Lasciatemi dormire (di Diego Di Dio)
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Lasciatemi dormire (di Diego Di Dio)

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    Lasciatemi dormire


    (Versione 1.1


    (C'è senz'altro ancora da tagliare e aggiustare, ma per ora direi di aver fatto un discreto lavoro da Edward Mani Di Forbice)

    1 Gennaio


    Quando il brigadiere Lo Russo giunse sul luogo del delitto, il cielo era plumbeo e le nuvole cariche di pioggia.
    Il carabiniere scelto Schiano lo raggiunse nella piccola piazza tra Via Canalone e Via Concetta Barra. Era pallido e aveva un fazzoletto schiacciato contro la bocca.
    “Brigadiere”, mugugnò, “un macello”. Poi fu colto da un conato di vomito.
    “Ma che diavolo…?”
    Lo Russo percorse i pochi metri che lo separavano dall’orto dei Visaggio. C’era già stato una volta, anni prima: si trattava di un appezzamento di terra di circa novecento metri quadri, separato dall’esterno mediante quattro mura che si innalzavano tutte intorno.
    Il brigadiere superò i cancelli e il cuore gli si fermò in gola.
    C’erano Luciani e altri due agenti, in piedi a guardare la scena. Un terzo era inginocchiato accanto ai cadaveri e, a intervalli costanti, si faceva il segno della croce.
    All’ingresso dell’orto, poco prima che iniziasse la terra coltivata, c’erano le vittime.
    Lo Russo le conosceva.
    Sulla destra, con la testa fracassata, c’era la signora Esposito, coniuge Visaggio. Il suo corpo rubicondo era disposto in maniera contorta, un braccio era quasi staccato dalla spalla e si stagliava su uno sfondo di sangue. Il viso era una maschera rossastra e grottesca: dal cranio tranciato per metà erano fuoriusciti grumi di materia cerebrale. La mano sinistra era allungata e tesa, e il dito medio quasi toccava il polpaccio del piccolo Davide, il figlio minore.
    Questi era steso, a pancia in su, sui mattoni che delimitavano un appezzamento.
    Lo Russo pensò che pancia non fosse il termine più adatto per descrivere quell’ammasso di viscere e carne.
    Il brigadiere sentì la colazione salirgli su per lo stomaco. Ma prima che si lasciasse andare a un vomito liberatorio, i suoi occhi si soffermarono sugli altri due.
    C’era il signor Visaggio, steso a terra quasi a guardare il cielo. Una gamba era tranciata all’altezza del ginocchio, mentre il braccio destro e il collo erano disposti in una posa innaturale.
    E poi, sul corpo del padre, come a voler trovare un ultimo conforto, c’era quello di Luca, il figlio maggiore. Due grossi tagli all’altezza dei fianchi, materia organica e sangue che si spandevano sui vestiti, sul terreno e sui mattoni.
    Visti così, tutti e quattro, davano l’idea di un quadro surreale, una composizione delirante di corpi maciullati.
    “È stato un massacro” disse Luciani, continuando a fissare i cadaveri.
    “Che Dio perdoni chi è stato” ribatté l’altro carabiniere, di cui il brigadiere non ricordava il nome. Si alzò e si segnò un'ultima volta. Poi uscì mormorando qualcosa.
    Lo Russo era incredulo. Ma prima ancora che la sua mente potesse acquisire coscienza di ciò che i suoi occhi stavano registrando, si accorse che le armi del delitto erano tutte lì, disposte in mezzo ai cadaveri.
    Ricordò che Schiano, al telefono, gli aveva accennato qualcosa del genere. Ma lui, ancora avvolto dalla nebbia del sonno, non aveva metabolizzato le parole.
    Compì qualche passo attorno ai corpi e studiò le armi.
    Poco distante dal pollaio c’erano, in ordine, una pala sporca di sangue, un martello col manico rotto e un’accetta imbrattata di rosso. Poi, oltre la testa della signora Esposito, un coltello e una vanga.
    Tutti gli attrezzi erano sporchi di sangue, ed erano stati abbandonati lì con apparente noncuranza. L’ultima cosa che Lo Russo registrò fu una roncola seminascosta sotto il corpo di Luca. Faceva capolino attraverso l’interstizio che separava il figlio dal padre e, con quella lama particolare, dava l’idea di un punto interrogativo che spuntava dai corpi.
    “Chiamate la caserma e fate venire rinforzi. Ci serve il medico legale. E fate venire la Scientifica da Napoli” disse il brigadiere.
    Luciani annuì, mormorò un “Andiamo”, e si portò appresso un agente in uniforme.
    Nello stesso momento Schiano entrò di nuovo nell’orto e cercò di distogliere lo sguardo dalla scena raccapricciante. Si rivolse direttamente a Lo Russo.
    “Brigadiere”, disse, “ho trovato queste”. Aprì la mano e mostrò cartucce di petardi di diversa grandezza. “Di fronte alla casa ce ne sono ancora tante”.
    Gli altri carabinieri risposero facendo spallucce.
    “Se è per questo, vicino alla conigliera ce n’è uno scatolone pieno. Tutti botti nuovi e ancora da usare” disse uno di loro.
    Lo Russo afferrò una cartuccia dalle mani di Luciani e se la rigirò tra le dita.
    “Botti di capodanno” disse. E alzò lo sguardo oltre i cancelli, verso la casa che fiancheggiava l’abitazione della famiglia Visaggio.
    Dove abitava il vecchio Malorni.

