Gerusalemme 48
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Gerusalemme 48

di Roberto Bommarito

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    QUOTE
    Attenzione: questo scritto ha contenuti destinati a un pubblico adulto. Leggendo di seguito dichiari sotto tua totale responsabilità di avere più di 18 anni. Se terminologia o situazioni esplicite possono offenderti o andare in contrasto con la tua morale, sei pregato di chiudere questo post.

    Gerusalemme 48


    1


    Non saprei da dove iniziare, se dai Cristi o dalla puttanella che ha cambiato la mia vita. Credo però che darò precedenza alla fica, come farebbe un qualsiasi gentiluomo. Non che io lo sia, per intenderci. Ma, d'altro canto, non devo neppure essere un totale pezzo di merda se guardandola seduta sul marciapiede, messa da parte come un cesto dell'immondizia per la raccolta differenziata, invece di domandarle quanto prendesse, le ho fatto: «Hai un nome?‭»
    Domanda stupida. Certo che aveva un nome, potreste rispondermi. Tutti ne hanno uno.
    Ma non è mica sempre vero.
    Non è affatto facile essere se stessi ventiquattro ore al giorno. Eppure alcuni rari individui ci riescono. Io, purtroppo, non sono tra questi. Per due terzi del giorno ho meno anima di un fottuto tostapane. Ogni volta che mi metto addosso l'abito da lavoro, smetto di avere un nome. Sono solo un ruolo. Ciò che faccio. E, a dire il vero, rendermene conto non mi fa stare molto bene.
    Bando però alle seghette mentali.
    Ho detto che avrei parlato innanzitutto della puttanella, ed è proprio quello che intendo fare.
    Il volto scavato come il culo di un bastardo rognoso, aveva un top scuro, arrangiato in modo tale da darti l'illusione di due tette grosse, tonde e succose, invece di una umile seconda. L'ombelico scoperto, circondato da un tatuaggio di filo spinato, e un paio di jeans usurati. Non quelli esibiti dai manichini della GAP, con gli strappi simulati, tanto in voga. I suoi jeans erano consumati per davvero.
    Come le sue vene.
    Due bisce più nere della morte le correvano sotto la pelle delle braccia. Non sarà bello far notare certe cose, ma era difficile mantenere un contegno indifferente con quelle vene scoppiate esibite come un dipinto astratto del Louvre a uno sputo di distanza dalla mia faccia.
    La scena era questa.
    Il finestrino della mia auto abbassato. Lei che si avvicinava col passo incerto di un gatto randagio giunto all'ultima sponda. Io che dicevo a me stesso: "guardala negli occhi", e invece riuscivo solo a fissare quelle vene stanche e collassate. E le croste. Tante, troppe, simili a zecche che luccicavano dorate sotto la luce al neon dei lampioni.
    Così orrende e vere, avrei potuto continuare a fissarle le braccia ancora per ore, ma invece lei mi ha fatto: «Perché cazzo vuoi sapere come mi chiamo?‭»
    Ed è stato proprio questo a fregarmi.
    Se avesse risposto in altro modo, magari dicendomi quanto prendeva, le avrei detto no, scusa, ho cambiato idea, e schiacciato l'acceleratore.
    Ma invece lei no, non ha negato di avere un nome. Batteva il marciapiede, eppure nella sua testa lei era prima di tutto se stessa, non una puttana. Adesso, come già detto, le persone che riescono a mantenere un nome per ventiquattro ore filate sono davvero rare. Quindi quale altra scelta avevo? Dovevo per forza distogliere lo sguardo da quelle braccia martoriate e invitarla a montare su.
    «No‎» ha risposto lei, lasciandomi senza parole come uno stoccafisso. «Nulla da fare‎». E, mentre dei‏ fari sbucati da dietro l'angolo le illuminavano il volto come una mezza luna, ha pure aggiunto:‬ «Scusa cazzone‭».
    ‎E ha girato i tacchi.
    L'ho guardata nello specchietto retrovisore trattare il prezzo col conducente dell'auto che si era accostata al marciapiede.
    Poi la macchina con lei a bordo mi ha superato, scomparendo dietro la mia brutta faccia riflessa dal parabrezza.


    2


    La gente ha sempre una ragione per essere dove si trova. Basta guardare le auto scorrere come formiche meccaniche che scorreggiano monossido di carbonio su e giù per le strade tutto il giorno. Alcune se ne fregano dell'autovelox; altre accellerano a vuoto di fronte al semaforo che sembra insistere col rosso per puro dispetto: hanno tutti fretta di recarsi da qualche parte.
    Quelli che vanno a Gerusalemme 48, lo fanno perché questi sono tempi che definirli "incasinati" è come chiamare carezza un destro che diminuisce sostanzialmente la conta dei denti che ti ritrovi in bocca.

    O figlio, tu potrai trasmutarti in me, a misura che riuscirai ad uscire da te stesso.

