Lacrimae
  • Poll choices
    Statistics
    Votes
  • 3
    55.56%
    5
  • 4 (max)
    22.22%
    2
  • 2
    22.22%
    2
  • 1 (min)
    0.00%
    0
Guests cannot vote (Voters: 9)

Lacrimae

Horror - 21k

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Magister Ludus
     
    .

    User deleted


    Lacrimae

    Quivi sospiri, pianti e alti guai
    risonavan per l'aere sanza stelle,
    per ch'io al cominciar ne lagrimai.


    Dante Alighieri – Inferno, Canto III 22-24


    L'uomo s'affrettò lungo la strada sterrata che dal paese lo portava alla sua casa in aperta campagna. S'era attardato a una taverna a bere e speculare con alcuni amici sulla casa del vecchio Mathias e adesso le ombre sul terreno s'erano allungate tremendamente. Finché era stato in compagnia, seduto nel locale riscaldato da un grosso camino, aveva riso assieme agli altri dei rumori e delle voci che provenivano dalla casa. Il vecchio viveva solo, un uomo d'età indecifrabile, impeccabilmente vestito. Si diceva fosse stato un professore, anni prima, ma adesso era divenuto una sorta di recluso che non usciva quasi mai da quella sua casa nascosta dal bosco. Eppure talvolta, passando vicino a quell'antica costruzione, qualcuno aveva udito piangere. Un lamento sommesso, quasi sussurrato, seguito da altri rumori. Nessuno aveva mai dato una precisa descrizione di ciò che aveva sentito, neanche l'uomo che ora si vedeva costretto a passare davanti a quella casa con la notte che l'inseguiva senza tregua.
    Dicerie di paese. Cercò di scrollarsi di dosso quelle storie senza senso, ma l'oscurità che lo stava pian piano avvolgendo non gli rendeva il compito per niente facile. Poi un ramo si spezzò sotto i suoi piedi e l'uomo trasalì, soffocando un grido. S'accorse che stava sudando. Inspirò l'aria fredda della sera per calmarsi e riprese il cammino. Tutta colpa della notte e del vino che aveva bevuto.
    Quando la strada voltò bruscamente a sinistra, la vide. Anche se la boscaglia la copriva in parte, la casa del vecchio era visibile da quel punto. Il primo piano e il tetto si stagliavano contro il cielo che andava rabbuiandosi a oriente. Le finestre erano chiuse da pesanti scuri, come occhi d'un dormiente in attesa del risveglio. Il silenzio era totale, nessun pianto quella notte, né insoliti rumori. Eppure quella casa così isolata, unitamente alle voci che circolavano su di essa, lo metteva a disagio. Non sapeva spiegarsene il motivo, ma ogni volta che vi passava davanti avvertiva una sensazione spiacevole e un formicolio che gli saliva dalla schiena fino a stringergli la nuca in una morsa di gelo.
    Proseguì più velocemente possibile sulla strada, ma il buio andava addensandosi nella campagna attorno, finché la sterrata divenne un'informe striscia pallida che apriva la notte come una ferita mai rimarginata. L'uomo camminò cercando di resistere alla tentazione di voltarsi verso la casa del vecchio, ma sapeva che sarebbe stato impossibile vincere quella battaglia. Gli occhi non sembrarono rispondere ai comandi, come animati da una volontà propria, e infine guardarono. Guardarono la casa avvolta dalle tenebre, mentre la mente ripercorreva a ritroso storie che la gente mormorava, ripescando dagli anfratti della memoria tragici episodi accaduti nel corso degli anni nelle zone attigue al paese, episodi che l'uomo aveva dimenticato. Adesso, con la paura che quella casa gli instillava, quei ricordi tornarono in vita, improvvisi e repentini, freddi come aghi di ghiaccio che trafissero la sua coscienza.