    31 Dicembre



    Il vecchio Malorni si massaggiò le tempie.
    Aveva un’altra emicrania. Era stato dal medico per l’ennesima volta, ma quell’incompetente del dottor Soprano gli aveva detto che non c’era niente da fare.
    I suoi disturbi non erano dovuti a una causa organica. Pertanto, l’unica cosa che potesse fare era assumere farmaci per alleviare il dolore.
    “Prenda la Novalgina” gli aveva detto il dottore. “Se il mal di testa è forte, assuma cinque gocce in più della normale posologia”.
    Malorni era uscito dallo studio medico con aria contrariata. Aveva sbattuto la porta, e le persone in sala d’attesa si erano voltate a guardarlo.
    Soprano era un incompetente. La Novalgina non sortiva più effetti da quasi un mese, e idem per tutti gli altri farmaci che il dottore gli aveva consigliato.
    Esisteva solo una cosa in grado di alleviare il fastidio: il sonno.
    Ed era proprio quello che mancava: da una settimana non riusciva a chiudere occhio a causa del mal di testa. Ma il mal di testa, a sua volta, causava insonnia. Era un circolo vizioso diabolico e insolubile.
    Nemmeno la tecnica dell’acqua aveva funzionato.
    Malorni aveva letto da qualche parte che l’acqua era un ottimo mezzo per la propagazione del suono. Allora, aveva pensato, se era ottima per trasmettere, era ottima anche per contenere il suono.
    Quindi, un’acqua che aveva accumulato suoni e rumori sarebbe stata deleteria per il suo organismo. Al contrario, un’acqua che aveva accumulato solo silenzio, sarebbe stata un toccasana. Malorni, per un mese, non aveva fatto altro che bere il contenuto della sua vasca: chiusa in bagno, lontana da tutto e da tutti, avrebbe dovuto trasmettere al suo corpo nient’altro che silenzio. E, in quel modo, alleviare il suo fastidio. Ciononostante, quel rimedio, per cause che Malorni ancora non comprendeva, si era rivelato un fallimento.

    “Al diavolo!” disse, spegnendo il televisore. Non si parlava di altro che dell’imminente fine dell’anno.
    A lui non importava niente di Capodanno. Voleva solo che andasse via quel tremendo dolore: aveva bisogno di silenzio. E soprattutto aveva bisogno di dormire. Quella mattina, proprio quando sarebbe potuto restare a letto, era stato svegliato da quei maledetti zampognari.
    Era ormai una tradizione consolidata dell’isola: durante il periodo natalizio, gli zampognari giungevano a Procida e allietavano il risveglio delle persone con le loro musiche folkloristiche. In cambio, alla fine delle vacanze, chiedevano solo una somma simbolica.
    Questo in teoria.
    In pratica, pensava Malorni, gli zampognari erano solo ubriaconi scesi giù dalle montagne, che venivano a Procida e chiedevano cifre assurde per suonare musiche stonate e cacofoniche.
    A dicembre, quando erano venuti da lui per chiedergli se volesse “contribuire”, Malorni li aveva cacciati in malo modo. Ma, ovviamente, quei perbenisti rompiscatole dei suoi vicini di casa avevano accettato.
    E, da due settimane a quella parte, quelle orrende zampogne lo svegliavano dai pochi sonni ristoratori. Le case della zona di Terra Murata, infatti, erano attaccate l’una all’altra, così che quando quegli ubriaconi strimpellavano di fronte alle porte dei vicini, Malorni sentiva ogni nota, come se stessero suonando nella sua camera da letto.