    Queste sono le parole del Cristo, l'originale.
    Beh, in realtà, non tanto le sue quanto quelle di uno sconosciuto che nel medioevo decise di dargli voce scrivendo il De imitatione Christi.
    Un vangelo versione 2.0.
    O meglio, una specie di.
    In ogni modo, il testo più importante, dopo le Sacre Scritture, della letteratura cattolica.
    Il mio primo giorno di lavoro, Padre Gabriele me lo ha messo in mano e mi ha detto di impararlo‎ passo per passo, come un moccioso orfano della tetta materna.‏ «Ogni bravo cattolico dovrebbe conoscerlo a memoria‎».
    ‎ ‏«Non sono sicuro di poterci riuscire‎»
    «E perché no?‎»
    ‎ ‏«Sono troppe‎».
    ‎ ‏«Le pagine?‎» ‏
    «Duecentosettantadue‎».
    ‎ ‏«Hai tutto il tempo di cui necessiti‎» mi disse, poggiandomi una mano più solida del cemento armato sulla spalla.
    ‎ Non ci sono mai riuscito. Se avessi avuto una testa capace di memorizzare una tale mole di pagine, avrei optato per un lavoro meno faticoso che non inchiodare la gente a dei pali di legno.
    ‎ Mi sono invece limitato a imparare poche frasi, quelle più importanti, quelle che reciti a te stesso per evitare di uscire pazzo mentre trafiggi la carne dei clienti con i chiodi asettici, perché anche dopo tre anni di questo mestiere, quando torni a casa e ricordi di avere un nome, a volte ti sorprendi curvo sul cesso a vomitare quella poca anima che ti rimane.
    ‎ ‏«Non sono sicuro di essere adatto a questo mestiere, Padre‎».
    ‎ ‏«Il tuo lavoro è un inno al Signore, è questo che conta: ricordatelo. E un inno al Signore lo sono pure le urla, i pianti e tutte quelle cose lì, inclusa la loro MasterCard, perché no?‎»
    ‎ Non so se fossi io a non avere il senso dell'umorismo oppure se fosse lui a essere divertente come l'herpes, ma non capivo mai quando diceva sul serio e quando, invece, si stava solo divertendo a prendermi per il culo. Sono‏ sicuro, però, che non scherzasse quando disse: «Tre anni di sacrificio e duro lavoro e avrai messo da parte abbastanza denaro da poterti permettere la tua di crocifissione. Non preoccuparti, ragazzo: ci penserò io a tenerti sulla retta via‎».
    ‎ A Padre Gabriele piaceva usare la cintura.


    ‎3


    ‎ La sera dopo il mio primo incontro con la puttanella, sono tornato a cercarla.
    ‎ Suppongo che la gente visiti il suo quartiere per divertirsi. L'atmosfera, le strade, i piccoli bar, t‬utto ciò che contiene è grottesco, ma anche così umano. Fatto di carne, miseria e sesso.
    Sono arrivato presto, rispetto alla sera precedente. Saranno state le undici di sera. C'erano quelle che sembravano sue colleghe, ma lei no.
    Così ho parcheggiato l'auto, spento il motore, abbassato il finestrino per respirare un po' d'aria fresca e acceso l'autoradio.
    Sui 104 FM ho beccato il notiziario.
    Guardavo le puttane arrivare, a volte salutarsi, altre ignorarsi, poi salire a bordo di un'auto e scomparire inghiottite dalla notte densa come catrame, mentre il giornalista alla radio diceva che non c'era ragione di preoccuparsi.
    «Secondo gli ultimi accertamenti meteorologici, la nube radioattiva in Siria non diventerà un boomerang per l'Occidente: grazie ai venti provenienti da Nord-Ovest dovrebbe invece disperdersi in direzione dell'Oceano Indiano come previsto. Una conferma questa - secondo il comandante NATO Jackson Harrelson - che mette a tacere gli allarmismi delle ultime ore‭».
    Dissero cose simili anche undici anni fa.
    Solo che allora a innescare le bombe, tre o quattro in ogni capitale europea e un'altra ai cancelli della Casa Bianca, fu al-Qaeda. Invece di materiale radioattivo, si trattava di cazzuti agenti virali che, dati gli effetti, a confronto facevano sembrare la peste bubbonica invitante come le cosce di una pin-up degli anni Cinquanta. Anche allora i telegiornali dicevano che non c'era ragione di preoccuparsi, eppure presto fu chiaro che i virus si stavano lasciando trasportare felici qua e là dalle folate di vento, diffondendosi un po' ovunque e uccidendo un terzo di noi occidentali.
    Prima le malattie, poi la guerra: se non è l'Apocalisse, le somiglia molto.
    Per lo meno, così dice la Chiesa. Non esiste nulla di più efficace della paura per riconquistare la devozione delle pecorelle smarrite. Il Papa, seduto di nuovo sul trono di mezzo mondo dopo secoli di emarginazione politica, ha più di una ragione per innalzare il calice al cielo.
    Stanco delle balle, ho zittito il giornalista, poi ho tirato fuori dallo scompartimento del cruscotto un CD, l'ho inserito e ho schiacciato il tasto PLAY.
    Mi sono addormentato, senza accorgermene, sulle note di Louis Armstrong che gracchiava qualcosa che non capivo.
    Quando ho riaperto gli occhi, avevo le mani della puttanella strette attorno alla gola, mentre lei inveiva: «Brutto cazzone maniaco di merda‭»‬.


