sistemare l’auto ed essere finito nel fango, invece di aspettare tranquillo che mi venissero a prendere.
    “Non hai mai capito nulla di macchine” conferma mio padre, seduto accanto al lettino.
    Sylvia sorride e scuote la testa. Mi prende una mano. Sento il suo tocco gentile, ma non è mia la volontà di stringerla e sorriderle. Sono solo un ospite ormai.
    Mia madre si avvicina e parlando con fare complice mi chiede che regalo vorrei per quel lieto evento.
    La bocca mi si apre in un sorriso.
    “Un vestito nuovo” mi sento rispondere.

    Edited by $haman - 9/5/2010, 09:26
     
    .
29 replies since 2/5/2010, 07:55   393 views
  Share  
.