I sette bastardi

dell'Otrebla - 19935 caratteri

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    I SETTE BASTARDI

    1
    Il saloon, a quest’ora del mattino, è ancora deserto tranne per un barista semiaddormentato, un garzone intento a lavare via il vomito di ieri sera e un pistolero seduto al tavolo d’angolo. Ha dato un dollaro a un ragazzino dalla faccia butterata perché gli trovi una certa persona. È già trascorsa più di un’ora e inizia a pentirsi di averlo fatto: non tanto per il dollaro, anche se non gliene restano molti in tasca, ma perché è costretto ad aspettare senza fare nulla.
    — Ehi Joe, portami una bottiglia! — esclama, sollevando di un pollice lo Stetson per lanciare un’occhiata decisa al barista.
    — Non mi chiamo Joe! — risponde lui destandosi dal suo torpore e passando lo straccio in un punto già lucido.
    — Tu portamela.
    Si versa tre dita di whisky e lo beve di un fiato. Il liquido scende nello stomaco e ne brucia le pareti mescolandosi ai fagioli e alla pancetta che ha mangiato a colazione, una combinazione che accorcia la vita e allunga la voglia di viverla al massimo.
    Si sta per versare un secondo bicchiere, quando le porte del saloon si animano ed entra un vecchio dalla barba grigia e dai capelli più radi degli alberi nel deserto. La sua mano scivola sul calcio della pistola e l’uomo seduto al tavolo fa la stessa cosa. Segue un lungo sguardo tra i due.
    — Non pensavo che ci avresti messo così tanto ad arrivare, Marvin.
    — Non pensavo che saresti rimasto ad aspettarmi, Clint.
    — Siediti. Ti offro da bere.
    Marvin Shanks scosta un sedia e fa un cenno al barista per un secondo bicchiere. Clint Queen si serve e poi passa la bottiglia. — Come ti va la vita?
    — Tranne che per i soldi e le donne, di merda.
    — Nel senso che hai un enorme ranch dove ti aspetta una femmina a gambe aperte?
    — No. Nel senso che a soldi e a donne sono messo peggio della merda.
    Queen butta giù il whisky e si passa il dorso della mano sulla bocca. — Allora ti interesserà il lavoro che ho da proporti.
    — Spara.
    Clint si irrigidisce per un momento, la mano che vuole scattare verso la pistola, poi si rilassa realizzando che si tratta solo di una battuta.
    — Stanno cercando dei pistoleri per difendere un villaggio.
    — Chi?
    — Un branco di pezzenti messicani da un mucchio di altri pezzenti messicani. Bandidos. Però i pezzenti del villaggio pagano bene perché si tratta delle loro vite e sono disposti a dare tutto quello che hanno. Metà all’arrivo e metà a lavoro concluso.
    — Se finiamo in fondo a una fossa, risparmieranno.
    — Non ho nessuna intenzione di finirci — Queen sta per versarsi un terzo bicchiere, ma i fagioli si agitano come un dust devil nel suo stomaco e ci ripensa.
    — Noi due da soli?
    — Non ho la vocazione al suicidio. Ci servono degli altri. Spargiamo un po’ la voce e facciamo qualche audizione qui al saloon. Tanto Joe è d’accordo.
    — Non mi chiamo Joe — commenta il barista.
    — Tu pensa ai clienti che ti porto in questo modo e taci — risponde Queen alzando le spalle. Poi fissa Shanks nelle palle degli occhi. — Allora, ci stai?
    — Non mi hai detto la cifra esatta, non so con chi andiamo, dove andiamo e neppure contro chi andiamo. Ma dubito di poter cadere più in basso di dove sto ora, se non dentro una fossa. E si muore una volta sola. Quindi ci sto.
    Queen sorride e aggiunge: — Sia inteso che il capo sono io.