    ***



    Il piccolo aveva paura e l'uomo lo sapeva. Conosceva suo figlio. La cinghia che teneva in mano terrorizzava il bambino, perché quel cuoio avrebbe lasciato segni profondi sulle sue natiche e la mano di suo padre avrebbe continuato a frustare quella pelle rosata finché si sarebbe squarciata in ferite sanguinanti. E quella punizione avrebbe dovuto svolgersi in silenzio, non un grido non un pianto sarebbe dovuto uscire dal bambino, piegato in due sul letto coi pantaloni e le mutandine calati fino a mezza coscia. Lo schianto secco della cinghia e null'altro voleva sentire l'uomo. La voce del castigo, che parlava al bambino in un suono atono e lacerante, ricordandogli le mancanze, le disobbedienze, la colpevolezza di cui s'era macchiato. Una, due, tre e ancora una e un'altra e un'altra ancora, come rintocchi d'una campana che scandivano l'ultima ora del condannato.
    Il bambino strinse i denti, gli occhi chiusi dalle palpebre quasi conficcate nell'orbita oculare. Respinse le lacrime che sentiva salire fino a voler uscire e scorrere a fiotti giù per le guance. Le sentì premere contro lo scudo che aveva eretto. Alle volte erano troppo forti, il dolore e la disperazione oltrepassavano la sua soglia di sopportazione e le lacrime allora vincevano, straripando come un fiume in piena, rompendo gli argini che il bambino aveva costruito con tanta cura.
    Suo padre picchiò più forte, la sua voce così distante e sconosciuta nel dolore infuocato della punizione.
    «Non piangere! Non piangere! Non piangere!»
    Le piccole mani, prima serrate a pugno, si rilassarono aprendosi, le dita che tremanti si schiudevano. Il corpicino non sussultò più, nessun nervo si tese ad accogliere la cinghia. L'uomo si fermò, ansimando.
    Il piccolo Mathias era svenuto.


    ***



    Ormai il sole era ridotto a un occhio rosso sull'orizzonte lontano e qualche nube di passaggio pennellava il tramonto senza troppa convinzione. Il bosco era un ammasso di ombre silenti che s'amalgamava con le tenebre appena scese e soltanto il pallido biancore della strada spezzava quella buia monotonia. L'uomo continuò il percorso che gli avrebbe fatto aggirare in parte la casa, sul lato occidentale in cui la recinzione era stata danneggiata anni prima, per aprire quella stessa strada, e mai riparata. Quel varco che aveva sempre invitato a entrare, ma che nessuno aveva mai avuto il coraggio di superare. Un invito rimasto inascoltato. L'uomo sapeva che sarebbe stato tentato a entrarvi, come sapeva che la casa avrebbe continuato a catturare il suo sguardo.
    Non riuscì a scacciare i ricordi risaliti alla sua memoria come un pasto non digerito. Adesso erano tornati a galla e ristagnavano fra i suoi pensieri, a portata di mano. Adesso s'aggiungevano alle chiacchiere sul vecchio Mathias e sulla sua casa, prendevano forma in trafiletti di giornale letti di sfuggita, la cronaca di tanto, tanto tempo fa.
    L'uomo sentì il cuore rimbombargli nel petto e seppe che la sua paura aveva assunto una nuova consistenza. Non era più qualcosa d'indefinito, non proveniva da antichi timori infantili, no, adesso era un terrore che scaturiva dalla consapevolezza. In quella casa c'era stato qualcosa di malvagio, ora sepolto dagli anni, qualcosa che si celava nella vita del vecchio Mathias. L'uomo ignorava se il vecchio fosse o meno la vittima, ma era sicuro che avesse avuto una parte in qualcosa di orribile che s'era verificato in un tempo più o meno lontano.
    E in quel momento avrebbe voluto essere altrove. Avrebbe voluto non attardarsi all'osteria coi suoi amici, non bere tutto quel vino, non rivangare le voci che circolavano sulla casa.
    Ma purtroppo era lì e la notte avanzava. Quando raggiunse il punto in cui la recinzione della proprietà del vecchio s'apriva come un buco nero, tentò di opporre resistenza, ma sentì come una forza prendere i suoi occhi e la sua volontà. Osservò la casa con terrore, ma anche con crescente curiosità. E una domanda sorse per la prima volta nella sua mente. Perché qualcuno aveva sentito piangere?
    In un primo tempo s'era pensato a un programma televisivo. Ma Bonanzi, l'idraulico del paese e suo amico d'infanzia, gli aveva detto che Mathias Rinaldi non possedeva un televisore. Passava il tempo a leggere, specialmente la Divina Commedia. A casa sua c'erano soltanto libri, come ci si sarebbe aspettato da chi aveva insegnato per tutta la vita. Allora da chi provenivano quei pianti?
    Prese la decisione, con sua grande sorpresa, quasi istintivamente. La paura lo fece sudare, ma il desiderio di conoscere la verità sulle dicerie ascoltate per anni fu più forte. Distogliendo lo sguardo dalla casa, s'abbassò, infilandosi nel varco.
    Quando fu dall'altra parte, l'ombra d'una figura umana gli si parò davanti, ostacolandogli il cammino.