    Due giorni prima era andato anche dai Carabinieri, nonostante odiasse uscire per strada durante l’ora di punta. Soprattutto per un motivo: le sue emicranie erano diventate proverbiali, e quando lo incrociava per le vie, la gente non perdeva mai occasione per una battutina.
    “Buongiorno, signor Malorni. Come va il mal di testa oggi?”
    “Salve, Malorni. L’emicrania ha smesso di darle il tormento?”
    Ciononostante, era uscito a metà mattinata e aveva raggiunto la caserma in Via Libertà.
    Quando aveva esposto il motivo per cui era andato fin lì, un ragazzo imberbe in uniforme gli aveva risposto con una grassa risata.
    “Cosa?” aveva chiesto con quel sorriso da ebete. “Gli zampognari?”
    “Non c’è niente da ridere” aveva risposto Malorni, tirando fuori un referto medico. “Il dottor Soprano ha firmato questo documento. E questo documento dice che soffro di emicranie”. Lo aveva sventolato sotto gli occhi del ragazzo. “Mi consiglia di evitare luci forti e rumori fastidiosi. Legga, legga”.
    Il carabiniere aveva afferrato il documento e gli aveva dato un’occhiata distratta.
    “Senta, scusi se glielo dico, ma non le converrebbe usare dei tappi per le orecchie? Anche io li uso quando su da me tengono lo stereo acceso”.
    Malorni lo aveva guardato incredulo. “Cosa? Tappi per le orecchie? Ma lo sa che quegli ubriaconi disturbano la quiete pubblica? Lo sa questo, o devo insegnarglielo io?”
    Il vecchio aveva alzato la voce e le altre persone si erano voltate a guardarli.
    “Adesso si calmi, signore. Non c’è alcun motivo di…”
    “Calmarmi? Ma lo sa che quella gente viene pagata? Glielo ripeto, forse non mi ha capito: pa-ga-ta!”
    In quel momento il brigadiere Lo Russo era uscito dall’ufficio. “Che succede qui?”
    Alla sua vista, Malorni si era calmato e aveva sorriso.
    “Oh, finalmente brigadiere”. Gli aveva teso la mano. “Era proprio con lei che volevo parlare”.

    Malorni finì di pranzare, lavò i piatti in qualche minuto e si mise in pigiama. Ripeté a memoria le cose da fare per non essere disturbato: staccare il telefono, disattivare il campanello, chiudere porte e finestre e infilare degli asciugamani sotto l’uscio della camera da letto.
    Fece tutto in poco tempo.
    Poi passò davanti allo specchio e rabbrividì nel vedere l’immagine riflessa: occhiaie profonde e bluastre, colorito pallido, palpebre cascanti.
    Aveva bisogno di dormire.
    Si mise a letto, spense la luce e si accucciò. Prima di scivolare nel sonno, pensò che quel bugiardo inetto del brigadiere Lo Russo non si era fatto più vedere.
    “Verrò a controllare” gli aveva detto in caserma. “Ha detto di primo mattino, giusto? Bene, domattina saremo lì, e vedremo di fare qualcosa con questi zampognari”.
    E invece la mattina dopo quei montanari alcolizzati avevano strombazzato a più non posso per tutta la zona di Terra Murata.
    E la stessa cosa era successa la volta successiva. Solo che gli zampognari erano venuti ancora prima del solito. Quello era stato il loro sberleffo. Del fatto che l’avessero fatto apposta e che ce l’avessero con lui, Malorni era sicuro. E in tutto questo, Lo Russo era sparito.
    Ma lui, a quella sottospecie di tutore dell’ordine, assieme ai torturatori di zampogne, l’avrebbe fatta pagare.
    Con questa tacita promessa, Malorni si addormentò.