    2
    Sette cavalieri oltrepassano la collina e scendono lungo la pista, le gole riarse per la polvere.
    Clint Queen è davanti, Marvin Shanks a suo fianco. Lungo la strada hanno continuato a parlare tra loro, un ricordo di qualche impresa fatta assieme un momento, un commento piccato l’istante dopo. Malgrado la differenza di età tra loro, si conoscono da parecchi anni; la loro è una recita consumata.
    Dietro i due sono in cinque, reclutati sei giorni prima in un saloon di una cittadina del Texas. Si erano presentati in quindici, ma il resto è stato scartato perché non giudicato abbastanza affidabile o abbastanza in gamba per un lavoro del genere. Non che i selezionati siano un gran ché, però.
    Richard Brummel è un inglese fuggito dal Regno Unito dopo aver messo incinte due sorelle durante la stessa notte. Il fatto che fossero entrambe minorenni e che l’intera famiglia delle giovani volesse sfidarlo a duello ha contribuito a farlo imbarcare molto rapidamente a Plymouth. Veste elegante, da dandy, col capello sempre curato malgrado il clima del deserto e una coppia di pistola col calcio in madreperla. Tutto il contrario è Gianni Marantonio, immigrato italiano dall’aspetto sciatto e dal fucile a canne mozze per metà arrugginito: lui ha giurato che l’arma funziona alla perfezione e che ha ucciso più uomini lui con quella che la Rivoluzione Francese con la ghigliottina. Anche loro procedono appaiati e si sono scambiati storie di conquiste di sottane per tutto il viaggio.
    La terza coppia sono un negro e un indiano. Il primo nero come il carbone, il secondo con la pelle tinta di rosso nel pregustare la battaglia; il primo parla di continuo, il secondo dice tre parole durante l’intero arco della giornata; il primo ha un fucile comprato di seconda mano, il secondo una preda di guerra strappata a un soldato dopo un massacro.
    Per ultimo c’è Ewan Bleen: un uomo che pare aver paura anche della sua ombra. Queen lo ha scelto solo perché pare lesto a obbedire. Deve aver avuto sfortuna al gioco, perché quando i suoi compari hanno tirato fuori le carte per farsi una partita al bivacco, Bleen si è alzato ed è andato a piangere dietro a un cactus. Per rispetto a un compagno d’avventura, nessuno gli è andato a chiedere il motivo.
    Il villaggio è pochi chilometri oltre il confine col Messico, un gruppo di case orlate dal deserto da un lato e da un fiume e da campi coltivati dall’altro. Sulla destra si erge un monastero, le mura imbiancate dal sole e il portone sprangato.
    — Guardate — dice Queen — anche i monaci hanno paura dei banditos, visto che se ne stanno rintanati a casa loro. — Non dovrebbero aiutare i loro fratelli quei santuomini?
    — Mizzega, non parlar male dei preti — ribatte Marantonio col suo forte accento italiano — che Dio poi si incazza!
    Queen alza le spalle. — Dicevo tanto per dire.
    — Non ti scaldare — aggiunge Shanks, che vuole evitare qualsiasi attrito nel gruppo.
    Clint si passa la mano sulla fronte, che è calda per il sole, ma non bollente. Poi realizza che è un modo di dire e torna a concentrarsi sul villaggio.
    Quando vi entrano un gruppo di contadini si riunisce nella piazza centrale per accoglierli. Tutti uomini con la pelle bruciata dal sole e poveri abiti di colore bianco.
    — Come d’accordo siamo qui per difendervi, Pedro — dice Queen scendendo da cavallo.
    — Bene, ma non mi chiamo Pedro — risponde quello che sembra il capo del villaggio, il viso che pare lo stereotipo del messicano.
    — Siamo qui lo stesso.
    I sette pistoleri si guardano attorno e si domandano cosa ci sia da rubare da quelle parti. Forse i bandidos sono così disperati che si accontentano dei prodotti dei campi e di un po’ di birra allungata col piscio di vacca.
    — Vi abbiamo preparato una grande fiesta per stasera. Potete rinfrescarvi in quella casa che abbiamo ripulito per voi.
    — Grazie, Pedro. Gli accordi dicono che metà dei soldi dovete darceli al nostro arrivo.
    — Stasera, alla fiesta. Però non mi chiamo Pedro.
    Gli occhi di Queen diventano due fessure, ma il sole del pomeriggio ha già iniziato a cadere oltre le montagne. Non manca molto all’ora di cena.
    — Ma non oltre, Pedro.
    Il messicano sta per rispondere, ma è preceduto da Brummel. — E quello? — domanda indicando con gesto raffinato il monastero.
    — Il monastero di Santa Lucia Impalata. Abbiamo costruito il villaggio di Santa Lucia attorno alle sue mura.
    — Ma? — chiede Marvin intuendo che la frase ha un seguito.
    — Ma i monaci escono solo una volta all’anno. Per il resto del tempo se ne stanno chiusi dentro.
    — Non sarebbero d’aiuto comunque — conclude Queen, gli occhi di Marantonio che gli trapassano la schiena come pugnali. Clint ignora il formicolio.