    ***



    Il bambino era legato. Le corde l'avvolgevano e tenevano stretto alla sedia. Nel locale in cui era stato portato e rinchiuso da alcuni giorni faceva freddo. Era sempre buio, tranne quando arrivava l'uomo e accendeva la luce, una lampadina che pendeva dal soffitto coperto di muffa. Ma la luce significava dolore.
    Puzzava. Se l'era fatta addosso più volte, per la paura e per necessità. Aveva pregato l'uomo di lasciarlo andare in bagno, ma lui l'aveva picchiato. E aveva continuato a picchiarlo per ore, finché non aveva più lacrime da piangere.
    La strana maschera che l'uomo gli aveva applicato sul viso gli faceva male. Il bambino non sapeva a cosa servisse. Premeva sulla pelle sotto gli occhi, gli tirava i capelli della nuca, gli indolenziva la testa.
    Non ricordava più da quanto tempo fosse chiuso là sotto. Ma rammentava ancora la gita nel bosco assieme ai suoi genitori, il sole caldo di quella bella giornata, la sorellina che giocava coi fiori. E le voci. Le voci che lo chiamavano, quella di sua madre, quella di suo padre. Ma lui non poteva rispondere a quei richiami, avrebbe voluto, oh se avrebbe voluto. E infine l'odore forte che proveniva da un fazzoletto che qualcuno gli premeva contro il naso.
    Poi il buio.
    E l'uomo chiamato Mathias che lo portava via.


    ***



    Le ali spezzate dell'angelo conferivano a quell'immagine un'aria di abbandono e malinconia, come quella che grava su vecchi cimiteri dimenticati. La statua pareva una sentinella messa appositamente là a sorvegliare quel varco. Quando l'uomo oltrepassò la recinzione, se la trovò davanti nera e minacciosa nella notte. A stento ricacciò in gola un grido di paura. Per un momento credette di trovarsi di fronte il vecchio Mathias, che gli chiedeva conto di quella visita inattesa. Poi capì ch'era una statua. La statua di un angelo dalle ali spaccate, vecchia come la casa, vecchia e consunta come Mathias.
    Si decise a proseguire. Oltre partiva un vialetto lastricato che attraversava un giardino incolto, superava un pozzo chiuso da una botola di legno che marciva da chissà quanto tempo, fino a morire a ridosso d'una siepe di lauroceraso non curata da anni. E oltre la siepe il buio. Il buio e la casa.
    Adesso che era così vicina spaventava ancora di più l'uomo. Nell'oscurità di quella notte sembrava più lugubre e maligna, sembrava nascondere verità proibite e dolori sepolti. Qualcosa, pensò l'uomo mentre avanzava circospetto, che forse non avrebbe dovuto dissotterrare.
    Eppure avanzò verso la costruzione assopita nel silenzio, le finestre sempre chiuse, apparentemente inabitata. Si chiese che cosa avrebbe trovato all'interno. Si chiese come sarebbe entrato in quella casa. Ma era davvero lì per entrarvi?
    Si diresse verso il lato occidentale e si fermò. Non un suono proveniva dalla campagna, come se la vita si fosse zittita per coprire l'avanzata di quell'ospite inaspettato. L'uomo s'accostò al muro della casa, in cerca d'una finestra socchiusa, ma dubitava che col freddo di fine autunno il vecchio avesse lasciato aperto anche un solo spiraglio. Al pianterreno di quel lato della casa vide due finestre, entrambe sigillate, e altre due imposte, chiuse, al primo piano, troppo in alto da raggiungere arrampicandosi.
    Decise di guardare nel retro quando una mano si posò sulla sua spalla e tutto divenne ancora più nero.