    Fece sogni ambigui, dei quali al risveglio ricordò poco o nulla. Ma una cosa gli rimase impressa nella memoria semicosciente. Quella vocina onirica che aveva detto: vecchio, guarda che hai dimenticato di staccare il campanello.
    Nel sonno, lui aveva risposto: non dire scemenze. L’ho staccato.
    Ma la voce aveva continuato: quello era ieri. Oggi l’hai dimenticato.
    Come fai a saperlo?, aveva chiesto lui.
    Lo so perché sta suonando.

    Scattò dal letto.
    Il campanello. Aveva davvero dimenticato di staccarlo.
    Accese la luce e una pulsazione improvvisa gli penetrò attraverso le tempie. Maledizione. Gettò un’occhiata all’orologio: aveva dormito appena un quarto d’ora. E sapeva, per esperienza personale, che quelle pennichelle così brevi erano più un male che un bene. Infatti lasciavano addosso un senso di mancato riposo, che si scatenava sotto forma di dolori cerebrali.
    Malorni scese in cucina e aprì la porta.
    “Chi è?” gridò.
    Il ragazzo che gli stava di fronte sobbalzò. Guardò con aria meravigliata il pigiama del vecchio, ma subito riprese contegno. “Salve, signore. Mi chiamo Mario e sono un membro dell’ABBA”.
    “Della cosa?”
    Il ragazzo indicò con orgoglio il tesserino che aveva appeso al collo. “Associazione Benefica Bambini Africani. Sa, stiamo passando per le case di Procida allo scopo di raccogliere fondi per i paesi in via di sviluppo”.
    Malorni lo fulminò con lo sguardo. “Ma lo sai che ore sono?”
    Un’espressione sbigottita si dipinse sul viso del ragazzo, che subito consultò l'orologio da polso e allargò le braccia. “Sì, le tre del pomeriggio”.
    Il vecchio continuò a fissarlo senza proferire parola. Tra i due passò qualche secondo di silenzio, dopo di che il ragazzo tirò fuori dalla tracolla due opuscoli.
    “Lo sa che basterebbero poche centinaia di euro all’anno per adottare un bambino senza famiglia? E lo sa che nelle zone più povere dell’Africa mancano scuole, viveri, medicine e servizi pubblici essenziali?” Gli porse i due librettini e fece un sorriso a trentadue denti. “Se vuole, li prenda e li legga. In cambio le chiedo solo un piccolo contributo”.
    Malorni era incredulo. Le fitte alla testa non davano tregua, tra poco sarebbe giunto il fracasso di Capodanno e, in tutto ciò, quel ragazzo idiota continuava a parlargli dell' Africa.
    Sentì una forza bruta pervadergli ogni centimetro del corpo.
    “E tu lo sai cosa significa emicrania? Te lo scandisco, se vuoi: e-m-i-c-r-a-n-i-a! La conosci questa parola?”
    Il giovanotto lo fissò con occhi spalancati e fece un passo indietro.
    “Lasciatemi dormire!” Malorni urlò così forte, che sentì le vene del collo gonfiarsi e il volto avvampare in un fuoco improvviso. Poi girò sui tacchi, rientrò in casa e si chiuse la porta alle spalle, con una tale violenza da far vibrare i vetri.

