Più cose in cielo e in terra
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Più cose in cielo e in terra

Paolo DP - 9k

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  1. Paolo_DP77
     
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    Nuova versione!! - ho corretto vari refusi e ho provato a seguire i vostri consigli

    Più cose in cielo e in terra

    Sentii un’auto arrivare nel cortile e parcheggiare. Scostai la tenda e dalla finestra della cucina vidi un uomo scendere, richiudere lo sportello, guardarsi intorno mentre si stiracchiava come un gatto. Giovane, carino, vestito sportivo: ecco il nuovo potenziale acquirente.
    Aprii la porta poco prima che la sua mano toccasse il pomello.
    Era tutto perfetto: la porta cigolò e lui rimase lì imbambolato con la mano tesa. Ma subito dopo la ritrasse e alzò lo sguardo verso di me.
    «Buongiorno!» disse «Lei è la signora Elisabetta dell’agenzia?»
    «Certo!» Ci stringemmo la mano.
    «Valerio Martelli. Temevo di non trovarla: sono un po’ in anticipo» sorrise di rimando lui.
    «No, la stavo aspettando.»
    «Mi fa vedere la casa?» Era impaziente. Mi spostai di lato con un gesto che significava: ma certo, si accomodi.

    Gli feci visitare le stanze del piano terra; notai che il salone con il camino enorme lo aveva impressionato. Impressionava sempre tutti. Poi gli feci strada per le scale verso il piano di sopra.
    «Che gliene pare?»
    «Pensavo fosse più malandata, e invece è messa abbastanza bene. È elegante, c’è un sacco di spazio.»
    «Cosa fa nella vita, signor Martelli?»
    «Bé, non molto» ridacchiò. «Scrivo.»
    «Interessante. E il lavoro di scrittore frutta bene?»
    «Non direi. Ma ho dei soldi da parte, non si preoccupi: posso permettermi la casa se decido di comprarla. E comunque non costa molto, considerando che è una casa così grande.»
    «No, certo. Ma è perché qui è avvenuto un fatto di sangue.»
    «Omicidio-suicidio. Me l’ha accennato al telefono.»
    «Proprio in questa stanza.»
    Aprii la porta della camera da letto. Era tutto riordinato, pulito. Tende candide come il latte. Valerio entrò e camminando nella stanza allargava le palme della mani davanti a sé.
    «Che sta facendo?»
    «Niente, niente. Sto cercando di capire che sensazioni mi dà questo luogo.»
    «Davvero? Cos’è, una specie di medium? Sente le vibrazioni?»
    «No, no. Non direi. Non proprio. Lei non crede ai fantasmi, vero?»
    «Le sembro il tipo?»
    Valerio mi lanciò un’occhiata, come se fino a quel momento non avesse badato affatto al mio aspetto. «No, per niente.»
    Esitai prima di entrare, e questo lo notò.
    «Però la casa la impressiona un po’, vero?» ci tenne a puntualizzare, divertito.
    «Giusto un pochino. Sa come si dice: “non credo ai fantasmi, però mi fanno paura”.»
    «Madame du Deffand.»
    «Come prego?»
    «Ha citato una frase di Madame du Deffand.»
    «Davvero? Non lo sapevo. Non so neanche chi sia. Bravo, questo dimostra che lei è preparato. Dev’essere un ottimo scrittore.»
    Decisamente, il tipo mi piaceva. Immaginai fosse rarissimo trovare un aspirante inquilino con tali affinità: sarebbe stato un vero affare. Valerio se ne andava in giro per la stanza come un rabdomante che cerca a caso la sensazione giusta, mentre gli spiegavo che era rimasto quasi tutto l’arredo originale. Compreso nel prezzo. Quasi non mi ascoltava; si sedette sul bordo del letto. Rabbrividii. Evidentemente non aveva sentito la storia di cosa era successo su quel letto.
    «Lei crede ai fantasmi, quindi» gli dissi invece.
    «Sì, lo confesso.»
    «E sente qualcosa in questa stanza? Una presenza?»
