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Edit: ho cercato di modificare il testo in base alle osservazioni fatte. Spero di averlo migliorato - a me sembra di sì, ma di solito l'autore è la persona meno adatta per giudicare. Cambiamento anche di titolo, sono tornato a quello originale. Non potendo però cambiare il titolo del thread, lo riporto qui, nel corpo del post.
Sangue del suo sangue Il loft in Borgo Dora era illuminato a giorno, sebbene avesse i serramenti chiusi. I neon formavano un reticolato a nido d'ape lungo tutto il soffitto e solo il colore diverso delle luci faceva da divisione tra le zone dell'appartamento: la cucina e la camera da pranzo avevano neon gialli, la camera da letto azzurri, il salone e lo studio bianchi. Betta accavallò le gambe, nuda su una chaise-longue. Osservava con sguardo critico l'abbozzo di scultura che si trovava a pochi metri: avrebbe dovuto essere un suo ritratto, ma non le pareva di ravvisare particolari somiglianze. Tuttavia sapeva che l'arte di Alfio Lancia non produceva risultati immediati, per quanto velocemente le armi laser modellassero la pietra. Le bastava ripensare ai capolavori che lo avevano portato quasi d'improvviso a esporre in molte gallerie d'Europa per avere fiducia nelle capacità dell'uomo: le bruciature sulle pareti erano un prezzo più che onesto, per ottenere quei risultati. Essere la sua musa, anche solo per un'opera, era un privilegio che la gratificava, tuttavia non era quello il motivo per cui aveva fatto di tutto per conoscerlo di persona. Spostò una ciocca di capelli neri dal viso, quindi cominciò a giocherellare con la fede. Metti, togli, metti, ruota, togli. Dal bagno, l'unica altra stanza del loft, sentì l'acqua della doccia smettere di scorrere. - Quanto pensi ci vorrà? - chiese, alzando la voce. La porta del bagno si schiuse di pochi centimetri. - Ancora tre, massimo quattro sedute. Betta sorrise. Altre quattro volte sarebbe stato perfetto, per quello che aveva in mente. - E dopo? Alfio uscì dal bagno, indossando solo un asciugamano intorno ai fianchi. Aveva un fisico asciutto, con due tatuaggi sul petto glabro, e un volto squadrato, dominato da occhi bianchi come il ghiaccio. Quello era il motivo per cui lo aveva voluto conoscere. O almeno uno dei motivi. - Dopo? - le fece eco. - Sta a te, dopo. - Cosa vuoi dire? - Sei tu quella sposata. Betta rise. Assunse una posa ancora più sensuale e dal rigonfiamento dell'asciugamano capì che ad Alfio non era bastata la scopata di prima. Che diamine, nemmeno a lei era bastata. - È solo questo, il problema? - chiese, con aria innocente. - Non sei contento dei soldi che prendi da mio marito per farmi la statua? - Forse non ho voglia di parlare di tuo marito. - No, certo. Lo tirò verso di sé e gli tolse l'asciugamano.
- Soddisfatta della seduta? - le chiese Sandro, senza distogliere lo sguardo dal computer. - Sì, caro - rispose. Più di quanto immagini, aggiunse tra sé. Andò a depositargli un bacio sulla fronte e ne approfittò per buttare un'occhiata al monitor: riportava l’andamento in borsa dei suoi titoli, ormai aveva imparato a leggerli lanciando loro solo uno sguardo veloce. Le azioni del marito stavano salendo vertiginosamente. Era uno degli uomini più ricchi del paese: quel capitale sarebbe stato sufficiente per farla vivere nel lusso per il resto dei suoi giorni. - Lavori sempre - protestò. - Ne abbiamo già parlato, Betta. - Sì. Ma ogni tanto vorrei che mi dedicassi un po' più di attenzioni. Sandro alzò la testa. Dietro agli occhiali tondi, lo sguardo porcino la trapassava. Aveva il naso storto, i capelli radi e la barba di due giorni; le labbra sottili e la forma degli occhi ricordavano Alfio, ma sul suo viso facevano un effetto del tutto diverso. Betta odiava quel volto, lo aveva sempre odiato. - Stai mentendo - sentenziò. - Ma pazienza, andiamo d'accordo anche così. La donna ignorò l'affermazione del marito. - Faccio preparare la cena? - Sì. Qualcosa di leggero, dopo voglio accontentarti. - Cioè? - Voglio dedicarti più attenzione. Betta si rassegnò al ribrezzo di un nuovo rapporto sessuale con lui e cercò di pensare ad altro. Non sarebbe durata ancora per molto.