    Non era possibile.
    Ci mancavano pure i bambini africani. Prima di tornare a letto, Malorni si assicurò di aver davvero staccato il campanello. Ma ormai il sonno era passato e la sola cosa che restava era il dolore alla testa.
    Maledetto membro dell’ABBA.
    Raggiunse la sua piccola farmacia, aprì le ante e afferrò la boccetta di Novalgina. Mentre contava le gocce, gli parlò la stessa vocina di prima.
    Vecchio, lo hanno mandato gli zampognari.
    Malorni si bloccò col contagocce sospeso a mezz’aria. E se fosse stato vero? In fondo quel ragazzo non era mai venuto prima di allora e l’ABBA poteva tranquillamente non esistere.
    Sì, rifletté Malorni, mentre ingurgitava il farmaco. Potrebbero averlo mandato gli zampognari. Avranno saputo che li ho denunciati e si saranno vendicati venendomi a svegliare di soprassalto.
    A quel punto, nella mente del vecchio, furono due le voci che presero la parola. E parlarlono una di seguito all’altra.
    La prima aveva il tono razionale che aveva sempre avuto suo padre: ragiona, come facevano a sapere che stavi dormendo? E come facevano a sapere che ti sei rivolto ai Carabinieri?
    La seconda, invece, aveva l’inflessione un po’ isterica di sua madre: sì, lo hanno mandato gli zampognari. Ma chiediti: gli zampognari chi li ha mandati?
    Malorni rispose alla prima vocina con un deciso: "Shhh!"
    Alla seconda stava per rispondere con un "Non lo so", quando uno scoppio poco distante lo fece trasalire.

    Corse alla finestra e scostò le tendine.
    In strada, di fronte alle inferriate che affacciavano sul mare, c’erano il signor Visaggio e suo figlio Davide, che ridevano e scherzavano. Il primo avvicinò un fiammifero acceso alla capocchia di un affarino giallo, attese qualche secondo e poi lo gettò per terra. Corse verso il figlio, lo afferrò per mano e lo fece allontanare.
    “Corri, corri, corri!”
    Il petardo esplose e Davide rise. “Papà, proviamo quelli più grandi!”
    Il botto era stato, nella testa di Malorni, come una deflagrazione atomica. Una vibrazione forte che aveva riecheggiato nel suo cervello a tal punto da costringerlo a chiudere gli occhi.
    Malorni spalancò la porta e uscì in strada.
    “Non vi sembra troppo presto per i botti di Capodanno?”
    Il signor Visaggio si voltò verso di lui. “Salve, signor Malorni. L’abbiamo disturbata?”
    Malorni rispose con un tono che non ammetteva repliche: “Certo che mi avete disturbato. Stavo cercando di dormire”.
    L’uomo lo fissò con aria sorpresa. “Ci scusi, ma guardi che si tratta solo di Mini Ciccioli. Vede?” Gli mostrò uno di quegli affarini gialli.
    “Non so cosa siano i Mini Ciccioli e non m’interessa” rispose il vecchio, ormai allo stremo della pazienza. “La prego solo di rimandare a stasera questo… questo disturbo della mia quiete”.
    Visaggio, che fino a qualche secondo prima aveva avuto un sorriso stampato in faccia, si fece serio e prese il figlio per mano.
    “Come vuole”, disse, “ma guardi che stasera è il veglione di Capodanno. Se desidera dormire, le consiglio di usare dei tappi per le orecchie”.
    Fece dietro-front e tornò verso casa. Davide, trascinato dal padre, si voltò repentino e gli fece una linguaccia.
    “Non infastidire il signore, Davide” disse Visaggio. Poi abbassò il tono della voce sperando forse che Malorni non lo sentisse. “Lo sai che quel vecchio è sempre stato un po’ matto”.

    Prima che Malorni potesse metabolizzare le offese e gli insulti che aveva ricevuto, fu la seconda vocina, quella che sembrava di sua madre, a parlare.
    Adesso lo sai chi ha mandato gli zampognari.
    Adesso lo sai.