    La sera è una gran fiesta, con carne alla brace e verdure di ogni tipo. Anche la tequila non è male. Queen inizia a ricredersi: forse una ragione per depredare il villaggio i bandidos ce l’hanno.
    — Ma le donne dove sono? — chiede Brummel sollevando un boccale. — Sono tutti uomini qui. Mica vi arrangiate tra di voi?
    Bleen ha un tremito, ma nessuno lo nota.
    — Allora, Pedro? — chiede Queen. — Le avete nascoste?
    Il messicano non dice nulla, ma la risposta è evidente.
    — Capisco che le nascondiate ai bandidos, ma se le nascondete a noi, vuol dire che non vi fidate. E a me non piace la gente che non ha fiducia — sibila Marantonio, una luce maligna nei suoi occhi, la mano che accarezza la doppietta.
    La musica si spegna, i contadini si consultano tra loro, la discussione sotto gli occhi dei sette pistoleri. Alla fine due di loro si allontanano, gli occhi bassi sul terreno.
    — Visto, basta convincerli con gentilezza — dice Queen.
    — Ed ecco che arrivano le donne.
    — Donne? — mormora Bleen scuotendo la testa.
    Trascorrono una ventina di minuti e i due del villaggio tornano accompagnati da una quarantina di messicane. Il loro arrivo è accompagnato da un mormorio dei contadini e da una serie di esclamazioni dei sette non appena avanzano tra le luci della piazza.
    — Ecco perché le nascondevano!
    — Oh, signore!
    — Per la barba di Matusalemme!
    Le donne, non importa se giovani o vecchie, sono tutte brutte da far spavento: lineamenti ruvidi, forme sgraziate, denti storti, capelli stopposi, tette scarse, fianchi sformati, sorrisi ebeti. Una galleria degli orrori da far voltare lo stomaco.
    — Meglio se le nascondete di nuovo, Pedro — dice Clint cercando di annegare nella tequila. — Però i soldi li voglio adesso oppure leviamo le tende.
    Il messicano alza le spalle e va a recuperare un cofanetto.
    — Ecco perché i loro campi producono roba buona. Hanno un sacco di spaventapasseri per tenere lontano i corvi.

    3
    I bandidos arrivano tre giorni dopo. Sono solo in cinque, le barbe lunghe, i visi sudati, le ascelle pezzate, le bandoliere piene di colpi da esplodere. I loro cavalli sbuffano quando devono arrestarsi al limitare del villaggio, a pochi metri di distanza da dove Queen ha schierato il suo gruppo, tutti in bella vista, tutti con le armi pronte in mano.
    — E voi chi siete, gringos? —domanda uno dei banditi, uno sfregiato dall’aria cattiva.
    — Dei gringos pronti a prendervi a calci in culo e a trasformarvi in colabrodi. E non necessariamente in quest’ordine.
    — Belle parole, amico. Ma mica facili da mettere in pratica.
    Queen estrae e spara. Il bandito rimane a bocca aperta e poi crolla sul terreno.
    — Ecco fatto. Adesso dite a Carranza, il vostro capo, di cambiare villaggio e di lasciare in pace questo.
    I quattro messicani rimangono sorpresi. — Il nostro capo non si chiama Carranza.
    — Voi sparite ugualmente — ribatte Clint puntando la pistola.
    Pochi istanti dopo i sette stanno guardando i culi dei cavalli che tornano da dove sono venuti, una brezza leggera che viene dal deserto che spazza la polvere attorno al cadavere.
    — Ecco fatto! — dice Queen. — Ritiriamo l’altra metà dei soldi, facciamo ancora un po’ di fiesta e poi potremo prendere la strada del ritorno.
    — E magari trovarci qualche donna — aggiunge Marantonio.
    Marvin però rimane a guardare la pista. — Non la fate troppo facile?
    — Non fare il menagramo — gli risponde Queen lasciandolo da solo.