    ***



    Il dolore giunse al suo risveglio. Non poteva sapere se fosse giorno o ancora notte. Nel locale non c'erano finestre, ma soltanto quella lampadina che divideva i momenti di riposo da quelli di veglia. E la veglia era la sua tortura.
    Quando l'uomo se ne andava gli toglieva quella strana maschera e il bambino ne aveva un po' di sollievo. Ma quando l'uomo tornava gliela rimetteva di nuovo e allora il bambino sapeva. Sapeva che era giunta l'ora del dolore e del pianto. Sapeva che non avrebbe potuto urlare, altrimenti l'uomo l'avrebbe ucciso. E sapeva che non restava altro da fare che piangere, piangere, piangere tutte le lacrime possibili.
    Non riuscì mai a vedere l'uomo in faccia, che se ne restava in disparte, a infliggere le sue torture senza mostrarsi. Talvolta rimaneva dietro di lui e si divertiva a vedere come il bambino lo cercasse con lo sguardo, senza mai trovarlo. E quando il bambino sembrava rassegnato alla sua impotenza lo colpiva.
    Il dolore era straziante. L'uomo sembrava conoscere alla perfezione come provocare la sofferenza, come terrorizzare una vittima. Cominciava col silenzio, dopo l'applicazione della maschera. Il bambino sentiva un suono come di vetro contro vetro. Poi rumori metallici. Qualcosa di meccanico che scattava. Passi nel buio. Un sospiro, come di qualcuno che s'aspetti un immenso piacere.
    E cominciava il delirio.


    ***



    Nel torpore onirico in cui era sprofondato ricordava appena chi fosse e cosa stesse facendo prima. Questa parola lo raggiunse come una sensazione vaga e quasi impercettibile, ma il suo significato era comunque presente in quella ragnatela di immagini che era divenuta la sua mente. Si sforzò di ricordare, ma ogni tentativo non sembrò andare a segno. Stava bevendo del vino, ricordò, ma questo forse era ancora prima. Le risate cogli amici, la taverna. Poi il ritorno verso casa. La casa. Un'altra parola che suscitò in lui una reazione involontaria, dolorosa quasi, che ripescò dalla sua memoria frammenti di pensieri inarticolati.
    Un dolore alla nuca lo colse impreparato. Riuscì a socchiudere gli occhi, ma vide solo buio. Poi di nuovo quel dolore e il rumore sordo d'un tonfo. I muscoli del viso che si contraevano appena, come ridestandosi da un sonno profondo. E ancora quel dolore e quel tonfo. Ancora. Poi capì. Anche il resto del corpo cominciò a riacquistare sensibilità. L'uomo avvertì un tocco estraneo alle sue caviglie. Vide una figura curva davanti a lui. Qualcuno che di peso lo stava trascinando giù per le scale.
    Dopo un tempo infinitamente lungo si ritrovò su una sedia. Non riuscì a muoversi, i nervi non ancora del tutto ridestati da quello stato catatonico in cui era precipitato. Ma gli occhi erano quasi completamente aperti e videro. Videro il vecchio Mathias che lo legava a quella sedia, sempre più stretto. Videro infilargli qualcosa sul viso, una specie di maschera che pareva segargli la pelle sotto gli occhi. Infine il vecchio sparì dalla visuale, ma l'uomo sapeva che era dietro di lui. Sentiva dei rumori, oggetti di vetro, forse bottiglie, suoni metallici, meccanismi che scattavano. E i passi strascicati del vecchio. Sentì il puzzo del suo alito sulla sua nuca e un sospiro di soddisfazione.
    Fu allora che l'uomo urlò.