I particolari della statua erano sempre più fedeli alla realtà. In piedi accanto alla scultura, Alfio soffiò via la polvere dal punto appena spianato. - Mi hanno chiesto un'opera per l'inaugurazione del Nuovo Teatro Regio - annunciò. Betta non rispose. - Volevo chiedere a te e tuo marito il permesso di usare questa. - Ah, hai bisogno del nostro permesso? Si voltò a guardarla. - Certo che ne ho bisogno. Una volta terminata, sarà di vostra proprietà. L'avete pagata, funziona così. L'idea che tutti potessero vederla, nuda, nel simbolo del suo tradimento nei confronti di Sandro la eccitava terribilmente. Sarebbe stato un coronamento perfetto del piano che aveva escogitato. - Per quello che mi riguarda, hai il mio permesso - rispose, alzandosi. - Oh sì, che ce l'hai! - Non ho finito - cercò di protestare Alfio. - È vero, devi ancora iniziare. - Lo costrinse a mettere giù i suoi strumenti e lo abbracciò.
Uscita dal loft, sotto una pioggia insistente e fastidiosa, si infilò in tutta fretta dentro alla Mercedes che l'aveva aspettata proprio davanti alla saracinesca d'ingresso. Si mise comoda, passando una mano tra i capelli per asciugarli. - Buonasera - disse la macchina. - Comunichi la destinazione, prego. Prese del tempo, prima di rispondere. Aveva addosso l'odore di Alfio e voleva goderselo ancora un po'. Non che Sandro se ne sarebbe accorto, di quell'odore. Figurarsi! E poi aveva l'abitudine di salutarlo più rapidamente possibile prima di buttarsi sotto la doccia: anche se l'avesse percepito avrebbe di certo immaginato a un errore. Ma già in passato lo aveva fregato tante volte, al pari dei suoi compagni precedenti, e aveva avuto la prova di come gli uomini certe cose proprio non le notassero. Forse solo Andrea, il suo primo fidanzato, e Luca, il terzo, avevano avuto dei sospetti, ma facevano parte di una vita lontana nel tempo, una vita e un ambiente nei quali una come lei si era sempre sentita sprecata. - Casa - disse infine, riemergendo da quei pensieri. - Passa dal centro. - Ricevuto. La Mercedes si mise in moto e con una manovra accorta uscì dal parcheggio. Fece inversione e si diresse verso corso Giulio Cesare. Quella zona di Torino era ormai quasi disabitata, gli edifici cadenti, le strade rovinate. Ci vivevano solo pochi poveracci, per lo più sbandati, e qualche artista bizzarro. La cosa rendeva le visite ad Alfio ancora più eccitanti: l'idea di essere coinvolta in un'aggressione da parte di qualche disperato ed essere poi salvata aveva un che di erotico. E, d'altra parte, non aveva dubbi che Alfio sarebbe stato in grado di fronteggiare qualsiasi delinquente. Fece ballare le dita sullo schermo integrato negli schienali dei posti anteriori, vuoti come sempre, e richiamò il fascicolo con i documenti che le aveva consegnato l'investigatore privato, tempo prima. Digitò la password per aprirlo e cominciò a passarli in rassegna, mentre la macchina svoltava sul Lungo Dora. Il primo file