    Il capo del villaggio, però, si rifiuta di dare la seconda parte dei soldi prima che siano trascorsi altri quattro giorni, dicendo che non c’è ancora alcuna sicurezza che i bandidos abbiano rinunciato a depredarli. Queen sulle prime si arrabbia, poi si fa convincere dalla promessa di una seconda fiesta e accetta quella condizione. — Ma non un giorno di più! — dice prima di calarsi lo Stetson in testa e buttarsi su di un amaca presso il fiume.

    All’alba del quarto giorno i sette vengono svegliati dai rumori della preparazione della fiesta. I messicani montano tavoli, spostano sedie, preparano festoni e strumenti.
    Quando Queen e Shanks escono nella piazza, dopo una abbondante colazione fatta di fagioli, tortillas e tequila, notano che il portone d’ingresso del monastero è aperto e che un uomo con indosso un saio di colore grigio avanza verso di loro.
    — Credevo che uscissero solo una volta l’anno, Pedro — dice Clint al capo villaggio.
    — È oggi il giorno. E in quel giorno teniamo un fiesta.
    Marvin scuote la testa. — Credevo che la festa fosse in onore nostro.
    — Siamo poveri, non possiamo permetterci tanti lussi.
    Queen comincia a innervosirsi, ma intanto il monaco arriva fino a loro. È un uomo magro, la pelle pallida e gli occhi incavati, la barba appena accennata.
    — Che la Trinità sia con voi! — esordisce, la voce che sembra lo squittio di un topo passato sulla carta vetrata.
    — Anche con te, Padre Mario — risponde Queen.
    — Il mio nome non è Padre Mario.
    — Non credo che Iddio faccia distinzioni. E già che ci siamo vi segnalo che questo giorno di festa è anche nostro. Non so se vi siete accorti che c’erano dei bandidos da queste parti.
    Il monaco stringe gli occhi fino a farli diventare due fessure. — La Trinità vede tutto, in ogni tempo e in ogni luogo.
    — Sarà come dite. Confido che non berrete tutta la tequila, però — risponde Clint ridacchiando e lasciando la piazza. — A stasera!