    ***



    La morte giunse come la fine delle sue sofferenze. Il bambino non avrebbe mai creduto di desiderarla così tanto. Era un bambino e il suo mondo era fatto di giochi e risate. Non c'era posto per la morte, non poteva esserci posto per il dolore. Ma adesso la sua vita era divenuta un dolore continuo, adesso non viveva più nella sua casa, ma in un locale umido e puzzolente. Adesso non veniva sua madre a baciarlo prima di coricarsi, ma un uomo malvagio a torturarlo senza tregua.
    Quando il bambino pianse per l'ultima volta, nella casa calò un silenzio quasi innaturale. Come se un incantesimo fosse caduto in quella stanza sotterranea a fermare ogni cosa, ogni pensiero. Perfino l'uomo restò stregato da quell'insolita immobilità che spegneva ogni azione.
    Ma poi si riscosse. Tolse la maschera al bambino e lo slegò. Il piccolo corpo crollò sul pavimento e non si mosse più. Era tornato alla sua famiglia, ai giorni fatti di giochi e spensieratezza. Era in un mondo lontano, dove nessun altro uomo avrebbe potuto più toccarlo.
    Poi l'uomo l'avvolse in una vecchia coperta, prese una pala e uscì. Fuori non albeggiava ancora. Nessuno lo vide scavare nel suo terreno, sul retro della casa, nessuno poté udirlo. E nessuno lo vide tornare senza quello strano fagotto sulle spalle né poggiare la pala sporca di terra sul muro.
    A est, dove le prime case del paese spuntavano fra i campi coltivati, una fioca luce s'affacciava timidamente sulla campagna. Era sorto un nuovo giorno.


    ***



    Non seppe mai quanto durò quel supplizio. Forse giorni. Il vecchio Mathias gli portava da mangiare a intervalli prefissati, imboccandolo come un bambino, anche se lui non poteva calcolare quanto trascorresse fra un pasto e l'altro né quando fosse giorno o notte. Dapprima l'uomo gli aveva sputato in faccia il cibo, ma la reazione del vecchio era stata tale che l'uomo non ci aveva provato una seconda volta.
    La cosa fastidiosa era quella strana maschera. Anche il dolore, certo, ma la maschera lo terrorizzava poiché non ne capiva il motivo. E il vecchio Mathias lo intuiva. Lo vedeva sorridere mentre con un paio di tenaglie gli torceva la pelle fino a farlo svenire. Aveva dolori in tutto il corpo. Talvolta aveva pianto e questo sembrava far felice il suo boia. L'importante era non urlare, il vecchio non lo tollerava.
    Nei momenti di tregua si costrinse a pensare a un modo per fuggire, anche se non vedeva molte possibilità per riuscire in quell'intento. L'unica via di fuga era la scala da dove arrivava il vecchio. Ma qualcosa doveva tentare. Nessuno sapeva dove si trovasse, nessuno l'aveva visto entrare nella proprietà di Mathias Rinaldi, anche se la polizia avrebbe cercato senz'altro in quella casa, avrebbe interrogato il vecchio, cercato indizi.
    Il silenzio fu spezzato dal cigolio d'una porta che si richiuse subito dopo. Passi lenti e trascinati. Una luce smorta che rischiarava l'ambiente. La figura del vecchio che scendeva verso di lui, come un carceriere lontano nel tempo.
    L'uomo lo sentì armeggiare dietro di lui, dove prima che fosse legato gli era parso di scorgere uno scaffale pieno di roba. Fu allora che si decise. Non poteva aspettare oltre. Non appena sentì il vecchio arrivare dietro di lui, raccolse tutte le sue forze e, puntellando i piedi sul pavimento, ondeggiò con la sedia fino a cadere all'indietro. Il vecchio fu colto di sorpresa e barcollò fino allo scaffale, perdendo l'equilibrio e rovinando sulle cianfrusaglie che vi stavano ammucchiate. Rumori metallici di oggetti che cadevano. Vetri che andavano in frantumi.
    Poi accadde l'impensabile.