    Si mise a letto ma non riuscì a prendere sonno.
    Rimase per un tempo indefinito in uno stato di dormiveglia, nonostante il quale la mente riuscì a elaborare un ragionamento che non faceva una piega.
    Gli zampognari avevano mandato il ragazzo dell’ABBA, per vendicarsi del fatto che lui avesse fatto pubbliche rimostranze. Ma chi era stato a mandare gli zampognari?
    Ovvio: i Visaggio; i quali, a loro volta, erano palesemente d’accordo con i Carabinieri. E questo veniva dimostrato da due “coincidenze”.
    Primo: il giovane in uniforme e il signor Visaggio avevano fatto la medesima battuta sui tappi per le orecchie. Secondo: nonostante la denuncia di un privato cittadino, nessun membro delle forze dell’ordine vi aveva dato importanza.
    Conclusione: cospiravano contro di lui.
    Tutti.
    Malorni ne era consapevole: per ognuno di loro, era lo zimbello del paese, lo scemo del villaggio. Era un vecchio un po’ “matto”, come aveva detto Visaggio a quel piantagrane di suo figlio.
    C’era poi un altro episodio da non dimenticare. Quando il vecchio proprietario dell'orto era morto, i figli avevano messo in vendita l'appezzamento. E subito Malorni si era fatto avanti. Lui era cresciuto in campagna, aveva le mani indurite da un’infanzia passata tra grano e cereali. Lui avrebbe saputo come gestire un orticello di quel genere.
    Mancava un giorno alla firma del contratto, quando quel maledetto Visaggio aveva fatto un’offerta migliore. E i proprietari l’avevano venduto a lui.
    Adesso il suo vicino si godeva l’orto di fronte casa, coltivava ogni genere di cosa e allevava pollame e conigli. Ma tutto quello avrebbe dovuto essere di Malorni.
    Il vecchio ringhiò nel sonno.
    Restò a metà strada tra veglia e incoscienza per un tempo che gli parve lunghissimo. Con una lentezza esasperante il sonno vero lo avvolse finalmente nel suo abbraccio.

    Non seppe quale fosse stato il primo suono che lo aveva svegliato. Ma riconobbe immediatamente il secondo. Petardi.
    In lontananza si sentivano suoni ovattati e distanti che non davano alcun fastidio. Ma ciò che gli scatenava fitte nella testa era quell’orchestra di botti che impazzava a qualche metro da casa sua.
    Malorni guardò incredulo la sveglia. Erano appena le sette e mezza di sera.
    Non era possibile che quei criminali dei Visaggio avessero iniziato a lanciare bombe a mano così presto.
    Indossò la vestaglia, uscì sul balcone e urlò con tutto il fiato che aveva in gola: “Adesso basta!”
    Tutta la famiglia Visaggio era in strada.
    Quella grassona della moglie reggeva una bottiglia di spumante, Luca beveva in silenzio dal bicchiere, mentre Davide e il padre accendevano botti a raffica sul muretto che affacciava sulla montagna. Quando Malorni gridò, si voltarono tutti verso di lui.
    Avevano sorrisi ebeti e facce arrossate dall’alcool. Il signor Visaggio si fece porgere un bicchiere dalla moglie e lo tese verso di lui, pieno di bollicine.
    “Auguri, signor Malorni. Vuole festeggiare con noi?”
    Malorni strabuzzò gli occhi. “Auguri? Ma se non sono nemmeno le otto!”
    I due coniugi si guardarono meravigliati. Poi fu la donna a parlare: “Ma guardi che è mezzanotte passata. Non le va di scendere?”
    Marloni tirò un pugno contro il parapetto.
    “No, dannazione, no!” Sentì le vene del collo gonfiarsi e vide tante mosche luminose danzargli nel campo visivo. “Io voglio solo dormire”.
    Sbuffò, rientrò in casa e si rivestì in meno di un minuto.
    Stavolta l’avevano fatta grossa. Prenderlo in giro in quel modo era troppo: la sveglia sul comodino segnava ancora le sette e mezza. E loro volevano dargli a bere che fosse già scoccata la mezzanotte?
    Che fosse una messinscena era palese. Visaggio doveva aver architettato quei finti festeggiamenti solo per punzecchiarlo. Presto, Malorni ne era sicuro, sarebbero giunti pure gli zampognari e quel ragazzino dell’associazione benefica. Erano tutti d’accordo.
    Ed erano tutti contro di lui.

    Quando uscì in strada udì, per la seconda volta in poco tempo, quelle due vocine in sequenza.
    Come spieghi che tutta l’isola stia festeggiando? Li senti i botti di Capodanno?, chiese la prima. Ma lui fu lesto a rispondere: zitta tu.
    L’altra, dopo qualche secondo, giunse sordida e sibilante come lo strisciare di un serpente. Si stanno prendendo gioco di te. Fagliela vedere.