era la scansione di un giornale, qualcosa dal sapore antico: un articolo della Stampa del 30 giugno 2027, intitolato “Ergastolo per il boia di Napoli”. C'era anche una foto, che mostrava il giovane Alfredo Lanzafame tra gli imputati. Poi una copia digitale del modulo di trasferimento del detenuto Lanzafame dal carcere delle Vallette a una struttura per la stasi criogenica, in data 12 settembre 2048. Quindi una breve nota su Repubblica.it, del 18 gennaio 2124, dieci anni prima, che riportava il malfunzionamento di alcuni moduli per detenzione criogenica, proprio nella struttura dove si trovava Alfredo: quello era anche stato l'episodio che aveva portato l'azienda di Sandro a vincere un appalto multimilionario per la manutenzione del sistema carcerario italiano. Poi, una serie di foto, alcune di quando Alfredo era un maggiore dell'esercito e altre della detenzione. C'era anche la sua famiglia: la moglie, appesantita dalle tre gravidanze in giovane età, e i bimbi, ognuno di loro con i lineamenti del padre, la stessa bocca, lo stesso taglio degli occhi. Ormai erano morti tutti. Infine, il rapporto sui fatti che lo avevano portato a guadagnarsi l'appellativo di “boia di Napoli” e, di conseguenza, il congedo con disonore e l'ergastolo, con relativi documenti filmati. Betta lo teneva per ultimo perché era troppo persino per lei, leggere di quelle cose. E, in fondo, per quello che le serviva le bastava averlo visto una volta sola: non avrebbe di certo scordato come il maggiore Lanzafame aveva contribuito a sedare le rivolte contro l'immondizia nel capoluogo campano, né le immagini raccapriccianti delle vittime. Non importava che ora si chiamasse Alfio Lancia: non sarebbe rimasto insensibile alla sua offerta. Sorrise soddisfatta. Il momento in cui si sarebbe liberata per sempre di perdenti e falliti si stava avvicinando sempre di più: presto avrebbe potuto smettere di condurre la squallida vita di moglie e dedicarsi ad attività più piacevoli, magari in un'altra città. Parigi. New York. - Cambio destinazione - ordinò. - Piazza Castello, davanti al Teatro Regio. - Ricevuto - rispose la Mercedes, imperturbabile, infilandosi in via Rossini tra le utilitarie scalcagnate. Anche attraverso i vetri martellati dalla pioggia, poteva vedere le occhiate invidiose che le lanciavano gli altri, là fuori: di berline automatizzate se ne vedevano ben poche ed era inevitabile attirare gli sguardi curiosi e invidiosi dei passanti. Si cullò in quella sensazione, finché la Mercedes non svoltò in via Po e, poco dopo, in Piazza Castello. - Destinazione raggiunta - annunciò. Abbassò il vetro, ignorando le gocce che le rimbalzavano sul viso, e inspirò a pieni polmoni l'odore di asfalto bagnato che si mescolava con quello di Alfio, ancora su di lei. Là, proprio davanti all'ingresso ancora sbarrato del teatro, c'era il posto adatto per la sua statua: sarebbe stata perfetta. Tutti l'avrebbero vista, ammirata. E desiderata.