    4
    La fiesta viene interrotta ancor prima di iniziare. Si sta avvicinando l’ora del tramonto quando si sente il rumore di molti cavalli al galoppo accompagnati da una serie di spari; i messicani cominciano a fuggire da ogni parte.
    — Che cazzo succede? — grida Queen.
    — I bandidos, sono tornati i bandidos!
    — Li accoglieremo a suon di piombo, allora!
    Marantonio, che si trovava al limitare del villaggio arriva di corsa nella piazza. — Sono tanti, tantissimi. Trenta almeno.
    Poi arriva il negro, gli occhi che quasi gli escono dalle orbite dallo spavento — I bandidos arrivano, saranno almeno quaranta. Tutti incazzati!
    Quindi è la volta dell’indiano, che fissa le nuvole, poi si gira verso Queen e dice —Cinquantatre.
    I sette fanno appena a tempo a prendere le proprie armi e a trovare riparo dove possono quando i banditi invadono il villaggio sparando all’impazzata. Travolgono i tavoli e strappano le decorazioni, rovesciano le brocche e calpestano gli strumenti. Queen e Shanks sparano qualche colpo da dietro un abbeveratoio, ma poi sono costretti a mettere giù la testa da una gragnuola di pallottole.
    — E facevo il menagramo, vero? — grida Shanks stringendosi i coglioni. — Questi fanno il funerale a tutti.
    La banda passa come un fiume in piena attraverso le strade e si raduna all’altro capo del villaggio per prepararsi a un altro passaggio.
    — Siamo troppo esposti qui! — urla Brummel.
    — Che facciamo? — domanda Marantonio. Accanto a lui c’è Bleen, pallido come un cencio appena lavato.
    Queen si guarda attorno e poi prende una decisione da capo. — Al monastero. Lì avremo delle mura con cui difenderci.
    Prima che i bandidos tornino indietro, i sette attraversano di corsa il portone spalancato e se lo chiudono alle spalle.
    — Vedrete che qui saremo al sicuro — dice Queen assicurandosi che il paletto sia ben messo. — Non sarà per nulla facile stanarci.
    — Sì, ma a quelli del villaggio che succederà.
    Clint alza le spalle. — Non ci avevano ancora pagato in ogni caso.
    Fuori continuano gli spari e un gran correre di cavalli, le ombre si allungano e il sole si tuffa verso il deserto. La notte che deve arrivare si preannuncia interminabile per gli assediati.
    — Non riusciremo a controllare tutto il perimetro delle mura. Se i banditi le scavalcano, siamo fottuti — dice Marvin stringendo con rabbia la pistola.
    Clint si guarda alle spalle, poi capisce il senso delle parole di Shanks. Bleen geme e si mette con le spalle contro la parete.
    Il cortile del monastero non è molto grande: in parte è occupato dagli orti, mentre un pozzo si trova nel centro esatto. Di fronte a loro si trova la chiesa.
    — Là dentro, allora! — esclama Queen.
    Quando varcano la soglia vengono accolti da un canto che cresce e diminuisce di intensità senza alcuna logica. Ma quello che sentono non è nulla in confronto a quello che vedono: i monaci, una ventina circa, sono disposti in circolo in mezzo al locale, al centro è stato disegnato un pentacolo con quella che in apparenza potrebbe essere vernice rossa, ma che è più probabilmente il sangue di una vittima sacrificale. Una delle messicane, una delle più brutte per giunta, è stata appesa a testa in giù a una trave e sgocciola un liquido vischioso sul pavimento.
    — Ma che cazzo! — fa a tempo a dire Queen prima che un bagliore crescente si formi a mezz’aria, un insieme di sfere luccicanti che vorticano in più dimensioni.
    — Y'AI'NG'NGAH YOG-SOTHOTH H'EE-L'GEB F'AI TRHODOG UAAAAH — stanno cantando i monaci quando si accorgono di essere stati interrotti. Uno di loro, l’uomo magro dagli occhi infossati apparso prima, indica i sette e mormora qualcosa e un enorme tentacolo si sprigiona dalle sfere e si attorciglia attorno alla gamba del negro.
    Queen inizia a sparare, ma i colpi sembrano rimbalzare sulla mostruosa pelle rossastra, mentre il negro viene inesorabilmente trascinato verso il centro della stanza.
    — Ci penso io a ‘sto fetuso! — grida Marantonio avanzando di tre passi e puntando la doppietta. Due colpi rimbombano nella chiesa e un fiore di pallini si schianta contro il tentacolo facendo sprizzare piccole fontanelle di liquido di color verde marcio.
    Un urlo terribile, simile a una valanga di feriti che vengano scaricati giù da una collina, agita l’ambiente; il tentacolo si agita spasmodico sempre tenendo il negro ben saldo e sbattendolo contro le pareti come se fosse una bambola: pezzi di cervello volano nell’aria.
    Poi la luce inizia ad allargarsi e un secondo e un terzo tentacolo fuoriescono da quell’utero sospeso nell’aria; un corpo intero preme per nascere.
    I monaci alzano le sottane, estraggono dei coltellacci e caricano in silenzio.
    — Indietro! — grida Queen colpendo l’uomo col saio più vicino e poi dandosela a gambe per tornare di nuovo in cortile. Quando arriva al pozzo, si accorge che solo in quattro lo hanno seguito e che l’indiano è rimasto dentro, dilaniato dalle lame.
    All’esterno si sentono ancora gli spari dei banditi, mentre all’interno della chiesa la luce brilla sempre più intensa, l’edificio intero trema, come se avesse difficoltà a contenere il mostro che è stato evocato.
    — Quando mai ti ho dato ascolto! Si muore una volta sola, ma è una volta di troppo! — grida Marvin che si vede passare tutta la sua vita davanti agli occhi. E non è che sia una visione così affascinante.
    Clint controlla quanti colpi ha ancora e sospira, poi solleva la testa di scatto.
    — Ho un’idea. Venite. Apriamo il portone!
    — Ma sei impazzito?
    — Datemi retta! Avanti, seguitemi. Che il capo sono io!
    I cinque raggiungono il portone e lo spalancano. All’esterno stanno passando i bandidos inferociti dal fatto di non trovare i loro nemici.
    — Siamo qui! E le vostre madri se la facevano con i muli dell’esercito americano! — urla Queen sparando nella loro direzione.
    I messicani arrestano i cavalli e li voltano verso il monastero; la fiumana riprende la sua corsa verso Queen e i suoi compagni.
    — Nel pozzo! — grida Clint.
    — Come? — domanda l’italiano esitando quell’attimo di troppo che permette ai bandidos di crivellarlo di colpi e poi di travolgerlo.
    Queen corre e si tuffa proprio mentre una enorme massa che sfrigola tentacoli esce dalla chiesa accompagnato dai monaci. Marvin è alle sue spalle, incespica, ma riesce a scavalcare il muretto di pietra e a calarsi di sotto. Di Brummel e di Bleen si perdono le tracce nel cozzo che avviene tra i bandidos e il mostro, un caotico miscuglio di corpi, tentacoli, tuniche e cavalli. Da dentro il pozzo sembra che ci sia un terremoto; spruzzi di sangue e di liquami si inarcano nel cielo come scie di fuochi artificiali.