    Malorni raggiunse l’allegra famiglia.
    “Adesso metterò fine a questa storia”.
    Il signor Visaggio lo guardò e i suoi occhi assunsero un’espressione curiosa. “Signor Malorni, lei non ha affatto una bella cera”.
    “Ma non mi dica” sbottò il vecchio. “Non dormo da tantissimo tempo. Tutta colpa sua e di quei maledetti zampognari. Dica la verità, li ha mandati lei?”
    “Gli zampognari?” chiese Visaggio, attonito.
    Malorni odiava quell’espressione. Avrebbe preso il viso di quell’uomo e gliel’avrebbe sbattuto contro il muro. “Mi faccia dormire, altrimenti qui finisce male!” gridò.
    Visaggio cambiò espressione. Il sorriso scomparve e gli occhi divennero due fessurine.
    “Senta, adesso sta esagerando. E sta spaventando i miei figli. La prego di andarsene. Oppure, se le fa piacere, le rinnovo l’invito a festeggiare con noi, ma prima deve darsi una calmata”.
    Prima che Malorni potesse rispondere, il piccolo Davide, che probabilmente non aveva sentito quell’ultimo battibecco, disse: “Papà, andiamo nell’orto a prendere gli altri”. E si allontanò di corsa, seguito dal fratello e dalla mamma.
    “Arrivo” rispose Visaggio.
    Nell’orto, pensò Malorni. Il suo orto, quello che Visaggio gli aveva sottratto con artifici e sotterfugi.
    “Gli altri?” Malorni era fuori di sé. “Ci sono altri botti?”
    Visaggio sorrise tronfio. “Di là abbiamo un’intera batteria di girandole, petardi e bengala”. Quando l'altro lo fissò in cagnesco, l’uomo aggiunse: “Le assicuro che è tutta roba legale. Quindi, se non le dispiace, vorrei continuare a festeggiare con la mia famiglia”.
    Visaggio si allontanò di qualche passo e indicò la balaustra. Attraverso le sbarre, si vedevano fiori colorati che si aprivano nel cielo buio.
    “Ecco, si goda i fuochi d’artificio”.
    Malorni lo fissò basito. “Lei non va da nessuna parte!” gridò. “Lo so che è stato lei a mandare gli zampognari, ha capito?”
    Visaggio si voltò verso di lui, sbuffando. “Senta, io non so di cosa stia parlando, ma so di certo che lei non sta bene. Non so cosa le sia capitato, ma le garantisco che i suoi problemi non sono i botti di Capodanno”.
    Non credeva alle sue orecchie. Era stato deriso, insultato e svegliato. Restò a guardare il suo vicino di casa che entrava nell’orto, mentre il cielo di Procida esplodeva in coriandoli di luce.
    Quell’orto dovrebbe essere tuo, vecchio. Fa’ vedere chi sei.
    Malorni percorse a lunghe falcate la distanza che lo separava dal cancello, entrò e si mise le mani sui fianchi.
    “Fermi tutti!” Puntò un dito in direzione dei ragazzi. Luca stava accarezzando i conigli, mentre Davide stava rovistando in uno scatolone con su scritto BOTTI. “Vi proibisco di sparare. È un ordine”.
    La signora Esposito, in piedi davanti all’interruttore, esclamò: “Ma è impazzito? Chi si crede di essere? Esca dal nostro orto!”
    Malorni sentì una vibrazione dolorosa percorrergli la spina dorsale. “Questo orto era mio. Avete capito? Fuori di qui”.
    Il viso della donna, illuminato dalla luce dell’impianto elettrico, divenne pallido. “Carlo”, disse, quasi balbettando, “intervieni tu”.
    Il signor Visaggio era defilato sulla destra, accanto a un capannello per gli attrezzi. Si destò al richiamo della moglie e venne verso di lui, con un cipiglio sinistro.
    “Ancora qui? Ma la vuole smettere di importunare la mia famiglia?” Si piantò davanti a lui. “Giuro che se non se ne va entro cinque secondi, la faccio arrestare, vecchio pazzo”.
    I due rimasero uno di fronte all’altro per qualche istante, poi Visaggio si voltò, mise le braccia conserte e gli diede le spalle. Malorni pensò che quell’idiota non avesse il coraggio di fare sul serio, e invece Visaggio cominciò a contare a voce alta.
    “Uno”.
    “Me la pagherete” disse Malorni, mentre il suo cervello stava registrando l’informazione che una roncola sporca era a terra, poco distante da lui. E che, appoggiata alla parete, c’era una pala.
    “Due”.
    “Se ne vada, Malorni” disse la signora.
    “Sì, se ne vada” rincarò Luca, guardandolo in cagnesco.
    “Tre”.
    Malorni si voltò intorno, ma non si mosse da dove era. Vecchio, guarda sulla sinistra, poco prima del pollaio.
    Guardò. C’erano una vanga e un’accetta.
    “Quattro”.
    E dà un’occhiata sopra la conigliera. Non lo vedi, quel martello? Sì che lo vedi.
    Visaggio si voltò verso di lui, stringendo i pugni. “Cinque. Tempo scaduto”.
    “Già”, sorrise Malorni, voltandosi in direzione della pala, “tempo scaduto”.