    ***



    I barattoli erano sistemati con cura maniacale sullo scaffale della cantina, pieni d'un liquido giallognolo e con l'etichetta che riportava una sigla e una data. Mathias Rinaldi li guardava spesso, ricordando a memoria il bambino a cui ogni barattolo era riferito. Riempirli aveva richiesto tempo e dedizione, ma la maschera ideata da Mathias era unica al mondo. Adesso poteva vedere tutte quelle lacrime raccolte, chiuse per sempre in quei barattoli polverosi, che gli richiamavano alla mente i pianti procurati dai suoi tormenti.
    Per anni s'era dedicato a quella macabra collezione, sperando di seppellire ciò che suo padre gli aveva fatto patire nell'infanzia. Per anni s'era illuso di poter dimenticare, ma soltanto l'età aveva posto fine a quella sua lucida vendetta.
    Poi in paese erano cominciate le chiacchiere. Anche se nessuno aveva mai sospettato nulla, la gente parlava, additava casa sua come fosse stregata. Forse un giorno, quando lui fosse morto, qualcuno avrebbe scoperto per caso ciò che era sepolto nel retro della casa, sotto un metro di terra, dove l'erba cresceva abbondante.
    E adesso era arrivato quell'uomo a curiosare. Adesso tutti i suoi barattoli erano andati in frantumi e...


    ***



    La stanza risuonò d'una cacofonia indescrivibile. Fu come se decine di bambini piangessero all'unisono, con grida e lamenti strazianti, il loro dolore stantio di anni materializzatosi inaspettatamente. Figure esangui, semitrasparenti, esalarono dal liquido che bagnava il pavimento, e circondarono il vecchio. Erano bambini, l'uomo li vide chiaramente. Tentò di allentare le corde, ma il vecchio le aveva strette bene. Era terrorizzato, non riusciva a muoversi, non aveva mai visto un fenomeno del genere. Ma in quel momento ebbe la certezza che in quella casa era davvero successo qualcosa di orribile.
    «Via!» sentì il vecchio Mathias urlare dietro di lui con voce roca. «Andatevene via!» Rumori di vetri, di scarpe strascicate sul pavimento. Il vecchio che tentava di alzarsi.
    L'uomo ebbe paura che si sarebbe avventato contro di lui, ma non accadde nulla. Prese a oscillare con il corpo per girarsi e poter controllare i movimenti del vecchio. Le urla dei bambini proseguirono, sempre più acute, assordanti, insistenti.
    Il vecchio urlò di rimando, si affannò ad alzarsi, cadde, ferendosi alle mani coi pezzi di vetro. L'uomo riuscì infine a voltarsi del tutto. Vide quelle immagini diafane, sottili come veli di nebbia, allungare le mani verso il vecchio, che invano tentò di scacciarle.
    Mathias si sollevò, puntando una mano sanguinante a terra. Tentò nuovamente di rialzarsi, ma i bambini furono su di lui, le loro figure che si trasformavano. Occhi enormi e bui che piangevano lacrime di rabbia, bocche allungate a dismisura che urlavano sofferenze subite. Il vecchio crollò a terra, le mani strette al petto. Infine l'immobilità. Mathias Rinaldi era morto.
    Tutto ripiombò nel silenzio della notte e la visione dei bambini svanì. Era finita, pensò l'uomo, era tutto finito, il terrore della casa nel bosco, gli orrori avvenuti fra quelle mura e mai scoperti, il segreto di Mathias che forse nessuno avrebbe mai conosciuto.
    Anche per lui quell'incubo era finito. Si sarebbe liberato facilmente prendendo un frammento di vetro e sarebbe uscito per sempre da quella casa maledetta.
    Ancora legato e stordito, l'uomo cominciò a piangere.
     
    .
20 replies since 1/3/2011, 00:05   197 views
  Share  
.