    5
    Due pistoleri a cavallo percorrono la pista che li riporta nel Texas, i volti stanchi, i lineamenti coperti di sporcizia e sudore.
    Le tasche piene.
    — Hanno fatto un po’ di storie, ma hai visto che alla fine ci hanno pagato! — dice Queen.
    Marvin Shanks scuote la testa. La sua unica speranza è di usare quei soldi per andare in pensione. Non ha più l’età per avventure simili.
     
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  2. Daniele_QM
     
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    Pregi e difetti in questo racconto che mescola sapientemente ambientazione western a
    SPOILER (click to view)
    un risvolto tutto lvecraftiano. Idea interessante, lo ammetto. Quello che funziona meno è lo stile che dovrebbe richiamare quello di Six Shots. Secondo me non è abbastanza "estremo" o "goliardico". Rimane troppo serioso, le situazioni divertenti ci sono ma il protagonista sembra avere più uno houmor inglese e i sorrisi che strappa sono sempre a mezza bocca. C'è da dire poi che i personaggi introdotti li ho vissuti poco. Sia Shanks che Bleen recitano una parte minore. Queen - la faccia di Clint Eastwood ce l'ha stampata lì - mi piace me è una primadonna che non lascia spazio agli altri. Bello lil personaggio dell'italiano mentre sono del tutto ininfluenti gli altri tre. Si capisce che sono lì per morire e non va bene.
    Secondo me, considerando che la traccia è buona, è decisamente migliorabile.

    Ciao Al! ;)
     
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    CITAZIONE (Daniele_QM @ 18/4/2011, 22:24) 
    Pregi e difetti in questo racconto che mescola sapientemente ambientazione western a
    SPOILER (click to view)
    un risvolto tutto lvecraftiano. Idea interessante, lo ammetto. Quello che funziona meno è lo stile che dovrebbe richiamare quello di Six Shots. Secondo me non è abbastanza "estremo" o "goliardico". Rimane troppo serioso, le situazioni divertenti ci sono ma il protagonista sembra avere più uno houmor inglese e i sorrisi che strappa sono sempre a mezza bocca. C'è da dire poi che i personaggi introdotti li ho vissuti poco. Sia Shanks che Bleen recitano una parte minore. Queen - la faccia di Clint Eastwood ce l'ha stampata lì - mi piace me è una primadonna che non lascia spazio agli altri. Bello lil personaggio dell'italiano mentre sono del tutto ininfluenti gli altri tre. Si capisce che sono lì per morire e non va bene.
    Secondo me, considerando che la traccia è buona, è decisamente migliorabile.

    Ciao Al! ;)

    Mmmmhhh
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    abbastanza d'accordo tranne che per il fatto che 2 dei 3 sono lì apposta per morire (non hanno neppure il nome ;) altrimenti come fanno a essere il sette?)
     