    4


    Quando il divorzio, insieme a tutte le altre leggi di natura anti-cattolica, fu abolito, mamma, che odiava papà perché molto più attaccato alla Budweiser che non al posto di lavoro, decise di liberarsi di lui denunciandolo alle autorità per affiliazione sospetta.
    Ricordo i carabinieri bussare, mamma aprire la porta con una sigaretta fumante in mano, lo sguardo sorpreso di papà.
    «Cosa diavolo succede?‎» fece lui, col volto che rifletteva le immagini schizoidi alla tele e un pacchetto di Fonzies in mano.
    ‎Con la Beretta bene in mostra, uno dei carabinieri disse: ‬«La prego di seguirci in caserma».
    ‎ ‏«Sei stata tu?‎»
    Mia madre non disse nulla. Si limitò ad aspirare una boccata di nicotina, prima di soffiarla via sporgendo il mento.
    «Come hai potuto?‎»
    ‎ ‏«Così ci costringe ad ammanettarla‎».
    ‎ ‏«Come?‎»
    Papà lasciò cadere il pacchetto. I Fonzies si rovesciarono sul pavimento, spargendosi come una manciata di vermetti nodosi.
    «Andrà tutto bene‎» disse uno dei carabinieri, guardandomi impietosito mentre caricavano mio padre sulla gazzella. Io ero troppo piccolo per capire quale enorme cazzata avesse detto, ma tant'è.
    Una settimana dopo si ripeté la stessa cosa con mamma. Sembrava che papà avesse deciso di restituirle il favore.
    «Come?‎» fece mamma incredula, assestando un pugno in faccia all'assistente sociale incaricata di prendersi cura di me.
    La vendetta di papà doveva essere stata davvero una sorpresa per lei. Sarà stato pure un alcolizzato, ma era il tipo che tratteneva a stento le lacrime quando vedeva un porcospino ridotto a uno sticker dagli pneumatici delle auto.
    ‎ Ma le proteste di mamma non servirono a molto. I carabinieri la immobilizzarono col Taser. Malgrado la scossa, mamma continuò a dimenarsi sul pavimento come una mosca avvelenata dallo spray insetticida. ‏«Bastardi!‎»
    In realtà, nessuno di loro due aveva affiliazioni terroristiche. Entrambi avevano finito con l'odiarsi, tutto lì. Le autorità non trovarono nulla che provasse la loro colpevolezza. E questa era la buona notizia.
    Ma non trovarono neppure nulla che confermasse la loro innocenza. E questa era una notizia molto meno buona della prima.
    Nel dubbio, le autorità seguirono quella che è ormai la prassi: furono entrambi fucilati e io trascorsi il resto della mia infanzia in un orfanotrofio.
    Come ho detto: sono tempi alquanto apocalittici.
    Oggigiorno, sono tutti pronti a sacrificare le persone che amano pur di sopravvivere.
    Ma in questo caso, se non altro, non sono stato io a causare la morte dei miei genitori.
    Non sono Einstein. Ho mollato presto la scuola. Alla soglia dei diciott'anni, sembravo destinato a diffondere il verbo di Biancaneve o a chiedere l'elemosina oppure a divenire una statistica umana sepolta sotto tre metri di terra, come accadeva alla stragrande maggioranza della gente che lasciava l'orfanotrofio per la strada.
    I preti mi odiavano. Nulla di personale: non odiavano solo me, ma tutti i ragazzini, in modo giusto, senza fare discriminazioni.
    Tutti i preti meno uno: Padre Gabriele.
    Credo che gli stessi simpatico. Era l'unico a darmi la buonanotte. Ogni tanto, quando ci trovavamo soli, mi accarezzava, passandomi una mano fra i capelli.
    Il giorno che venne investito della carica di Direttore generale di Gerusalemme 48, mi disse che avrebbe pensato lui a me.
    Una settimana dopo eseguii la mia prima crocifissione.


    5


    Le ho tolto le mani dal mio collo. «Cazzo!‎» La puttanella non aveva più forza di una bambina di dieci anni. ‏«Ma che diavolo?...‎»
    «Se ti fai rivedere t'ammazzo‎».
    ‎ Fra un colpo di tosse e l'altro, le ho detto di non essere mai stato con una donna, figuriamoci se ero un brutto cazzone maniaco di merda.
    ‎ Lei ha detto che le spiaceva. ‏«E adesso vaffanculo‎».
    Sono sceso dall'auto, schiarendomi la gola per riacquistare il pieno controllo delle corde vocali. ‏«Tutto questo solo perché ti ho chiesto che cazzo di nome hai?‎»
    ‎ Lei ha fatto un passo indietro, dandomi l'impressione di essersi sbilanciata sui tacchi, anche se non per davvero, come una trapezista che cammina sulla fune con un'asta che le balla fra le mani.
    ‎ ‏«Il mio nome non t'interessa‎». Il suo sguardo acceso contrastava con le occhiaie marroni, le guance scavate, qualche accenno di acne sul mento. ‏«Sono venti per una trombata. Il doppio senza palloncino. Ma scommetto che sei uno di quei fanatici religiosi che vuole rimanere vergine, giusto? In quel caso, sono dieci per succhiartelo».
    ‎ Se le avessi detto che mi interessava solo conoscere il suo nome, mi avrebbe mandato al diavolo, questa volta sul serio, così le ho risposto: ‏«Dove andiamo?‎»
    ‎ ‏«C'è un posticino tranquillo a pochi isolati da qui‎».
    ‎ ‏«Okay‎» le ho detto.
    ‎ ‏«Bene‎» ha ribattuto lei, girando attorno all'auto, poi fermandosi ad aspettare che le aprissi la porta. Io l'ho fissata immobile per qualche secondo. Non ricordo cosa mi è passato per la testa. Forse avevo solo bisogno di qualche istante per realizzare che lei, me stesso... era tutto vero.
    ‎ Ha fatto: ‏«E allora?‎»
    ‎ ‏«È aperto‎».
    ‎ Siamo saliti a bordo.
    ‎ Ho iniziato a guidare, mentre la puttanella ogni tanto diceva: ‏«Gira a destra‎», oppure: ‏«No, ho detto a sinistra, cazzo. Vabbe', allora gira alla prossima‎».
    ‎ Teneva le sue braccia martoriate incrociate sulla pancia.
    ‎ ‏«Questa?‎»
    ‎ ‏«Emm... sì, sì‎» ha detto, curvandosi un po' in avanti per guardare meglio la strada. Ho notato la bella curvatura a esse della schiena, vedendola per la prima volta come una ragazza, non solo come una chiave per comprendere me stesso. ‏«Sì, questa. Ora va sempre diritto, fino in fondo‎».
    ‎ Fino in fondo.