- Ormai mancano solo gli ultimi dettagli - osservò Alfio, appollaiato sul bordo della chaise-longue e con le braccia di Betta intorno al torace. - A me sembra perfetta così. - Avevo un buon modello - si schernì, girandosi a baciarla. - Buono? - gli chiese facendo l'offesa e dandogli una spinta. - Ottimo. - Ah, ecco. - Attese per un istante, poi aggiunse: - Hai già qualche idea? - Sì. Non penso sia necessario che tu venga, la prossima volta. Si irrigidì. - Mi stai dicendo che non mi vuoi qui? - No, ti sto dicendo che forse tu non vuoi essere qui, quando farò gli ultimi ritocchi. - E perché dovrei? Io non mi sono stufata di te. Tu forse sì? Alfio scoppiò a ridere, una risata profonda e per certi versi sgradevole. - Betta, pensavo solo che magari non volevi rovinarti la sorpresa. E per i dettagli che ho in mente di certo non mi servi, come modella. - Come modella - ripeté lei. L'uomo si girò e fece per abbracciarla, ma Betta fu più veloce e si alzò, lasciandolo con il volto sorpreso. - Non ti servo, come modella - fece ancora. - Solo come modella - precisò Alfio. La donna si avvicinò alla rastrelliera delle armi, sulla parete più lontana del loft. Cominciò a sfiorarle, una per una. - Meglio se fai attenzione, con quelle - la avvertì lui. - Quindi stai cercando di dirmi che vuoi continuare la nostra relazione? - lo ignorò. Accarezzò il massiccio fucile laser con cui Alfio aveva sgrossato il blocco di marmo, all'inizio. - Mi piacerebbe, sì. E a te? - Oh, a me anche. - Fece una breve pausa, quindi prese in mano la pistola con cui l'uomo aveva rifinito le forme. - Un vero colpo di genio, usare oggetti che tolgono la vita alle persone per dare vita alle sculture. Lo sentì esitare. - È la prima volta che fai osservazioni sui miei strumenti - osservò, infine. - E dimmi: a Napoli che cosa hai usato per torturare tutte quelle persone? Lui la guardava con gli occhi ridotti a due fessure. - Di cosa stai parlando? - Lo sai bene, Alfio. O dovrei chiamarti Alfredo? - Sbagli persona - disse con voce sorda. Betta rise, divertita. - Sei un pessimo bugiardo. Il silenzio che seguì le confermò di averlo in pugno. - Ho una proposta da farti. - Sentiamo - rispose. - A me non interessa se hai più di centocinquanta anni, né se in un'epoca passata hai ucciso e torturato donne e bambini per un mucchio di rifiuti. Ti propongo di uccidere mio marito: dopo potremo stare insieme, solo tu e io. - Ucciderlo? - Sì - rispose, mantenendosi a distanza, sempre con la pistola in mano. - Pensa a cosa potremmo fare con i soldi che erediterei. Insieme. Certo, dovrai fare in modo che sembri un incidente, ma visto il tuo passato... - Dovrei aver imparato qualcosa? - concluse Alfio per lei. - È una strada pericolosa, questa. Se la imbocchi, non puoi più tornare indietro. Sei sicura di volerlo? - Sicurissima. - E se rifiutassi? Betta rise di nuovo. - Anche se la gente si è dimenticata di te, sei ancora Alfredo Lanzafame, un ergastolano evaso. E questa è un'informazione che abbiamo solo io e Sandro - bluffò. - Mi stai dicendo che si verrebbe a sapere in giro. Ti rendi conto che le mie statue acquisterebbero valore, sì? Potrei quasi trarne vantaggio. - Vantaggio? In una cella criogenica? - Lo vide esitare, d'improvviso bianco in volto. Perfetto, pensò. - Perché è lì che tornerai, se non accetterai. O se mi succederà qualcosa. Qualunque cosa. Mio marito non starà con le mani in mano, nel caso. - Sei... - Sono? Alfio sorrise. - Sei pericolosa e furba. E meravigliosa. La donna cercò di non dare a vedere la propria soddisfazione. - Non pretendo che mi rispondi subito. Prenditi il tuo tempo. A meno che tu non voglia ricominciare quello che stavamo facendo lì sopra - concluse, indicando la chaise-longue.