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  4. Fini Tocchi Alati
     
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    Molto divertente
    SPOILER (click to view)
    fino al mostro! Ogni volta che Queen azzardava i nomi dei suoi interlocutori mi scompisciavo dalle risate. Poi, però, c'è quel mostriciattolo che m'ha rovinato un po' la lettura (e la digestione).
    Ti segnalo un paio di cose: il finale è precipitevolissimevolmente frettoloso; inoltre non credo che i monaci, i quali escono dal monastero una volta l'anno, lo tengano aperto proprio quando stanno evocando Slimer.
     
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    CITAZIONE (Fini Tocchi Alati @ 22/4/2011, 16:30) 
    Molto divertente
    SPOILER (click to view)
    fino al mostro! Ogni volta che Queen azzardava i nomi dei suoi interlocutori mi scompisciavo dalle risate. Poi, però, c'è quel mostriciattolo che m'ha rovinato un po' la lettura (e la digestione).
    Ti segnalo un paio di cose: il finale è precipitevolissimevolmente frettoloso; inoltre non credo che i monaci, i quali escono dal monastero una volta l'anno, lo tengano aperto proprio quando stanno evocando Slimer.

    Danke,
    quale giorno migliore per procurarsi un po' di vittime?
     
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  6. Piscu
     
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    buona l'idea di riproporre i magnifici sette in modo sgangherato. il racconto è molto convincente sia nelle vicende che nel tono fino al primo incontro coi banditi. poi, dall'apertura del monastero in poi le cose si fanno un po' confuse, e ho come il sospetto che non avessi un'idea chiara di come andar a conlcudere il racconto, come infatti dimostra il finale molto frettoloso in cui non si ha un vero e proprio epilogo ma solo un suggerimento di quanto può essere accaduto.

    credo che in un racconto del genere si sarebbe potuto fare a mano della componente soprannaturale. avresti potuto semplicemente far incazzare i monaci che non erano così pacifici come si pensava. inoltre avrebbe meritato dare qualche spazio in più agli altri cinque della compagnia, caratterizzando ognuno in modo particolare.



    come spin-off, direi che il tono è azzeccato, anche se riprendi personaggi marginali di cui non proponi un grande sviluppo.


    ho un dubbio: è storicamente corretto collocare un emigrato italiano nel far west? sbaglio io, o l'emigrazione è iniziata dopo l'epoca che si considera convenzionalmente come quella dei western? inoltre, anche se l'emigrazione era già presente, non credo che arrivati negli usa gli italiani si spingessero tanto lontano, tutte le comunità italiane rimanevano concentrate nella parte orientale, no? insomma, è una sottigliezza, però andrebbe appurato.


    "un gran ché"
    non sono sicuro che sia la grafia corretta

    "si spegna"
    spegnE
     
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    Amante Galattico

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    CITAZIONE (Piscu @ 23/4/2011, 15:49) 
    buona l'idea di riproporre i magnifici sette in modo sgangherato.

    ...

    Grazie per la lettura

    Il finale horror lo volevo perché volevo mettere l'elemento sovrannaturale. Vero che forse voleva più spazio.

    Sulla cosa dell'italiano non so: se è vero quello che dici, è anche vero che qui si tratta di uno solo che deve abbandonarsi alle spalle la propria vita e che deve stare lontano da ambienti frequentati da italiani... non si sa mai
     
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  8. Settore2814
     
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    CITAZIONE (Piscu @ 23/4/2011, 15:49) 
    ho un dubbio: è storicamente corretto collocare un emigrato italiano nel far west? sbaglio io, o l'emigrazione è iniziata dopo l'epoca che si considera convenzionalmente come quella dei western? inoltre, anche se l'emigrazione era già presente, non credo che arrivati negli usa gli italiani si spingessero tanto lontano, tutte le comunità italiane rimanevano concentrate nella parte orientale, no? insomma, è una sottigliezza, però andrebbe appurato.


    "un gran ché"
    non sono sicuro che sia la grafia corretta

    "si spegna"
    spegnE

    grafìa o grafia? :)

    Comunque per me un italiano nel far west è plausibilissimo.
    In fondo i primi italiani "ufficiali" a emigrare furono i fratelli Caboto! :sisi:
     
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7 replies since 11/4/2011, 23:36   86 views
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