    1 Gennaio


    “Brigadiere, ma dove va?” chiese Luciani.
    Lo Russo uscì fuori dai cancelli e s’incamminò per Via Canalone. “A controllare una cosa” rispose. “Non mi allontano”.
    “Ma guardi che sta arrivando la Scientifica”.
    “Faccio in un minuto”.
    Il cielo, fino a mezz’ora prima plumbeo, veniva rischiarato da un sole timido e tiepido. La luce, tuttavia, era più che sufficiente a riconoscere, sui sampietrini di cui era rivestito il manto stradale, alcune macchie sospette.
    Lo Russo si inginocchiò e passò un dito sopra una chiazza rossastra. Sangue.
    Essendoci lì vicino un orto con animali, avrebbe potuto essere anche sangue di gallina. Ma Lo Russo aveva un brutto presentimento.
    Si rialzò, percorse la strada per metà della sua lunghezza, e raggiunse la casa. Bussò. Nessuna risposta.
    “Signor Malorni, mi sente?” chiamò.
    Picchiò la mano sulla persiana, gridò di nuovo, ma non ottenne risposta. Provò col pomolo metallico, che sotto la mano sentì unto di qualcosa.
    “Signor Malorni, è in casa?”
    La porta era socchiusa. Lo Russo l'aprì con la mano sinistra, mentre con la destra tirò fuori la pistola dalla fondina.
    “C’è nessuno in casa? Sono il brigadiere Pasquale Lo Russo”.
    Niente. Sembrava che non ci fosse anima viva. Anche il pavimento della cucina presentava macchioline rossastre, e lo Russo dubitò che si trattasse di liquidi animali.
    Il piano terra era deserto, regnava un’aria stantia e maleodorante, e l’odore di sangue diventava più intenso in prossimità delle scale.
    Ancora chiazze e goccioline sul corrimano di legno.
    Primo piano. La prima stanza, porta spalancata, era un piccolo studio con libreria e poltrona. Non c’era nessuno.
    Seconda stanza, porta chiusa. Lo Russo bussò.
    “Signor Malorni?”
    In risposta ebbe uno stentato grugnito. Il brigadiere entrò con la pistola spianata.

    La camera da letto emanava lezzo di sangue e di sudore. Malorni era seduto in mezzo al materasso, a torso nudo. Il braccio sinistro penzolava inerte ed era cosparso di rosso, come le spalle e la faccia. La mano destra, invece, stringeva con forza qualcosa. Sembrava una sveglia.
    Lo sguardo del vecchio, quasi catatonico, era racchiuso in due occhi immobili e vitrei. Lo Russo si avvicinò al letto.
    Malorni aveva occhiaie nere e profonde, il viso era sfatto, e un odore cattivo trasudava da ogni centimetro di pelle.
    “Signor Malorni, sono il brigadiere. Mi sente?”
    Il vecchio mosse gli occhi verso di lui, con lentezza. Tirò su col naso e alzò la sveglietta nella sua direzione. Segnava le sette e mezza.
    “Si era fermata” disse. Poi il viso si deformò in una smorfia di pianto e gli occhi divennero lucidi. “Io volevo solo dormire”.

    Edited by Dieguito_85 - 13/4/2011, 13:18
     
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