Pensava di provare qualche rimorso, una volta tornata a casa, ma le bastò vedere lo squallido volto di Sandro per cancellare qualsiasi dubbio. O forse, più banalmente, era una cosa che immaginava da così tanto tempo che le pareva ormai naturale. - Come va la statua? - le chiese, sempre senza distogliere la propria attenzione dal computer. Il marito sottolineò il proprio scarso interesse mimando con la mano il gesto di spostare qualcosa, quindi pizzicò l'aria. Il riflesso del monitor sugli occhiali cambiò colore, come in risposta al suo movimento. - Bene! - rispose, sforzandosi di infondere un po' di allegria alle sue parole. - È quasi finita, sai? Ancora una seduta e potrai vederla! - Mi ha chiamato Alfio, l'altro giorno. Voleva sapere se confermavo il tuo permesso di esporre la statua all'inaugurazione del Nuovo Regio. - Hai detto di sì, spero. - Sì. Ma un po' mi scoccia, che ti vedano tutti nuda. - Non fare lo stupido - rise Betta. - È solo una statua. - Fece una pausa, poi aggiunse: - Ma tu come fai a sapere che sono nuda? Fu il marito a sorridere, questa volta. - Le opere di Alfio sono famose, è il suo genere. E ricordati che sono stato io a contattarlo e fartelo conoscere. - Sandro spense il computer e si alzò. - Siamo certi che mi posso fidare, sì? - In che senso? - Di te e lui. Alla fine, forse ci stava arrivando. Ma era preparata anche a quello. - Non dire cretinate, Sandro! Betta lo vide avvicinarsi e si predispose a dover fronteggiare l'ennesima proposta di sesso coniugale. Con suo stupore, invece, la superò senza fermarsi e si diresse verso la camera da letto. - Stai bene, caro? - gli chiese. - Sono solo un po' stanco. Tu cena pure, e scusa se non ti tengo compagnia. - Sicuro di non voler mangiare nulla? - Le premure da brava moglie le uscivano in automatico, frutto di anni di allenamento. - Magari mangerò qualcosa più tardi. Ora no. Sandro andò a buttarsi sul letto e nel giro di pochi minuti cominciò a russare. Per la prima volta, Betta si godette la casa come se fosse già lei l'unica proprietaria.
Lo sfrigolio del laser a bassa potenza rimbombava nel loft in maniera minacciosa. Se non avesse saputo cosa stava facendo Alfio, quel rumore l'avrebbe di certo preoccupata: la statua era perfetta, qualsiasi ritocco avrebbe potuto rovinarla. L'uomo terminò il buco all'altezza del costato, una rientranza di pochi centimetri di profondità, posò il laser e prese in mano uno strumento che Betta non gli aveva mai visto usare prima: si trattava di una Beretta 92FS, le aveva detto, l'arma che aveva in dotazione ai tempi in cui era stato a Napoli con l'esercito. Appoggiò la canna a uno strato di materia biancastra, con lembi di stoffa rossa, in corrispondenza del buco appena fatto, e sparò. Betta, sorpresa dal rumore così diverso, sobbalzò, rischiando di rovesciare il drink che aveva in mano. A differenza delle altre sedute, era completamente vestita e in piedi, appoggiata al mobile bar che separava lo studio dalla cucina: prima di concedersi ancora, voleva una risposta da Alfio. E solo se fosse stata positiva si sarebbe fatta scopare. Forse per l'ultima volta: il divertimento non sarebbe durato molto, una volta eliminato Sandro. E sarebbe stato facile convincere le autorità che l'artista era il responsabile della morte del marito. - Particolare macabro - osservò. La stoffa rossa che usciva dal buco, sigillato dal proiettile e dal materiale bianco, sembrava sangue sul candore del marmo. - Non dovrebbe infastidirti così. Alle volte le cose macabre sono necessarie, no? - Ecco, a proposito di cose macabre... - lasciò in sospeso la donna. Alfio fece un passo indietro, osservò la statua, quindi annunciò: - Sì, è proprio finita. - È venuta proprio bene - ammise Betta, che però in quel momento era interessata ad altro. - Non mi riferivo solo alla mia opera. Anche la nostra relazione. La donna sentì il sangue gelarsi nelle vene. Non poteva credere che quell'idiota stesse rifiutando il fulgido futuro che gli aveva offerto: quale pazzo avrebbe fatto una cosa del genere? Di certo non poteva immaginare che i suoi piani fossero