    ‎ 6


    ‎ Se il mondo va a puttane di gran carriera, l'economia, al contrario, vola sulle ali della disperazione collettiva.
    ‎ La gente che può permettersi una crocifissione non è troppa, ma nemmeno poca.
    ‎ Da una parte ci sono i miserabili, come questo disgraziato che vi sta parlando.
    ‎ Dall'altra quelli che mi pagano, o meglio che pagano la Chiesa, per inchiodarli alle croci. Per divenire dei Cristi.
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    ‎ * Seppure il ricovero e l'assistenza medica post-crocifissione sono inclusi nel prezzo, la Catholic Enterprises S.p.A. non si ritiene responsabile per incidenti quali danni fisici permanenti alla persona, complicazioni psicologiche o decesso.

    ‎ Questa sarà pure la fine del mondo, ma nessuno ha fretta di andarsene. I Cristi, essendo emuli di Gesù, possono godere dell'immunità che la Chiesa garantisce loro. Nessun crocifisso, al contrario dei miei genitori, è mai stato riempito di piombo solo perché qualcuno ha puntato l'indice contro di lui, accusandolo di affiliazione a cellule estremiste islamiche. Certo, un terrorista potrebbe farsi crocifiggere per godere dell'immunità. Ma, come è già accaduto secoli fa con le indulgenze, le considerazioni economiche vengono prima di tutto.

    O figlio, guardati dal voler disputare delle cose del cielo e degli occulti giudizi di Dio: perché quello è così derelitto e quell’altro è portato a un così grande stato di grazia; ancora, perché quello viene tanto colpito e quell’altro viene tanto innalzato.


    ‎ 7


    ‎ La confezione rosso-metallico del condom rifletteva gli scampoli di luce che arrivavano da un pezzo di luna che giocava a nascondino, e quelli giallastri di un lampione che ogni tanto si spegneva e riaccendeva due o tre volte di seguito come stesse tossendo.
    ‎ ‏«Alla fragola?‎» ho fatto io, più che altro per dire qualcosa.
    ‎ ‏«No, frutti di bosco‎» ha ribattuto lei, mettendosi un lembo della confezione in bocca per strapparla con i denti‏. «Che differenza fa?‎»
    ‎ ‏«Quanto prendi per non scopare?‭»
    ‎ Lei si è voltata a guardarmi, con la confezione del condom che le pendeva dalla bocca, come un cane da riporto che morde una quaglia impallinata. ‏«Che?‎»
    ‎ ‏«Non sono sicuro di volerlo fare. E poi non sembri tanto in forma. Sei pulita?‎».
    ‎ Togliendosi la confezione aperta dalla bocca, lei ha fatto: ‏«Vaffanculo‎».
    ‎ ‏«Non intendevo offenderti‎».
    ‎ ‏«Allora sei uno di quei cattolici di merda che provano a convertire le pecorelle smarrite. Beh, se è così, rivaffanculo, cazzone‎».
    ‎ ‏«No‎»
    ‎ ‏«Hai paura di trombare?‎»
    ‎ ‏«Vorrei solo sapere il tuo nome‎».
    ‎ ‏«Ci risiamo? Facciamo dieci per un bocchino veloce e ognuno torna alla sua favolosa vita del cazzo, va bene?‎»
    ‎ Si è curvata in avanti, mettendomi le mani fra le gambe in cerca della chiusura lampo. Ho sentito il cazzo iniziare a indurirsi.
    ‎ Lei me lo ha tirato fuori. L'ha stretto nel pugno, cominciando a muovere la mano su e giù, ogni tanto stringendo poi allascando la presa. Nell'altra mano teneva il preservativo. Guardavo le sue braccia costellate di croste, le vene piene di catrame nero. Le sue dita esili stringersi come dei boa attorno al cazzo che continuava a drizzarsi. Avrei potuto dirle di fermarsi, ma non volevo.
    ‎ ‏«Okay‎» ha detto, posizionandomi il preservativo sulla cappella e srotolandolo solo di poco, quanto bastava per tenerlo a posto.
    «Okay‎» le ho fatto eco io.
    ‎ Lei si è abbassata ancora di più. Ho sentito il suo respiro caldo, poi ha iniziato a premere con la lingua, mentre facendo collaborare bocca e dita continuava a srotolare il condom lungo l'asta.
    ‎ Ha cominciato a muovere la testa su e giù.
    ‎ Con ogni movimento che faceva, sentivo la lampo graffiarmi. Le ho detto: ‏«Un attimo‎».
    ‎ Lei si è fermata, passandosi il dorso della mano sulla bocca.
    ‎ Ho tolto la cintura, mi sono abbassato i jeans.
    ‎ Lei ha fatto lo stesso. Non togliendoseli del tutto, ma solo il necessario: aveva una gamba dentro, l'altra fuori. E, in mezzo alle gambe, un cespuglietto più scuro della notte che stava per inghiottirci. ‏«Come si abbassa?‎»
    ‎ Avrei potuto dirle di continuare a succhiarmelo, solo quello, ma la nostra era una danza sgraziata, seppur sempre un movimento che stavamo facendo in due. Una serie di piroette che non sapevo dove mi avrebbero portato, se non lontano da dove stavo fino a soli pochi minuti prima. E, dove stavo, c'era un me stesso anonimo che inchiodava i Cristi a delle croci solo perché così gli veniva ordinato da Padre Gabriele, e io tanto disperato da andarmene in giro per le strade a cercare qualcuno che mi mostrasse uno spiraglio di luce. Dove stavo, non era affatto un bel posto.
    ‎ Mi sono chinato, cercando la leva. Ho abbassato il sedile.
    ‎ Mi sono messo sopra di lei.
    ‎ Lei ha di nuovo stretto il mio cazzo in mano, questa volta per posizionarselo meglio fra le gambe.
    ‎ ‏«Okay?‎» ha fatto lei.
    ‎ ‏«Okay‎» ho risposto io, poi ho spinto.