    «No, a dire la verità, nulla di nulla.»
    «Di solito i clienti scappano per paura “degli spiriti”. Lei invece se li viene a cercare, mi pare.»
    «Sì, ma la casa mi interessa comunque, con o senza fantasmi. C’è l’atmosfera giusta, qui. Per scrivere, intendo.»
    «È uno scrittore horror per caso?»
    «Non proprio. Sono più un ricercatore; scrivo articoli sul paranormale.»
    «Ma allora questa è la casa perfetta per lei. E come mai crede ai fantasmi, scusi la curiosità?»
    «Sa, è una lunga storia.»
    «Però ora mi ha incuriosita. Insisto, se non sono troppo indiscreta.»
    Mi guardò indeciso. Voleva essere pregato, e io mimai uno sguardo implorante: «L’atmosfera è quella giusta, no?»
    «D’accordo, allora. Però non mi prenda per un pazzo.»
    «Pazzo? No, macché!» esagerai il tono della voce. Lui rise.
    «Il fatto è successo quando ero piccolo; facevo la quinta elementare.» Il suo tono si fece subito serio, il sorriso una smorfia. «Una bambina − Michela, si chiamava − che frequentava la seconda classe nella stessa scuola, morì in un incidente stradale. Era seduta dietro, fu sbalzata dall’auto. Al volante c’era suo padre. Lui si salvò, ma rimase in coma all’ospedale, in fin di vita.»
    Annuii per incoraggiarlo a continuare.
    «Due giorni dopo il funerale, ero al parco a giocare con degli amici, a calcetto. Finita la partita, gli altri andarono via e io rimasi per fare due tiri con Carlo, mio fratello. Dal campetto, anche se erano piuttosto distanti, potevamo vedere i giochi, e notai che c’era una bambina sull’altalena. Aveva un cappottino blu. Pensandoci, l’avevo vista anche prima, quando ero arrivato. Allora lo feci notare a Carlo.»
    «Era lei: la ragazzina morta.»
    «Sì.»
    «Scusi, l’ho interrotta.»
    «Indicai la bambina a Carlo, ma poi mi accorsi che mio fratello non capiva di che stessi parlando. Mi disse che non vedeva nessuna bambina. Allora pensai che volesse prendermi in giro, e andai verso le altalene, e mi resi conto che era lei: era Michela.»
    «Ne è sicuro?»
    «L’ho vista chiaramente come vedo lei adesso.»
    «E poi? Che è successo?»
    «Nulla, mi sono avvicinato abbastanza da riconoscerla, e Michela continuava ad andare avanti e indietro e guardava fisso davanti a sé come se io non ci fossi. Mi si gelò il sangue, come si dice, e me ne andai di corsa.»
    «E suo fratello?»
    «Capii che non stava fingendo, non la vedeva proprio. Quindi chiusi il discorso perché altrimenti mi avrebbe preso per matto, e poi non lo dissi a nessuno.»
    Sgranai tanto d’occhi. Sembrava sincero.
    «Ma non è finita qui. Per alcune notti mi fu difficile dormire, capisce, pensavo sempre al fantasma di Michela. Andai al cimitero e guardai bene la foto sulla lapide per accertarmi di non essermi sbagliato, perché mi sembrava tutto così assurdo. Qualche giorno dopo c’era un’altra partita di calcetto, ma non andai. Avevo paura di rivedere il fantasma, ma sopratutto temevo che gli altri ragazzi mi prendessero in giro. Però il dubbio che si fosse trattato solo di uno scherzo della mia mente era peggiore di tutto il resto, così una sera mi decisi a tornare al parco da solo. Portai con me un opuscolo commemorativo con la foto di Michela, che ci avevano dato a scuola. La trovai ancora lì, che andava sempre avanti e indietro con l’altalena e gli occhi persi. Non c’era alcun dubbio che fosse lei. Non badava a me, ma stavolta mi avvicinai di più e provai a parlarle.
    “Michela” le dissi, “che ci fai qui?”
    “Aspetto che mi venga a prendere.” Era avvilita.
    “Chi deve venirti a prendere?”
    Aspettai, ma non rispose.