diversi da quanto gli aveva raccontato. Era sempre stata molto brava a farsi credere dagli uomini, possibile che lui fosse diverso? - Così mi costringi a dare informazioni sgradevoli alle autorità, Alfio - rivelò, sforzandosi di non far tremare la voce. - Sei sicuro di volerlo? - Di quali informazioni stai parlando? - volle sapere, accondiscendente. - Quelle che ha raccolto il mio investigatore privato, sul tuo passato. - E dimmi, Betta, con quali soldi hai pagato l'investigatore privato? Rimase in silenzio, cominciando a temere che il suo piano stesse andando in fumo. - I miei soldi - disse una voce che conosceva bene, dietro di lei. Si voltò di scatto e vide il marito sull'uscio di una porta di cui ignorava l'esistenza, perfettamente mimetizzata con il muro. - Sandro? Tu? - Io, certo. - C'è un equivoco, posso spiegare - tentò, annaspando. - No, lascia che ti spieghi io. Ho visto le tue “sedute”: le telecamere nascoste hanno registrato ogni singolo istante delle vostre scopate. - Come hai potu... - Ho potuto, perché mi ero stufato dei tuoi continui tradimenti. Pensavi che non me ne fossi mai accorto? E mi sono messo d'accordo con Alfio, per raccogliere le prove e quindi un divorzio dal quale non avresti avuto nemmeno un soldo. Almeno, questo era il piano, inizialmente. Si voltò verso l'artista, con gli occhi stretti. - Tu lo sapevi? - Certo. Io devo molto a tuo marito: è stato lui a farmi evadere, dieci anni fa. Sentì Sandro scoppiare a ridere. - Se solo potessi vedere che faccia hai adesso! - Ma perché? - Beh, per il motivo che immagini: l'appalto per la manutenzione delle carceri. Farsi scappare il “boia di Napoli” è un'onta piuttosto grossa, da lavare. - E tu ti fidi di un avanzo di galera? Di uno che ha ammazzato donne e bambini? Entrambi gli uomini risero. - Non sembrava ti facessi così schifo - disse Alfio, a bassa voce, con un ghigno sul volto. - Betta, non sono arrivato alla mia posizione con la stessa leggerezza con cui hai messo in piedi questo piano patetico - rispose, carico di disprezzo. - Io non mi fido di un avanzo di galera. Mi fido però di un uomo che mi deve un favore e che ora lavora per me. E c'è un altro motivo, una cosa che il mio investigatore privato non ti ha detto. - Fece una pausa. - Mi fido di un uomo per il quale sono sangue del suo sangue, visto che Alfredo Lanzafame è il mio trisavolo. La donna dovette sedersi. Il suo cervello stava lavorando alla massima velocità disponibile, alla disperata ricerca di una scappatoia: troppe informazioni nuove da assimilare, mettere insieme e far combaciare in un piano che ancora non conosceva. La stessa bocca, lo stesso taglio degli occhi. Poi, l'illuminazione, naturale e improvvisa. Scattò in piedi. - L'esame del DNA! - Prego? - chiese Alfio. - L'esame del DNA - riprese Betta, con maggiore sicurezza. - dimostrerà che siete parenti. E a quel punto nessuno potrà togliermi i tuoi soldi, Sandro. Finirete in galera entrambi. Per la terza volta, il marito si mise a ridere. - Cosa c'è di così tanto divertente, eh? Che hai da ridere? - Betta, Betta - rispose, scuotendo il capo. - Ma tu credi davvero che ti lascerò vivere dopo quello che stavi architettando? - Co-cosa? - Alfio? - invitò Sandro. Il rumore dello sparo precedette di poco il dolore lancinante al ginocchio destro. La donna vide il loft cambiare inclinazione, come se qualcuno lo avesse rovesciato. Toccò terra con un grido di sorpresa, ma non fu l'unico. - Puoi urlare quanto vuoi, non ti sentirà nessuno - osservò Alfio. Lacrime pesanti scorrevano sul volto di Betta, mentre con le mani indugiava a pochi centimetri dalla ferita. - No, ti prego, Sandro! - supplicò, tra i singhiozzi, alla disperata ricerca della forza per superare il dolore e la paura. - Sono sempre stata una moglie modello. Posso ancora esserlo! Ti prego! Lo sguardo carico di disprezzo dell'uomo fu la più eloquente delle condanne. - Fanne quel che vuoi, prima di ucciderla - disse poi con cattiveria. - Non sia mai che le neghi un ultimo divertimento.
Edited by kendalen - 18/8/2011, 15:41
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