    ‎ Sinceramente lo confesso, io sono meritevole di essere vituperato in tutti i modi, e disprezzato, non già di essere annoverato tra i tuoi fedeli.

    ‎ La seconda volta che abbiamo trombato - sarà stato due, tre giorni dopo la prima - le ho domandato di nuovo il suo nome, ma lei ha fatto finta di non sentire dicendo invece: ‬«È stata mia madre a insegnarmi come spararmi l'ero‭».
    ‎ La terza volta, mi ha risposto: ‏«Ma allora sei fissato di brutto».
    ‎ La quarta, ha fatto: ‏«Sai cosa sono io? Hai presente Alcatraz? La prigione, no? Cazzo, sai che dicevano come fosse impossibile fuggire. Acque gelide, uno strafottio di guardie dappertutto e tutta quella roba là come nei film. Sai che però uno ci è riuscito? No, davvero, non sono una che spara balle io. Si chiamava Joe o qualcosa del genere, non ricordo ora. Comunque, 'sto tizio era tanto cazzuto da non lasciarsi scoraggiare. Parliamo di una strafottutissima prigione di massima sicurezza qui, mica cazzi e fichi. Io sono come Alcatraz. Ci provo a fuggire da me stessa, ma al contrario di quel tizio continuo ad affogare‎»‏.
    Gettando il condom pieno di sborra dal finestrino, le ho detto: «Credo che la gente ha sempre un motivo per trovarsi in un posto piuttosto che in un altro, solo che a volte non sa qual è‎».‏
    Lei ha fatto: «Puoi darmi il doppio questa volta? Se vuoi, la prossima ti lascio scoparmi nel culo. Ho bisogno di pungermi, ma sono a corto‎».
    ‎ Io glieli ho dati.
    L'indomani mi ha chiesto altri soldi, aggiungendo: ‏«Non so che fare‎».


    8


    La segretaria era assente, forse si era recata al cesso. Ho bussato alla porta dell'ufficio, poi mi sono seduto in una poltrona nera che occupava un'intera parete della sala d'attesa. Era abitudine di Padre Gabriele lasciare aspettare la gente.
    Dopo un caffè che sapeva di nulla e altri cinque minuti a fissare la parete, la porta si è aperta.
    «La mia pecorella preferita‎» ha detto Padre Gabriele. ‏«Mettiti comodo‎».
    ‎ Mi sono messo a sedere su una poltrona di cuoio. Lui ha fatto lo stesso, dicendo qualcosa tipo che bel sole c'era fuori. Un'enorme scrivania di mogano imponente come una portaerei ci separava. I commenti meteorologici mi hanno rilassato un pochino.
    ‎ Ho detto: ‏«Vorrei chiederle il permesso di ritirare una piccola somma dal mio Conto Crocifissione‎».
    ‎ Padre Gabriele mi ha guardato in silenzio per qualche istante. Poi ha fatto: ‏«Lo sai che ti manca davvero poco a raggiungere la somma sufficiente, vero?‎».
    «Potrei rimediare depositando il doppio col prossimo pagamento‎».
    ‎ ‏«E, anche se fosse possibile, con cosa camperesti il resto del mese, poi?‎».
    ‎ ‏«Ho bisogno di quei soldi‎».
    ‎ Lui ha sospirato. ‏«Quale dev'essere l'unica, giusta aspirazione di noi tutti?‎».
    ‎ ‏«L'abnegazione di se stessi. L'emulazione del Cristo nello Spirito e nel corpo‎» ho risposto io, dicendo quello che ero costretto a dire.
    ‎ ‏«Giusto, e questo deve avere la precedenza su tutto. C'è un unico modo di prelevare del denaro già depositato nel Conto Crocifissione: chiuderlo, ritirando l'intera somma. Ma sappiamo entrambi che sarebbe assurdo, non è mai successo‎».
    ‎ Si è alzato. Alto due metri abbondanti, con le spalle larghe di un buttafuori, la sua presenza fisica riusciva sempre a intimorirmi. Ha aperto la porta e, sorridendo, ha detto: ‏«Pregherò comunque per te, ragazzo mio. Buona giornata lavorativa‎».
    ‎ La porta si è chiusa alle mie spalle, nel momento in cui la segretaria è ricomparsa dietro la sua scrivania.
    ‎ Mi ha guardato, sorridendo.
    «Salve‎» le ho fatto io, fermandomi sui miei passi. ‏«Avrei bisogno di un'informazione‎».