    “Michela, lo sai che sei morta?”
    Lei mi guardò e scosse la testa due volte in un no. Il cigolio dell’altalena rallentò fin quasi a fermarsi.
    Allora tirai fuori di tasca l’opuscolo con la sua foto e glielo mostrai. Lo guardò, cambiò espressione, si sporse dal seggiolino e mi spinse via.
    “No!” mi urlò contro. “Vattene! Vattene!”
    Mi fece paura e scappai, intanto sentivo il cigolio dell’altalena aumentare di ritmo perché lei si spingeva sempre più veloce. Era furiosa.»
    «Accidenti, fossi stata in lei sarei morta di paura.»
    «Tornai al parco quasi ogni giorno, non solo la sera, anche quando c’era gente. La bambina era sempre lì, e nessuno la vedeva. Ogni tanto mi avvicinavo e mi sedevo su una delle altre altalene, non troppo vicino. Volevo farle compagnia, perché mi faceva tristezza vederla da sola aspettare chissà chi. Io non aprivo mai bocca, per timore che si arrabbiasse, e non so come ma intuivo che Michela apprezzasse quella silenziosa compagnia. Passarono così un paio di settimane, finché una sera fu lei a parlare.»
    «E che disse?»
    «Mentre mi alzavo per andare via, mi disse: “Ciao”. E io risposi: “Ciao”.»
    «Ciao. Tutto qui?»
    «Sì. Durante la notte, il padre, che era stato in coma tutto il tempo, era morto. Il giorno dopo tornai al parco e lei non c’era più.»
    «Stava aspettando il suo papà.»
    «Sì. Credo che, alla fine, sia andato a prenderla.»
    «Davvero affascinante.» Rimanemmo in silenzio qualche istante. «Mi ha fatto venire in mente che anche qui c’è un giardino con i giochi. Da sistemare, ma guardi lei stesso.» Indicai la finestra. Lui scostò la tenda e si affacciò. Tra le erbacce spuntavano un dondolo e uno scivolo.
    «Sa, mi sono sempre chiesto cosa sarebbe successo, se il padre non fosse morto. Se si fosse ripreso dal coma.»
    Proprio allora ci accorgemmo di una macchina che imboccava il vialetto.
    «Aspetta un altro cliente?»
    «No.»
    L‘auto si fermò e scese una donna sui quarantacinque anni, ben vestita. Si riavviò la chioma bionda specchiandosi nel finestrino. Aveva un mazzo di chiavi in mano e si fermò, interdetta, davanti alla porta aperta.
    «E quella chi è?»
    «Credo proprio che sia la signora Elisabetta, quella dell’agenzia.»
    Ci mise un po’ a capire le implicazioni di quella risposta. Forse pensava volessi prenderlo in giro. Così, dal cassetto del comodino estrassi una foto della mia famiglia. Un uomo, una donna e un bambino in un momento felice. La porsi a Valerio, e sentii che era il mio turno di raccontare una storia.
    «Quel giorno mio marito mi aveva picchiato fino quasi a uccidermi. Io stavo proprio su questo letto, quasi incosciente, quando si mise qui, alla finestra. Imbracciò il fucile e sparò a Riccardo, nostro figlio, mentre giocava laggiù in giardino. Riccardo cadde come morto. Allora mio marito sparò a me un altro colpo, per finirmi, prima di suicidarsi. Ma Riccardo era stato colpito solo di striscio. Il mio bambino s’è salvato, e ha ancora una lunga vita davanti.»
    Valerio rimase come imbambolato a guardarmi. I suoi occhi tradivano un certo rispetto nei miei confronti.
    «Se il padre di Michela si fosse ripreso dal coma, lei avrebbe continuato ad aspettare.» Disse quasi sovrappensiero.
    «Sì, sarebbe ancora in quel parco, sull’altalena. Noi siamo così: non vogliamo andarcene senza i nostri cari.» Mi voltai per uscire.
    «Mi ha convinto, sa?» mi fermò lui.
    «Di cosa?»
    Sorrise. «Se non le dispiace una compagnia silenziosa, la compro.»


    Edited by Paolo_DP77 - 7/9/2010, 02:47
     
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