    ‎ 9


    ‎ ‏«E come farai adesso?‎» mi ha domandato la puttanella, mentre l'aiutavo a caricare la spada tenendo l'accendino acceso.
    ‎ ‏«Ancora non lo so. Potrei riaprire un nuovo Conto Crocifissione. Oppure, se dopo avere scoperto che ho prelevato tutto il denaro Padre Gabriele non vorrà più avermi fra i piedi, potrei cercare lavoro in un altro Gerusalemme. Ho sentito dire da un collega che a Gerusalemme 52 cercano gente brava con i chiodi. Non è lontano da qui. Due ore scarse col treno‭».
    ‎ ‏«Ci tieni così tanto a farti crocifiggere?‎»
    ‎ ‏«No. Ma... non so‎».
    ‎ ‏«Ecco, basta così‎» ha fatto lei. Ho messo via l'accendino. Ha detto: ‏«Tienimi un po' il cucchiaio, adesso‎».
    ‎ ‏«Padre Gabriele è la cosa più simile a un genitore che mi rimane‎».
    ‎ Aspirando l'eroina con la spada, ha detto: ‏«Io non ho mai conosciuto quel bastardo di mio padre. Ha cambiato aria prima ancora che mi affacciassi al mondo. E per quanto riguarda mia madre, beh, l'unica cosa di cui l'è mai importato davvero era trovare il modo d'ammazzarsi. Okay, avrebbe potuto spararsi una botta di roba cattiva e farla finita, solo che credo le mancasse il coraggio. Quando bussarono alla sua porta con l'accusa di affiliazione sospetta, non aveva abbastanza soldi per permettersi un avvocato decente, chessò, uno capace di fabbricarle finti alibi come fanno alcuni, figuriamoci una fottuta crocifissione. Dev'essere stato il giorno più felice della sua dannata vita, quello in cui l'hanno fucilata. Sono stata io stessa a denunciarla. Ero poco più di una bambina, sai? A volte mi dico che l'ho fatto per lei. Ma in realtà il mio era solo puro egoismo‭».
    ‎ Si è scoperta la caviglia. Nelle braccia non c'era più spazio. Poi ha continuato: ‏«'Sta fissa che hai tu, di volere trovare te stesso. Ti dico solo questo: non mi sono mai sentita più me stessa del giorno in cui mi sono liberata di lei‎».
    ‎ Ho visto l'ago pungerle la carne.
    ‎ Ho detto: ‏«Non sarà mai abbastanza, vero?‎».
    ‎ ‏«Cosa?‎».
    ‎ ‏«Quella merda che ti spari‎».
    ‎ ‏«Se non altro per un po' riesco a dimenticarmi d'esistere‎» ha detto, col colpo ancora in canna. ‏«È ironico, non credi? Tu vorresti essere te stesso. Io, al contrario, vorrei solo fuggire da quella che sono: una stronza egoista. Siamo due perfetti opposti‎».
    ‎ ‏«Non mi hai ancora detto il tuo nome‎» ho fatto io.
    ‎ Lei mi ha ignorato, svuotandosi la spada nelle vene.


    ‎ 10


    ‎ Quattro crocifissioni, una dopo l'altra, senza nemmeno una pausa per fare sgocciolare l'uccello. Ero esausto. Avevo ancora addosso la divisa del lavoro: un lembo di stoffa cinto intorno alla vita, intriso del fango e degli spruzzi di sangue di quattro Cristi diversi, il torso nudo, quando mi hanno mandato a chiamare, dicendomi che Padre Gabriele aveva bisogno di parlarmi.
    «Adesso‎».
    ‎ Sapevo che prima o poi avrebbe scoperto che lo avevo scavalcato, chiudendo a sua insaputa il Conto Crocifissione. Era inevitabile.
    Ho percorso il parco, puntando dritto per l'ufficio di Padre Gabriele.
    Il Calvario, nel cuore di Gerusalemme 48, è un po' come il set di un film, dove il direttore si diverte a miscelare elementi di storia antica e scorci di presente. Le croci vengono messe in fila come tanti pali dell'elettricità, numerate e distanti una ventina di metri l'una dall'altra. Il sole che tramonta alle loro spalle, trasformando il cielo in un'enorme ferita sanguinante, è un'immagine romantica che credo avrete visto un milione di volte nei poster pubblicitari. Dal vero, però, il Calvario è tutt'altra storia.
    ‎ Da una parte, ci sono le croci occupate dai Cristi agonizzanti: gente di tutti i tipi, donne e uomini, settantenni e fighetti. Dall'altra, invece, quelle in fase di smontaggio, dopo che i Cristi di turno sono stati tirati giù e trasportati in infermeria per le cure necessarie. A seguito di ogni uso, le croci vengono pulite e sterilizzate. La gente sarà pure disposta a rischiare di morire in croce, o la va o la spacca, ma non a incollarsi per il resto della vita l'epatite C o di peggio.
    ‎ Dal lato opposto della collinetta, invece, si erige l'edificio principale, dove risiede l'ufficio di Padre Gabriele, un edificio moderno, dalla forma tondeggiante, bianco e immacolato come il sedere di un neonato ricoperto da un velo di Borotalco.
    ‎ Giunto a destinazione, ho fatto un bel respiro profondo.
    ‎ Sono entrato.
    ‎ La segretaria ha avvertito Padre Gabriele del mio arrivo.
    ‎ Per una volta tanto, non ho dovuto aspettare. Dopo avere detto alla segretaria di prendersi una pausa, Padre Gabriele ha chiuso la porta alle mie spalle.
    ‎ Poi si è fatto il segno della croce, mormorando fra sé e sé qualcosa in latino.
    ‎ Si è slacciato la cintura.
    ‎ Ha detto: ‏«È così che mi ripaghi?‎» La sua voce era rotta come se stesse facendo fatica a trattenere le lacrime. Qualsiasi fosse l'entità del danno che avevo causato, non potevo più tornare indietro.
    ‎ Mi sono voltato, inginocchiandomi.
    ‎ ‏«Questo sarà il mio ultimo atto di penitenza, Padre‎» ho detto io, realizzando di non avere mai voluto finire in croce. Mamma e papà mi furono portati via. Non mi ero allontanato io da loro di mia spontanea volontà. Adesso, però, avevo l'opportunità di farlo, se non proprio da loro, da Padre Gabriele. Nella testa avevo ancora la voce della puttanella che ‏come un CD graffiato ripeteva all'infinito‭: "N‬on mi sono mai sentita più me stessa del giorno in cui mi sono liberata di lei". Era questo il suo fottuto segreto?
    Padre Gabriele ha detto: «Capitolo cinquantadue‎».
    ‎ ‏«Non ricordo‎».
    ‎ Lui ha taciuto per qualche secondo, poi, come se avesse un mangianastri al posto della trachea, ha recitato: ‏«È‎ giusto, o Signore, quello che fai con me quando mi lasci abbandonato e desolato; perché della tua consolazione o di alcuna tua visita spirituale io non son degno, e non lo sarei neppure se potessi versare tante lacrime quanto un mare».
    ‎ E mi ha fatto: ‏«‎Come continua?».
    ‎ Non era una delle poche frasi che ero riuscito a memorizzare. Ma comunque non gli avrei risposto nemmeno se lo avessi saputo. Ho detto: ‏«Non ha più alcuna importanza‎».
    ‎ Lui ha insistito: ‏«Ripeti dopo di me: altro io non merito che di essere colpito e punito, per averti offeso, spesso e in grave modo, e per avere in molte occasioni peccato grandemente‭».
    ‎ ‏«No, Padre‎» ho risposto io.
    ‎ Poi è venuta giù la prima di dieci frustate, togliendomi l'aria dai polmoni come se la mia carne fosse stata lacerata da un Dio che mi vomitava addosso dell'acido.


    11


    «Conoscevo un punkabbestia che usava questo buco come imbosco‎» ha detto la puttanella, mentre mi cambiava le bende. Insieme alle bende a volte venivano via anche pezzi di crosta, e potevo sentire delle gocce di sangue scivolarmi giù per la schiena, ma in confronto alle frustate il dolore era così lieve da provarci quasi piacere. A volte sentivo le sue braccia sfiorarmi. Le sue ferite contro le mie.
    Ha continuato: «Poi 'sto punkabbestia è sparito, non so che cazzo di fine abbia fatto‎».
    ‎ Nella stanza buia, c'era solo un materasso in putrefazione come la carcassa di una bestia lasciata a marcire in una palude. Bottiglie vuote di Keglevich. Sedie e mobili rotti.
    «Bel posto di merda‎».
    ‎ ‏«Sì, è perfetto‎» ha detto lei, buttando in un angolo una benda con una striscia di sangue raggrumato al centro come un assorbente usato. ‏«Tanto di merda che non ci viene nessuno‎».
    ‎ Ho tossito. Faceva freddo, o forse era un accenno di febbre. Ho detto: ‏«Non so come dovrei sentirmi. Libero? Sollevato?‎».
    ‎ ‏«Tu punti troppo in alto‎».
    ‎ ‏«Forse dovrebbe bastarmi trovarmi qui. Perché mi ci hai portato?‎».
    ‎ ‏«Sofia‎».
    ‎ ‏«Come?‎»
    «Il mio nome. Mi chiamo Sofia‎» ha detto lei, sorridendomi per la prima volta. ‏«Non ti piace?‎»
    ‎ ‏«Sofia‎».
    ‎ ‏«Già‎» ha fatto lei, continuando a sorridere. Poi ha preso una benda nuova, l'ha srotolata. Così bianca e asettica, in contrasto con tutto il resto sembrava risplendere di luce propria. Appoggiandomela sulla schiena, ha detto: ‏«Ho un piacere da chiederti‎».
    ‎ ‏«Non mi rimane molto in tasca‎».
    ‎ ‏«No, non è quello‎».
    ‎ ‏«Allora cosa?‎»
    ‎ ‏«Voglio che tu mi crocifigga‎».
    ‎ Mi sono voltato a guardarla. Lei ha evitato il mio sguardo, srotolando invece un'altra benda. Ho fatto: ‏«Perché?‎»
    ‎ ‏«Voglio rinascere, come Cristo. Devi liberarmi solo quando finisco di urlare‎».
    ‎ ‏«Vuoi smettere di punto in bianco? Non scoppi di salute. Potresti rimanerci‎».
    «Lo farai o no?‎»
    ‎ L'ho guardata di nuovo.
    «Possiamo usare quelle tavole di legno‎» ho detto io, puntando in direzione dei mobili fracassati. ‬«Avrò bisogno anche di un sacco di bende‭».
    ‎ ‏«Di quelle ne abbiamo in abbondanza, cazzone‎» ha fatto lei, sorridendomi un'altra volta.


    ‎ L'ho legata con le bende a delle tavole di legno distese sul pavimento, immobilizzandole braccia, gambe e bacino.
    ‎ Con i pochi euro che mi rimanevano, ho preso dell'omogeneizzato, un po' di frutta, qualche vitamina, del Gatorade. Per fortuna in quel buco c'erano anche delle tubature. L'acqua veniva fuori giallastra per via della ruggine, ma doveva andarci bene.
    ‎ Quella sera stessa sono iniziate le suppliche, poi le urla. ‏«Slegami, figlio di puttana!‎»
    ‎ E le lacrime.
    ‎ Ho crocifisso più gente di quanta ne riesca a ricordare. Tutti urlano. Tutti piangono per il dolore. Alcuni supplicano, per essere tirati giù, prima dello scadere dei dieci minuti regolamentari. Ma molti, invece, sopportano il dolore, sapendo che si tratta solo di una parentesi, che quelli sulla croce non sono loro, non davvero. A volte, guardandoli negli occhi uno può leggerci una sorta di estasi. Per la durata di quei dieci minuti, molti di loro credono davvero di essere l'incarnazione di Cristo, così come dice loro la Chiesa. Sono il ruolo che stanno interpretando.
    ‎ Non però le lacrime di Sofia.
    ‎ Quelle nascevano da lei. Erano parte di lei che, con ogni spasmo, le colavano via insieme al moccio e al piscio e alla merda.
    ‎ All'inizio la puzza era insopportabile, ma poi ho smesso di avvertirla. La pulivo come meglio potevo, con una pezza bagnata, senza però liberarla dalla croce, come mi aveva chiesto.
    ‎ Non avevo un cucchiaio a disposizione, così invece delle posate ho usato il coperchio stesso dell'omogeneizzato. Ogni volta avevo l'impressione che vomitasse più roba di quanta riuscissi a fargliene mangiare.
    ‎ Il terzo giorno, ha smesso di urlare, di insultarmi. Non credo che avesse più le energie per farlo. Ogni tanto, però, piangeva ancora, poi ha cessato di fare pure quello.
    ‎ Ha smesso anche di vomitare. È riuscita a mandare giù una banana, anche se prima di metterle in bocca una fetta la riducevo in poltiglia.
    ‎ Stavamo tutto il tempo in silenzio. Non urlava più come un'indemoniata, ma gli attacchi d'astinenza tornavano, a distanza a volte di un paio d'ore, a volte più. Quando accadeva, le tenevo ferma la testa avvolgendole un braccio sotto il collo, senza stringere troppo. Con la mano libera, l'accarezzavo.
    ‎ Ogni tanto rompeva il silenzio dicendomi cosa le faceva più male. ‏La testa. Lo stomaco‭. Le gambe.
    Quando le venivano i brividi, la coprivo con i miei stessi abiti. I suoi non bastavano. Non avevo coperte. Avevo solo paura di perderla.
    Se non fosse stato per i pochi spiragli di luce che penetravano dalle crepe nei muri, i giorni sarebbero sembrati solo un'unica notte agonizzante, determinata a non cedere il passo alle prime luci dell'alba.
    Ma al settimo giorno, quando Sofia mi ha mormorato all'orecchio: «Adesso puoi slegarmi, cazzone‎», sapevo che non era più l'eroina a parlare.
    ‎ Poi, sospirando, ha chiuso gli occhi.


    12


    Abbiamo entrambi un nome e allo stesso tempo, quando siamo troppo stanchi per parlare, non ne abbiamo alcuno.
    Non abbiamo neppure una ragione per essere in un posto piuttosto che in un altro. E quindi ci spostiamo senza mai fermarci.
    Ovunque spendiamo la notte, però, troviamo barboni, drogati, puttane, tutto quel surplus umano di cui il mondo non sa cosa diavolo farsene, che, quando vengono a sapere come campavo prima che io e Sofia ci mettessimo in marcia, mi chiede se posso crocifiggerli.
    Anche se una crocifissione di strada non garantisce loro nessuna protezione dalle persecuzioni, mi chiedono comunque: «Quanto prendi?‎»
    ‎ Io, dal canto mio, non voglio soldi in cambio. Solo scatolette di Simmenthal, coperte, un paio di scarpe nuove ogni mille chilometri e batterie per il lettore mp3 che Sofia ha scippato a un coglioncello figlio di papà. Nemmeno lei capisce cosa dice Louis Armstrong, però abbiamo entrambi il sospetto che alcuni suoi versi siano una simpatica presa per il culo.
    ‎ Non saprei dire perché questa gente vuole essere crocifissa, forse per paura dell'Apocalisse. I giornalisti hanno mentito di nuovo: quella nuvoletta radioattiva proveniente dalla Siria aleggia adesso sulle nostre teste come una sentenza di morte.
    ‎ Ma, a dire il vero, la ragione a noi due non importa più di tanto.
    ‎ Ho pure sentito dire che questi Cristi rinnegati predicano di ribellione contro la Chiesa, scrivendo con le bombolette spray il proprio vangelo sui muri.
    ‎ A noi due non importa nemmeno di questo.
    ‎ Io e Sofia non abbiamo una meta specifica. ‏Camminiamo, tutto lì. Finché il veleno radioattivo che respiriamo ce lo permette. Finché abbiamo le energie per farlo.
    ‎ Siamo noi stessi e allo stesso tempo potremmo essere chiunque.

    Edited by RobertoBommarito - 20/11/2010, 10:00
     
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32 replies since 1/11/2010, 00:02   660 views
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